Cristiani in movimento
I movimenti sono una componente rintracciabile in tutta la storia del cristianesimo e delle Chiese cristiane; essi nascono con la stessa predicazione di Gesù, attorno alla cui figura carismatica si riunisce quello che da una parte della ricerca è considerato il primo movimento, il movimento originario che ha dato vita alla setta cristiana (in senso letterale)1. Secondo Gerd Theißen, uno degli studiosi che negli anni Settanta del Novecento ha gettato le basi della Third Quest degli studi storico-esegetici, la Chiesa cristiana primitiva nasce e si sviluppa come ‘movimento di Gesù’ («Jesusbewegung») all’interno del giudaismo2. A fronte di questa comune matrice i movimenti hanno avuto uno sviluppo storico in tutte le Chiese che colpisce per l’estrema varietà a seconda dei tempi e dei luoghi: si pensi tra gli altri ai movimenti religiosi laicali e penitenziali del Medioevo, alle forme di rinnovamento carismatico cattolico, pentecostale ed evangelicale, ai movimenti cinquecenteschi di riforma spirituale e istituzionale, alle amicizie cristiane settecentesche, al movimento mariano, ai movimenti di riforma di inizio secolo fino ai movimenti ecclesiali postconciliari. Se da una parte viene attribuito loro il medesimo significante, questo stesso significante ha però alle spalle una grande ricchezza di significati. Una tale varietà obbliga a una complessa ricostruzione del significato del termine. Μutuato dal lessico politico, il termine ‘movimento’ era alle sue origini tardo secentesche sinonimo di agitazione, rivoluzione, rivolgimento sociale, sommovimento; adottato anche dalla ricerca filosofica, sociologica e politologica, ‘movimento’, qui inteso come ‘movimento cattolico’, approda solennemente nel magistero cattolico con l’enciclica di Pio X Il fermo proposito dell’11 giugno 1905, nella quale esso è ricondotto in primo luogo alle «molteplici opere di zelo in bene della Chiesa, della società e degli individui particolari, comunemente designate col nome di azione cattolica»3, in secondo luogo all’azione di quei cattolici che, parte di un laicato militante posto sotto la tutela della gerarchia, intendevano misurarsi in modo nuovo con la modernità lasciandosi alle spalle i modelli proposti dalla Restaurazione, e infine alla «risposta laicale del cattolicesimo alla laicizzazione liberale dello stato e della società»4.
I movimenti ecclesiali, nella varietà che li contraddistingue, sono lungi dall’essere un fenomeno meramente cattolico e sono presenti in tutte le Chiese cristiane, e in particolare nel più generale sviluppo della spiritualità dei fedeli laici e nei numerosi movimenti europei di riforma (liturgico, patristico, biblico ed ecumenico) tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX5. Tra gli altri, nel mondo protestante tedesco si assiste soprattutto nella prima metà del secolo XX a un «movimento di fratellanza» («Brüderschaftsbewegung») di risveglio religioso e di riforma, che trova il suo testimone maggiore nell’opera Gemeinsames Leben di Dietrich Bonhoeffer, uscita nel 1939, che fu una vera e propria presa di coscienza di un compito di testimonianza ineludibile per un movimento cristiano in opposizione con la Chiesa istituzionale compromessa con il nazionalsocialismo, e quindi profondamente influenzato dall’esperienza della Chiesa confessante tedesca6. Nella Chiesa ortodossa russa si osserva un analogo movimento di riforma, che culminerà nel concilio di Mosca del 1917-19187. Nei movimenti protestanti e ortodossi, ma anche in quelli anglicani, sono presenti degli elementi fondanti che caratterizzano altresì i loro corrispondenti cattolici: il richiamo alle figure carismatiche e alle personalità dei fondatori, attorno ai quali ruota la vita del movimento; lo sviluppo autonomo di regole e ordinamenti che ne guidano la vita interna; una certa prevalenza della prassi e della fede vissuta in maniera esperienziale sulla riflessione e sulla consapevolezza teologica, pur non potendosi ignorare il ruolo giocato dalla teologia del laicato degli anni Cinquanta sullo sviluppo dei movimenti8; la vocazione ad assumere determinati ministeri, e in particolare quelli di natura apostolica e missionaria, in una sorta di divisione del lavoro all’interno della comunità ecclesiale che va sempre più differenziandosi e accrescendo la propria complessità sociologica e istituzionale.
Da una prospettiva sovra-confessionale è anche possibile ritrovare, in molti dei movimenti, una volontà di reagire a ciò che di volta in volta è sentito come una crisi religiosa e sociale, accompagnata da un pessimismo culturale di fondo nei confronti del mondo, percepito come distante e ostile e al contempo come oggetto di una nuova missione per frenarne la dilagante secolarizzazione e scristianizzazione; in qualche caso, un siffatto atteggiamento presenta dei tratti critici verso la Chiesa istituzionale o meglio verso la sua attuale costituzione, giudicata incapace di rispondere alle domande poste dalla contemporaneità. La natura del primato che molti dei movimenti cattolici riconoscono al pontefice romano non solo non è in contraddizione con la sfiducia nei confronti dell’istituzione Chiesa, ma ne è la conferma forse più palese. Quasi invertendo quel processo interno avviatosi dopo la conclusione del Vaticano II, che aveva posto un freno alla «riduzione del popolo di Dio… a area di salvaguardia del papato»9 e anzi vedendo nel papato un irrinunciabile «pilastro ecclesiale», un sostegno quale «detentore di un ministero ecclesiale universale», un «garante dell’invio missionario»10, la competizione tra i carismi dei movimenti al di fuori della struttura tradizionalmente parrocchiale e diocesana ha infatti portato all’assolutizzazione della figura del successore di Pietro, garante ultimo anche della vita e del successo delle aggregazioni ecclesiali, e conseguentemente a una gerarchizzazione dei gruppi in base al criterio di obbedienza e di lealtà nei suoi confronti11.
Comune ai movimenti è anche il desiderio di riforma nel senso del ritorno a una forma primitiva e originaria, perduta o comunque minacciata, di vita cristiana, sentita come più aderente alla sequela di Cristo evangelicamente intesa, alla sua vita e al suo messaggio12. La forte spinta missionaria dei movimenti è pertanto intrinseca alla volontà di vivere e quindi annunciare il vangelo e dedicarsi ai più svariati ministeri. In molti di questi aspetti i movimenti non solo presentano tratti di evidente similitudine con gli ordini religiosi, ma è lecito supporre che in un’altra temperie culturale ed ecclesiale essi sarebbero stati chiamati in modo molto tradizionale non certamente motus ovvero aggregationes ecclesiales, bensì religiones, instituta, societates, congregationes13. Essi appaiono essere meno una somiglianza casuale con le diverse forme di vita consacrata regolare e secolare e con i cosiddetti istituti di perfezione, quanto piuttosto una risposta simile a problemi simili in tempi diversi, tant’è che, nella relazione sulla loro collocazione teologica tenuta in occasione del congresso mondiale dei movimenti ecclesiali del maggio 1998, il cardinale Ratzinger giustapponeva, in un breve excursus storico, i movimenti stessi con gli ordini religiosi14. Sia gli uni che gli altri presentano, mutatis mutandis e nonostante le molte ricostruzioni che tendono a passare sotto silenzio le cesure e i conflitti e che dal punto di vista del metodo e dell’analisi storica sono da passare al setaccio al pari delle historiae agiografiche tradizionali15, analoghi problemi di incardinazione nella Chiesa universale, legati tra l’altro alla composizione mista (laici e chierici, celibi e sposati) di molte delle aggregazioni, e suscitano interrogativi tanto di natura istituzionale e canonica, quanto e forse soprattutto di natura storica, teologica ed ecclesiale16.
Anche se spesso i movimenti sono stati descritti come uno dei frutti più notevoli del concilio e come segno visibile della cosiddetta primavera della Chiesa dopo il letargo invernale del postconcilio di cui si doleva Karl Rahner, è necessario notare come in realtà lo stesso concilio sia partito, in particolar modo nel decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam Actuositatem, da presupposti ecclesiologici tradizionali, legati alla dualità tra clero e laicato, e che saranno quei movimenti che trarranno ispirazione dal concilio e in particolare dalla costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium a interpretare questa dualità in modo del tutto nuovo, già subito dopo il concilio, con i primi gruppi spontanei e le comunità ecclesiali di base. Da qui discende anche l’importanza dei movimenti nella loro funzione di vettore della complessa e multiforme ricezione del concilio, ma anche del dissenso cattolico e del disagio postconciliare dei cosiddetti cattolici inquieti17. Se li si osserva poi in rapporto con la struttura ecclesiastica di tipo tradizionale e tridentino, fondata su parrocchie e diocesi, i movimenti si differenziano anche dall’associazionismo classico dell’Azione cattolica e si avvicinano piuttosto all’istituto canonico della abbatia ovvero prelatura nullius e agli istituti secolari proprio per il fatto di non essere legati alla Chiesa territoriale, ma per esserne quasi estranei e indipendenti, possedendo una struttura propria che può a volte vantare un riconoscimento ottenuto seguendo gradi di esame successivi da parte dell’ordinario diocesano prima e di Roma poi. Tuttavia, l’accostamento a istituti quali la prelatura personale o a quella nullius può essere di per sé foriero di fraintendimenti a causa del carattere «eminentemente presbiterale» di quest’ultime. Posta anche l’inadeguatezza della definizione codiciale di associazione canonica, di fatto coincidente con quella della dottrina giuridica statuale e per ciò stesso non rispondente alla natura e ai fini particolari dei motus ecclesiales, per essi la via d’uscita migliore dal loro status di incertezza giuridico-canonica sembra dover essere quella di una legge quadro ovvero una «Magna Charta» contenente norme generali che diano ragione dell’unità ecclesiale e dell’autonomia dei movimenti, ovvero quella della creazione ad hoc di una nuova figura giuridica, pur considerando che secondo alcune interpretazioni dottrinali i canoni 298-329 del Codex iuris canonici sulle associazioni dei fedeli già offrirebbero una normativa comune sufficientemente flessibile per dare ai movimenti ecclesiali «un’ubicazione generale adeguata nel tessuto ecclesiale», rispettandone i carismi particolari18.
I movimenti ecclesiali cattolici si riconoscono da un lato nell’insegnamento del concilio e se ne dichiarano figli. È in questo senso innegabile l’influenza della categoria biblica di popolo di Dio e di quella del sacerdozio comune dei fedeli, entrambe presenti nei documenti conciliari, anche su quei movimenti che cronologicamente precorsero il concilio. In virtù delle loro opere apostoliche i movimenti si considerano, a torto o a ragione, parte della Chiesa postconciliare con il peso dottrinale dato, dal decreto Ad gentes (cap. I, n. 2), alla sua natura missionaria19. Essi debbono all’assise anche un primo passo concreto verso un più solido inquadramento istituzionale e verso una chiarificazione teologica del loro ruolo all’interno della Chiesa. Si pensi al decreto Presbyterorum ordinis (cap. III, n. 10) che, per rispondere ai nuovi bisogni pastorali, aggiornava l’istituto dell’incardinazione ovvero escardinazione prevedendo la creazione di seminari internazionali, di diocesi particolari e infine di prelature personali o «altre istituzioni del genere» («alia huiusmodi»)20. Su questa base fu poi possibile erigere, con la costituzione apostolica Ut sit del 28 novembre 198221, la prelatura personale dell’Opus Dei, che comprende al suo interno sia chierici sia laici, i quali prestano una doppia obbedienza: al vescovo diocesano quali semplici fedeli, al prelato dell’Opus Dei per quanto attiene all’adempimento della missione della prelatura22.
Tuttavia, l’atteggiamento ecclesiale di molti dei movimenti, ponendo di fatto in secondo piano i vescovi e le Chiese locali, non solo è lontano dall’ecclesiologia del Vaticano II, ma sembra voler tornare a quel rapporto diretto tra pontefice e movimento cattolico che si era creato negli anni diLeone XIII e ne rende quindi palesi i caratteri, di fondo ancora legati alla dottrina ecclesiologica dell’intransigentismo ottocentesco, «per la cui schematica ecclesiologia la chiesa si identificava con il papa»23. Certo, il desiderio da parte di alcuni dei movimenti di rientrare in una cornice istituzionale e risolvere così la dialettica tra carisma del fondatore e istituzionalizzazione per mezzo dell’approvazione papale è tutt’uno con il desiderio di vedere consolidata la propria posizione all’interno della Chiesa, con tutte le conseguenze in termini di peso specifico nella vita ecclesiale che un tale riconoscimento comporta. Le riunioni e i congressi, quasi fossero una repraesentatio sinodale della presenza e del ruolo dei movimenti nella Chiesa, sono l’aspetto dal più grande impatto prima teologico ed ecclesiale e poi mediatico e comunicativo: si pensi ai primi due convegni internazionali svoltisi rispettivamente nel settembre 1981 a Roma e nel febbraio-marzo 1987 a Rocca di Papa, preceduti dal convegno promosso nell’aprile 1980 dal Pontificio consiglio per i Laici, e ai congressi mondiali dei movimenti e delle nuove comunità tenutisi a Roma nel maggio 1998 e nel maggio 2006, cui seguì l’incontro di Pentecoste nel giugno del medesimo anno24.
I movimenti si propongono quindi in modo spesso contraddittorio nei confronti dell’organizzazione ecclesiastica tradizionale, perché se da un lato prescindono da essa e ambiscono a costituire una struttura speculare e alternativa con un proprio clero, un proprio episcopato e propri protettori nel collegio cardinalizio, propri patrimoni con forme peculiari di promozione, esenzione e patronage25, proprie istituzioni educative e scientifiche, così come d’altra parte hanno da sempre fatto gli ordini religiosi tradizionali, dall’altro si sono inseriti nel gioco istituzionale e hanno conquistato posizioni strategicamente di rilievo all’interno di esso. In modo quindi solo apparentemente paradossale e certamente non nuovo, molti di essi aspirano infine a essere ricondotti a un’istanza centrale e centralizzante quale è la figura petrina, vista quasi come il fondamento ultimo e incrollabile nel relativismo culturale contemporaneo e come il punto archimedico dal quale muovere e movimentare la Chiesa.
Esistono numerose realtà della storia del cattolicesimo, variamente organizzate e diverse tra loro per storia e spessore ecclesiale, che presentano punti di contiguità con i movimenti e che a vario titolo possono essere ascritti al più generale movimento cattolico: l’Opera dei Congressi e l’Azione cattolica, i partiti, i gruppi d’opinione, il sindacalismo, la cooperazione, l’associazionismo. In sede di indagine dei movimenti ecclesiali è però preferibile una maggiore attenzione alle fratture rispetto alle continuità, agli aspetti distintivi rispetto ad altre forme organizzative presenti nella Chiesa cattolica. L’univocità del significante e la plurivocità dei significati nella storia dei movimenti ecclesiali sono il frutto della continuità storica del fenomeno ‘movimento’ e delle continue rotture e degli scarti succedutisi a partire dal momento aggregativo originario intorno alla figura di Gesù.
‘Movimento’, anche solo all’interno della storia delle Chiese cristiane, è un termine polisemico che indica realtà molto diverse tra loro. Inteso nel senso storicamente più lato, il ‘movimento cattolico’ è, in Italia così come in Francia e Germania, uno dei principali terreni di incontro e di scontro tra Chiesa e modernità già a partire dalla fine dell’ancien régime e della Restaurazione, ma con tratti sempre più accentuati durante il pontificato di Pio IX e soprattutto dopo la svolta impressa da Leone XIII ai rapporti tra Chiesa e società26. Intesi invece in senso più stretto, i movimenti ecclesiali sono sì figli del più grande ‘movimento cattolico’, ma si distinguono dall’associazionismo cattolico tradizionale legato all’Azione cattolica e alle sue forme organizzative basate su età, sesso e professione. Essi segnano, nel periodo postconciliare, il passaggio da una visione organicista del rapporto fra la Chiesa istituzionale e le diverse forme di aggregazione e partecipazione laicale alla «coesistenza di modelli organizzativi» differenziati per carismi e specializzazioni funzionali27.
Una definizione univoca ovvero unificante dei movimenti ecclesiali, ottenuta per astrazione concettuale dalle variegate realtà storiche che si autodefiniscono ‘movimento’ appare tuttavia non facile se non addirittura impossibile. Le classificazioni proposte sia dal Codex iuris canonici del 1983 sia dalla letteratura non possono che constatarne l’estrema varietà e quindi la difficoltà di rendere giustizia alla ricchezza storica delle forme in cui i movimenti si presentano28. Altrettanto astratte si presentano le classificazioni in movimenti, aggregazioni, associazioni, comunità, gruppi, che pur indicando realtà in parte diverse tra loro rimandano, fondamentalmente, a un sostrato aggregativo comune che Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica Christifideles laici del 30 dicembre 1988, successiva al sinodo dei vescovi del 1987 dedicato «alla vocazione e missione dei laici nella chiesa e nel mondo», chiamava «una nuova stagione aggregativa nella chiesa» («de nova quadam aggregationum temperie») nei tempi moderni29. È incontrovertibile come siano gli stessi movimenti a definirsi e a voler essere definiti tali, adottando oggi questo ‘cognome’ ecclesiale in virtù di una volontà comune di appartenenza alla «nuova stagione aggregativa» ricordata sopra e semplificando così all’eccesso la molteplicità delle esperienze storiche che si celano dietro questa delimitazione territoriale nella vita delle Chiese30.
Il Dizionario storico del movimento cattolico in Italia ha dedicato importanti pagine su che cosa si intenda per movimento cattolico nei diversi contesti storici dell’Italia moderna e contemporanea, e in particolare nei 150 anni di storia unitaria31. Oltre a essere una questione di mera definizione con conseguenze sull’approccio storiografico al tema, si tratta qui di individuare l’oggetto dello studio e il corrispondente arco temporale, perché il movimento cattolico assume connotati diversi se si decide di analizzarlo a partire dal pontificato di Pio IX, o magari dalle amicizie cristiane del tardo Settecento, o se invece si pensa sia necessario adottare una prospettiva cronologicamente più limitata e quindi considerare solo il periodo del postconcilio e sia quindi opportuno partire dal pontificato di Paolo VI32.
Una scelta di tal genere è anche importante per prendere posizione sulla questione molto discussa se i movimenti ecclesiali siano un (e magari il) frutto del Vaticano II, che aveva affrontato il tema delle aggregazioni ecclesiali, poi codificato nel Codex iuris canonici nel canone 215 e ripreso letteralmente nel Codex canonum Ecclesiarum Orientalium nel canone 18 («Integrum est christifidelibus, ut libere condant atque moderentur consociationes ad fines caritatis vel pietatis, aut ad vocationem christianam in mundo fovendam, utque conventus habeant ad eosdem fines in communi persequendos») sia direttamente nel decreto Apostolicam actuositatem (in particolare cap. IV, n. 19), sia in diversi e importanti passi della Lumen gentium sul popolo di Dio e sui laici (cap. II e IV), della Gaudium et spes sui doveri terreni dei cristiani (cap. IV, n. 43) e del decreto Presbyterorum ordinis sulle associazioni dei presbiteri (cap. II, n. 8)33. D’altro lato è legittimo chiedersi se il loro rapporto con l’assise conciliare sia poi così immediato e diretto: al di là della precedenza cronologica di alcuni di essi e del carattere di precursori che altri si attribuiscono, e nonostante alcuni sviluppi successivi e suggestioni abbiano fatto pensare ex post a un rapporto di filiazione diretta34, il concilio affrontò il tema dell’apostolato associato dei laici con uno sguardo preconciliare e quindi rivolto al modello dell’Azione cattolica e alla collaborazione ovvero dipendenza del laicato dalla gerarchia35. Questo dualismo tra laici e chierici con la conseguente delimitazione di ruoli e compiti sarà poi superato nei fatti ecclesiali a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II e accompagnerà l’ascesa dei movimenti e la corrispondente crisi dell’Azione cattolica, che pur conservando la preminenza numerica e istituzionale sembra aver abdicato davanti all’attivismo delle nuove aggregazioni, più capaci di intercettare la crescente domanda religiosa36.
Nella vita del movimento cattolico in generale e dei movimenti ecclesiali cattolici in particolare è possibile distinguere diverse fasi storiche: dall’incontro traumatico tra Chiese e modernità al cambio di strategia del papato sul finire dell’Ottocento, dalle prime forme di organizzazione sotto il controllo della gerarchia ecclesiastica alla mobilitazione dei fedeli per la riconquista cristiana della società, dai primi passi nel periodo preconciliare alla grande fioritura postconciliare, dai movimenti di papa Wojtyla e dalla cosiddetta nuova evangelizzazione agli equilibri contemporanei sotto Benedetto XVI. Nel secondo dopoguerra il movimento cattolico, che tendeva a identificarsi con l’Azione cattolica, cessa lentamente di essere rappresentato in modo prevalente da un’organizzazione centralizzata e sottoposta al controllo della gerarchia per assumere anche la forma, sempre più diffusa, di movimenti nati dall’intuizione carismatica e personale del fondatore. Pionieri di questa emancipazione saranno l’Opera di Maria e Gioventù studentesca, che pure nacquero da ambienti legati all’associazionismo tradizionale. Il cambiamento dipese da una molteplicità di fattori: anzitutto la crisi interna all’Azione cattolica, che non seppe rispondere alle nuove domande poste dalla società italiana del secondo dopoguerra e che era stata anticipata dallo scontro generazionale tra la componente tradizionale e geddiana e quella della Giac (Gioventù italiana di Azione cattolica)37.
Dal punto di vista storico bisogna osservare anche come i rapporti di forza, non solo e non tanto numerici, fraAzione cattolica e movimenti si ribaltino radicalmente nel secondo dopoguerra anche in ragione della storia dell’associazionismo cattolico negli anni del fascismo. A dispetto dei numerosi e gravi scontri, l’Azione cattolica poté godere di una sorta di monopolio garantito dal regime, che eliminò tutte le altre forme organizzative concorrenti e che produsse una concentrazione nelle grandi organizzazioni di massa. Ciò contribuisce a spiegare perché, venuti meno questi presupposti, l’Azione cattolica abbia lentamente perso iscritti a favore dei movimenti e si sia passati da un modello organizzativo organico a uno sistemico, il quale è al suo interno molto differenziato e frammentato per ciò che riguarda l’impianto teologico e liturgico, l’autoreferenzialità carismatica, i tratti sociologici e religiosi.
Non è forse un caso che, dopo il grande investimento da parte della gerarchia ecclesiastica nell’Azione cattolica fino a Pio XII e la cautela di Giovanni XXIII e Paolo VI, sia stato proprio Giovanni Paolo II il primo pontefice a scorgere nei movimenti ecclesiali una rinnovata energia missionaria e a credere nella loro capacità di (ri)evangelizzare l’Occidente secolarizzato e scristianizzato. In questo, il suo successore Benedetto XVI, anch’egli colpito dall’entusiasmo delle nuove aggregazioni ecclesiali agli inizi degli anni Settanta quando ancora insegnava all’Università di Tübingen, ha mostrato un atteggiamento altrettanto favorevole, ma teologicamente più prudente, figlio anche del suo cambio di orientamento teologico in seguito alla contestazione sessantottina.
Il primo movimento a comparire su uno scenario ecclesiale esplosivo, nel quale era forte la spinta a reagire alla crisi degli anni Trenta e a riconquistare alla Chiesa il posto nella società che, secondo gli ambienti cattolici ancora legati al modello di christianitas, le era stato usurpato dalla modernità della Riforma protestante e della Rivoluzione francese, è stato quello dell’Opus Dei. Tra il 1928 e il 1930 José Maria Escrivá de Balaguer fonda prima il ramo maschile e poi quello femminile della sua organizzazione, segnata dalla guerra civile spagnola e da una lettura intransigente della contemporaneità. Dopo l’approvazione da parte della diocesi di Madrid nel 1941 e la fondazione del ramo sacerdotale (la Società sacerdotale della Santa croce) nel 1943, l’Opus Dei imbocca con decisione la via dell’istituzionalizzazione, prima in Spagna e poi a Roma, dove Escrivá de Balaguer si trasferisce nel 1946 stabilendovi la direzione centrale, cammino che culminerà nell’erezione a prelatura personale nel novembre del 1982, solo dopo aver dovuto affrontare diverse difficoltà durante i pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI38. Modello originario cui l’Opus Dei si richiamò agli inizi degli anni Sessanta fu quello della Mission de France, diocesi nullius fondata da Pio XII nel 1954 con scopi missionari tra quelle fasce di popolazione francese che si erano allontanate dalla Chiesa di Roma39.
Nello stesso periodo e dal medesimo humus intransigente e antimoderno della Spagna nazionalista e franchista sorse, dall’Azione cattolica spagnola, il movimento Cursillos de cristiandad, che sarà approvato da Paolo VI nel 1963 e che nel 1966 celebrerà a Roma il primo congresso mondiale. I Legionari di Cristo, fondati nel 1941 da padre Marcial Maciel in Messico, avevano alle loro spalle un retroterra storico-ecclesiastico che per alcuni versi ricorda quello spagnolo. Dopo l’arrivo di Maciel a Roma nel 1946 per ottenere l’approvazione della sua congregazione, i Legionari si stabilirono definitivamente nel 1950 nella capitale del cattolicesimo40. Un altro movimento nato nella Spagna del secondo dopoguerra è quello del Cammino neocatecumenale, sorto dall’esperienza di conversione del pittore Francisco Arguëllo detto Kiko, di sensibilità cattolica e legato alla spiritualità dei Cursillos de cristiandad, e da Carmen Hernández. Il Cammino, che come molti dei movimenti dovette affrontare diverse difficoltà all’inizio della sua storia, fu sostenuto dall’arcivescovo di Madrid, Casimiro Morcillo, per poi diffondersi in tutta la Spagna e arrivare a Roma nel 1968, dove proseguì la sua opera di catechesi itinerante. Incoraggiato sia da Paolo VI che da Giovanni Paolo II, il Cammino ottenne un prezioso riconoscimento di fatto nel 1988, quando il pontefice visitò il centro del movimento di Porto San Giorgio e celebrò l’eucarestia secondo il rito particolare concesso ai neocatecumenali (comunione sotto le due specie, spostamento del rito della pace prima dell’anafora). Nella medesima occasione Giovanni Paolo II investì di un mandato missionario in America latina e Europa cento famiglie appartenenti al movimento. Nonostante i responsabili del movimento siano stati invitati da Giovanni Paolo II, nel 1997, a darsi una normativa statutaria in vista di un possibile riconoscimento giuridico, questo invito è caduto sostanzialmente nel vuoto almeno fino all’approvazione degli statuti ad experimentum del 2002 e quella definitiva del 2008, vuoi per una sfiducia dei membri nei confronti di un possibile irrigidimento istituzionale del movimento, vuoi per lo stretto legame statutario dei neocatecumenali, nella loro opera di catechesi, con le Chiese locali e con gli ordinari diocesani41.
Due movimenti nati specificamente in Italia sonoComunione e liberazione, che con il nome di Gioventù studentesca mosse i primi passi nel 1954 sotto la guida di Luigi Giussani, sacerdote e professore al liceo milanese “Giovanni Berchet”, e i cosiddetti Focolarini, nati dall’intuizione spirituale della terziaria francescana Chiara (al secolo Silvia) Lubich e approvati con il nome di Opera di Maria prima nel 1964 dalla Congregazione del concilio e poi nel 1990 dal Pontificio consiglio per i Laici. Entrambi i movimenti nacquero nella primissima fase di crisi dell’Azione cattolica e all’interno di ambienti a essa vicini.
Chiara Lubich riunì intorno a sé le prime compagne già alla metà del 1944, dopo che un bombardamento alleato aveva colpito Trento. Il movimento del ‘focolare’ femminile, che si ispirava alla casetta di Nazareth custodita nella basilica di Loreto, si diffuse dapprima nel territorio trentino e poi, dopo una prima approvazione dello statuto del movimento da parte del vescovo di Trento Carlo De Ferrari e la fondazione del ramo maschile nel 1948, in tutta Italia. Una figura importante del movimento fu il deputato Igino Giordani, che Chiara Lubich conobbe a Montecitorio nel settembre del 1948. L’incontro fu decisivo per l’ulteriore sviluppo dell’Opera, perché essa si aprì anche ai coniugati che avessero deciso di vivere la propria vocazione cristiana all’interno del movimento. L’Opera è costituita da ventidue rami, tra cui i focolari sacerdotali e i movimenti Gen maschili e femminili. A partire dagli anni Sessanta, già prima dell’apertura del concilio, l’Opera allacciò i primi contatti con il movimento ecumenico internazionale42.
Quasi contemporanea è la parabola del movimento Gioventù studentesca di don Giussani, che nel 1954 aveva iniziato a insegnare religione al liceo Berchet. Giussani era anche assistente dei giovani dell’Azione cattolica e di Gioventù studentesca, un ramo dell’Azione cattolica fondato nel 1945 e di fatto rimasto inoperoso fino a quel momento. Nei dieci anni seguenti Gioventù studentesca si diffuse con successo nelle città in cui era presente. Nel 1965 Giussani lascia il Berchet per andare a insegnare dottrina e morale cristiana presso l’Università Cattolica di Milano, dove era stato chiamato alla cattedra di Introduzione alla teologia. Gioventù studentesca fu incorporata dall’allora arcivescovo Giovanni Colombo nelle strutture diocesane e affidata a Giovanni Padovani. In seguito alla contestazione del 1968 e alla conseguente scissione interna al movimento, nel 1969 nacque, tra gli universitari della Cattolica e sotto la guida di Giussani,Comunione e liberazione. Negli anni seguenti si susseguirono i riconoscimenti da parte dei pontefici nei confronti del movimento, che ampliò il suo raggio di azione culturale ed ecclesiale: nella domenica delle Palme del 1975 Paolo VI, in occasione del pellegrinaggio giovanile, concesse nel pomeriggio l’aula Nervi a un’assemblea diComunione e liberazione; nel 1980 si svolse a Rimini la prima edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli; nel 1982 la fraternità di Comunione e liberazione fu eretta a persona giuridica per la Chiesa universale e dichiarata associazione di diritto pontificio; nel 1983 fu conferito a don Giussani il titolo di prelato d’onore di Sua Santità; nel 1986 fu fondata l’associazione imprenditoriale Compagnia delle opere; nel 1988 l’associazione ecclesiale Memores Domini fu riconosciuta quale associazione privata di fedeli di diritto pontificio dal Pontificio consiglio per i Laici; nel 1999 la Fraternità sacerdotale dei missionari dis. Carlo Borromeo, fondata da Massimo Camisasca nel 1985, fu riconosciuta come società di vita apostolica di diritto pontificio43.
Nato all’inizio del Novecento come movimento di riforma all’interno del metodismo nordamericano, il pentecostalismo protestante classico fu introdotto nel 1906 da alcuni emigranti di ritorno in Italia. È solo negli anni Sessanta che un gruppo di professori e studenti dell’Università Cattolica Duquesne di Pittsburgh recepiscono le istanze pentecostali di riforma spirituale, differenziandosi dal neopentecostalismo protestante e dando vita al rinnovamento carismatico cattolico44. Il movimento fu introdotto in Italia nel 1971 per opera di un missionario canadese, Valerien Gaudet, che promosse un primo gruppo di preghiera per gli studenti di lingua inglese presso l’Università Gregoriana, dal quale si svilupparono poi le diverse denominazioni che il movimento ha assunto in Italia, tra cui quella del gruppo di Maria nato per iniziativa dei coniugi Alfredo e Jacqueline Ancillotti. Nel 1975 fu celebrato a Roma il primo congresso internazionale. Il magistero e l’episcopato italiano ha seguito con attenzione e a volte con sospetto il movimento, proprio a causa della componente emozionale e intimista dell’esperienza personale di rinnovamento che, si temeva, avrebbe potuto trasformarsi in soggettivismo e unilateralità45.
Il rinnovamento carismatico è parte di un risveglio religioso, oggetto di numerose indagini sociologiche, che è possibile constatare a partire dagli anni Sessanta in molte società occidentali46. Si pensi solo alle comunità di base e al ruolo che esse ebbero nel processo di rinnovamento ecclesiale immediatamente dopo il concilio. Anche se comunemente si riconosce nel convegno di Roma dell’ottobre 1971 il momento di nascita delle comunità di base come movimento, le loro origini risalgono al periodo postconciliare e soprattutto alla contestazione giovanile alla fine degli anni Sessanta. Animatrici di un vivace dibattito condotto sulle numerose riviste (tra le altre Testimonianze a Firenze, «Il gallo» a Genova, «Il regno» a Bologna, «Il tetto» a Napoli, «Dopoconcilio» a Trento, «Rocca» ad Assisi), cui si accompagnò la creazione del «Bollettino di collegamento fra comunità cristiane in Italia» nel maggio 1969, le comunità di base si ricollegarono in certo modo ai movimenti di riforma della prima metà del Novecento e ne fecero proprie le istanze di riforma biblica, liturgica ed ecumenica. Esse furono anche protagoniste di azioni clamorose, come l’occupazione dell’Università Cattolica di Milano e del centro culturale dell’Università Bocconi, la contestazione del vescovo di Trento nel corso del quaresimale del 1968, l’occupazione della cattedrale di Parma, e infine la redazione del cosiddetto catechismo dell’Isolotto, nato nell’omonima parrocchia fiorentina guidata da don Enzo Mazzi47.
Anche le nuove comunità monastiche sorte negli ultimi decenni sono state parte di questo movimento: una su tutte la comunità di Bose fondata da Enzo Bianchi a metà degli anni Sessanta, nel clima di rinnovamento suscitato dal concilio e sull’esempio del monastero di Taizé in Borgogna, fondato dal pastore calvinista svizzero Roger Schutz. Dopo le iniziali difficoltà dovute alle caratteristiche peculiari della comunità, mista e interconfessionale, la regola di Bose fu approvata nel 1971 anche grazie all’intervento decisivo del cardinale e arcivescovo di Torino Michele Pellegrino48. Nel 1968 nasce attorno ad Andrea Riccardi, allora studente del liceo classico romano Virgilio, la comunità di Sant’Egidio, così chiamata a partire dal 1974 dal nome della chiesa annessa all’ex convento di suore carmelitane dove la comunità si riuniva dall’anno prima. La decisione di Riccardi e dei suoi compagni si inserisce nella spaccatura postconciliare tra coloro i quali optavano per l’impegno a favore degli strati più svantaggiati della società e coloro che preferivano ripiegare nella preghiera e nella vita spirituale. Il gruppo di Riccardi, intendendo conciliare entrambi gli aspetti, si è dedicata nei primi anni di vita all’apostolato laicale, specialmente nelle periferie romane, e alla riflessione sui testi biblici. Dal punto di vista istituzionale, il 1986 fu l’anno fondamentale per Sant’Egidio: la comunità ottenne il riconoscimento giuridico sia da parte del Pontificio consiglio per i Laici sia dallo Stato italiano, e si presentò solennemente sul proscenio internazionale alla giornata mondiale di preghiera per la pace, celebrata ad Assisi alla presenza di Giovanni Paolo II49.
Le dinamiche interne dei movimenti e la loro storia sono state analizzate in modo convincente soprattutto alla luce del rapporto fra carisma e istituzione. Sotto questo punto di vista in sede di analisi è necessario, come ha scritto Giuseppe Alberigo, tener conto del rapporto continuo tra assetto istituzionale e concezione dottrinale e della loro interdipendenza «molto stretta e ininterrotta»50. Le fonti interne ai movimenti, con tutti i problemi critici che esse comportano, testimoniano del carattere sfuggente dei movimenti stessi, mentre il dibattito teologico più generale aiuta a inquadrare i grandi temi che sono sottesi alla partecipazione dei laici alla vita delle Chiese e quindi all’esistenza dei movimenti nelle Chiese, da molti ritenuta ingombrante; in particolare, si pensi all’apostolato dei laici, al rapporto tra Chiesa e modernità, al luogo teologico del sensus fidelium e dell’autorità dottrinale dei fedeli51, infine al rinnovato dibattito intorno all’autorità e ai poteri nella Chiesa52. Tutto ciò è strettamente correlato con l’ineludibile dialettica ecclesiale tra carisma e istituzione, tra spirito e diritto, per dirla con Rudolf Sohm53, che trova una sua manifestazione particolarmente interessante nella storia dei movimenti cristiani in generale e di quelli cattolici in particolare. Su questo punto hanno preso posizione, non a caso, alcuni dei maggiori storici e teologi degli ultimi anni.
Alberigo ha affrontato la dialettica tra movimento e istituzione nel lungo periodo e il rapporto di integrazione reciproca che pure non è rimasto senza tensioni, dovute alla collocazione dei movimenti spirituali in genere in quella zona di passaggio tra la possibilità di offrire alla Chiesa un «fecondo impulso al rinnovamento» e la «tentazione di surrogazione della chiesa stessa sino al limite rischioso del parallelismo rispetto ad essa». Qui come altrove è palese l’ineludibile intreccio tra il carattere tutto peculiare dell’ecclesiologia dei movimenti carismatici e il loro progressivo costituirsi come istituzione accanto all’istituzione, a prescindere dalla struttura territoriale della Chiesa. Pur continuando a insistere sul loro carattere carismatico, i movimenti sembrano aver perso, dopo aver raggiunto la maturità ecclesiale, molto della loro spinta originaria e innovatrice e aver lasciato il posto, anche in seguito al primo cambio generazionale, a istituzioni che riproducono in parte quei tratti di immobilismo un tempo criticati, per chiudersi in qualche caso nella cittadella dei privilegi conquistati a prezzo di derive integriste54.
Più sfumata, in questo senso, la posizione di Joseph Ratzinger ripresa da Libero Gerosa: ai movimenti è chiesto di rinunciare a ogni forma di assolutizzazione della propria specificità, mentre compito delle Chiese locali e degli ordinari diocesani è di rinunciare alla pretesa di uniformare la pastorale secondo piani che non tengano conto della vivacità ecclesiale delle nuove aggregazioni. Il fine è quello di ricercare soluzioni che superino ogni forma di antinomia tra esperienza di fede ed esperienza giuridica e quindi tra comunità di origine carismatica e comunità di tipo istituzionale. Sia per Gerosa che per Ratzinger è fondamentale, nell’economia del loro ragionamento teologico, postulare l’identità nella Chiesa del carattere carismatico e di quello istituzionale e gerarchico: un carisma originario o di fondazione ha la stessa origine del ministero e, per essere genuinamente tale, deve essere al servizio della Parola e del Sacramento e deve essere orientato all’edificazione della communio ecclesiale, altrimenti, si potrebbe quasi dire, non è; dove il ministero sacerdotale sia vissuto e inteso carismaticamente non si dà alcuna dicotomia tra carisma e istituzione, che semplificherebbe eccessivamente la vita della Chiesa e la impoverirebbe, rendendo il sacerdozio un’istituzione di diritto umano e il sacerdote un mero funzionario55. Superata in questo modo la distanza fra carisma e istituzione o addirittura la loro contrapposizione, che secondo Gerosa risalirebbe alla famosa disputa tra Rudolph Sohm e Adolph von Harnack e non avrebbe una ragione storico-esegetica56, è evidente come le aggregazioni ecclesiali non siano considerate antitetiche alla struttura tradizionale della Chiesa, e come il problema del loro inquadramento ecclesiale dipenda in sostanza dal ruolo centrale giocato dal magistero pontificio, che in base a criteri teologici, canonistici e prudenziali può concedere loro diritto di cittadinanza nella Chiesa.
Lungi dal risolversi nell’identificazione dell’una negli altri57, il rapporto tra Chiesa nel suo insieme e movimenti rimane di difficile lettura, così come quello tra questi ultimi e le Chiese locali. I movimenti sembrano aver introdotto nel popolo di Dio una «tensione costituzionale» di tipo affatto nuovo: in essi, secondo Eugenio Corecco, è assente o comunque non si pone con il medesimo grado di intensità il problema della contrapposizione tra sacerdozio comune e ministeriale, così come esso appare solitamente nella Chiesa. Essi sono, al contrario, «realtà ecclesiali in cui la convergenza nell’unità tra sacerdozio comune e ministeriale si realizza in forza dell’adesione e partecipazione, sia dei chierici che dei laici, allo stesso carisma» del fondatore, vissuto comunitariamente58. Essi rappresentano insomma un fenomeno ecclesiale che, proprio in virtù di questi tratti sostanziali, eccede il sistema tridentino tradizionale non solo nella sua componente strutturale (parrocchia e diocesi), ma anche nell’articolazione tra chierici, religiosi e laici. In ciò i movimenti sembrano essere più simili agli istituti secolari che, inaugurando una nuova forma di consacrazione laicale, come i movimenti sono un fenomeno allo stesso tempo recente ma con radici profonde nella vita delle Chiese59. Non è tuttavia agevole ricondurre l’ampio spettro di queste aggregazioni ecclesiali a un denominatore comune, data una gradazione di posizioni su temi ecclesiali, politici e culturali pressoché infinita che va dalla Legio Mariae, vero e proprio ‘esercito’ di legionari al servizio di Maria fondato a Dublino nel 1921, al movimento internazionale Wir sind Kirche, promotore nel 1995 di un referendum di riforma ecclesiale, per finire con il controverso Marcial Maciel e la congregazione dei Legionari di Cristo, cui si affianca nel secolo il movimento Regnum Christi, e alle comunità ecclesiali di base nate in Brasile negli anni Sessanta del Novecento e poi diffusesi soprattutto in America latina, Africa e Asia.
La natura sfuggente dei movimenti e la complessità del fenomeno si riflette anche nel metodo dell’indagine storica su di essi e nella sostanza della rigogliosa letteratura sul tema60. In una recente storia dei movimenti a opera di Massimo Faggioli, lo sviluppo storico dei movimenti è analizzato entro la cornice istituzionale della Chiesa cattolica e a partire da questa, quasi a volerne programmaticamente saggiare il grado di compatibilità ecclesiale. I movimenti sono osservati con lo sguardo dello storico della Chiesa, di taglio istituzionale, che ne descrive a grandi tratti le origini e gli sviluppi e ne propone un’interpretazione complessiva alla luce del sottofondo istituzionale: tra il movimento cattolico tardo ottocentesco e i movimenti del papa sotto Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi è possibile ritrovare una linea di continuità, all’interno della quale i movimenti postconciliari sono stati una parentesi in un cammino nella sostanza omogeneo dai tempi di Leone XIII61.
A una tale ricostruzione della storia dei movimenti cattolici in Italia, attenta alle dinamiche di lungo periodo, è possibile giungere se li si guarda dal punto di vista dell’istituzione ecclesiastica e se si scandisce la loro storia seguendo il ritmo dei pontificati e del magistero pontificio, vale a dire se li si osserva da una prospettiva esterna a essi, ripercorrendo ad esempio le dichiarazioni del magistero stesso e la storia complessiva della presenza della Chiesa cattolica nella società italiana dall’Unità a oggi. Le conclusioni di Faggioli sono senz’altro un punto di arrivo importante nella ricerca storico-religiosa sui movimenti. Dal canto loro, gli studiosi che per loro sensibilità sono vicini ai movimenti e che pure tengono conto, anche se in misura minore, del contesto storico-ecclesiastico di fondo, prediligono leggere i movimenti alla luce delle loro dinamiche interne e delle forme di organizzazione e partecipazione dei laici alla vita delle Chiese. I protagonisti di queste ricostruzioni sono i movimenti stessi, considerati nella loro storia, nei passaggi generazionali e nelle dinamiche interne; la vita in movimento dei cristiani d’Italia che in essi si riconoscono, prima di tutto a partire dalla loro personale esperienza di incontro con il carisma del fondatore e poi quali membri della comunità ecclesiale; i valori, i miti fondativi, il mondo religioso che gravita attorno a essi, la loro identità, la comprensione e rappresentazione di sé attraverso i più vari strumenti culturali (organi di comunicazione, riviste, case editrici, ma anche università e seminari), così come la conseguente rappresentazione verso l’esterno, la fedeltà prodigamente esibita alla cornice istituzionale che li comprende.
Questo filone di ricerche preferisce un taglio più schiettamente narrativo e più attento ai grandi nodi della storia dei movimenti, nel quale viene dato ascolto alla loro voce e viene privilegiata una prospettiva interna, certo problematica, ma funzionale alla costruzione di una loro (auto)biografia e al loro posizionamento sullo scacchiere ecclesiale italiano. In questa sorta di biografia collettiva della vita dei movimenti, ciascuno nel suo microcosmo ecclesiale, a volte passano in secondo piano i processi aggregativi e la loro successiva istituzionalizzazione, su come essi siano avvenuti, a quale prezzo e con quali risultati, così come le cesure interne e le difficoltà legate alla crescita del gruppo da comunità a società62. Il rischio di queste analisi è quello di stilare un catalogo ovvero redigere un’anagrafe dei movimenti, un’istantanea sociologica sullo stato dell’arte del fenomeno movimenti fin troppo comprensiva e indifferenziata dal punto di vista storico-teologico e non sufficientemente attenta ai grandi nodi della storia del cristianesimo e delle Chiese. I due approcci, qui forse eccessivamente schematizzati, hanno ovviamente limiti e vantaggi propri, dei quali è bene tenere conto in sede di analisi storiografica, per tentare di proporre una sintesi alla luce della dialettica tra Chiesa e movimenti, nel rispetto dell’unità tra «dimensione dottrinale e dimensione istituzionale», tra «fattori progettuali e apporti esperienziali, nella misura in cui gli uni e gli altri si coniugano incessantemente nella realtà», per «cogliere i ritmi di evoluzione del cristianesimo sui tempi lunghi e per realizzarne «una visione adeguatamente ampia e complessa», per sfuggire alla «massimizzazione di un singolo evento» e non commettere infine l’errore di «isolare il pensiero teologico, la dinamica istituzionale [e] le esperienze individuali»63. Queste indicazioni sono quanto mai necessarie per evitare il rischio dell’agiografia acritica e della polemica dentro e fuori la Chiesa. Da un lato si tende, ad esempio, a vedere nei movimenti ecclesiali contemporanei e nelle ‘irruzioni dello spirito’ un novum carismatico assoluto e destoricizzato. L’interpretazione dei movimenti da parte di certa dottrina oscilla tra quest’ultimo atteggiamento, che mira a esaltarne l’unicità carismatica e, all’opposto, una lettura sul lunghissimo periodo con lo scopo di fronteggiare le critiche di coloro i quali vedono proprio in questa novità assolutizzata un segno della loro pericolosità per la Chiesa. Per questo motivo, qualificare i più diversi fenomeni religiosi presenti in Italia come sette e escludere da questa lista di proscrizione sui generis i movimenti ecclesiali cattolici, e segnatamente quelli di orientamento più conservatore e intransigente, ha un intento scopertamente apologetico, perché nel fare ciò si intende difendere gli stessi movimenti ecclesiali, neanche troppo implicitamente, dall’accusa di settarismo e di fondamentalismo cattolico64.
Non è facile stabilire quale ruolo i movimenti si attribuiscano nella dialettica con la Chiesa nel suo complesso, se essi vogliano essere una sorta di modello di Chiesa, di avanguardia ecclesiale all’interno della grande Chiesa, oppure se essi aspirino a essere un superamento di essa, un nuovo e più puro modello di ecclesialità che privilegi l’evento carismatico all’istituzione. In entrambi i casi i movimenti si trovano a dover convivere con il pericolo (e l’accusa) di unilateralismo, quietismo intimista, esclusivismo, settarismo, elitarismo, fondamentalismo, vicinanza eccessiva a gruppi di pressione, commistione indebita di interessi sacri e profani65, e a dover maneggiare un materiale altamente infiammabile quale la possibile rottura, teologica e pratica, tra la comunione ecclesiale e i carismi, doni concessi unicamente ad alcuni credenti ‘salvati’ e per ciò stesso motivo di contrasto e di divisione con la massa dei ‘sommersi’, riproducendo una divisione di fatto che già aveva segnato i cattolici ‘mobilitati’ dell’Azione cattolica e i semplici fedeli non inquadrati in alcuna organizzazione. In ogni caso, i movimenti ecclesiali cattolici sono una delle forme di presenza più o meno autonomamente organizzata dei cattolici nella società italiana daLeone XIII a Benedetto XVI, passando per il pontificato di Giovanni Paolo II, snodo centrale nella storia dei movimenti con il suo dinamismo e il suo progetto di riconquista cattolica della società e di «difesa della fede»66. Per questa ragione la parabola dei movimenti ecclesiali, così come lo è stato il movimento cattolico, è un fenomeno di grande significato storico per analizzare e comprendere il rapporto tra la Chiesa cattolica e le sfide del mondo moderno67. L’esito della «scommessa sui movimenti», anche per il ruolo non secondario nella formazione del clero e delle classi dirigenti cattoliche italiane, sarà quindi gravido di conseguenze per la Chiesa cattolica degli anni a venire68.
1 G. Spinosa, Έκκλεσία – secta – ordo nel cristianesimo dei primi secoli: una riflessione sul lessico, in I movimenti nella storia del cristianesimo. Caratteristiche - variazioni - continuità, a cura di G. Alberigo, M. Faggioli, «Cristianesimo nella storia», 24, 2003, pp. 453-487.
2 G. Theissen, Soziologie der Jesusbewegung. Ein Beitrag zur Entstehungsgeschichte des Christentums, München 1977 (trad. it. Gesù e il suo movimento. Analisi sociologica della comunità cristiana primitiva, Torino 1979); Id., Urchristentum als Bewegung. Von innerjüdischer Oppositions- und Erneuerungsbewegung zur Entstehung einer neune Religion im Römischen Reich, in I movimenti nella storia del cristianesimo, cit., pp. 489-515; C. Gianotto, Il movimento di Gesù, in I movimenti nella Chiesa, a cura di A. Melloni, «Concilium», 39/3, 2003, pp. 36-51. Un recente panorama degli studi storico-esegetici sulla figura storica di Gesù in C. Land-messer, Der gegenwärtige Jesus. Moderne Jesusbilder und die Christologie des Neuen Testaments, «Kerygma und Dogma», 56, 2010, pp. 96-120.
3 ASS, 37, 1904-1905, pp. 741-767, in partic. p. 742.
4 A. Melloni, Movimenti. De significatione verborum, in Id., Movimenti, cit., pp. 13-35, in partic. pp. 16-21; F. Traniello, G. Campanini, Presentazione dell’opera, in DSMC, I,1, pp. vii-xviii, in partic. p. ix.
5 E. Fouilloux, I movimenti di riforma nel pensiero cattolico dal XIX al XX secolo, in I movimenti nella storia del cristianesimo, cit., pp. 659-676.
6 D. Bonhoeffer, Gemeinsames Leben, München 1939.
7 V. Kott, S. Seidenberg, Spiritual Movements in Russian Orthodoxy: History and Interpretation, in I movimenti nella storia del cristianesimo, cit., pp. 517-579, in partic. pp. 537-555; P.C. Bori, P. Bettiolo, Movimenti religiosi in Russia prima della rivoluzione (1900-1917), Brescia 1978.
8 Y. Congar, Per una teologia del laicato, Brescia 1966.
9 G. Alberigo, Premessa a Chiese italiane e concilio. Esperienze pastorali nella chiesa italiana tra Pio XII e Paolo VI, a cura di G. Alberigo, Genova 1988, pp. 7-10, in partic. p. 8.
10 J. Ratzinger, I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica, in I movimenti nella Chiesa, Atti del Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali (Roma 1998) a cura del Pontificium consilium pro laicis, Città del Vaticano 1999, pp. 23-51, in partic. pp. 39, 43.
11 E. Pace, Crescete e moltiplicatevi. Dall’organicismo alla pluralità dei modelli nel cattolicesimo contemporaneo, «Concilium», 39, 2003.
12 G. Miccoli, «Ecclesiae primitivae forma», in Id., Chiesa gregoriana. Ricerche sulla Riforma del secolo XI, nuova ed. a cura di A. Tilatti, Roma 1999, pp. 285- 389; P.C. Bori, Chiesa primitiva. L’immagine della comunità delle origini – Atti 2, 42-47; 4, 32-37 – nella storia della chiesa antica, Brescia 1974; L. Bressan, L’uso di figure comunitarie del cristianesimo primitivo in teologia pastorale, «Didaskalia», 39, 2009, pp. 101-123.
13 A. Melloni, De significatione, cit., p. 16.
14 J. Ratzinger, I movimenti, cit., pp. 36-44.
15 Si pensi alla sofferta ricostruzione delle origini nell’Ordine francescano: G. Miccoli, Dall’intuizione all’istituzione: un passaggio non del tutto scontato, in Id., Francesco d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana, Torino 1991, pp. 98-113.
16 L. Navarro, L’incardinazione dei movimenti ecclesiali? Problemi e prospettive, «Fidelium Iura», 15, 2005, pp. 63-96; L. Gerosa, Carismi e movimenti ecclesiali: una sfida per la canonistica postconciliare, «Periodica», 82, 1993, pp. 411-430; J.J. Exteberría, Los movimentos eclesiales en los albores del siglo XXI, «Revista española de derecho canónico», 58, 2001, pp. 577-616.
17 M. de la Bedoyere, Cattolici inquieti. Una nuova dialettica nella Chiesa, Firenze 1965. Sul dissenso cattolico si veda A. Santagata, Una rassegna storiografica sul dissenso cattolico in Italia, «Cristianesimo nella storia», 31, 2010, pp. 207-241.
18 L. Gerosa, Movimenti ecclesiali e chiesa istituzionale: concorrenza o co-essenzialità?, «Nuova umanità», 22, 2000, pp. 215-246, in partic. pp. 242-243; G. Ghirlanda, Carisma e statuto giuridico dei movimenti ecclesiali, in I movimenti nella chiesa, pp. 129-146; M. Delgado Galindo, Asociaciones internacionales de fieles, «Ius canonicum», 50, 2010, pp. 9-29, in partic. p. 22.
19 COGD, III, p. 487. Su questo punto S. Mazzolini, La chiesa è essenzialmente missionaria. Il rapporto «natura della chiesa» - «missione della chiesa» nell’iter della costituzione de Ecclesia (1959-1964), Roma 1999.
20 COGD, III, pp. 534-535.
21 Pubblicata in AAS, 75, 1, 1983, pp. 423-425.
22 AAS, 75, 1, 1983, p. 423, 466.
23 D. Menozzi, Presentazione, in La chiesa italiana e la rivoluzione francese, a cura di Id., Bologna 1990, pp. 5-15, in partic. p. 9.
24 I movimenti nella chiesa negli anni ’80, Atti del Primo Convegno internazionale (Roma 1981), a cura di M. Camisasca, M. Vitali, Milano 1982; I movimenti nella chiesa, Atti del secondo Colloquio internazionale su «Vocazione e missione dei laici nella chiesa oggi» (Rocca di Papa 1987), Milano 1987; I movimenti nella chiesa, cit.; Id., La bellezza di essere cristiani. I movimenti nella Chiesa, Atti del II Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità (Rocca di Papa, 31 maggio-2 giugno 2006), Città del Vaticano 2007; Id., La bellezza di essere cristiani e la gioia di comunicarlo. Incontro con i movimenti ecclesiali e le nuove comunità, Pentecoste 2006, Città del Vaticano 2006.
25 M. Rodríguez Blanco, Medidas de fomento y promoción en materia de asociaciones de fieles: régimen fiscal y mecenazgo, «Ius canonicum», 50, 2010, pp. 83-128.
26 G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma 1953; G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, 2 voll., Bari 1966; G. Verucci, Il problema delle origini, in DSMC, I, 1, pp. 13-20, in partic. p. 19.
27 E. Pace, Crescete e moltiplicatevi. Dall’organicismo alla pluralità dei modelli nel cattolicesimo contemporaneo, in A. Melloni, Movimenti, cit., pp. 87-103, in partic. pp. 87-88.
28 B. Zadra, I movimenti ecclesiali e i loro statuti, Roma 1997, specialmente le pp. 75-81; J. Beyer, Movimento ecclesiale (motus ecclesialis), in Nuovo dizionario di diritto canonico, a cura di C. Corral Salvador, V. De Paolis, G. Ghirlanda, Cinisello Balsamo 1993, pp. 707-712; J. Beyer, I movimenti ecclesiali, «Vita consacrata», 23, 1987, pp.143-156; Id., De motu ecclesiali quaesita et dubia, «Periodica de re morali canonica liturgica», 58, 1989, pp. 437-452.
29 AAS, 81, 1989, pp. 393-521, in partic. p. 444.
30 A. Melloni, De significatione, cit., p. 16.
31 M. Belardinelli, Per una storia della definizione di movimento cattolico, in DSMC, I, 1, pp. 2-13.
32 M. Faggioli, Tra chiesa territoriale e chiese personali. I movimenti ecclesiali nel post-concilio Vaticano II, in I movimenti nella storia del cristianesimo cit., pp. 677-704; A. Canavero, La storiografia sul movimento cattolico (1980-1995), in DSMC, Aggiornamento 1980-1995, Genova 1997, pp. 125-144, in partic. pp. 127-129.
33 COGD, III, rispettivamente alle pp. 303-310, 323-330, 583-585, 532, 465-466.
34 F.G. Brambilla, Le aggregazioni ecclesiali nei documenti del magistero dal concilio fino ad oggi, «La scuola cattolica», 116, 1988, pp. 461-511, in partic. p. 474.
35 H. Sauer, Il concilio alla scoperta dei laici, in Storia del concilio Vaticano II, diretta da G. Alberigo, ed. it. a cura di A. Melloni, 5 voll., Bologna-Leuven 1995-2001, IV, pp. 259-291.
36 L. Diotallevi, «Cattolicesimo in via di settarizzazione?». Una ipotesi vecchia per problemi nuovi, in A. Melloni, Movimenti, pp. 139-157.
37 L. Ferrari, L’azione cattolica in Italia dalle origini al pontificato di Paolo VI, Brescia 1982, pp. 50-54.
38 G. Rocca, L’Opus Dei. Appunti e documenti per una storia, Roma 1985; A. de Fuenmayor, V. Gómez Iglesias, J.L. Illanes, L’itinerario giuridico dell’Opus Dei. Storia e difesa di un carisma, trad. it. Milano 1991; M. Faggioli, Breve storia dei movimenti cattolici, Roma 2008, pp. 39-41; P.G. Palla, L’Opus Dei, in Movimenti ecclesiali contemporanei. Dimensioni storiche, teologico-spirituali ed apostoliche, a cura di A. Favale, Roma 1980, pp. 105-118.
39 C. Tammaro, Profili storico-canonici della “Mission de France” nel contesto organizzativo ecclesiastico, «Fidelium iura», 15, 2005, pp. 97-114.
40 J. Berry, G. Renner, I legionari di Cristo. Abusi di potere nel papato di Giovanni Paolo II, trad. it. Roma 2006; Faggioli, Breve storia, cit., pp. 39-41; J.J. Matas Pastor, Origen y desarrollo de los Cursillos de cristiandad, «Hispania sacra», 52, 2000, pp. 719-742; A. Favale, I cursillos di cristianità, in Id., Movimenti ecclesiali, cit., pp. 165-187.
41 R. Blazquez, Le comunità neocatecumenali. Discernimento teologico, Cinisello Balsamo 1989; G. Zevini, Il cammino neocatecumenale. Itinerario di maturazione nella fede, in A. Favale, Movimenti ecclesiali, pp. 236-266; A. Favale, Comunità nuove nella chiesa, Padova 2003, pp. 37-57.
42 A. Favale, I focolarini, in Id., Movimenti ecclesiali, cit., pp. 202-234; Id., Comunità nuove nella chiesa, Padova 2003, pp. 175-195; Id., Segni di vitalità nella chiesa. Movimenti e nuove comunità, Roma 2009, pp. 13-55.
43 S. Abbruzzese, Comunione e liberazione, Bologna 2001; M. Camisasca, Comunione e liberazione. Le origini (1954-1968), Cinisello Balsamo 2001; Id., Comunione e liberazione. La ripresa (1969-1976), Cinisello Balsamo 2003; Id., Comunione e liberazione. Il riconoscimento (1976-1984). Appendice 1985-2005, Cinisello Balsamo 2006; F. Perrenchio, Comunione e liberazione, in A. Favale, Movimenti ecclesiali, cit., pp. 345-371; A. Favale, Comunità nuove, cit., pp. 195-220; Id., Movimenti ecclesiali, cit., pp. 58-84.
44 D. Lehmann, Dissenso e conformismo nei movimenti religiosi. Quale differenza separa il Rinnovamento carismatico cattolico dalle chiese pentecostali?, in A. Melloni, Movimenti, cit., pp. 158-181.
45 A. Favale, I gruppi del rinnovamento dello spirito, in Id., Movimenti ecclesiali, cit., pp. 266-324; Id., Comunità nuove, cit., pp. 65-118; P. Maino, Il postmoderno nella chiesa? Il rinnovamento carismatico, Cinisello Balsamo 2004.
46 Qui basti citare a titolo esemplificativo D. Hervieu-Léger, Verso un nuovo cristianesimo? Introduzione alla sociologia del cristianesimo occidentale, trad. it. Brescia 1989; Id., Il pellegrino e il convertito. La religione in movimento, trad. it. Bologna 2003.
47 R. Sciubba, R. Sciubba Pace, Le comunità di base in Italia, 2 voll., Roma 1976; F. Perrenchio, Le comunità di base in Italia, in A. Favale, Movimenti ecclesiali, cit., pp. 414-444.
48 M. Torcivia, Guida alle nuove comunità monastiche italiane, Casale Monferrato 2001, pp. 17-79, 367-369; R. Larini, La comunità monastica di Bose, «Vita consacrata», 35, 1999, pp. 195-206; A. Favale, Comunità nuove, cit., pp. 157-165.
49 A. Riccardi, Sant’Egidio, Roma e il mondo. Colloquio con J.-D. Durand e R. Ladous, trad. it. Cinisello Balsamo 1997; A. Favale, Comunità nuove, cit., pp. 325-332.
50 G. Alberigo, Le concezioni della chiesa e i mutamenti istituzionali, in Id., Chiesa e papato nel mondo contemporaneo, a cura di A. Riccardi, Roma-Bari 1990, pp. 65-121, in partic. p. 67.
51 L’autorità dottrinale dei fedeli, a cura di J. B. Metz, E. Schillebeeckx, «Concilium», 21/4, 1985.
52 G. Routhier, L’autorité dans l’église. Un débat sans cesse recommencé, Deux mille ans d’historie de l’Église. Bilan et perspectives historiographiques, a cura di J. Pirotte, E. Louchez, «Revue d’historie ecclésiastique», 95, 2000, pp. 153-174.
53 R. Sohm, Kirchenrecht, ristampa invariata della II ed. 1923, 2 voll., Berlin 1970: I, p. x.
54 G. Alberigo, La dialettica tra movimento e istituzione nel lungo periodo, in I movimenti nella storia del cristianesimo, cit., pp. 437-451, in partic. pp. 446, 450; A. Ganoczy, Sull’ecclesiologia delle comunità carismatiche e delle sette, in A. Melloni, Movimenti, cit., pp. 478-496.
55 L. Gerosa, Movimenti ecclesiali, cit., pp. 221-223; J. Ratzinger, I movimenti nella storia del cristianesimo, cit., pp. 16-21.
56 L. Gerosa, Carisma e diritto nella chiesa. Riflessioni canonistiche sul «carisma originario» dei nuovi movimenti ecclesiali, Milano 1989, pp. 30-31.
57 Di altro avviso F. González Fernández, I movimenti. Dalla Chiesa degli apostoli a oggi, Milano 2000, che legge tutta la storia della Chiesa sub specie motuum ecclesialium.
58 E. Corecco, Profili istituzionali di movimenti nella chiesa, in Id., Ius et communio. Scritti di diritto canonico, a cura di G. Borgonovo, A. Cattaneo, 2 voll.: I, pp. 143-174, in partic. p. 160, e Id., Istituzione e carisma in riferimento alle strutture associative, Ibidem, pp. 222-245, in partic. p. 232.
59 J. Kwiatowski, Gli istituti secolari nei documenti precodiciali e nella legislazione canonica attuale, Romae 1994.
60 Indicazioni bibliografiche essenziali in: M. Faggioli, Breve storia, cit., pp. 133-141; B. Salvarani, La fantasia dello spirito, le nostre fantasie. Per una rassegna della letteratura sui movimenti cristiani, in I movimenti nella storia del cristianesimo, cit., pp. 723-752; A. Favale, Segni di vitalità, cit., pp. 407-410.
61 M. Faggioli, Breve storia, cit.
62 Più attento, rispetto ad altri biografi dei movimenti, agli aspetti storici e teologici complessivi A. Favale, Movimenti ecclesiali, cit. e Id., Comunità nuove, cit.
63 G. Alberigo, Nota introduttiva, in Id., La chiesa nella storia, Brescia 1988, pp. 7-10, in partic. p. 8.
64 Si pensi all’attività di censimento delle cosiddette minoranze religiose da parte del CESNUR (www.cesnur.org), diretto da Massimo Introvigne, membro e vice-responsabile nazionale del movimento Alleanza cattolica; sul fondamentalismo cattolico si veda il volume assai critico, «Katholischer» Fundamentalismus. Häretische Gruppen in der Kirche?, hrsg. von W. Beinert, Regensburg 1991.
65 Si vedano da ultimo il controverso dossier di E. De Alessandri, Comunione e liberazione: assalto al potere in Lombardia. Riflessioni per la componente acculturata della società, Lecce 2010, e l’intenso dibattito pubblicistico che ne è seguito, così come il volume M. Damilano, Il partito di Dio. La nuova galassia dei cattolici italiani, Torino 2006, in particolare il capitolo «L’armata bianca», pp. 79-105.
66 G. Miccoli, Chiesa e società fra Ottocento e Novecento: il mito della cristianità, in Id., Fra mito della cristianità e secolarizzazione. Studi sul rapporto chiesa-società nell’età contemporanea, Casale Monferrato 1985, pp. 21-92; Id., In difesa della fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Milano 2007.
67 G. Filoramo, La chiesa e le sfide della modernità, Roma-Bari 2007.
68 A. Melloni, Chiesa madre, chiesa matrigna. Un discorso sul cristianesimo che cambia, Torino 2004, pp. 84-92.