di Lorenzo Mosca
Le misure di austerità in risposta alla crisi economica in molti paesi del Sud Europa, tra cui Italia, Grecia, Portogallo e Spagna, hanno innescato un ciclo di protesta transnazionale ispirato direttamente dalla Primavera araba. I manifestanti si sono mobilitati non solo per opporsi a tagli del welfare state, ma anche per chiedere una democrazia migliore e diversa. ¡Democracia real ya! è stato lo slogan principale delle proteste degli indignati che hanno occupato Puerta del Sol a Madrid, Plaça de Catalunya a Barcellona e centinaia di piazze nel resto del paese a partire dal 15 maggio 2011, rivendicando politiche economiche e sociali diverse e una maggior partecipazione dei cittadini nella loro formulazione e implementazione. Gli indignati hanno sfidato esplicitamente la democrazia rappresentativa, le sue procedure e i suoi attori principali con slogan come Lo llaman democracia y no lo es (La chiamano democrazia ma non lo è) e No les votes (Non votarli).
Prima dell’effetto domino generato dalle grandi mobilitazioni spagnole, fra la fine del 2008 e l’inizio dell’anno seguente, cittadini autoconvocati in Islanda avevano chiesto e ottenuto le dimissioni del governo e dei suoi delegati nella Banca centrale e nelle autorità finanziarie, accusati di collusione con le grandi imprese. In Portogallo, una manifestazione organizzata via Facebook nel marzo del 2011 aveva portato in strada oltre 200.000 giovani della Geração à Rasca, ‘generazione perduta’, contro le élites politiche. Le proteste degli indignati spagnoli avevano a loro volta stimolato simili mobilitazioni in Grecia, dove l’opposizione alle misure di austerità aveva già trovato espressione in forme violente. In entrambi i paesi la corruzione del governo era divenuta un tema centrale delle proteste. Occupy Wall Street aveva tratto ispirazione dalle proteste degli indignati spagnoli, portando il conflitto sociale nel cuore del capitalismo economico e finanziario. La chiamata all’occupazione di Wall Street da parte del gruppo canadese Adbusters aveva trovato ascolto in moltissime città degli Stati Uniti, generando forme di solidarietà transnazionali, diffuse dai media digitali. Anche Occupy Wall Street criticava la crisi economica, sottolineando il fallimento dei governi democratici, ritenuti incapaci di soddisfare le aspettative dei cittadini.
Come per il movimento di critica alla globalizzazione neoliberista dei primi anni 2000 – che aveva dichiarato l’illegittimità di pochi decisori globali con lo slogan ‘Voi G8, noi 6 miliardi’ – la mobilitazione degli indignati era stata presentata in termini generali sotto lo slogan ‘Siamo il 99%’. Entrambi i cicli di protesta hanno adottato un linguaggio cosmopolita, rivendicando diritti globali e accusando il capitalismo finanziario di poter sopravvivere solo mediante ricorrenti crisi con elevatissimi costi sociali. Tuttavia, mentre il movimento di critica alla globalizzazione si era diffuso con l’organizzazione di controvertici e di Social Forum, dal livello transnazionale al nazionale (e al locale), la nuova ondata di protesta ha avuto un andamento opposto, propagandosi secondo la geografia dell’emergere della crisi economica, che ha colpito con diversa intensità e in momenti differenti i paesi europei.
Gli studi sull’attivismo transnazionale hanno evidenziato già da tempo diversi casi di diffusione di strategie organizzative, schemi interpretativi e forme d’azione da un paese all’altro. Il connubio fra forme d’azione innovative, quali l’occupazione a oltranza di spazi pubblici e assemblee partecipative aperte, ha rappresentato un modello importato e diffuso rapidamente dai paesi interessati dalla Primavera araba a Occupy Wall Street passando per gli Indignados, grazie alla presenza di attivisti spagnoli residenti a New York. Come già avvenuto in passato, sia i contatti diretti e faccia-a-faccia, sia quelli mediati dalle tecnologie della comunicazione (in particolare attraverso i social network) hanno contribuito a diffondere la protesta contro le politiche di austerità in varie parti del mondo.
Più di recente una nuova ondata di mobilitazioni ha interessato altri paesi che erano rimasti ai margini della protesta: dalla Turchia all’Ucraina, dalla Bulgaria alla Thailandia, dal Brasile all’Egitto, passando per l’Italia col ‘movimento dei forconi’. Benché le forme di azione dei manifestanti abbiano richiamato in alcuni casi (come nell’occupazione del Parco Gezi) quelle emerse nel ciclo di protesta anti-austerity, le mobilitazioni erano spesso legate a questioni di carattere nazionale e locale. I social media (in particolare Twitter) – agendo da cassa di risonanza, facilitando la rapida aggregazione dei cittadini nelle piazze e conferendo loro una visibilità anche internazionale – sembrano aver operato come minimo comun denominatore di una serie di proteste prive di radici e cause comuni.