CAPPELLO, Cristoforo
Nacque a Venezia, da Francesco di Cristoforo e da Elena di Piero Priuli, nel 1483.
Ingenti ne sono i beni: oltre alle case che possiede a S. Gervasio ed a S. Angelo, con annesso un "campo" adibito all'allevamento delle pecore, l'inventario, senza data, che ci è giunto (Civico Museo Correr, P.D. C 2634, cc. 19r-24r), elenca 14 "campi" a Gragnarola in Friuli, 109 "campi" alle Gambara, a Camposampiero (Padova) altri 95 "campi", e villa Sant'Angelo a Sala, vicaria di Mirano. Un patrimonio di case e di terre variamente coltivate, ed assiduamente seguite dal C., che condivideva il rinnovato interesse verso la terra e l'agricoltura di gran parte del patriziato. Intellettualmente aperto appare nei primi anni dell'attività politica, ed attento alle suggestioni della cultura sperimentale, al significato economico-commerciale dei viaggi oceanici. "Rimasto alla prova di Santa Barbara" nel 1507, il 5 dic. 1511 compare fra i molti, e fra questi Alberto da Carpi, che vanno a visitare lo studio del Sanuto e ad ammirarne il "mapamondo". Il 22 sett. 1512, pur non avendone ancora l'età, veniva eletto savio agli Ordini. Nel febbraio 1513 poi fu coinvolto nello scandalo insorto intorno alle monache di S. Biagio Catoldo che "vivevano inhonestamente"; ma l'inchiesta ordinata dal patriarca fu presto soffocata, tanto più che il C. aveva pochi mesi prima fatto dono allo Stato di 200 ducati. E la sua scalata politica continua, tenace e sicura. Dopo la partecipazione ad alcune ballottazioni sfortunate per la nomina ad oratore in Francia ed Inghilterra il 5 sett. 1514, il 9 giugno 1515 fa richiesta di essere eletto ai Pregadi, dietro un prestito di 500 ducati, per un anno; terminato il quale, "vol aver partida di bancho, et aver il titolo di Pregadi". La richiesta il 23 giugno è accettata, ed il 3 agosto entra nel Consiglio. Dopo insistenti, ma vani tentativi di essere eletto ambasciatore in Francia e in Inghilterra e oratore all'arciduca d'Austria, il 2 giugno 1527 ottenne la nomina di capitano a Brescia offrendo un prestito ulteriore di 600 ducati per i bisogni delle guerre.
La sua corrispondenza da Brescia testimonia una viva attenzione per la crisi che pervade ogni settore della vita sociale, dalle faide familiari ai tumulti per la carestia, al dilagare di forme di stregoneria e di eterodossia, pericolose per i riflessi sulla società e sulla famiglia, perché vi inseriscono usanze e modi di comportamento provocatori e nuovi, e non certo assimilabili agli schemi mentali e sociali consueti.
D'altronde, se la società era attraversata da numerose linee di tensione, il quadro generale della politica non induceva a prospettive sicure e certe. Gli insistenti spostamenti e gli sconfinamenti nel Bresciano di forze spagnole, unitamente alla minaccia della Germania "luterana" e del Turco che premeva ai confini orientali della Repubblica, testimoniavano, nelle sue analisi, del pericolo subdolo, latente, per Venezia, di una accerchiamento che poteva, in ogni momento, riportarla alle paure, ai traumi vissuti nei giorni della crisi di Cambrai. E come la "tranquillità" di Venezia, secondo le conclusioni del C., poteva risiedere solo in una rigida politica di neutralità e di equilibrio, e dunque in una linea politica strettamente difensiva, così alla crisi dei valori spirituali e sociali egli oppone il sogno, largamente condiviso dal patriziato, di una restaurazione civile e religiosa imperniata sulla funzione insostituibile dell'aristocrazia e sulla indispensabile ma contenuta riforma del tessuto ecclesiastico.
Il 5 maggio 1531 il C. lascia Brescia per far ritorno a Venezia (nel 1530 era stato nominato anche vicepodestà della città), per assumere, il 26 marzo dell'anno seguente, la nomina di savio di Terraferma, "a far la mostra di le zente d'arme et ordinanze" per un mese e mezzo, dimostrando capacità di organizzatore e notevoli doti di consigliere militare, nel sottolineare le notevoli carenze anche del sistema difensivo della Terraferma.
Ritornato nel Consiglio dei pregadi, il 20 giugno 1533 è nominato oratore presso il duca di Milano. Partito il 29 settembre (succedeva a Giovanni Basadonna), la ducale di Andrea Gritti lo raggiunge il 6 ottobre, con l'ingiunzione di dare la precedenza ai problemi economici e di recuperare integralmente l'ammontare dei due prestiti concessi al duca, uno di 20.000 e l'altro di 56.000 ducati.
Ma ben presto l'attenzione si volge ai temi cari dell'insicurezza psicologica e religiosa che, fra il 1534 e il 1535, aleggia non solo su Milano, ma su tutta l'area mediterranea. In particolare il C. segue, con un interesse senza riscontro fra tutte le corrispondenze diplomatiche veneziane del primo Cinquecento, l'esperienza anabattista (lo stesso termine compare nelle sue pagine con una precisione concettuale in precedenza sconosciuta), naturalmente esultando alla repressione di quelle esperienze comunitarie, lontane dalla sua mentalità nobiliare, ed agraria. "Dio sia laudato - scrive il 21 febbr. 1535 - che tutto si è scoperto, et spero mediante il bon ordine hanno misso questi signori, che tutto passerà bene de molte terre in queste bande. Et quasi tutta la Olanda è contaminata de tal errore, che tutti sono però gentalia, canaglia, che dicono li beni del mondo debbano esser communi et perhò vogliano spartir con li ricchi". Il richiamo al "bon ordine" diviene, dunque, essenziale nella giustificazione di una lotta che rifiuta ogni compromesso, o possibilità, anche tenue, di pace e di concordia, delineando uno spiritualismo antierasmiano, circoscritto a momenti di vita e di comportamento della Chiesa, in un rigido blocco mentale verso le altre correnti religiose. Anche la visione diplomatica del C. risente di questi limiti nel ripetere le traiettorie maturate negli anni di Brescia: rinnovo, cioè, nel 1534, della pace di Bologna del 1529 con l'imperatore, dietro dichiarazione spagnola che Venezia costituiva "la più stabile base della tranquillità italiana" (Morosini, pp. 386 s.).
Pace con la Spagna, equilibrio di forze in Italia e in Europa, rifiuto della guerra: le linee dell'attività diplomatica del C. non subiscono fratture, deviazioni, modifiche. Così nell'espletamento dell'incarico di ambasciatore ordinario in Francia, cui è nominato nel 1536, quando, con gli stessi obiettivi, favorisce le trattative del giugno 1538 a Nizza fra Carlo V e Francesco I, e segue con interesse le trattative di pace fra l'imperatore e i Turchi.
Ed a Parigi (nel 1540 Francesco I lo nomina cavaliere), in quella corte "dove sono se non Principi et signori grandi", amava parlare di pace, di spiritualizzazione della Chiesa, affermando di preferire i luterani a molti cattolici che non "fanno professione de Christiani"; di modo che a Venezia era rimbalzata l'eco della sua abilità di "cortigiano" più che della capacità di ovviare alla cronica fame di grano della Repubblica facendo "mercato de frumenti" in Provenza. E sebbene fosse riuscito, nell'agosto 1538, a liberare alcune navi veneziane cadute, per errore, in mano francese, si preferiva giudicare i suoi risultati politici e collocarlo nella dimensione di un abile diplomatico e di un consumato uomo di corte che le "cortigianerie" avevano, col tempo, reso inadatto ad aggredire i nuovi "tempi sospetti".
Ritornato a Venezia nei primi mesi del 1541, infatti, il C. nello stesso anno viene inviato luogotenente a Cipro; ma i problemi che lo coinvolgono sono radicalmente mutati: resoconti amministrativi, compravendite di "casali", elenchi di navi che giungono nell'isola o partono. È l'uomo delle cifre, delle note amministrative, dei semplici resoconti burocratici, quando, ormai, uomini aperti, e più attenti alle modificazioni delle strutture statali, venivano alla ribalta, e con un vivo disincanto nei riguardi della Spagna. E in questa decadenza di prospettive e di ruolo, il 5 febbr. 1546, a Venezia, muore; il suo corpo venne sepolto a S. Cristoforo, "appresso l'avo et padre".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei Dieci. Lettere di rettori, bb. 19, 289; Secreta. Archivi Propri,Francia, b. 1-5, cc. 32v-34r; Capi del Consiglio dei Dieci. Lettere di ambasc., Francia, b. 10; Venezia, Civ. Museo Correr, ms. Malvezzi, 133: Dispazzi di C. C. Milano 1533-'36; Ibid., cod. Cicogna, nn. 2359, 2470, 3472; Ibid., ms. Correr, nn. 1195-2419, 2420; Ibid., mss. P. D. - C/2634, cc. 19r-24r; Archivio di Stato di Venezia: M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, II; Calendar of State Papers and Manuscripts relating to English affairs existing in the Archives and Collections of Venice, a cura di R. Brown, III, London 1869, pp. 198, 284, 287, 574; IV, ibid. 1871, pp. 201, 216; M. Sanuto, Diarii, XIII-LVIII, Venezia 1886-1903, ad Ind.; Nuntiaturber. aus Deutschland, a cura di W. Friedensburg, III, Gotha 1893, p. 506; V, Berlin 1909, pp. 168, 290, 295, 383; I libri commem. della Rep. di Venezia,Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1903, pp. 230 s.; Arch. di St. di Venezia: G. A. Cappellari Vivaro, Il Campid. veneto, Vicenza s.d., I, c. 228v; P. Paruta, Historie venetiane, I, Venezia 1605, p. 725; G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio..., I, Venezia 1619, c. 127r; A. Morosini, Storia della Repubblica venez., I, Venezia 1782, pp. 386 s.; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Venez., IV, Venezia 1834, p. 641; VI, ibid. 1853, pp. 307, 567; F. Chabod, L'epoca di Carlo V, in Storia di Milano, IX, Milano 1961, pp. 8 s., 11, 14, 499.