CRISTALLIZZAZIONE
(XI, p. 958)
La c. costituisce una delle cosiddette ''operazioni fondamentali'' di cui si compongono i processi di lavorazione dell'industria chimica. Essa determina la formazione di un prodotto solido cristallino a partire da una sua soluzione oppure dallo stato fuso e può essere utilizzata come mezzo di recupero e di purificazione del prodotto stesso o, talvolta, soltanto per conferirgli appropriate caratteristiche morfologiche finali.
Piuttosto diffusa nelle lavorazioni d'inizio secolo, in prevalenza rivolte a prodotti inorganici e quindi spesso solidi, questa operazione ha poi temporaneamente perduto importanza con lo sviluppo imponente della petrolchimica primaria, nell'ambito della quale ha trovato utilizzazioni soltanto marginali. Negli ultimi due decenni essa è però tornata oggetto di rinnovato interesse, sia con riferimento alla preparazione di una vasta gamma di nuovi prodotti solidi tipici della chimica fine (farmaci, pigmenti, prodotti per la detergenza, intermedi organici, catalizzatori), sia in seguito alla messa a punto di nuove tecnologie operative che ne hanno ampliato sensibilmente il campo di utilizzazione (c. da fuso e sotto pressione).
I fenomeni che governano la c. sono numerosi, piuttosto complessi e a volte peculiari del particolare prodotto trattato. Allo stato attuale soltanto gli aspetti di base, termodinamici e cinetici, si possono considerare sufficientemente chiariti, mentre si comincia appena a interpretare l'effetto delle condizioni idrodinamiche; altri aspetti ugualmente importanti per la conduzione dell'operazione o per la qualità del prodotto, come per es. la formazione di incrostazioni e l'influenza di impurezze e di additivi, sono invece ancora poco caratterizzati e all'occorrenza vengono gestiti in maniera semiempirica.
Con riferimento alle caratteristiche delle sostanze da trattare nonché agli obiettivi che ci si propone di conseguire, si possono distinguere due tipologie fondamentali di c.: c. da soluzione e c. da fuso, di cui esponiamo qui di seguito le caratteristiche.
Cristallizzazione da soluzione. − Costituisce il tipo più tradizionale e comune, oggi applicato per la preparazione di numerosissimi prodotti solidi sia inorganici che organici.
In questo caso la sostanza da cristallizzare si trova disciolta in un solvente liquido. Se più soluti sono presenti contemporaneamente, ciascuno di essi è soggetto a proprie condizioni e modalità di c., sicché con un'opportuna condotta dell'operazione risulta possibile il loro recupero selettivo.
La condizione teorica perché una sostanza disciolta possa cristallizzare è che essa raggiunga la sua concentrazione limite di solubilità. All'atto pratico è però necessario che questa soglia venga alquanto oltrepassata, cioè si stabilisca nella soluzione una sovrasaturazione, la quale costituisce la condizione effettiva per la formazione dei cristalli. La sovrasaturazione rappresenta uno stato metastabile della soluzione che è possibile conseguire entro una misura massima abbastanza limitata e comunque notevolmente variabile da un soluto all'altro. La presenza simultanea di più soluti può peraltro determinare modifiche sia del limite di solubilità sia dell'ampiezza del campo di metastabilità proprio di ciascuno di essi preso da solo.
Le condizioni di transizione soluzione-cristalli sono convenientemente rappresentate in forma grafica con il diagramma di solubilità che esprime l'andamento della concentrazione limite di solubilità in funzione della temperatura; su di esso è comodo riportare anche l'analogo andamento della concentrazione limite di sovrasaturazione, che presenta una curva pressoché parallela alla precedente (fig. 1).
La formazione dei cristalli avviene attraverso due stadi: la nucleazione e l'accrescimento. Occorre infatti che dapprima si costituiscano degli aggregati elementari di particelle del soluto (molecole o ioni) disperse nel solvente, i quali poi si accrescono attraverso successive deposizioni superficiali ordinate di ulteriori particelle presenti nel liquido in eccesso rispetto al limite di solubilità.
In particolare la formazione dei nuclei può avvenire in due diverse maniere: la ''nucleazione primaria'' trae origine esclusiva dalla sovrasaturazione e si fonda su un processo statistico di unioni e distacchi delle particelle elementari del soluto presenti in eccesso nel liquido, fino a che si raggiunge una dimensione critica stabile (〈1 μm); la ''nucleazione secondaria'' è invece legata a fenomeni meccanici che si sviluppano sulla superficie di cristalli già formati, come lo spostamento da parte della soluzione in movimento di aggregati di particelle non ancora sufficientemente stabilizzati, oppure la vera e propria rottura dovuta a collisioni dei cristalli, con la conseguente generazione in ambedue i casi di frammenti di dimensioni anche sensibilmente superiori a quella critica (10÷50 μm).
Nucleazione e accrescimento risultano fenomeni competitivi. Ambedue sono infatti funzioni dirette del grado di sovrasaturazione; ma le rispettive leggi cinetiche sono profondamente diverse, avendosi un marcato andamento esponenziale per la velocità di nucleazione primaria, una variazione invece più graduale per quella di accrescimento e infine una dipendenza piuttosto modesta della nucleazione secondaria; ne consegue che se, all'interno del campo di metastabilità proprio della particolare sostanza considerata, il grado di sovrasaturazione è piccolo, la nucleazione primaria risulta trascurabile, mentre se il grado è elevato essa diviene largamente predominante. L'entità massima della sovrasaturazione conseguibile, cioè il limite del campo di metastabilità, è appunto quella che determina una nucleazione primaria istantanea ed estesa all'intero volume della soluzione.
Il bilanciamento fra nucleazione e accrescimento ha un'importanza fondamentale sulle dimensioni del prodotto. Una predominanza della nucleazione porta infatti a un prodotto costituito da un gran numero di cristalli molto fini, mentre un consistente contributo dell'accrescimento porta a un prodotto costituito da cristalli meno numerosi e più grossi. Per quei soluti che presentano un campo di metastabilità relativamente ampio è possibile regolare il grado di sovrasaturazione al valore più opportuno, ma quando tale intervallo è intrinsecamente ristretto il controllo dell'operazione può divenire problematico. Infine nelle operazioni industriali, ove la fase liquida è necessariamente tenuta in agitazione e quindi i cristalli che si formano sono soggetti a collisioni e sfregamenti, la nucleazione secondaria non può essere mai del tutto evitata.
In aggiunta all'aggiustamento delle condizioni cinetiche, diversi accorgimenti operativi consentono d'influire sulla qualità del prodotto. Tra i più comuni per ciò che riguarda il controllo della dimensione vanno ricordati la semina, la ridissoluzione dei fini e l'uso di additivi. La prima consiste nell'introdurre nella soluzione sovrasatura, all'inizio dell'operazione, un certo numero di cristalli di granulometria omogenea e inferiore a quella richiesta per il prodotto; in tal modo l'accrescimento di questi cristalli decorre immediatamente limitando l'entità della sovrasaturazione e con essa la formazione di nuovi nuclei primari. Con la seconda tecnica i cristalli al di sotto di una certa dimensione vengono separati idraulicamente e ridisciolti nella soluzione madre, eliminandoli in tal modo dal prodotto finale. L'uso di additivi sfrutta in senso favorevole le interferenze fra soluti diversi consentendo di influenzare sia il campo di metastabilità sia direttamente il processo di accrescimento dei cristalli; in questo modo è possibile indirizzare non soltanto la dimensione ma anche l'abito cristallino e perfino ridurre la tendenza alla formazione di incrostazioni; le ancora scarse conoscenze circa il meccanismo di azione degli additivi fanno sì che il loro appropriato utilizzo si fondi prevalentemente su sperimentazioni empiriche.
Il prodotto atteso da un'operazione di c. da soluzione è un insieme di cristalli disaggregati, di abito ben definito e tutti tendenti a una medesima prestabilita dimensione. Quest'ultima è la condizione più difficile da realizzare; nella pratica industriale si ottiene in genere una certa distribuzione dimensionale con un valore dominante che dipende strettamente dalle condizioni in cui l'operazione è stata condotta. Una distribuzione molto ristretta è indice di buona efficienza dell'operazione. In relazione a ciò occorre anche tener presente che i trattamenti susseguenti la c. vera e propria (separazione dalle acque madri, lavaggio ed essiccamento dei cristalli) possono determinare variazioni peggiorative sia della dimensione dominante sia dell'ampiezza della distribuzione a causa di parziale ridissoluzione, di abrasione e di rotture dei cristalli prodotti.
L'attuazione della c. da soluzione, dovendo soddisfare esigenze piuttosto variabili da caso a caso, non può fruire di una tipologia impiantistica sostanzialmente univoca come accade per molte altre operazioni dell'industria chimica, ma deve invece far ricorso ad apparecchiature diversificate, di volta in volta dotate dei requisiti più idonei per la situazione particolare. A parte i tradizionalissimi bacini a evaporazione solare, ancora utilizzati per l'estrazione dei sali dall'acqua del mare, a livello industriale è oggi in uso una certa varietà di cristallizzatori, sviluppati da poche ditte costruttrici specializzate in determinate categorie di prodotti.
Essi vengono classificati sulla base di alcune caratteristiche fondamentali che costituiscono anche criteri di selezione a fronte del particolare soluto da trattare. I principali elementi considerati sono:
a) le modalità di conseguimento della sovrasaturazione. Rappresentano l'aspetto maggiormente caratterizzante la tipologia del cristallizzatore, includendo le seguenti alternative: raffreddamento della soluzione; evaporazione parziale del solvente per riscaldamento; espansione adiabatica sotto vuoto; precipitazione. Nei primi tre casi la scelta è dettata dall'andamento della solubilità in funzione della temperatura. Il semplice raffreddamento risulta decisamente vantaggioso se tale andamento è marcatamente positivo. Nell'ipotesi di andamento blandamente positivo o, ancor più, di andamento negativo è invece necessario ricorrere all'evaporazione del solvente mediante fornitura diretta di calore. L'espansione adiabatica sotto vuoto provoca evaporazione e raffreddamento simultanei; essa trova applicazione abbastanza frequente e consigliabile in particolare quando occorre tener bassa la temperatura, per esempio per ragioni di termosensibilità del prodotto, oppure quando occorre ridurre al minimo le superfici di scambio termico a causa della tendenza del prodotto a formare incrostazioni. La precipitazione si verifica invece nel caso di repentina diminuzione della solubilità per aggiunta di una sostanza estranea oppure per generazione diretta del soluto a seguito di reazione chimica nell'ambito della soluzione.
b) le condizioni idrodinamiche attuate. Anche questo aspetto è di rilevanza notevole, avendo influenza diretta sulla distribuzione delle condizioni operative che governano l'operazione, principalmente la temperatura e la sovrasaturazione, nonché sull'entità dei trasferimenti di calore e di materia. Le possibilità sono: agitazione semplice; agitazione guidata; circolazione del magma; circolazione della soluzione. L'agitazione è ottenuta per mezzo di un agitatore meccanico immerso nella sospensione cristallina, oppure con una ricircolazione esterna della sospensione stessa. L'aggiunta all'interno dell'apparecchio di un tubo di tiraggio e di diaframmi di vario tipo e forma consente di creare espressi moti convettivi. Nel caso di circolazione del magma tutta la sospensione è omogeneamente sottoposta allo stesso movimento forzato, sicché il prodotto estratto contiene l'intera distribuzione dimensionale dei cristalli presenti nell'apparecchio. Con un'apposita predisposizione dei percorsi è invece possibile sottoporre alla circolazione soltanto la soluzione, mentre i cristalli rimangono confinati in una specifica zona dell'apparecchio e subiscono in più un'azione classificante per cui il prodotto estratto risulta arricchito dei cristalli più grossi.
c) le modalità temporali dell'operazione: in discontinuo, in continuo. La prima modalità è frequente per le potenzialità medio-piccole, soprattutto se il prodotto è pregiato o richiede particolari accorgimenti operativi. La seconda è invece tipica delle grandi potenzialità a cui assicura stabilità qualitativa del prodotto e inoltre comporta minori dimensioni non solo del cristallizzatore vero e proprio ma anche di tutte le attrezzature di contorno.
d) la disposizione geometrica: ad asse orizzontale o ad asse verticale. La prima è ormai utilizzata raramente, limitandosi ai casi in cui si deve realizzare un'agitazione molto blanda accompagnata da un'azione di raschiamento delle pareti. La seconda costituisce la disposizione più comune, indispensabile, in particolare, quando è richiesta l'azione classificante.
Nella selezione del cristallizzatore giocano ruoli importanti anche aspetti peculiari del prodotto trattato. Per es., la tendenza alla formazione di incrostazioni è un fenomeno non ancora sufficientemente interpretato a livello teorico. Nel caso in cui esso abbia rilevanza, le conseguenze sono sempre fortemente negative per quanto riguarda sia l'entità degli scambi termici, sia le condizioni idrodinamiche all'interno dell'apparecchio. I costruttori hanno dedicato molta attenzione a questo problema, proponendo varie soluzioni empiriche (controllo del gradiente termico attraverso le superfici di scambio, flussaggio delle pareti con solvente puro, impiego di additivi, raschiamento delle pareti, applicazione di ultrasuoni), nessuna delle quali si è tuttavia, finora, rivelata decisiva. Un altro aspetto da considerare è la qualità del prodotto, intesa tanto come purezza chimica che come morfologia e distribuzione dimensionale; essa assume importanza diversa a seconda che la c. costituisca uno stadio intermedio ovvero quello finale della lavorazione del prodotto. Una regola generale è che più elevata è la purezza richiesta e stretta la distribuzione granulometrica ammessa, più limitata è la dimensione ottenibile per i cristalli e bassa la resa specifica dell'operazione.
I principali sviluppi e perfezionamenti conseguiti nel campo degli apparecchi per la c. da soluzione riguardano l'operazione in continuo, sotto il duplice aspetto dell'incremento di capacità produttiva e del controllo di qualità del prodotto. Per quanto riguarda il primo, sono oggi in esercizio singoli cristallizzatori idonei alla preparazione di oltre 6 t/h di prodotto finito. Per quanto riguarda il secondo, a esso vanno riferiti i miglioramenti più significativi. La possibilità di regolare la formazione dei cristalli si fonda in generale sull'uso della ricircolazione esterna combinata con l'adozione di diaframmi interni di varia conformazione, i quali sottopongono la sospensione cristallina a condizioni idrodinamiche idonee, il cui mantenimento è tanto più delicato quanto più grandi sono le dimensioni dell'apparecchio. Inoltre l'estrazione del prodotto è spesso realizzata dopo il passaggio attraverso un tronchetto cilindrico aggiunto inferiormente (o in fig. 2) in cui un lavaggio in controcorrente con soluzione limpida satura o leggermente sottosatura determina un'efficace classificazione dei cristalli e consente pertanto l'eliminazione della frazione troppo fine.
Per quanto concerne, invece, gli apparecchi destinati a operare in discontinuo, essi mantengono forme piuttosto semplici, essendo in generale costituiti da recipienti cilindrici verticali equipaggiati con agitatore e diaframmi e inoltre provvisti di camicie esterne o di serpentini interni per lo scambio del calore. Il controllo di qualità del prodotto si avvale in questo caso anche della possibilità di variare convenientemente le condizioni operative nel corso del tempo.
Cristallizzazione da fuso. − Questo tipo di operazione, il cui sviluppo applicativo è molto più recente, differisce profondamente da quello sopra descritto, sia dal punto di vista concettuale sia per ciò che concerne le finalità di impiego.
In questo caso non esiste un solvente estraneo al prodotto da trattare e la generazione dei cristalli a partire dal liquido non è che il risultato di una ordinaria solidificazione ottenuta mediante asportazione di calore.
La c. da fuso ha esclusive finalità di separazione e si applica pertanto per il recupero individuale di sostanze originariamente mescolate o, più spesso, per l'eliminazione di impurezze presenti in una determinata sostanza. Il principio base è quello ben noto secondo cui durante il cambiamento di stato di una miscela le diverse sostanze componenti si ripartiscono in maniera selettiva fra le due fasi coesistenti. Se, in particolare, tali sostanze non sono miscibili allo stato solido, in teoria i cristalli ottenuti da una solidificazione parziale dovrebbero contenere una sola sostanza purissima; in pratica così non è a causa di fenomeni d'inclusione e di adesione del liquido ai cristalli, tuttavia una separazione molto spinta è comunque conseguibile rifondendo i cristalli prodotti e ripetendo più volte il trattamento.
Le caratteristiche della transizione liquido-solido di una miscela binaria sono espresse in forma grafica dal diagramma di stato, il quale riporta gli andamenti delle composizioni teoriche delle fasi coesistenti in funzione della temperatura (fig. 3).
Le modalità di formazione dei cristalli sono concettualmente analoghe a quelle esaminate con riferimento alla c. da soluzione: occorre, cioè, che nella fase liquida si instauri uno stato metastabile, che nel caso specifico corrisponde a un sottoraffreddamento del liquido, da cui traggono origine sia la formazione dei nuclei che il loro successivo accrescimento. Sotto l'aspetto quantitativo, tuttavia, esistono alcune sostanziali differenze: in particolare, il campo di metastabilità è sempre piuttosto ristretto e inoltre il grado di sottoraffreddamento è fortemente influenzato dall'entità del calore di solidificazione e dal modo con cui questo viene smaltito; in tali condizioni non risulta facile controllare il bilanciamento fra la nucleazione e l'accrescimento.
La c. da fuso viene attuata secondo due distinti procedimenti: la fusione a zone e la c. frazionata.
La fusione a zone è una tecnica di piccola scala, utilizzata già da tempo per la purificazione spinta di sostanze solide cristalline, altofondenti e insolubili, prevalentemente di interesse elettronico (per es. i materiali per semiconduttori).
Una barretta del materiale da trattare viene fatta scorrere lentamente di fronte a una sorgente di calore molto intensa, capace di portarne a incipiente fusione il breve tratto che istante per istante si trova affacciato. In tal modo la zona fusa avanza da un'estremità all'altra della barretta e poiché, in accordo con il diagramma di fase, le impurezze tendono a passare nel liquido, esse vengono progressivamente rimosse e concentrate nel tratto finale che al termine dell'operazione viene eliminato. A causa delle insite resistenze alla migrazione delle sostanze da rimuovere, nonché degli altri fenomeni parassiti occorre di solito effettuare più di un passaggio; tuttavia con questa tecnica è possibile ridurre la concentrazione delle impurezze, o talvolta dosare quella di sostanze espressamente aggiunte, a valori estremamente bassi (poche ppm) quali sono richiesti dall'impiego del materiale trattato.
La c. frazionata viene invece utilizzata per la separazione e per la purificazione di sostanze caratterizzate da un punto di fusione non troppo discosto dalla temperatura ambiente. Poiché tale circostanza si presenta per un discreto numero di prodotti organici, specialmente nel settore della chimica fine, le applicazioni di questa tecnica hanno subito negli anni recenti una continua espansione.
La miscela da trattare, ordinariamente solida o anche liquida, viene sottoposta a una successione di solidificazioni e rifusioni parziali in modo da reiterare ed esaltare la ripartizione delle sostanze componenti fra le fasi liquida e solida. In genere sono sufficienti pochi cicli per conseguire un grado di separazione estremamente spinto (purezza > 99,9%).
Per la citata categoria di sostanze la c. frazionata si pone dunque come valida alternativa alla distillazione, rispetto alla quale offre sostanziali vantaggi tra cui principalmente una assai maggiore efficienza di separazione, più basse temperature operative e minor quantità di calore in gioco; di contro ci sono le maggiori difficoltà connesse con la manipolazione di un materiale solido (l'analogia con la distillazione si osserva facilmente se al posto dell'equilibrio liquido-vapore si pone quello solido-liquido).
Le apparecchiature per la c. frazionata seguono pochissimi modelli assai diversificati fra di loro, ideati e sviluppati da costruttori specializzati. Esse non sono inquadrabili in alcuna classificazione generale, data la stretta peculiarità delle caratteristiche idrodinamiche e geometriche in ciascun tipo di impianto. L'unica distinzione riguarda la modalità temporale, continua o discontinua, con cui l'operazione può essere condotta.
Gli apparecchi continui consentono come sempre potenzialità produttive più elevate, fino a oltre 10 t/h di prodotto finito. In vario modo essi realizzano un flusso in controcorrente fra il fuso e i cristalli, che equivale a vari stadi di contatto. La sospensione viene continuamente rimescolata con agitatori lenti che spesso hanno anche una funzione di raschiamento delle pareti. Camicie esterne contornanti le pareti stesse e serpentini interni provvedono i necessari scambi di calore. Se la morfologia dei cristalli non ha particolare interesse, il prodotto finale viene rifuso ed estratto allo stato liquido per una sua più agevole manipolazione (fig. 4).
Gli apparecchi discontinui, caratterizzati da potenzialità molto più ridotte, sono destinati ai casi in cui più delicato o stringente è il problema della purezza del prodotto. Si tratta per lo più di superfici cilindriche verticali, per es. fasci tubieri, sulle cui pareti, alternativamente raffreddate e riscaldate, vengono fatti depositare e poi rifusi i cristalli. In questo modo è possibile attuare qualunque numero di cicli fino al conseguimento della purificazione richiesta (> 99,99%).
Nel caso di sostanze il cui punto di fusione normale si trova molto al di sotto della temperatura ambiente, la c. frazionata risulta onerosa a causa dell'elevato costo della refrigerazione. A tal proposito, molto di recente è stata verificata la possibilità d'innalzare il punto di fusione attraverso l'applicazione di pressioni molto elevate, tipicamente 60÷70 MPa (600÷700 atm). La separazione di queste sostanze, soprattutto la loro purificazione spinta, difficilmente realizzabile con altre operazioni, può in tal modo essere efficacemente ottenuta con una c. da fuso basata su una pressurizzazione statica, relativamente economica, anziché sulla refrigerazione. Al momento attuale sono stati costruiti soltanto dei prototipi di apparecchi capaci di operare a queste condizioni. L'operazione è necessariamente discontinua e caratterizzata da una potenzialità estremamente ridotta, pur tuttavia accettabile per il trattamento di specialità di alto pregio.
Bibl.: J. W. Mullin, Crystallization, Londra 19722; S. Jancic, P. A. M. Grootscholten, Industrial crystallization, Delft 1984; J. Nyvlt, O. Sohnel, M. Matuchova, M. Broul, Kinetics of industrial crystallization, Amsterdam 1985; A. D. Randolph, M. A. Larson, Theory of particulate processes, San Diego 19882.