crine
Sostantivo col valore ovvio di " pelo ", " capello ", affidato unicamente all'uso ‛ comico ' in D., manca nelle opere minori, anche in Fiore e in Detto. Al singolare, in senso collettivo per " chioma ", " capigliatura " (delle furie infernal): If IX 41 serpentelli e ceraste avien per crine.
Al plurale, equivale a " capelli ", " chiome ", per i crin mozzi di If VII 57, simbolo dello " sperpero che i prodighi hanno fatto di tutte le loro cose " (Grabher) o " in segno di aver venduti e consumati perfino i capelli, come per proverbio dicesi " (Lombardi). Su tale immagine più di tutti si sofferma il Boccaccio, con curiosa insistenza e peregrinità di ragguagli: " per li quali crin mozi similemente testificheranno la loro prodigalità. E la ragione per che questo per li crin mozi si testifichi è questa: intendono i dottori moralmente per li capelli le sustanzie mondane, e meritamente, per ciò che i capelli in sé non hanno alcuno omore, né altra cosa la quale alla nostra corporal salute sia utile; sono solamente alcuno ornamento al corpo, e per questo ne son dati dalla natura; e così dirittamente sono le sustanzie temporali, le quali per se medesime alcuna cosa prestar non possono alla salute dell'anime nostre, ma prestano alcuno ornamento a' corpi ". Coi crin mozzi s'allineano in singolare parallelismo - avendo a denominatore comune, in senso morale, la prodigalità e, stilisticamente, il sintagma ‛ risurgeran coi ' - i crini scemi di Pg XXII 46, cui s'addirebbe la glossa dell'Ottimo a If VII 57 (" a dinotare per li capelli le loro facultadi mozze dalle loro prodigalitadi "), come viceversa al primo luogo la chiosa antica in calce al secondo, il Lana (" a dimostrare che hanno gittado di soperchio ") o Benvenuto (" capillis tonsis, quia omnia abiecerunt "), non invece Guido da Pisa (" hic tangit clericos et avaros qui capitibus rasis in derisionem eorum de sepulcro in resurrectione generali resurgent ").
Sempre al plurale, passa a raffigurare i " raggi " solari nella suggestiva prosopopea astronomica di If XXIV 2 In quella parte del giovanetto anno / che 'l sole i crin sotto l'Aquario tempra: metafora di origine virgiliana (Aen. IX 638 " crinitus Apollo "), come non mancava di avvertire Pietro. Del resto l'oscillazione esegetica, per questo passo, verte sempre e soltanto sul valore di tempra, inteso ora come " rinforza ", " riscalda " (Vellutello: " tempera i crini, cioè i raggi sotto tal segno perché comincia pur un poco a riscaldare ") ora come " mitiga ", " attenua " (Landino: " tempra e suoi ardenti raggi, imperocché non molto riscalda el sole, mentre che è in questo segno "), e non mai su crini, la cui resa è pacifica anche per chi, come Benvenuto, non prende posizione quanto al significato del verbo (" temperat radios suos quos flavos spargit a suo pulcerrimo capite ").
Un uso figurato ancor più caratteristico dal punto di vista sintattico si riscontra infine in If XXVII 117, dove il diavolo loico rivela a s. Francesco come egli si sia tenuto sempre " alle spalle " o " alle costole " di Guido - perché diede 'l consiglio frodolente, / dal quale in qua stato li sono a' crini -: " pronto ad afferrarlo per i capelli, ad acciuffarlo ", cioè " standogli appresso senza lasciarlo un solo istante ". La chiosa tradizionale non offre alternative alla retta interpretazione, variandone appena i toni: dalla traduzione letterale del Serravalle: " ex quo dedit tale consilium, non discessi ab eo, sed semper habui eum in balia mea ") o del Vellutello (" a le spalle, sopra le quali si spandono i crini, ciò è i capelli... e in sentenzia ... mai non l'avea abbandonato ") all'icastica spiegazione del Venturi (" l'ho tenuto sempre per il ciuffo, aggirandolo a modo mio ").