Cristoforo Clavio fu una delle figure più rappresentative della matematica del suo tempo. Benché non italiano, esercitò soprattutto in Italia la sua attività di studioso e parte significativa della sua influenza. Fondatore della scuola matematica gesuitica, essendosi impegnato affinché la Compagnia di Gesù accettasse un’elevata valutazione delle discipline matematiche nella Ratio studiorum, si adoperò per diffondere e ampliare gli studi matematici nelle scuole del continente. Dedicò la sua vita quasi completamente all’insegnamento e alla compilazione di pregevoli manuali e commentari, ampiamente diffusi in Europa.
Cristoforo Clavio nacque il 25 marzo 1538 a Bamberg, in Franconia (Germania). Dei primi anni della sua vita non si sa nulla, e dubbia è anche l’autenticità del suo nome. È infatti molto probabile che ‘Clavius’ sia la latinizzazione del tedesco ‘Clau’ o ‘Klau’, o la traduzione latina di ‘Schlüssel’ che, come Clavius, significa ‘chiave’. Il 12 aprile 1555 entrò nel Collegio romano della Compagnia di Gesù, e nell’ottobre dello stesso anno, dopo aver pronunciato i tre voti semplici (povertà, castità, ubbidienza; il quarto voto, quello dell’ubbidienza al papa, fu pronunciato nel 1575), fu inviato a studiare a Coimbra, in Portogallo, presso il collegio gesuita, Colégio das Artes. Qui seguì il biennio di studia humanitatis e, a partire dall’anno scolastico 1557-1558, il triennio di studi filosofici tenuto da Pedro da Fonseca (1528-1599).
Nel 1558, quando assisteva alle lezioni sugli Analitici posteriori di Aristotele, ascoltò Fonseca citare il ben noto teorema geometrico secondo cui la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due retti, ma senza mai giustificare questa proprietà. Spinto dalla curiosità, Clavio consultò da sé gli Elementi di Euclide e cominciò a studiarli in modo sistematico, tanto da divenire in breve uno dei più autorevoli studiosi dell’opera (Baldi 1998, pp. 558-77). In occasione dell’eclisse solare del 21 agosto 1560, eseguì a Coimbra le osservazioni astronomiche con i relativi calcoli. Probabilmente proprio in seguito alla constatazione della particolare inclinazione per le matematiche, nel maggio del 1561 Clavio fu richiamato nel Collegio romano, perché, insieme con il previsto quadriennio di teologia (1562-66), potesse studiare anche matematica con Adalbert Baucek (1538-1571), che tra il 1560 e il 1563 tenne uno dei pochi corsi di matematica allora attivi nelle scuole dei gesuiti.
Nel 1564 fu ordinato sacerdote e, a partire dal 1565, tenne per oltre vent’anni l’insegnamento della matematica nel Collegio romano, e successivamente in un’accademia privata di matematica. Suoi allievi furono quasi tutti i docenti che, dopo la promulgazione della Ratio atque institutio studiorum (1586; versione definitiva del 1599), insegnarono matematica nei collegi della Compagnia in Europa. Solo per la breve parentesi di poco più di un anno (dal 4 ottobre 1595 al 1° novembre 1596) soggiornò presso il Collegio napoletano dove, insieme con l’allievo Giovanni Giacomo Staserio (1565-1635), sperimentò l’applicazione dei precetti della Ratio studiorum in matematica.
Nel 1611 consolidò i rapporti con Galileo Galilei, che era giunto a Roma per illustrare le sue scoperte astronomiche. Morì a Roma il 12 febbraio 1612.
Nel 1570 pubblicò la sua prima opera, In Sphaeram Ioannis de Sacro Bosco commentarius, un commento al De sphaera mundi (13° sec.) dell’inglese Giovanni di Sacrobosco (John of Holywood), ristampata per ben sedici volte in successive sette edizioni rivedute, corrette e volta per volta arricchite di nuovi capitoli, nei quali Clavio analizzò le scoperte e i fenomeni celesti verificatisi in quegli anni. Per Clavio l’astronomia era scienza fondata sull’esperienza sensibile delle osservazioni e sul rigore delle dimostrazioni matematiche, «che per ammissione di tutti i filosofi hanno il primo grado di certezza» (In Sphaeram […], cit., p. 7). A partire dall’edizione del 1581 di In Sphaeram si trova la descrizione dell’eclisse osservata a Coimbra, durata «lo spazio di un miserere», cioè 3′ e 20″, e quella dell’eclisse solare del 9 aprile 1567, osservata dal Collegio romano, e il cui studio indusse Clavio a ritenere che il diametro del Sole fosse maggiore di quello della Luna, contrariamente a quanto affermato da Tolomeo (2° sec. d.C.) nell’Almagesto. Sempre nell’edizione del 1581 inserì un paragrafo concernente la stella nova apparsa nel 1572. Qui sostenne, con dovizia di argomentazioni, che quella stella era situata nel cielo delle stelle fisse, che prima non era presente o non era osservabile, e che, contrariamente a quanto sostenevano alcuni, non poteva essere una delle 13 stelle di Cassiopea né, come sostenevano altri, una cometa apparsa nella suprema regione del Cielo. Era la concordanza fra le misurazioni proposte da lui e quelle di altri astronomi di varie parti d’Europa ad attestare che quella stella era al di sopra del cielo della Luna, precisamente nel firmamento. Quanto alle ragioni del fenomeno, egli sosteneva che probabilmente la stella era stata creata da Dio per annunciare qualcosa di grande.
Quell’evento era carico di conseguenze, dal momento che induceva lo stesso Clavio ad affermare che il firmamento non era costituito, come fino allora sostenuto, dalla quinta essenza incorruttibile, ma rappresentava un corpo mobile, sebbene meno corruttibile dei corpi inferiori. Nell’edizione di In Sphaeram del 1611, Clavio aggiunse che le stesse considerazioni andavano fatte anche a proposito della nova del 1604, la cui apparizione era stata oggetto di una pubblica discussione nel Collegio romano, alla presenza di filosofi e teologi della Compagnia, da parte dei suoi allievi Odo van Maelcote (1572-1615), Christoph Grienberger (1561-1636), Paul Guldin (1577-1643) e Giovan Battista Lembo (Baldini 1981, pp. 63-98).
Per quanto riguarda il sistema cosmologico, Clavio fu tolemaico e fieramente anticopernicano. Egli stesso apportò correzioni al sistema geocentrico elevando da nove a undici il numero dei cieli. In questo modo, infatti, riusciva a spiegare i quattro movimenti dell’ottava sfera scoperti e calcolati da Nicola Copernico (moto di trepidazione), senza dover adottare, come aveva fatto lo scienziato polacco, l’ipotesi eliocentrica, che Clavio respingeva poiché sconveniente, assurda, lontana da ogni senso comune, e soprattutto contraria alle Sacre Scritture. Molto eloquente in merito è il seguente passo:
Ma poiché nella posizione di Copernico sono contenute molte cose assurde ed errate, come il fatto che la Terra non sia il centro del Firmamento, e si muove con triplice moto, la qual cosa in qual modo possa avvenire, stento a comprendere, dal momento che secondo i filosofi ad un corpo semplice compete un solo moto, e che il Sole sia posto al centro del mondo, e che ogni moto avviene indipendentemente dagli altri, le quali cose sono in disaccordo con la dottrina dei filosofi e degli Astronomi, e sembra che contraddire le cose che le sacre scritture insegnano in molti luoghi, come ho abbondantemente trattato nel cap. 1°, per queste ragioni mi sembra che si debba anteporre a queste invenzioni di Copernico l’opinione di Tolomeo (In Sphaeram […], cit., p. 453).
Condividendo il pensiero dei filosofi e teologi tradizionalisti, Clavio vedeva nel sistema copernicano un pericolo per la fede cattolica. Per questa ragione riteneva che non dovesse essere ammesso nemmeno come pura ipotesi matematica. Di contro, affermava che il sistema delle sfere tolemaiche con gli eccentrici e gli epicicli era il sistema realmente esistente, contraddicendo Tommaso d’Aquino (1225-1274), che aveva sostenuto che la teoria degli eccentrici e degli epicicli doveva essere considerata solo come un modello teorico, fittizio, non reale, sostituibile con altri modelli aventi le stesse caratteristiche.
In Sphaeram fu solo il primo di una serie di libri di Clavio sulla geometria della sfera e sul complesso delle discipline inerenti l’astronomia, la geodesia, la gnomonica, la costruzione di orologi, che trovavano il loro principale fondamento su questa geometria. A quel tempo la costruzione di orologi solari suscitava grande interesse, essendo questi strumenti gli unici in grado di fornire la misura del tempo con un certa precisione. Nei Gnomonices libri octo […], pubblicati la prima volta nel 1581, Clavio fornì i fondamenti della teoria degli orologi, risolse numerosi problemi di natura teorica e pratica, dimostrò vari teoremi concernenti l’analemma di Tolomeo, le sezioni coniche, i circoli e le linee orarie, le inclinazioni e le declinazioni dei piani; procedette infine alla descrizione e costruzione degli orologi orizzontali, verticali, meridiani, polari ed equinoziali, dei quali compilò anche le relative tavole. A completamento di quest’opera, cinque anni dopo, nel 1586, pubblicò uno specifico testo sulla costruzione di alcuni orologi solari (Fabrica et usus […]), di uso assai comune, non sufficientemente trattati negli Gnomonices, e un commento, Theodosii Tripolitae Sphaericorum […] alla Sfera di Teodosio Tripolita, opera nella quale, non solo spiegò compiutamente i tre libri della teoria della sfera dello scienziato tripolita, spesso con sue nuove dimostrazioni e con l’aggiunta di numerosi scolii, ma espose anche una sua teoria completa della trigonometria piana e sferica. Qualche anno dopo furono pubblicati l’Horologiorum nova descriptio (1599) e il Compendium brevissimum describendorum horologiorum […], 1603.
Nel 1574 Clavio si recò a Messina per incontrare Francesco Maurolico, con il quale aveva già stretto un sodalizio scientifico. Con lui discusse questioni inerenti vari campi delle matematiche e dell’astronomia e a lui si ispirò nell’Ordo servandus in addiscendis disciplinis mathematicis (1581), vale a dire l’organizzazione degli studi di matematica nelle scuole gesuitiche.
Un aspetto fondamentale del magistero matematico di Clavio fu il grande impegno profuso in favore dell’inserimento di un corso stabile di matematica negli studia superiora dei collegi gesuiti. Si trattò di una vera e propria battaglia, combattuta per numerosi anni contro agguerriti oppositori, fino all’approvazione definitiva della Ratio studiorum della Compagnia di Gesù.
Gli si opposero soprattutto filosofi e teologi, che sottovalutavano il valore scientifico ed educativo delle matematiche e quindi non vedevano la ragione di insegnarle nelle scuole gesuitiche. Alcuni dei loro maggiori argomenti affondavano le radici nella cosiddetta quaestio de certitudine mathematicarum, che appassionava studiosi di ogni parte della penisola, ma che nell’ambito della Compagnia in qualche caso aveva assunto toni piuttosto aspri.
Ci sono pervenuti cinque importanti documenti redatti da Clavio in merito. Innanzitutto i Prolegomena premessi al suo commento agli Euclidis Elementa, noto come Euclidis Elementorum libri XV […], la cui prima edizione è del 1574. Un secondo documento è l’Ordo servandus in addiscendis disciplinis mathematicis, capolavoro di architettura pedagogica, in cui l’intero corso di studi delle matematiche è diviso in moduli la cui successione procede in base alla difficoltà delle materie e alla loro propedeuticità. Da questo documento risulta quanto vasto fosse il progetto editoriale che Clavio si era proposto per dotare le scuole della Compagnia di tutti i manuali occorrenti per lo studio delle discipline matematiche previste. Fecero seguito un Modus quo disciplinae mathematicae in scholis Societatis possunt promoveri, redatto nel 1584, una De re mathematica instructio del 1593 e infine una Oratio de modo promovendi in Societate studia linguarum, politioresque litteras ac mathematicas del 1594 (Gatto 2008). Clavio vinse la sua battaglia e il corso di matematica fu stabilmente inserito nell’ordinamento degli studia superiora fin dalla prima edizione della Ratio studiorum (1586). Qui, in una breve premessa al capitolo De mathematicis disciplinis, Clavio volle ancora una volta mettere in evidenza quanto fosse utile lo studio delle matematiche:
Quelle [le matematiche] sono di aiuto ai poeti e descrivono loro il sorgere e il tramontare degli astri; agli storici la forma e gli intervalli dei luoghi; agli analitici gli esempi di dimostrazioni solide; ai politici, in modo chiaro, le ammirevoli arti dell’amministrare bene in pace e in guerra; ai fisici la forma e la differenza dei moti celesti, della luce, dei colori, dei corpi diafani, dei suoni; ai metafisici il numero delle sfere e delle intelligenze; ai teologi le più importanti parti dell’opera divina; al diritto e alla consuetudine ecclesiastica computi accurati dei tempi. Per non dire poi delle cose che sono piene della fatica dei matematici, utili alla cosa pubblica, nelle cure delle malattie, nelle navigazioni, nelle applicazione degli agricoltori. Bisogna dunque decidersi e fioriscano nei nostri ginnasi le matematiche, così come fioriscono le altre discipline, affinché anche in questo campo i nostri diventino più adatti a sovvenire alle varie necessità della Chiesa (Monumenta paedagogica Societatis Jesu, 1965, p. 109).
Nel 1574 Clavio pubblicò per la prima volta il commento agli Elementi di Euclide che, per il rigore filologico e scientifico, fu considerato fra i più autorevoli. La stesura dell’opera si era giovata della sua esperienza didattica e del confronto con altri studiosi, primi fra tutti Maurolico e Giovanni Paolo Vernalione. Al di là dei vari contributi originali presenti in questo commentario, bisogna segnalare le interessanti riflessioni concernenti il V postulato del Libro I, la vexata quaestio dell’angolo di contatto, oggetto peraltro di una polemica con il confratello Jacques Peletier (1517-1582), l’interpretazione della teoria delle proporzioni del V libro, che probabilmente influenzò anche Galileo, la trattazione della teoria degli irrazionali del X libro.
Nel 1579 il computo ecclesiastico, argomento su cui anni dopo, nel 1597, pubblicherà un trattatello intitolato Computus ecclesiasticus per digitorum articulos mira facilitate traditus, fu oggetto delle sue lezioni nel Collegio romano.
Fu certamente per l’interesse e la competenza dimostrate in questa materia che, nello stesso 1579, papa Gregorio XIII lo nominò Primo matematico nella commissione pontificia istituita per la riforma del calendario giuliano, entrata in vigore nel 1582. Con essa venne corretto l’errore accumulato fino allora dai tempi in cui era andato in vigore il calendario giuliano; contestualmente venivano stabilite norme che avrebbero permesso di fissare con assoluta certezza la Pasqua e le altre feste mobili della Chiesa. All’esame della commissione pontificia fu il progetto approntato anni prima da Luigi Lilio (1510-1576). Clavio eseguì i complessi calcoli sulla scorta dei quali fu stabilita la soppressione in quell’anno di 10 giorni, e che fossero bisestili gli anni divisibili per 4, ma non quelli terminanti per 00, che dovevano invece essere divisibili per 400. Questo criterio è ancora oggi adoperato, ed è così accurato che non richiederà nuove correzioni per molti anni ancora. Infatti ci vorranno 3500 anni per accumulare l’errore di un giorno.
A Clavio, per altro, toccò il compito di pubblicare il nuovo calendario, spiegare le ragioni della riforma e soprattutto difenderla dagli attacchi di teologi e scienziati protestanti, quali Michael Mästlin (1550-1631), Joseph Justus Scaliger (1540-1609) e François Viète (1540-1603). Per queste ragioni Clavio viene riconosciuto come il vero autore della riforma (Novi calendarii Romani apologia, 1588; Romani calendarii a Gregorio XIII […], 1595).
Nel 1583 Clavio pubblicò la Epitome arithmeticae practicae, più volte ristampata, in cui espose tutta l’aritmetica dei numeri interi e frazionari, nonché le regole utili per la risoluzione dei vari problemi che si presentano nella pratica: quella del tre semplice e composto, quelle delle compagnie e dell’alligazione, quella di falsa posizione semplice e doppia, fino alla presentazione delle progressioni aritmetiche e geometriche, nonché di metodi per approssimare le radici irrazionali. In quest’opera Clavio introdusse la moderna notazione per le frazioni; espose inoltre in modo chiaro un metodo per trovare il minimo comune denominatore per fare la somma di frazioni, argomento che prima di lui avevano trattato soltanto Leonardo Fibonacci e Niccolò Tartaglia.
L’Epitome arithmeticae practicae fu la prima di una serie di opere matematiche che, insieme con l’Euclidis Elementorum […], concorsero alla realizzazione del vasto progetto editoriale che Clavio si era prefisso per dotare le scuole della Compagnia di Gesù di tutti i manuali necessari all’insegnamento delle matematiche. In questo ambito si colloca la pubblicazione nel 1604 della Geometria practica e nel 1608 dell’Algebra.
Nella prima di queste due opere egli trattò buona parte degli argomenti che allora venivano annoverati in questa disciplina. In particolare, partendo dalla costruzione e dall’uso di strumenti di misura delle altezze e delle distanze, mostrò come si potessero risolvere, con l’intervento della trigonometria, problemi geodetici e topografici. Passò quindi alla determinazione delle aree delle superfici piane e poi in seguito all’esposizione del De circuli dimensione di Archimede e di alcune altre importanti questioni concernenti la ciclometria.
Quanto all’Algebra, sebbene facesse uso della notazione cossica, nell’esposizione generale della materia seguì la via degli algebristi italiani. Procedette all’esposizione dell’intera algebra dei numeri interi, razionali e irrazionali, considerando per quest’ultimo caso tutta la casistica dei razionali quadratici. Per quanto riguarda le equazioni, piuttosto che fornire una trattazione teorica sistematica delle varie regole risolutive, tenendosi aderente alla tradizione italiana, preferì una trattazione per problemi. Nell’Algebra, apprezzata da René Descartes (1596-1650) e da Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716), Clavio introdusse per primo l’uso delle parentesi per raggruppare termini, e i segni + e − ignorati dagli algebristi italiani del Cinquecento, ma che Michael Stifel (1487-1567) aveva già adoperati in Germania nella sua Arithmetica integra del 1544. Se si aggiunge il fatto che nell’Astrolabium (1593) per primo adoperò il punto per separare la parte intera da quella decimale in un numero decimale, bisogna ascrivere Clavio tra gli autori che hanno contribuito a introdurre la moderna notazione algebrica ancora in uso oggi.
Nella primavera del 1611 Clavio ricevette nel Collegio romano Galilei, che vi si era recato per dare prova delle clamorose scoperte astronomiche che aveva realizzato con il telescopio nel 1610, e con il quale era da tempo in corrispondenza. Insieme con i suoi allievi Clavio poté confermare la veridicità delle osservazioni dello scienziato pisano e farne rapporto positivo al cardinale Roberto Bellarmino, che aveva chiesto un parere in merito. Quello stesso anno, nell’ultima edizione del suo commento al De sphaera mundi […], Clavio scrisse delle scoperte di Galilei relative ai satelliti di Giove e alle fasi di Venere e Giove attestandone l’assoluta fondatezza, ma espresse ancora dubbi circa la presenza di montagne e depressioni sul suolo lunare, la cui ammissione avrebbe portato a negare l’incorruttibilità dei corpi celesti. Tuttavia da questa esperienza egli trasse la convinzione che bisognasse rivedere la teoria astronomica da lui stesso sostenuta fino allora. In questo alcuni studiosi hanno voluto vedere un avvicinamento all’ipotesi copernicana; in realtà Clavio voleva solo invitare i giovani studiosi di astronomia a tenere presente gli importanti contributi che negli ultimi tempi questa scienza aveva ricevuto dalle più recenti scoperte rese possibili dall’invenzione del telescopio. Nonostante avesse nutrito forti dubbi sulla scabrosità della superficie lunare, gli è stato dedicato uno dei crateri di questo satellite.
In Sphaeram Ioannis de Sacro Bosco commentarius, Romae 1570.
Euclidis Elementorum libri XV. Accessit XVI de solidorum regularium comparatione. Omnes perspicuis demonstrationibus, accuratisque scholiis illustrati, Romae 1574.
Gnomonices libri octo, in quibus non solum horologiorum solarium, sed aliarum quo[que] rerum, quae ex gnomonis umbra cognosci possunt, descriptiones geometrice demonstrantur, Romae 1581.
Epitome arithmeticae practicae, Romae 1583.
Fabrica et usus instrumenti ad horologiorum descriptionem peropportuni. Accesit ratio describendarum horarum a meridie et media nocte exquisitissima, et nunquam ante hac in lucem edita, Romae 1586.
Theodosii Tripolitae Sphaericorum libri III. A Christophoro Clavio [...] perspicuis demonstrationibus, ac scholiis illustrati. Item eiusdem Christophori Clavii sinus; lineae tangentes, et secantes; triangula rectilinea, atque sphaerica, Romae 1586.
Romani calendarii a Gregorio XIII P.M. restituti explicitatio S.D.N. Clementis VIII. P.M. iussu edita. Auctore Christophoro Clavio Bambergensi Societatis Iesu. Accessit confutatio eorum, qui calendarium aliter instaurandum esse contenderunt, Romae 1595.
Computus ecclesiasticus per digitorum articulos mira facilitate traditus, Romae 1597.
Horologiorum nova descriptio, Romae 1599.
Compendium brevissimum describendorum horologiorum horizontalium ac declinantium, Romae 1603.
Corrispondenza. Christoph Clavius, ed. critica a cura di U. Baldini, P.D. Napolitani, 7 voll., Pisa 1992.
Monumenta paedagogica Societatis Iesu 1540-1556, a cura di L. Lukács, 1° vol., Roma 1965.
U. Baldini, La nova del 1604 e i matematici e filosofi del Collegio Romano: note su un testo inedito, «Annali dell’Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze», 1981, 2, pp. 63-98.
L. Maierù, La polemica fra J. Peletier e C. Clavio circa l’angolo di contatto, in Storia degli studi fondamentali della matematica e connessi sviluppi interdisciplinari, Atti del convegno internazionale, Pisa-Tirrenia (26-31 marzo 1984), 1° vol., Roma 1984, pp. 226-56.
R. Gatto, Tra scienza e immaginazione. Le matematiche presso il collegio gesuitico napoletano (1552-1670 ca.), Firenze 1994.
Christoph Clavius e l’attività scientifica dei gesuiti nell’età di Galileo, Atti del convegno internazionale, Chieti (28-30 aprile 1993), a cura di U. Baldini, Roma 1995.
B. Baldi, Le vite de’ matematici, ed. annotata e commentata della parte medievale e rinascimentale, a cura di E. Nenci, Milano 1998.
R. Gatto, Christoph Clavius’ “Ordo servandus in addiscendis disciplinis mathematicis”, and the teaching of mathematics in Jesuit colleges at the beginning of the modern era, «Science & education», 2006, 2-4, pp. 235-58.
R. Gatto, Cristoforo Clavio e l’insegnamento delle matematiche nella Compagnia di Gesù, in Il Rinascimento italiano e l’Europa, 5° vol. Le scienze, a cura di A. Clericuzio, G. Ernst, con la collab. di M. Conforti, Treviso-Costabissara 2008, pp. 437-54.