Cristalli liquidi
Lo stato liquido-cristallino (LC) rappresenta una fase della materia intermedia fra quella liquida, di cui possiede la fluidità, e quella cristallina, di cui presenta molte delle caratteristiche anisotrope come la birifrangenza. La facilità di allineamento, con la conseguente rapida e controllabile variazione delle proprietà ottiche del materiale, è alla base dell'uso dei cristalli liquidi in schermi per la visualizzazione di testo e d'immagini (display).
I composti liquido-cristallini studiati sono circa 100.000 e le loro tipologie continuano ad aumentare, offrendo sempre nuove possibilità di applicazione. Le nozioni relative all'ordine liquido-cristallino forniscono un utile elemento per discutere anche materiali come le sospensioni di virus o di nanocristalli. Un problema centrale è quello di individuare le caratteristiche delle particelle costituenti che favoriscono la formazione di fasi fluide ordinate.
L'individuazione delle proprietà liquido-cristalline possedute da alcuni composti organici risale alla fine del XIX secolo. I cristalli liquidi o, per meglio dire, le proprietà liquido-cristalline possedute da alcuni composti organici, furono infatti scoperti nel 1888 dal botanico austriaco Friedrich Reinitzer. Egli notò che un materiale (chimicamente noto come colesteril-benzoato) presentava due distinti punti di fusione: una volta scaldato un campione solido della sostanza, si osservava dapprima la formazione di un liquido torbido che, successivamente, continuando a scaldare diventava trasparente.Una volta raffreddato, il liquido diventava bluastro e poi cristallizzava. Lo studioso aveva individuato un nuovo stato della materia: la stato liquido-cristallino. In pratica tali sostanze non passano direttamente dallo stato solido a quello liquido ma, in particolari condizioni, sono in grado di organizzarsi in fasi intermedie (mesofasi) che presentano caratteristiche sia dello stato solido cristallino sia di quello liquido. Questo dualismo giustifica il nome attribuito a tali composti. In merito alla loro natura chimica, i cristalli liquidi possono essere classificati come termotropici, ossia caratterizzati da miscele o da composti puri nei quali la fase liquido-cristallina è stabile in un certo intervallo di temperatura, o liotropici, ossia costituiti da molecole che assumono un comportamento liquido-cristallino solo quando sono mescolate con un solvente di qualche tipo. In tali soluzioni la stabilità della mesofase è data principalmente dalle concentrazioni oltre che dalla temperatura. I cristalli liquidi rivestono un grande interesse tecnologico grazie, per esempio, alla capacità di rispondere significativamente all'applicazione di campi elettrici esterni. Tali campi, infatti, possono indurre effetti eclatanti nelle proprietà ottiche dei sistemi liquido-cristallini, rendondoli candidati ideali per la realizzazione di display a cristalli liquidi o LCD (Liquid crystal display). Dai comunissimi orologi da polso e calcolatrici tascabili fino ai più avanzati schermi ultrapiatti per computer e televisori, essi trovano ampia varietà di applicazioni che coinvolgono, tra l'altro, significativi investimenti economici. Altre applicazioni possibili vanno dai termometri a cristalli liquidi, che si basano sulle proprietà termiche dei nematici chirali (detti colesterici), agli utilizzi in campo medico quali, per esempio, i misuratori della pressione transitoria del piede sul terreno durante una passeggiata, fino alla tecnologia nelle memorie per computer.
Le molecole che formano cristalli liquidi (mesogene) hanno normalmente una forma quasi cilindrica allungata (detta calamitica) oppure schiacciata (discotica) che si può in prima approssimazione rappresentare schematicamente come un ellissoide prolato od oblato (fig. 2). Le interazioni fra queste molecole possono essere descritte da una generalizzazione anisotropa del classico potenziale di Lennard-Jones (LJ) usato per i fluidi semplici, in cui la curva di potenziale è la somma di un contributo attrattivo e uno repulsivo, e si assume che le interazioni attrattive e repulsive decrescano, rispettivamente, con la potenza inversa 6 e 12 della distanza intermolecolare r. In questo modello, detto di Gay-Berne (GB), la profondità della buca di potenziale, ε, e la distanza di contatto, σ, dipendono dai versori ˆui, ˆuj, che definiscono l'orientazione delle due particelle e dal loro vettore intermolecolare r.
Mediante l'uso di tecniche di simulazione al calcolatore, in particolare i metodi Monte Carlo e di dinamica molecolare, sono state studiate le organizzazioni molecolari di equilibrio per campioni di alcune centinaia o migliaia di particelle che interagiscono con il potenziale GB opportunamente parametrizzato, e si è mostrato come sia possibile ottenere fasi isotrope (I), nematiche (N), smettiche A e B (SmA, SmB) e cristalline (Cr) da mesogeni calamitici e fasi isotrope, discotiche nematiche (ND) e colonnari, in cui le molecole sono impilate con organizzazione esagonale o tetragonale delle colonne, da mesogeni discotici (fig. 3).
Si è mostrato, quindi, che la manifestazione di molte delle fasi liquido-cristalline più importanti dipende dall'esistenza di particelle con anisotropia di forma e di attrazione, più che da specifiche caratteristiche chimiche o addirittura da una particolare forza intermolecolare (gestaltungskraft), come ipotizzato da Otto Lehmann all'epoca della scoperta dei cristalli liquidi (CL). Alcune delle fasi ordinate, come la nematica e la smettica A, possono addirittura essere ottenute in sistemi di particelle che interagiscono in maniera puramente repulsiva (per es., come bastoncelli rigidi impenetrabili). È stato dimostrato, teoricamente e mediante simulazioni al calcolatore, che il passaggio da fluido isotropo a nematico può essere entropicamente favorito, nonostante l'aumento di ordine orientazionale, grazie al guadagno di entropia traslazionale. Perfino l'ulteriore formazione di strati smettici può comunque portare a una fase più stabile, grazie alla perdita di volume escluso all'interno degli strati. Non è quindi sorprendente che fasi liquido-cristalline siano ottenute, su scala ben maggiore di quella molecolare e a opportune concentrazioni, anche in sospensioni colloidali di virus, nanocristalli, ecc., che possono essere immaginate proprio come sistemi di particelle anisotrope impenetrabili.
Descriveremo ora brevemente le tipologie dei composti liquido-cristallini, concentrandoci su quelle che sono state scoperte o che sono divenute di particolare attualità negli ultimi anni.
Il virus responsabile del mosaico del tabacco (TMV, Tobacco mosaic virus) è costituito da particelle allungate, di lunghezza L∼300 nm e diametro D∼18 nm. Sospensioni acquose di TMV formano fasi ordinate birifrangenti che, a differenza di quanto avviene per una sospensione isotropa, non estinguono la luce fra polarizzatori incrociati. Come mostrano anche indagini al microscopio elettronico, le sospensioni sono nematiche e, a concentrazioni più alte, smettiche. Le interazioni fra particelle in sospensione sono essenzialmente repulsive e fasi ordinate vengono ottenute aumentando la concentrazione. Questo comportamento, dovuto sostanzialmente all'elevato fattore di forma f=L/D, è riscontrato anche per altri virus. Per esempio, il virus batteriofago fd, che infetta certi batteri del tipo Escherichia coli, è assimilabile a una particella relativamente flessibile e chirale con dimensioni L∼880 nm, D∼6,6 nm e origina in sospensione fasi colesteriche e smettiche (con periodicità di ∼1,03 L), come mostrato da Seth Fraden nel 1997.
La formazione di CL nematici è stata osservata in sospensioni colloidali di nano-lamelle (dischi) di gibbsite (Al(OH)3) con D/L∼15 disperse in toluene a concentrazioni superiori al 16,5% volume/volume, nonché di nano-bastoncelli di boehmite (AlO(OH)) con L/D∼10. Sospensioni di particelle discotiche (con spessore di ∼1 nm e diametro di ∼30 nm) di argilla smettica del tipo hectorite, in particolare la sintetica Laponite®, formano fasi LC molto viscose (gel) disperse in acqua. Queste sospensioni inorganiche, stabili per pH≥9, sono interessanti anche per l'importanza tecnologica dei colloidi a base di argille (cementi, ceramiche, additivi gelificanti). Nei casi descritti, le particelle costituenti non sono necessariamente identiche, ma possono presentare una distribuzione di dimensioni (polidispersità) che, come è stato mostrato da studi teorici, ostacola la formazione di fasi con ordine posizionale, rendendo tutt'altro che scontata l'osservazione sperimentale di fasi smettiche in sistemi di particelle di lunghezza non uniforme. Per esempio, sospensioni concentrate di DNA non formano fasi smettiche, ma piuttosto organizzazioni colonnari esagonali. Effetti di polidispersità in sistemi discotici sono stati meno studiati, ma sono state osservate fasi colonnari in sospensioni di gibbsite con polidispersità fino al 25%.
Il gruppo di Paul Alivisatos ha ottenuto fasi liquido-cristalline in sospensioni a bassa polidispersità di nanocristalli del semiconduttore CdSe con L∼10÷40 nm e D∼3÷4 nm.
È importante notare che mediante sospensioni di nanocristalli si realizzano CL inorganici, con una varietà di caratteristiche e di applicazioni potenzialmente diverse dai più tradizionali materiali organici.
La semplice schematizzazione con ellissoidi deve essere estesa includendo eventuali interazioni specifiche rilevanti, quali momenti di dipolo o di quadrupolo, per cercare di descrivere le altre numerose fasi osservate; essa naturalmente deve considerare anche forme mesogene diverse e più complesse. Descriveremo in seguito alcuni casi significativi in cui ciò si verifica, soffermandoci sulle ricerche di questi ultimi anni.
Mentre possiamo immaginare solo un tipo di SmA per molecole simmetriche assimilabili a ellissoidi, molecole asimmetriche con forte dipolo assiale (fig. 5) danno origine a vari sottotipi di fasi smettiche A in cui l'organizzazione non sempre è data dalla semplice struttura a strati con spaziatura corrispondente alla lunghezza molecolare l (detta SmA1). Indagini ai raggi X consentono di ottenere la periodicità d della struttura e hanno mostrato non solo strutture a doppio strato, d=2l, con organizzazione antiferroelettrica a dipoli antiparalleli (SmÃ2), ma anche strutture interdigitate, con compenetrazione di due strati adiacenti, in cui l〈d〈2l (SmÃ). Queste strutture derivano dall'ottimizzazione dei vari contributi intermolecolari, che risulta in un compromesso fra accoppiamento dipolare e altri effetti (dispersione, repulsione), come risulta in maniera anche più evidente dalle strutture a dominî striati (stripe) con dipoli che puntano alternativamente in una direzione e in quella opposta (SmÃ). Le simulazioni al calcolatore mettono in evidenza l'importanza della posizione del dipolo molecolare assiale: centrale per la fase SmA1, quasi terminale per la SmÃ, mentre una posizione assiale non centrale favorisce l'interdigitazione (SmÃ) all'aumentare della forza del dipolo.
Si può comunque avere anche un cambiamento progressivo da una fase polare a un'altra per la stessa specie; per esempio per il p-(p-eptilfenil)-p′-nitrobenzilossibenzoato (DB7NO2) si ha questa sequenza di transizioni di fase:
[1] formula.
È anche notevole il fatto che in alcuni casi, per esempio per certi alchilossicianobifenili, al diminuire della temperatura si ottenga prima una fase smettica e poi, per ulteriore raffreddamento, una fase nematica (fase rientrante) che, essendo meno ordinata, si ritrova invece di solito a temperature più alte.
In questi sistemi le molecole sono disposte a strati, come in tutti gli smettici; all'interno di ogni strato le molecole hanno posizioni disordinate, tipiche di un fluido, ma il loro direttore n è inclinato in media di un caratteristico angolo di tilt θ rispetto alla perpendicolare z allo strato. L'origine molecolare di queste fasi SmC è ancora poco chiara: si sono ipotizzati effetti dovuti alla presenza di due o più dipoli trasversali o a un momento di quadrupolo molecolare assiale; in alternativa è stata invocata la forma a zig-zag caratteristica di molte molecole che formano smettici C, costituite da un nucleo centrale e da due catene terminali. Se le molecole mesogene sono chirali, oppure se a uno SmC viene aggiunto un soluto chirale, il direttore di ciascuno strato non può spontaneamente sovrapporsi a quello di un piano smettico adiacente e la proiezione del direttore n su ogni strato descrive un'elica (di passo tipico 1÷10 μm). Questi sistemi sono detti smettici C chirali (SmC*) e sono particolarmente interessanti per le loro caratteristiche ferroelettriche. Ricordiamo che un materiale ferroelettrico ha un dipolo elettrico macroscopico P≠0 risultante dall'allineamento lungo una direzione comune dei dipoli elettrici molecolari. Questo fatto è degno di nota perché P può poi essere facilmente orientato tramite un campo elettrico esterno, in maniera simile a quanto avviene per l'allineamento di un materiale ferromagnetico da parte di un campo magnetico. In un cristallo liquido ferroelettrico questo dà la possibilità di controllare l'orientazione media delle molecole di cristallo liquido e di realizzare dispositivi elettroottici a risposta particolarmente rapida a un impulso elettrico e a basso consumo energetico. Tornando all'origine molecolare di P, osserviamo che le molecole di un SmC o SmC* possono ruotare facilmente attorno all'asse z, in un cono ideale con apertura uguale all'angolo di tilt. Nell'organizzazione con n a elica di un SmC*, P=0, ma il sistema assume P≠0 se le molecole hanno un dipolo e se tutti i piani hanno la stessa direzione di tilt, come si può ottenere con l'aiuto di un campo o, in un film sottile, per effetto di un opportuno trattamento superficiale o SSFLC (Surface stabilized ferroelectric liquid crystal). La direzione di P si può poi cambiare facilmente per applicazione di un campo perpendicolare a z. Poiché la formazione di fasi ferroelettriche in smettici C* è, come si capisce, legata alla presenza di costituenti chirali, ha destato molta sorpresa e interesse la scoperta, a opera di ricercatori giapponesi, di fasi ferroelettriche smettiche C ottenute a partire da molecole non chirali con una insolita forma 'a banana' (fig. 6). Escludendo la chiralità molecolare, un possibile meccanismo è quello di una chiralità sopramolecolare ottenuta dalla combinazione di molecole inclinate rispetto allo strato smettico e dotate di momento di dipolo. Infatti, lo strato non ha simmetria di riflessione e diviene pertanto chirale, con una chiralità di segno opposto a seconda che il prodotto vettore z×n abbia o meno lo stesso segno del vettore p (fig. 6B). La combinazione di strati con angolo di tilt nella stessa direzione (sinclinica) o in direzione opposta (anticlinica) rispetto alla normale allo strato consente di ottenere fasi ferroelettriche o antiferroelettriche, come mostrato nello schema della fig. 7. La polarizzazione macroscopica di queste fasi può essere cambiata facilmente con un campo elettrico trasversale.
Molecole costituite da un frammento centrale e da varie catene alchiliche alle due estremità vengono dette policatenarie. È conveniente schematizzare queste strutture, e altre più complesse, usando un ellissoide per rappresentare il frammento centrale (core) e una linea a zig zag per ogni catena. Numerose strutture a più catene, organiche o metallorganiche, presentano fasi LC. Per esempio, per il composto mostrato nella fig. 8, se M=Pt si ottengono fasi calamitiche (SmC) per catene con un numero di gruppi metilenici, n=4÷5 e 11÷14.
È interessante osservare che all'aumentare del numero di catene si passa da un allineamento calamitico a una disposizione in colonne. Per esempio, molecole a tre catene alle due estremità, chiamate fasmidiche per la somiglianza con insetti del gruppo dei fasmidi (come l'insetto stecco), formano fasi colonnari esagonali. Il passaggio da calamitico a colonnare può avvenire anche in molecole tetracatenarie per catene sufficientemente lunghe. Per esempio, per la serie illustrata nella fig. 8, se M=Pd si ottiene una fase SmC per catene abbastanza corte (n=4÷12), ma una fase colonnare esagonale se n=13, 14, 18. Fasi liquido-cristalline sono state osservate per una varietà di altre strutture policatenarie, anche asimmetriche, con un numero di catene diverso ai due lati.
La formazione spontanea di colonne dall'impilamento di molecole a disco ha portato a studiare la possibilità di utilizzare questi materiali come 'fili molecolari', sfruttando la conduzione unidimensionale lungo l'asse della colonna. Osservando la struttura del classico discotico trifenilenico (fig. 9) si può evidenziare un nucleo π centrale circondato da una zona di catene alifatiche che separano una colonna da quelle vicine. Siccome i colonnari organici sono sostanzialmente isolanti, occorre anzitutto generare portatori di carica (charge carrier). Si creano lacune, h+, rimuovendo elettroni da un discotico elettron-ricco tramite un accettore come AlCl3 (p-doping), oppure cedendo elettroni, e−, a un discotico elettron-deficiente, per esempio riducendolo con un metallo alcalino (n-doping). Alternativamente possono essere generati carriers per fotoeccitazione. L'irradiazione crea stati eccitati che si separano in coppie legate elettrone-lacuna che possono poi separarsi termicamente o per effetto di un campo. I carrier opportunamente generati si muovono lungo la colonna (con valori di mobilità che variano per h+ ed e− e da materiale a materiale); sono state osservate conducibilità lungo la colonna S|| molto più grandi (∼10−3 S/m) di quelle del materiale puro (∼10−9 S/m) e circa 1000 volte più grandi dei valori trasversali σ⊥. Fasi colonnari sono state ottenute anche da mesogeni non discotici; in particolare, molecole a forma di scodella possono impilarsi e formare fasi colonnari piramidiche. Sono stati effettuati numerosi tentativi di ottenere colonne globalmente polari impilando molecole di questo tipo, sia organiche che metallorganiche, e anche per ottenere fasi ferroelettriche colonnari.
La sintesi di dendrimeri, in cui generazioni successive di molecole sono ottenute replicando a cascata un modello costruttivo attorno a un nucleo originale, consente di produrre strutture macromolecolari ramificate di forma controllata e monodisperse. Sono stati sintetizzati dendrimeri liquido-cristallini in due modi: inserendo unità strutturali mesogene in ogni generazione della molecola dendritica, oppure aggiungendo le unità mesogene solo all'esterno. Col primo metodo si sono ottenute fasi nematiche e smettiche, col secondo, almeno al momento, solo smettiche.
In sistemi termotropici forme particolarmente asimmetriche, a cuneo, possono assemblarsi spontaneamente in certi dendrimeri, come mostrato da Virgil Percec, originando complesse architetture a cilindro; in maniera simile, blocchi iniziali a forma di cono possono costruire strutture sferiche. Questi processi permettono di riprodurre la costruzione dal basso (bottom up) di architetture complesse, un po' come accade in natura per certi virus, per esempio per il già citato TMV, che è costituito assemblando oltre 2100 copie di un polipeptide attorno a un filamento di RNA che forma un nucleo elicoidale.
Oltre a mesogeni con forme complesse, è importante considerare molecole che sono intrinsecamente costituite da parti con affinità diverse. Un caso ben noto è quello di molecole anfifiliche, come quelle dei saponi, contenenti una testa polare e una catena alifatica. La dissoluzione in acqua a diverse concentrazioni ed eventualmente in presenza di molecole terze porta alla nota varietà di fasi liotropiche. È importante tener presente che questo è solo un caso di eterogeneità intrinseca, ma gli esempi possibili sono molti. Molecole costituite da due (o più) parti chimicamente diverse e relativamente incompatibili consentono di generare una notevole varietà di nuove fasi. Il caso più noto, riscontrabile per esempio in un sapone o in un tensioattivo, è quello di molecole anfifiliche con una catena alchilica lipofilica e una testa polare idrofilica (fig.10). I due ruoli potrebbero essere scambiati: per esempio, in un surfattante trisilossanico la testa è non polare e la catena polare. In un solvente che interagisce più favorevolmente con una delle due parti, si ha una tendenza alla segregazione delle due (o più) parti delle molecole e la formazione di fasi compartimentate. In un solvente acquoso si ottengono, a seconda della natura chimica dei componenti e della concentrazione, micelle sferiche, cilindriche, ellissoidali e via via fasi cubiche, lamellari, ecc., in cui le catene formano regioni idrofobiche e le teste polari definiscono una interfaccia con le regioni acquose. In generale, la minimizzazione dell'energia interfacciale porta all'autoassemblaggio in organizzazioni molecolari di una sorprendente regolarità e a una separazione dello spazio in zone con diverse caratteristiche chimico-fisiche. Oltre alle fasi liotropiche di sistemi tensioattivo-acqua, lo stesso principio di segregazione porta a strutture regolari in sistemi biologici (membrane fosfolipidiche), copolimeri a blocchi e in certi sistemi liquido-cristallini termotropici. Nei sistemi liquido-cristallini le fasi segregate tendono a organizzarsi al loro interno, per esempio con la tendenza ad avere molecole parallele l'una all'altra. La segregazione è ostacolata dall'entropia di miscelazione Smix, che tende a omogeneizzare il sistema. Siccome il valore di Smix per unità di volume diminuisce all'aumentare delle dimensioni molecolari, anfifili come i copolimeri a blocchi danno più facilmente segregazione, anche per incompatibilità relativamente piccole fra le parti costituenti. La forma dell'interfaccia, che a sua volta determina l'organizzazione complessiva, dipende fra l'altro dal volume che occupano le parti incompatibili di una molecola. Così nei sistemi surfattante-solvente, se l'occupazione di volume della testa VT è maggiore di quella della coda VC, potremmo aspettarci micelle con teste all'esterno o, in generale, nel caso di concentrazioni maggiori, fasi continue o bicontinue con una interfaccia curva, in modo da ottimizzare, per quanto possibile, l'energia elastica. Se lo spazio occupato dalle due parti è simile, per cui si genera un anfifilo abbastanza cilindrico, possiamo aspettarci, come per untipico fosfolipide, fasi lamellari o comunque interfacce tendenzialmente planari.
Hanno suscitato molto interesse sistemi liotropici formati da micelle discotiche a doppio strato (bicelle) che possono essere preparate da opportune miscele di fosfolipidi di varia lunghezza. Per esempio, una miscela di diesanol-fosfatidilcolina (DHPC) e dimiristoil-fosfatidilcolina (DMPC) in soluzione acquosa a temperatura ambiente o poco maggiore, da gel si trasforma in un cristallo liquido formato da bicelle di diametro pari ad alcune centinaia di Å e spessore di ∼40 Å. Il modello corrente assume che in questi sistemi un disco a doppio strato formato dai fosfolipidi a catena più lunga (DMPC) sia circondato da un bordo di lipidi a catena corta (DHPC). Il raggio delle bicelle può essere aumentato da circa 10 fino a 1000 Å facendo variare il rapporto DMPC/DHPC da 0,01 a 100. In un campo magnetico queste bicelle si allineano con l'asse del disco perpendicolare al campo, anche se l'aggiunta di piccole quantità di ioni lantanidi (per es. Eu3+) cambia l'allineamento rendendolo parallelo al campo.
Le soluzioni bicellari si sono dimostrate particolarmente utili come solventi ad anisotropia controllabile per studi di risonanza magnetica nucleare o NMR (Nuclear magnetic resonance) di proteine e altre biomolecole, come mostrato da Ad Bax. La determinazione della struttura di proteine tramite NMR ha il vantaggio di fornire strutture in soluzione e quindi di essere un complemento importante alle determinazioni mediante raggi X di cristalli. I segnali NMR dovuti all'accoppiamento fra i dipoli magnetici dei protoni (per es. fra due nuclei Hi, Hj) di una proteina rappresentano, infatti, in linea di principio, una ricca sorgente di informazioni sulle distanze protone-protone. Tuttavia, questo accoppiamento da un lato è mediato a zero se la proteina si trova in soluzione isotropa e, dall'altro, non è osservabile a causa della sovrapposizione fra i segnali delle numerosissime coppie Hi, Hj, in un solido. L'utilizzazione di bicelle che si allineano rispetto al campo magnetico dello spettrometro NMR non solo consente di allineare leggermente anche una proteina disciolta nella soluzione di micelle discotiche, ma inoltre l'allineamento è controllabile, permettendo così di osservare solo un numero gestibile di accoppiamenti Hi, Hj. La tecnica rappresenta un progresso rispetto alla normale metodologia NMR per lo studio di proteine, che utilizza dati sperimentali, come quelli ottenuti da incrementi Overhauser fra nuclei, osservabili anche in soluzione isotropa.
I cristalli liquidi rappresentano un campo di grande interesse anche per lo sviluppo di nuovi materiali con organizzazioni molecolari controllate da scala nanometrica fino a scala micrometrica. Sappiamo già come cristalli liquidi liotropici formati da tensioattivi possano costituire spontaneamente strutture ordinate di tipo cubico, esagonale, lamellare (fig. 11). Queste fasi, in cui domini acquosi e organici sono ben separati, vengono utilizzate come modulo costruttivo (template) per sintetizzare sistemi silicei mesoporosi attraverso la tecnica sol-gel, consistente nel costruire il reticolo di silice mediante una polimerizzazione che avviene nella regione acquosa del liotropico, per esempio per idrolisi di tetraetilortosilicato (TEOS). La struttura regolare, dopo eliminazione dei sottoprodotti e calcinazione per distruggere la matrice organica, forma materiali mesoporosi aventi grande area superficiale, simili alle zeoliti naturali e di notevole interesse per applicazioni nella catalisi perché possono essere preparati con pori di dimensioni variabili (tipicamente 15÷150 Å usando tensioattivi a diversa lunghezza di catena) e maggiori di quelli naturali. Un esempio è rappresentato dai materiali silicei mesoporosi appartenenti alla famiglia MCM, sintetizzata nel 1992 da Krispe e collaboratori, ricercatori alla Mobil Oil Company. I principali esponenti di tale famiglia sono: MCM-41, una silice che presenta pori disposti secondo una geometria esagonale (monodimensionale); MCM-50, avente struttura lamellare (bidimensionale); e MCM-48, che possiede due sistemi di pori che si estendono in direzione perpendicolare (tridimensionale). Sono state effettuate sintesi di materiali nanoporosi adottando diverse condizioni operative e variando il tensioattivo utilizzato come templante, e sono state preparate zeoliti macroporose con pori di dimensioni anche superiori a 500 Å, il che consente di ospitare molecole organiche di notevoli dimensioni. Si è mostrato che, abbastanza sorprendentemente, la struttura silicea ottenuta possiede la struttura della fase liotropica originale (a pori sferici, cilindrici, ecc.), consentendo di progettare le strutture nanoporose desiderate.
I polimeri liquido-cristallini (LCP, Liquid crystal polymers) combinano molte delle importanti proprietà tecnologiche dei polimeri con l'anisotropia e le conseguenti particolari proprietà ottiche e meccaniche delle fasi liquido-cristalline. Per esempio, se gli LCP vengono portati al di sopra della loro temperatura di transizione vetrosa Tg, possono essere allineati da opportuni campi elettrici e magnetici. Fra i numerosi sistemi LCP, gli elastomeri liquido-cristallini (LCE, Liquid crystal elastomers), in cui le catene sono opportunamente reticolate, hanno proprietà di grande interesse dovute alla combinazione della elasticità entropica del reticolo polimerico con l'ordine orientazionale delle molecole anisotrope liquido-cristalline. Questo conferisce al materiale un comportamento elastico in cui però il modulo di Young e la rigidità possono essere controllati e modificati.
Tra le numerose proprietà inconsuete dei sistemi LCE, le più interessanti comprendono il cambiamento spontaneo di forma a seguito di una transizione di fase, le transizioni di ordine orientazionale tra stati di diversa morfologia indotte da stiramento e le peculiari proprietà meccaniche, dinamiche e di elasticità. L'interesse per gli LCE come materiali avanzati deriva dalle loro potenziali applicazioni quali attuatori, anche per dispositivi su scala estremamente ridotta, come i micromotori, le valvole e le pompe per la tecnologia dei dispositivi a microfluido, tecnologia che al momento rappresenta un settore di ricerca particolarmente attivo e stimolante.
Inoltre, i sistemi che subiscono cambiamenti di forma sotto l'azione di campi esterni possono ovviamente trovare applicazioni biologiche e biomediche; in particolare, nel settore dei muscoli artificiali essi possono fornire alternative ai materiali basati su gel polimerici isotropi, polimeri in grado di condurre ioni e polielettroliti. Pierre-Gilles de Gennes, vincitore del premio Nobel per la fisica nel 1991, ha teorizzato già vari anni fa l'impiego di gel nematici ‒ più precisamente, una struttura reticolata composta di molecole dotate di proprietà nematiche separate da spaziatori flessibili ‒ per applicazioni nel campo dei muscoli artificiali. Questo modello incorpora le caratteristiche dei muscoli reali, ovvero i nematogeni per la contrattilità e gli spaziatori flessibili per l'elasticità. Heino Finkelmann e collaboratori nel 2001 hanno dimostrato la possibilità di indurre rilevanti variazioni di forma, mediante esposizione a luce di opportuna lunghezza d'onda, di LCE contenenti gruppi fotoresponsivi, tipicamente azobenzeni che cambiano lunghezza a seguito di fotoisomerizzazioni trans-cis. La risposta fotomeccanica (dell'ordine di 1×104 N/m2 rispetto ai valori di ∼35×104 N/m2 di un muscolo) è reversibile e riproducibile, anche se con tempi relativamente lunghi (∼30÷40 s). Gli sviluppi possibili in questo settore appaiono di grande interesse.
La diffusione di schermi luminosi a cristalli liquidi (LCD) continua in maniera sorprendentemente rapida e il giro di affari è stato pari a circa 22 miliardi di dollari nel 2000, con una proiezione di circa 47 miliardi nel 2006. Si è passati dall'uso per piccoli display monocromatici (orologi, calcolatrici) all'utilizzazione generalizzata in display a colori per computer portatili e telefoni cellulari, ma anche a display per computer fissi in alternativa al tubo a raggi catodici e, più recentemente, all'utilizzazione nei televisori. Tali applicazioni sono rese possibili dalle caratteristiche generali (piccolo spessore, basso consumo, assenza di emissioni di radiazioni potenzialmente nocive) e anche dai buoni parametri tecnici raggiunti (tempi di risposta 30÷50 ms, rapporto di contrasto rispetto allo sfondo di circa 300:1). I CL impiegati sono passati dai cianobifenili originari, sintetizzati da George W. Gray negli anni Settanta, a miscele di fenilcicloesani e attualmente a CL fluorurati a elevata stabilità.
La grande maggioranza dei display attuali è del tipo TN (Twisted nematic), in particolare del tipo TN-TFT (Thin film transistor) in cui ogni pixel è attivato da un transistor. Ma lo sviluppo di nuovi tipi di display prosegue e può essere interessante vedere il funzionamento di quelli basati su CL nematici, i quali puntano a migliorare ulteriormente l'angolo limite di visualizzazione per un osservatore. Idealmente l'angolo è 180°, cioè da −90° a +90° a partire dal centro del display in senso verticale od orizzontale al display stesso, ma in pratica si riesce a ottenere solo un angolo di visualizzazione di circa 50° da ogni lato per un TN, valore che viene aumentato a circa 70° da ogni lato con l'uso di un film compensatore superiore.
In uno schermo IPS (In-plane switching display; fig.12) le pareti interne superiori e inferiori della cella, G1 e G2, separate da uno spessore di alcuni µm, sono trattate in modo da indurre l'allineamento delle molecole di cristallo liquido nematico parallelamente alla superficie e alla stessa direzione (x). Due polarizzatori, P1, P2, con direzioni di polarizzazione ortogonali (lungo gli assi x e y) sono disposti sopra e sotto le pareti di vetro della cella e pertanto un elemento del display, un pixel, non lascia passare la luce in assenza di campo e appare nero (al contrario di un display TN, che è bianco, e col vantaggio di rendere meno evidenti eventuali pixel difettosi). A differenza di quanto succede per il caso TN, in un IPS le molecole di CL sono sempre parallele al piano della cella (da cui il nome). L'effetto di interruttore (switch) è dovuto all'applicazione di un campo elettrico fra i due elettrodi E depositati su una delle due superfici. Il campo applicato ortogonalmente alla direzione di propagazione della luce agisce principalmente sulle molecole appartenenti a un sottile strato intermedio del nematico, che in questo caso è scelto con anisotropia dielettrica negativa, ruotandone di 90° la direzione preferita. La configurazione ritorta così ottenuta consente alla luce di attraversare la cella.
I cristalli liquidi dispersi in polimeri (PDLC, Polymer- dispersed liquid crystals) sono formati da microscopiche goccioline di nematico, con dimensioni che vanno dai μm fino ai nm, immerse in un'opportuna matrice polimerica trasparente. Questo materiale composito, tipicamente ottenuto con processi di separazione di fase o di microincapsulazione, può essere lavorato così da formare film, come un normale polimero, ma possiede interessanti proprietà ottiche modificabili per applicazione di un campo esterno. Ricordiamo anzitutto che l'indice di rifrazione di un cristallo liquido è molto diverso lungo il direttore e perpendicolarmente a esso: per esempio, la differenza Δn varia fra 0,1 e 0,3 per molti CL di tipo cianobifenile, anche se Δn diminuisce con la temperatura. È quindi possibile scegliere un polimero con indice di rifrazione np corrispondente al valore del CL allineato, n∣∣, rendendo il film trasparente in presenza di un campo elettrico, e opaco, lattiginoso, per effetto della diffusione della luce, a campo spento (fig.13). Questo consente di realizzare un interruttore elettro-ottico se un film, con uno spessore di ∼20 μm, viene ricoperto o messo a contatto con uno strato sottile di un conduttore trasparente, come l'ossido di indio stagno (ITO, Indium tin oxide), a cui può essere applicata un'opportuna differenza di potenziale V. Il processo è reversibile con tempi di risposta dell'ordine dei ms e il film ritorna opaco quando il campo viene di nuovo spento. Si può notare anche l'assenza di polarizzatori, il che consente una maggiore luminosità. Il materiale può essere utilizzato per applicazioni che richiedono grandi superfici, per esempio finestre o pannelli 'intelligenti' per interni o per autoveicoli, in cui si passa da opacità a trasparenza spingendo un pulsante. Il fatto che lo stato di riposo sia opaco può provocare problemi in alcune applicazioni, se per qualunque motivo viene a mancare l'alimentazione elettrica. Recentemente sono stati però preparati film PDLC, cosiddetti reverse mode, le cui molecole, grazie a un opportuno trattamento superficiale, sono naturalmente allineate come nella fig. 13B in assenza di campo, fornendo quindi film trasparenti nel loro stato naturale, come mostrato dalle ricerche di Giuseppe Chidichimo e collaboratori (2002). Scegliendo un nematico con anisotropia dielettrica negativa, le molecole vengono orientate perpendicolarmente al campo stesso, con un cambiamento di indice di rifrazione rispetto al polimero che consente di avere il film opaco a comando.
Un'applicazione molto recente di PDLC è quella utilizzata nella preparazione di reticoli olografici, in cui nanogoccioline di CL (di 100÷200 nm) vengono disperse in maniera regolare in un polimero (HPDLC, Holographic polymer dispersed liquid crystals). La tecnica usata è una fotopolimerizzazione ottenuta tramite radiazione laser che interferisce sul sistema monomero-iniziatore-CL secondo il pattern olografico desiderato, creando variazioni regolari di separazione di fase e quindi di indice di rifrazione corrispondenti alle alternanze polimero-domini di CL. L'ologramma così registrato corrisponde a un'orientazione casuale del direttore dei domini CL e può essere cancellato o modificato per applicazione di un campo elettrico che allinea il CL.
L'uso di videoproiettori a cristalli liquidi ha conosciuto recentemente una diffusione notevole. Nella fig. 14 vediamo uno schema semplificato del loro funzionamento. La luce bianca proveniente da una lampada ad alta intensità viene separata nelle sue componenti rosso (R), blu (B) e verde (G) dai due specchi dicroici D1 e D2. La luce di ciascun colore viene fatta passare, grazie anche agli specchi S1, S2, S3, attraverso un display LCD costituito da una matrice di pixel che lascia passare o meno, come richiesto, la luce R o G o B per ogni punto del display. Le tre immagini componenti così modulate vengono ricombinate da un elemento dicroico cubico fornendo un'immagine con il colore appropriato in corrispondenza di ogni pixel. La luce, infine, passa attraverso le lenti del sistema di proiezione. In pratica, per avere un proiettore compatto è necessario avere un alto numero di pixel per pollice (ppi) e quindi, almeno se vengono utilizzati display LCD di tipo TN-TFT, un'altrettanto alta densità di transistor. Questa è resa possibile dall'uso di silicio policristallino (polysilicon) che consente densità di transistor e quindi di pixel dell'ordine di 200 ppi rispetto agli 80÷100 ottenuti con il più tradizionale silicio amorfo.
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