CRISTINA di Francia, duchessa di Savoia
Nacque a Parigi il 10 febbr. 1606, terzogenita di Enrico IV re di Francia e di Maria de' Medici. Non ancora dodicenne, venne promessa in matrimonio al principe di Piemonte Vittorio Amedeo primogenito di Carlo Emanuele I, mentre la sorella maggiore Elisabetta venne unita in matrimonio con l'infante di Spagna, il futuro Filippo IV.
I negoziati per un matrimonio francese dell'erede di Carlo Emanuele I erano iniziati già da vari anni, vivendo ancora Enrico IV, nel manifesto tentativo da parte della corte di Parigi di cementare un'alleanza franco-sabauda in funzione antispagnola. Così l'11 genn. 1619 a Parigi l'altro figlio del duca, il cardinale Maurizio diSavoia, sottoscrisse i capitoli matrimoniali alla presenza della regina reggente Maria de' Medici. Il matrimonio fu celebrato poi privatamente il 10 febbr. 1619, al Louvre.
L'arrivo della giovanissima principessa a Torino e nella corte sabauda, dove prese il titolo di Madama Reale, avvenne pochi mesi dopo. Ma, sia a causa della sua giovane età, sia per la difficile situazione internazionale del duca di Savoia in quegli anni, l'influenza di C. non fu affatto avvertita a corte. Solo dopo la morte di Carlo Emanuele I nel 1630 e la successione al trono di Vittorio Amedeo I la sua posizione mutò notevolmente, anche perché proprio in quegli anni la giovane duchessa diede al marito i primi figli: Maria Ludovica, nel 1629, Francesco Giacinto, nel 1631, Carlo Emanuele, nel 1634, cui seguirono ancora Margherita e Adelaide.
Costretto, subito dopo la morte del padre, a porre fine alla guerra per la successione di Mantova con i trattati di Ratisbona e Cherasco, Vittorio Amedeo I acquistava si alcune terre del Monferrato, tra cui Trino ed Alba, ma era costretto a cedere Pinerolo e la Val Perosa alla Francia, della quale diveniva, bon gré mal gré, stretto alleato. Così nel 1635, riaccesasi la guerra tra Francia e Spagna, veniva costretto ancora dal Richelieu alla lega di Rivoli, mediante la quale si impegnava a coordinare la sua campagna militare contro la Lombardia spagnola con il maresciallo francese Charles de Créqui. Condotte abilmente varie campagne nei due anni successivi, Vittorio Amedeo I fu colpito nel settembre 1637 a Vercelli da una grave malattia, per la quale morì a soli cinquant'anni.
Pochi giorni dopo, a Torino, il Senato di Piemonte dichiarava C. legittima tutrice del duca Francesco Giacinto e reggente del ducato. Dieci giorni dopo C. ricevette, inoltre, il giuramento di fedeltà delle alte cariche dello Stato e di corte, e quindi quello dei deputati delle Comunità e del clero. L'assunzione della reggenza da parte di C., subito contestata dai fratelli del defunto duca, il cardinale Maurizio e il principe Tommaso, non poteva avvenire in un momento più difficile per il paese. Devastato dalle lunghe guerre di Carlo Emanuele I e dello stesso Vittorio Amedeo I, colpito duramente dalla peste del 1630. il Piemonte sembrava essere tornato indietro di un secolo, all'epoca del duca Carlo III, ancora una volta teatro di guerra tra Francia e Spagna. E come allora risorsero nel paese i due vecchi partiti, filofrancese e filospagnolo, tanto duramente avversati da Emanuele Filiberto, ora rinati come il partito dei madamisti, ovviamente filofrancesi, e quello dei principissini, filospagnoli.
Alla notizia infatti dell'assunzione della reggenza da parte della cognata che, su pressioni dell'inviato francese a Torino Michele Particelli d'Emery, aveva confermato l'alleanza di Rivoli con la Francia, i due fratelli del defunto duca si trovavano entrambi fuori del paese: il cardinale Maurizio a Roma, il principe Tommaso nelle Fiandre. Entrambi erano ormai schierati su posizioni filospagnole. Maurizio, dal 1636, aveva ottenuto il protettorato dell'Impero, dopo aver lasciato, insoddisfatto, quello di Francia; Tommaso dal 1634, abbandonato per protesta il governatorato della Savoia, era uno dei principali generali spagnoli nelle Fiandre. Nel loro schierarsi contro la reggenza è difficile tuttavia trovare un vero movente politico. Se ufficialmente essi si muovono per difendere l'indipendenza del ducato dalla pesante ingerenza francese, la loro dipendenza dalla Spagna è ancora più totale e imbarazzante di quella di segno opposto della duchessa. Tutte le loro azioni, in primo luogo quelle militari, saranno infatti condizionate non tanto dalla volontà di Madrid, quanto da quella dei generali spagnoli e del Leganés, governatore di Milano. Il vero fine che muove in realtà i principi è semplicemente quello di arrivare ad una divisione del potere che assicuri loro un peso non solo sul piano politico ma anche su quello economicosociale. E, nella guerra "civile" che seguirà, giustamente il Quazza ha visto i due partiti muoversi senza motivi politici generali, strumenti in sostanza d'una corsa al monopolio della sovranità dello Stato, e i cui seguaci sono spinti altresì da interessi privati di potere o guadagno. Più seria invece appare la condotta politica di C. che, pur avendo scelto, del resto ovviamente come sorella di Luigi XIII, l'alleanza francese, cercherà sempre, anche nei momenti più difficili, di mantenere una sua personale indipendenza. Le prime azioni della reggente sono volte a impedire il ritorno dei due principi nel paese. Il cardinal Maurizio, già in viaggio per Torino dopo la morte del duca, è costretto a fermarsi a Savona e quindi a ritornare a Roma, mentre il principe Tommaso, costretto nelle Fiandre dai suoi obblighi militari, contatta per lettera la duchessa e le alte cariche dello Stato per impedire una più stretta alleanza tra la Savoia e la Francia. Ma la volontà di Richelieu è troppo forte. La duchessa è costretta ad allontanare da Torino il suo confessore e consigliere, il gesuita Pietro Monod, avverso al rinnovo dell'alleanza, e quindi a firmare il 3 giugno 1638 a Torino una lega offensiva con la Francia, impegnandosi fino a tutto il 1640. Pochi mesi dopo, il 4 ott. 1638, muore il piccolo duca Francesco Giacinto, lasciando come unico erede il fratello Carlo Emanuele, di soli quattro anni.
In tali circostanze i due principi rompono gli indugi: Maurizio entra in Piemonte, poi si reca ad Alessandria per trattare, con il Leganés, un'azione militare. Nel marzo 1639 10 stesso principe Tommaso, ottenuta licenza da Madrid, è anch'egli in Lombardia. In base a un accordo con il governatore spagnolo i principi levano un esercito di quattromila fanti e mille cavalieri, sotto stipendio spagnolo; le piazze e le città occupate saranno divise fra le truppe dei principi e i presidi spagnoli. Ma è soprattutto sul favore della nobiltà e della popolazione che contano i principi nella loro azione; e nel primi mesi delle ostilità i fatti sembraAo dar loro ragione. Chivasso è presa il 28 marzo, Ivrea nei primi di aprile, tutta la Val d'Aosta si schiera con loro; mentre il Leganés con l'esercito regolare spagnolo conquista Verrua e Crescentino, alla fine di aprile il principe Tommaso e gli Spagnoli sono alle porte di Torino. C. è costretta a inviare al sicuro il piccolo duca, nel forte di Montmélian in Savoia, affidandolo al figlio naturale di Carlo Emanuele I, don Felice di Savoia. Tuttavia è lo stesso Leganés a ritirarsi dalla capitale e a continuare la campagna verso altre piazze, prendendo Villanova e Asti. La duchessa è forzata a concedere Carmagnola, Savigliano e Cherasco a presidi francesi. Ma il 27 luglio il principe Tommaso, con l'appoggio spagnolo, occupa la stessa Torino. La duchessa lascia la capitale e si rifugia in Savoia, mentre Richelieti intavola trattative con il Leganés per una tregua d'armi. Stipulata il 14 agosto, tale sospensione pregiudicò soprattutto il partito dei principi, ormai quasi padroni del Piemonte. C. si reca allora in Francia per incontrare il fratello Luigi XIII e il Richelieu a Grenoble.
Assistita dai suoi consiglieri piemontesi, il Bobba, San Maurizio, Lodovico d'Agliè e soprattutto dal conte Filippo d'Agliè, ormai suo favorito, C. tenta di resistere alle pressanti richieste del fratello, ma inutilmente. Lo stesso Filippo d'Agliè è minacciatq dal Richelieu e C. deve accettare nuovi presidì francesi a Chambéry e in Val d'Aosta, ma rifiuta di inviare il piccolo Carlo Emanuele in Francia. Con il suo ritorno in Piemonte, scaduta la tregua,'si torna di nuovo alle armi. E per tutto il 1640 tra l'esercito francese, questa volta abilmente guidato dal conte d'Harcourt, e quello spagnolo e dei principi è tutto un succedersi di scontri, assedi, conquiste e riconquiste, inframezzati da inutili trattative di pace. Nel corso dell'anno l'Harcourt libera Casale, quindi la stessa Torino, costringendo il principe Tommaso a ritirarsi a Ivrea; intanto i negoziati sono condotti, per la Francia, dal Mazzarino. Le pressioni francesi su C. sono sempre più forti: alla fine dell'anno l'Harcourt fa arrestare a Torino il conte d'Agliè che, inviato a Parigi, viene detenuto nel castello di Vincennes, per ordine di Richelieu.
L'offensiva francese prosegue nei mesi successivi: Cuneo viene ripresa e i principi, ormai costretti sulla difensiva e praticamente abbandonati dalla Spagna, riprendono le trattative di pace con il Mazzarino. Il 14 giugno 1642 si giunge così alla firma dell'accordo definitivo. Madama Reale rimane tutrice del piccolo duca; il principe Maurizio diviene luogotenente generale nel contado di Nizza fino alla maggiore età (quattordici anni) di Carlo Emmanuele; Tommaso riceve lo stesso grado per le città e contadi di Ivrea e Biella; entrambi faranno parte del Consiglio di reggenza, mentre Maurizio, lasciato il cardinalato, sposerà la nipote Maria Ludovica, primogenita di Cristina. Infine i due principi si impegnano ad entrare al servizio del re di Francia: Tommaso al comando di un esercito franco-sabaudo.
Se il successo della guerra civile di C. contro i cognati non fu che un risvolto delle vittorie della Francia contro la Spagna, la condotta della 'àuchessa verso il tanto più potente alleato e verso Richelieu non fu mai un rapporto di completa dipendenza. Il rifiuto di inviare Carlo Emanuele in Francia, i ripetuti dinieghi all'offerta di presidi francesi nelle piazzeforti in Piemonte, le trattative svolte con i cognati spesso di propria iniziativa, fecero provare a C., ma soprattutto ai suoi consiglieri, la collera di Richelieu. Così il gesuita Pietro Monod. detenuto prima a Montméhan, poi a Miolans, morì in carcere. Lo stesso Filippo d'Agliè riebbe la sua libertà solo dopo la morte del Richelieu, nel gennaio 1643.
L'accordo con i cognati rappresentò la fine della guerra civile, non la fine della guerra contro la Spagna. Negli anni seguenti si continuò a combattere m Piemonte fra le truppe franco-sabaude, guidate dal principe Tommaso, e l'esercito spagnolo. E il 3 apr. 1645 fu confermata a Torino l'alleanza franco-sabauda, restituendo la Francia alla duchessa le più importanti piazze ancora occupate, tra cui Torino, Asti, Savigliano, Cherasco.
Imposto ancora una volta dalla Francia e accettato anche dai cognati e dal Consiglio di reggenza, il rinnovo della lega costrinse la duchessa a impegnare nuovamente il paese in un lunghissimo ed estenuante conflitto, fatto di assedi, scontri, sorprese di scarso significato, che terminò solo nel 1659, con la stipulazione della pace dei Pirenei tra Francia e Spagna. Le trattative per la pace di Vestfalia, infatti, iniziate già nel 1643 a Múnster, videro sì l'intervento degli inviati sabaudi, il marchese di San Maurizio e il senatore camerlengo Bellezia, ma quest'ultimo riuscì quasi subito a suscitare l'indignazione della corte di Parigi, che ne ottenne l'allontanamento. E le trattative continuarono senza la presenza degli inviati sabaudi. La stipulazione della pace poi, nel 1648, tra l'Impero e la Francia, confermò in un articolo la cessione di Pinerolo alla Francia, in base al trattato di Cherasco del 1631, e non fece cenno alla restituzione delle altre piazze occupate in Piemonte, continuando le ostilità fra la Francia e la Spagna.
Le proteste della duchessa non ebbero altro effetto se non quello della restituzione di alcune piazze minori da parte di Parigi: Torino, Susa, Chivasso, Cavour. Miglior successo ebbe C. in politica interna: il 20 giugno 1648 infatti Carlo Emanuele II avrebbe compiuto quattordici anni e, uscendo di tutela, avrebbe dovuto assumere il governo dei ducato. Ormai legato il principe Maurizio al suo partito, C. intendeva togliere, grazie alla maggiorità del figlio, il governo di Ivrea al principe Tommaso, impegnato con la flotta francese nella spedizione di Napoli. Profittando quindi della sua assenza C. si recò con il figlio a Ivrea il 18 giugno; il giorno seguente davanti al Consiglio di Stato la duchessa proclamò la fine della reggenza e l'assunzione del potere da parte di Carlo Emanuele II. Quindi provvide a sostituire i governatori e i presidi di Ivrea, Nizza e Villafranca, nonostante il parere contrario della corte di Parigi, che dovette tuttavia accettare il fatto compiuto.
Nello stesso anno la duchessa provvide a riformare il Consiglio di Stato, allargandolo e dividendolo in tre rami. Ma l'autorità e il governo dello Stato, nonostante la fine formale della reggenza, rimasero saldamente nelle mani di C., tanto che il Ricotti (p. 69) defini il periodo che va dal 1648 al 1663, anno della morte della duchessa, la "reggenza dissimulata". Assistita in realtà solo da alcuni consiglieri da lei scelti, fra i quali i marchesi di San Maurizio, di Parella, di Pianezza, il primo segretario di Stato, Carron di San Tommaso, il presidente Bellezia e soprattutto dal conte Filippo d'Agliè, C. divenne ben presto padrona assoluta dello Stato. Unico ostacolo alla sua volontà, tanto in politica estera, quanto in quella interna, restava l'alleanza francese e la continua ingerenza della corte di Parigi negli affari del ducato. Lo stesso progetto di matrimonio della figlia più giovane di C., Adelaide, con l'elettore di Baviera nel 1651 fu sottoposto all'approvazione del cardinal Mazzarino a Parigi. E sempre tramite la corte di Parigi C. riuscì, due anni dopo, a rinnovare la lega difensiva con i Cantoni cattolici svizzeri, stipulata nel 1577 da Emanuele Filiberto e rinnovata in seguito nel 1581 e nel 1634.
Ancora una volta fu necessaria l'opera di mediazione della corte francese in occasione della rivolta delle Valli valdesi nel 1655 e della violenta repressione che ne seguì. Occasione continua di conflitti minori fra il governo ducale, sempre impegnato in un'opera di contenimento, e i Valdesi delle valli, ormai collegati con i protestanti di tutta Europa, francesi, svizzeri, danesi, inglesi, fu l'opera delle missioni cattoliche nelle Valli per convertire i protestanti. Nel 1655 un'azione dei commissario ducale nelle Valli provocò una rivolta generale, che la duchessa tentò di reprimere con le truppe regolari, al comando del marchese di Pianezza. Per vari mesi gli scontri furono numerosi e così pure le atrocità da entrambe le parti. Ma la causa dei Valdesi, pubblicizzata tanto efficacemente dal loro capo Giovanni Leger in Europa, fu sostenuta a Torino dagli ambasciatori degli Stati protestanti e da numerosi inviati speciali, fra i quali quelli di Cromwell, di Berna, delle Province Unite. Lo stesso Mazzarino da Parigi invitava la duchessa a porre fine al conflitto. Si tenne quindi a Pinerolo, con la mediazione della Francia, un congresso al quale oltre ai rappresentanti ducali e dei Valdesi parteciparono l'ambasciatore francese a Torino Servient e quelli svizzeri. Il 18 ag. 1655 si giunse alla firma di un accordo, pubblicato sotto forma di perdono generale, che tuttavia, come i precedenti, non impedì il ripetersi di altre repressioni, avvenute sotto i regni di Carlo Emanuele Il e di Vittorio Amedeo II.
A rafforzare l'autorità di C., almeno sul piano interno, contribuì la scomparsa in quegli anni dei suoi principali antagonisti, anche se il loro ruolo era ormai da tempo molto ridotto. Il 22 genn. 1656 moriva infatti a Torino il principe Tommaso, reduce dalla sfortunata impresa di Pavia, e neanche un anno dopo moriva, sempre a Torino, il fratello Maurizio. Ma il problema più importante in quegli anni per C. restava sempre la lunga guerra con la Spagna. Intervallata da tregue d'armi e da negoziati di pace quasi continui fra le corti di Madrid e Parigi, il conflitto tuttavia continuava ad assorbire le già scarse e sfruttate risorse del paese. Proprio in questi anni le finanze ducali, ormai esauste, raggiungono il loro deficit maggiore. La stessa riscossione dei tributi dalle Comunità appare sempre più difficile, mentre gli appaltatori delle gabelle e imposte indirette vanno incontro a ripetuti fallimenti. Per C. la ripresa delle trattative di pace con Madrid diviene quindi un bisogno sempre più impellente. Nel 1657 Parigi restituisce la cittadella di Torino, occupata da un presidio francese, alle truppe sabaude. L'anno seguente Mantova e Modena stipulano tra loro un trattato di neutralità, garantito dalla Francia e dalla Spagna, che apre la via alla ripresa delle, trattative per una pace generale in Italia. Iniziati i negoziati la posizione di C. resta tuttavia sempre vicina a quella francese, anche perché il Mazzarino aveva proposto alla duchessa il matrimonio del giovane Luigi XIV con la principessa Margherita, già promessa a Ranuccio Farnese. Ma proprio durante l'incontro fra le due corti, a Lione, alla fine del novembre 1658, raggiunse il Mazzarino l'inviato spagnolo, che offriva ad Anna d'Austria la conclusione della pace e il matrimonio fra Luigi XIV e l'infanta di Castiglia. Le trattative durarono ancora a lungo e finalmente il 7 nov. 1659 venne stipulata la pace dei Pirenei. In base ad alcuni articoli dei trattato, la Savoia riebbe Vercelli dalla Spagna, la conferma dell'acquisto di Trino e Alba, i pagamenti dei debiti arretrati della Corona spagnola verso i Savoia. Ma in un articolo segreto la Spagna garantì alla Francia il possesso di Pinerolo. Tuttavia la notizia della pace fu accolta alla corte di Torino con sincero sollievo. Essa poneva fine ad un periodo di guerra, più o meno combattuta, durato ventiquattro anni. Restavano ancora per C. le pendenze da chiudere con il duca di Mantova, per il compenso alla cessione di Trino e Alba. Ma., nonostante i congressi di Valenza e Santhià, non si raggiunse alcun accordo, né lo raggiunsero le corti di Madrid e Parigi in occasione del matrimonio di Luigi XIV con l'infanta Maria Teresa. Miglior risultato consegui la duchessa nel riprendere le relazioni diplomatiche con Venezia, interrotte sin dal 1630, anche a causa delle pretese dei Savoia al titole, regio e all'isola di Cipro. Così nel 1662 si giunse allo scambio dei rispettivi ambasciatori e la duchessa offrì alla Repubblica, impegnata nella difesa di Candia dai Turchi, due reggimenti sabaudi e un sussidio in denaro.
Un ultimo problema, di non secondaria importanza restava in questi anni per la duchessa: il matrimonio del figlio Carlo Emanuele II, ormai ventottenne, ma tenuto dalla madre ancora sotto tutela. Allevato secondo il costume francese, tenuto lontano dai segreti di corte e dalla politica, con scarsa istruzione nel campo della storia, delle lettere e delle scienze, conseguenza dell'educazione impartitagli dal gesuita L. Giuglaris, Carlo Emanuele II non ebbe neanche la possibilità di scegliere un partito di suo gradimento. Pur legato alla cugina Maria Giovanna Battista di Nemours, acconsentì, per compiacere la madre, al matrimonio con Francesca d'Orléans, che sposò nel marzo 1663. E anche dopo il matrimonio continuò a lasciare a C. ogni cura nell'amministrazione dello Stato.
Sul piano politico interno la lunga reggenza di C., protrattasi dal 1637 al 1663. anche se assai poco studiata e conosciuta, per i troppi luoghi comuni della storiografia ottocentesca, con l'eccezione del Claretta, presentò nondimeno aspetti e tentativi di riforma assai interessanti. Se è vero infatti che sul piano sociale la duchessa si appoggiò soprattutto all'antica nobiltà feudale, colmandone di favori e privilegi le varie famiglie e in particolare quelle a lei devote, favorì altresì anche attraverso la venalità degli uffici, una certa mobilità sociale dei ceti togati e borghesi. Alla nobiltà feudale C. concesse due editti, nel 1648, con i quali limitava a 2.000 scudi d'oro la dote delle figlie e concedeva la facoltà di vincolare con il fidecommesso l'intero feudo ai primogeniti. E sempre alla nobiltà riservò le cariche militari e quelle politiche; ma, nello stesso tempo, quasi tutte le cariche di giustizia e di finanza divennero in questi anni appannaggio dei ceti togati e mercantili. In una o due generazioni numerose famiglie raggiunsero così in Piemonte la nobiltà e le cariche, anche le più alte, dell'amministrazione civile. La duchessa governava con l'aiuto di un ristretto Consiglio di Stato, di cui facevano parte il primo segretario di Stato Carron di San Tommaso, il conte Filippo d'Agliè, il marchese di Pianezza, il marchese Villa. Nel tentativo di riformare l'amministrazione dello Stato C. portò nel 1653 a diciotto il numero delle province del Piemonte; ad ogni provincia era preposto un referendario per gli affari finanziari, un prefetto per quelli giudiziari e, in quelle più importanti, un governatore.
Ma a causa dei lungo periodo di guerra l'amministrazione delle Comunità era andata sempre peggiorando. Fu così nominata una Giunta per la riforma delle Comunità, che nel 1661 divenne la "Delegazione del buon governo dei Comuni". Questa pubblicò un regolamento dei Comuni, iniziò la revisione dei catasti e controllò i conti dei ricevitori delle imposte. E più tardi introdusse l'uso dei bilanci preventivi, detti "Causati".
Sul piano finanziario, inoltre, C. lottò a lungo contro le immunità ecclesiastiche, nel tentativo di estendere anche ai beni posseduti dagli ecclesiastici il principale tributo fondiario del paese, il tasso. Divennero così in questi anni assai frequenti i dissidi con Roma, già molto frequenti ai tempi di Vittorio Amedeo I per i suoi contrasti con i nunzi a Torino. Nel 1643 C. fece pubblicare un editto che vietava alle Comunità di mutare i catasti, senza autorizzazione particolare. E nonostante i vari scontri con Roma, culminati in una scomunica contro il Senato di Torino nel 1646, si giunse ad un primo compromesso, per il quale Roma accettò che venissero tassati i beni di nuovo acquisto per la metà dell'imposta dovuta, concessione che si protrasse di tre anni in tre anni e successivamente ogni dieci. Altra riforma fiscale importante fu l'introduzione di una nuova imposta fondiaria nel 1659, il sussidio inilitare, che dava un gettito pari a quello del tasso e che, pur se introdotta come straordinaria, per pochi anni, restò fissa per tutto il secolo.
L'attività di C. tuttavia non si limitò al solo ambito politico e di governo. Giunta ancor giovanissima alla corte di Torino, negli anni successivi, soprattutto dopo la morte del marito, divenne con la sua personalità il centro di ogni attività di corte. Grazie soprattutto al contributo del suo favorito Filippo d'Agliè, celebre coreografo e organizzatore delle feste di corte, le "feste di Madama Reale" ebbero un posto notevole nella storia dell'evoluzione dei balletto, da festa di corte a fatto d'arte. E il successo di tali opere, da Gli habitatori dei monti, rappresentata anche a Parigi, a Il balletto degli alchimisti o al Dono dei Re dell'Alpi a Madama Reale, ebbe una larga fortuna anche in Francia.
Ancor più notevole e interessante fu l'attività edilizia che C. favorì a Torino sin dal suo arrivo. Fece infatti riedificare su disegni di gusto francese il castello del Valentino, avuto come dono di nozze dal suocero, che divenne la sua residenza preferita. Più tardi fece costruire dall'architetto Andrea Costaguta una villa sulla collina di Torino, della quale lo stesso Filippo d'Agliè ha lasciato una bella descrizione. Ma assai più importante fu l'allargamento della vecchia pianta di Torino. Dapprima con la nuova piazza reale di S. Carlo, ove sorse anche la nuova chiesa di S. Cristina, dovuta al disegno di C. di Castellamonte, quindi con i lavori per la città nuova, verso il Po, iniziati nel 1646. Sempre per volontà di C. sorsero, inoltre, a Torino in questi anni la chiesa di S. Teresa, il convento di S. Francesco, l'ospedale della Carità e il nuovo palazzo della Città, opera del Lanfranchi. Nel 1657 cominciavano i lavori per la cappella della S. Sindone, iniziata dal Quadri e terminata dal Guarini.
Molto attenta e interessata alla libellistica politica, C. favorì sotto il suo governo l'opera di alcuni autori favorevoli alle ragioni dei Savoia che, più in male che in bene, gettarono le basi di una storiografia indigena. Fra questi A. Della Chiesa, il già ricordato padre Monod, S. Guichenon, V. Castiglione, lo storico dei principi E. Tesauro.
C. non sopravvisse a lungo al matrimonio del figlio. Costretta già da alcuni anni a vivere molto ritirata a corte da alcune infermità, aveva tuttavia continuato a reggere con la solita fermezza e autorità il governo dei paese, alternando i ritiri spirituali nel convento attiguo a S. Cristina all'esercizio del governo. Fino agli ultimi giorni continuò lei stessa a firmare tutti gli atti di governo, a nome del figlio.
Morì a Torino il 26 dic. 1663.
Il lungo periodo di governo di C., collocato tra i due lunghi regni di Carlo Emanuele I e di Vittorio Amedeo II, durati entrambi cinquanta anni, è stato quasi sempre studiato insieme con la seconda reggenza, quella di Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, seconda moglie di Carlo Emanuele II, durata poco meno di dieci anni, dal 1675 al 1684. In pratica, dalla storiografia ottocentesca a oggi, tutto il periodo tra i due lunghi regni di Carlo Emanuele I e di Vittorio Amedeo II è stato visto come il periodo delle reggenze, anche se intervallato dal breve ma importante regno di Carlo Emanuele II. Da qui le facili osservazioni sulla debolezza del governo centrale, sulla scarsa autorità delle reggenti, sull'importanza del predominio francese in Piemonte. In realtà il lungo periodo di governo di C., che vide l'affermarsi del predominio francese in tutta Europa, ebbe anche non pochi effetti positivi nel paese. Se sul piano politico esterno la duchessa riuscì a conservare e mantenere l'integrità e l'indipendenza politica del ducato, su quello interno favorì indubbiamente, anche attraverso la venalità delle cariche, un'importante mobilità sociale, che portò all'ingresso della borghesia negli uffici e nelle cariche dello Stato. Uno Stato quindi certamente più debole, sul piano internazionale, di quello ereditato alla morte del marito, ma che C. conservò intatto, e, in un certo senso, preparato alle riforme g ai successi di Vittorio Amedeo II.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Arch. di Corte, Storia della Real Casa, Cat. 3ª m. 16, n. 8, Memoria delle principali negotiationi avvenute durante la reggenza di Madama Reale; Ibid., Memoria delle negotiationi per la tutela di M. R.; Ibid., Apologia del principe Tommaso; e l'opera manoscritta di V. Castiglioni, Historia della Reggenza di Madama Reale C. di F. (1656); e quella di S. Guichenon, Le soleil en son apogée ou l'histoire de la vie de Chretienne de France, duchesse de Savoie; Ibid. Storie partic., Cat. 3a, m. 12, n. 11, Histoire de Madame Christine de France, duchesse de Savoie; Registri lett. di Corte, C. di F., e Minute lett. di Corte; Tutele e Reggenze..., mm. 3-4 e L, 1 da invent.; Lett. Ministri Francia, mm. 35-40.42 ss.; Lett. Ministri Spagna, mm. 25 ss.; Negoziaz. Francia, mm. 11-12 e 56 da inventariare; Negoziaz. Svizzeri, m. 4; Mat. Ecclesiast., Cat. 1ª, Negoziaz. con Roma, 1628-1666; Matrimoni, min. 25-26; Lettere principi, Tommaso di Savoia Carignano, mm. 52-53; Cat. 4ª m. 7, Memorie per la vita del principe Tommaso e della Reggenza di Madama Reale; Torino, Biblioteca reale, Mss., St. Patria 296: Relation de la Cour de Savoie, ou Les Amours de Madame Royale; Ibid., Carte Masserati, mm. 15, 19, 23 ss. Inoltre, Parigi, Archives du Ministère des Affaires Etrang., Corres. politique, Savoie-Sardaigne, voll. XXV-XXVII(1637-1649): nel vol. XXVII vedi l'Advis donné à Madame Royale de Savoie par le cardinal de Richelieu e il memor. Le voyage du Roi à Grenoble pour voir M. la duchesse de Savoie. Si veda, infine, E. Tesauro, Origine della guerra civile, Torino 1674, passim; V. Siri, Il Mercurio, ovvero Historia dei correnti tempi (1635-1655), Casale 1644-67, VIII, pp. 695 ss., 701-706, 715-720, 877 ss.; F. Sclopis, Doc. ragguardanti alla storia della vita di Tommaso di Savoia, principe di Carignano, Torino 1832, pp. 8-23, 27, 31 e passim; A. Bazzoni, La reggenza di M. C. duchessa di Savoia, Torino 1865; A. Peyron, Notizie per servire alla storia della Reggenza di C. di Francia, duchessa di Savoia, in Mem. dell'Acc. delle scienze di Torino, s. 2, XXIV (1868), passim; G. Claretta, Storia della reggenza di C. di Francia..., I-III, Torino 1868-69; Id., Storia del regno e dei tempi di Carlo Emanuele II. duca di Savoia, Genova 1877, I, pp. 1-442; L. Cibrario, Origine e progressi della monarchia di Savoia, Firenze 1869, pp. 158-165, 315-330; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, Firenze 1869, VI, pp. 3-174, 241 ss.; A. D. Perrero, Il testam. di Madama Reale di F. e il conte Filippo d'Agliè, in Curiosità e ricerche di storia subalpina, I(1874), pp. 369-372; D. Carutti, Storia della diplom. alla corte dei Savoia, Torino 1879, II, pp. 302-420; C. E. Patrucco, Sulle relaz. della Casa di Savoia colla Repubblica di Venezia durante la reggenza di M. C. di Francia, in Boll. stor. bibliogr. subalpino, I (1896), pp. 209-212, 214 ss.; Id., La duchessa di Savoia e il principe Tommaso di Carignano durante le guerre in Piemonte, ibid., II (1897), pp. 236 ss.; Id., Studi e ricerche intorno alla reggenza di M. C. di Francia, Pinerolo 1897; G. De Mun, Richelieu et la Maison de Savoie. L'ambassade de Particelli d'Hémery en Piémont, Paris 1907, passim; D. Valle, Il padre P. Monod della Compagnia di Gesù, consigliere di Stato e, istoriografo della Casa di Savoia e le sue relaz. col cardinale Richelieu..., in Miscell. di storia ital., s. 3, XIV (1910), pp. 302 ss., 329 ss., 347 ss. e passim; C. Gallina, Le vicende di un grande favorito: Filippo di San Martino d'Agliè, in Boll. stor.-bibliogr. subalpino, XXII (1919), pp. 189 ss., passim; M. Maggiorotti, Il Piemonte dal 1637 al 1642. I Contrasti nella reggenza di M. C. e l'opera dei nunzi papali, Città di Castello 1913, passim; G. Datta De Albertis, C. di Francia Madama Reale, Torino 1943; G. Quazza, Guerra civile in Piemonte. 1637-1642 (nuove ricerche), in Boll. stor.-bibliogr. subalpino, LVII (1959), pp. 281-321; LVIII (1960), pp. 5-63; V. Castronovo, S. Guichenon e la storiografia del Seicento, Torino 1965, pp. 61-66; M. Viale Ferrero, Feste delle Madame Reali di Savoia, Torino 1965. passim.