CRISTOFORO da Bollate
Nacque nel ducato di Milano, presumibilmente a Bollate, da Gassano, nella prima metà del sec. XV. Nessuna notizia abbiamo della sua formazione: nei primi documenti in cui, appare il suo nome, risalenti al sesto decennio del secolo, C. appare già avviato a una brillante carriera diplomatica al servizio della Cancelleria sforzesca.
Già dall'agosto del 1463, in un momento in cui i rapporti fra la Francia e il ducato di Milano divenivano sempre più stretti e cordiali, era stato inviato presso Luigi XI da Francesco Sforza l'ambasciatore Alberico Maletta, che era ancora lì agli inizi del 1465. Non si sa se C. lo avesse seguito, come cancelliere, dall'inizio della missione o se lo avesse raggiunto in un secondo tempo. Certo in quel periodo l'oratore sforzesco lo definiva "asai familiare a la Maestà sua": C. infatti fungeva da tramite fra il sovrano e l'oratore che dovendo ritornare a Milano prospettò l'eventuafità di lasciarlo presso il re. Ma ciò poi non accadde, perché C., pur giudicato adatto al compito, fu tuttavia ritenuto "de poca complexione et non bene habile alle presente fatiche", cosicché tornò molto probabilmente in Italia col Maletta nell'aprile del 1465. Si svolgevano allora fra Luigi XI e il ducato trattative di gran momento: infatti Francesco Sforza stava per inviare in aiuto del re contro la lega detta del bene pubblico una spedizione capeggiata dal figlio e si stava trattando il matrimonio di quest'ultimo con Bona di Savoia, cognata del sovrano.
Nel settembre 1465 C. si rimetteva in viaggio, diretto di nuovo presso Luigi XI. Passò prima per Chambéry, dove rese omaggio ai duchi di Savoia, e proseguì, toccando Lione prima della fine del mese. Arrivò a Parigi il 2 novembre, dopo un viaggio pericoloso e faticoso e dopo essere passato anche dal campo di Galeazzo Maria.
Pochi giorni dopo il suo arrivo il re concludeva la pace con i signori ribelli, e C., insieme con Giovanni Pietro Panigarola, ambasciatore milanese residente, cercava di inviare al duca di Milano tutti i particolari dell'accordo. Gli riferiva inoltre il favore del sovrano nei suoi riguardi e l'interessamento perché fra lui e il duca di Calabria si ristabilissero rapporti di amicizia; comunicava infine il grande interesse che mostrava il re perché il matrimonio fra Galeazzo Maria e Bona di Savoia arrivasse a conclusione. Verso la fine dell'anno C., che non aveva mancato di invitare lo Sforza a mostrarsi favorevole alla casa di Borgogna, illustrando quanto ciò poteva convenire al ducato, tornò in Italia.
Ormai pienamente avviato alla carriera diplomatica ed esperto negli affari d'Oltralpe, nell'ottobre del 1466 C. fu inviato dal nuovo duca di Milano ancora una volta presso Luigi XI. Era incaricato di fargli le rimostranze del duca per l'atteggiamento ambiguo che avevano tenuto i duchi di Savoia quando, mentre tornava precipitosamente in patria per la morte del padre, era stato preso prigioniero alla Novalesa. L'anno successivo, quando Luigi XI si inserì nei complicati affari dinastici della Savoia inviando Filippo di Bresse nel ducato perché ne assumesse il governo, Galeazzo Maria, ancora decisamente devoto al re di Francia e alla sua politica, inviò C. presso il Bresse, perché lo complimentasse e gli offrisse aiuti militari. Molto probabilmente C. fu in Francia anche nell'estate del 1468.
L'anno dopo C. compì una importante missione presso Federico III, da cui fu ricevuto il 12 o il 13 luglio, essendo arrivato a Graz almeno dal 30 del mese precedente; espose all'imperatore quanto gli era stato commesso dal duca, non ricevendone in risposta, secondo il solito atteggiamento di Federico, che cortesie formali. Attento a quanto gli avveniva intomo, C. si spostò con la corte a Vienna ai primi del 1470; di lì non mancava di riferire gli incontri e gli umori intercorrenti fra l'imperatore e Mattia Corvino, allora in lotta con il re di Boemia, e coltivava anche relazioni con il re di Ungheria, che sollecitava per ottenere prese di posizione contro Venezia. Il 9 maggio C. era di ritorno a Pavia, da dove scriveva a Galeazzo Maria, mettendo ancora in rilievo la buona disposizione del re verso il ducato. Dall'autunno del 1471 al gennaio del 1472 C. compi una missione diplomatica presso re Renato d'Angiò, i cui condottierì erano allora impegnati nella Catalogna contro Giovanni II re d'Aragona, e l'Angiò alla fine dell'ambasciata fece richiesta attraverso di lui al duca di due navigli da trasporto. Nella primavera del medesimo anno C. si recò in Savoia per consegnare alla reggente Iolanda, rimasta allora vedova, 2.000 scudi, concessile in prestito dallo Sforza.
Nell'autunno C. tornava in Francia, dove si recò insieme con Marco Trotti, per sottoporre a revisione il trattato del 24 genn. 1470 e per consegnare 60.000 ducati al re.
L'adempimento di questo secondo incarico costò qualche difflcoltà a C., che nel Forez fu raggiunto da Filippo di Bresse, il quale tentò invano di farsi consegnare la somma e non avendola ottenuta fece rimostranze al sovrano contro di lui. Inoltre il re scrisse allo Sforza accusando il ricevimento della somma, ma sostenendo di non aver avuto intenzione di usarla, come si credeva a Milano, contro la Catalogna. Il 16 genn. 1473 i due ambasciatori stipularono a Lione con i delegati dei re una convenzione, con la quale Luigi XI rinnovava l'infeudazione di Genova al duca di Milano, si impegnava a non allearsi con Venezia, a includerlo in eventuali suoi trattati con la Borgogna e la Bretagna e ad astenersi dal chiedergli aiuti per tre anni. Dal canto suo Galeazzo Maria dichiarava che Genova e Savona gli erano concesse dal re in feudo e che non aveva alcun accordo con i duchi di Borgogna e di Bretagna.
Tra il 1473 e il 1475 C. rimase in Francia o per lo meno vi tornò continuamente.
Non era più però, quella, una sede invidiabile per un ambasciatore, ché la politica del giovane duca diveniva sempre meno lineare nei confronti del re. Rispetto alla Savoia, alla quale Luigi XI guardava gelosamente e non solo per il rapporto di parentela che lo legava alla reggente, il duca aveva un atteggiamento ancora più ambiguo di quello suo solito e nel febbraio-marzo 1474 offriva al re, attraverso C., di portare un'attacco a Iolanda, sospettata di un tentativo di avvelenamento del fratello. La politica del duca in Italia lo portò a stringere il 2 nov. 1474 con Firenze e con Venezia una lega, giudicata con diffidenza dal sovrano francese, al quale C. cercò di gabellarla come un'alleanza contro il Turco. Erano però soprattutto i maneggi dello Sforza con Carlo il Temerario, inutilmente dissimulati, che avevano ormai cambiato la disposizione del re nei suoi riguardi. Intanto C. doveva farsi strumento di questa politica oscillante ed infida e manifestare al re unlipotetica intenzione dello Sforza di allearsi con Sigismondo, duca d'Austria, e, all'inizio del 1475, saggiare il sovrano per sapere se la duchessa d'Orléans avrebbe venduto Asti al ducato di Milano. Fino a che con l'alleanza del 30 genn. 1475 con il duca di Borgogna, il duca di Milano si rivelò chiaramente filoborgognone, provocando il risentimento del re, che fu espresso a Cristoforo.
Questi, pochi giorni prima della firma del patto di Moncalieri, aveva addirittura esortato il sovrano, in nome del duca, ad attaccare Carlo il Temerario, per cui si trovò in una posizione difficilissima, tanto più che, oltre a dover sopportare le rampogne del re, dovette far fronte alle istanze dello Sforza, che gli ingiunse di rientrare subito nel ducato, fino a minacciarlo, il 14 marzo, del "bando de rebellione perpetua" e della confisca dei beni, se non avesse ottemperato immediatamente all'ordine. Infatti, anche se C. rimanendo a Parigi presso il sovrano aveva dimostrato la sua utilità inviando nel febbraio a Milano un estratto del trattato stretto fra il re e gli Svizzeri (in guerra contro Carlo il Temerario) e continuando le trattative per il riacquisto di Asti, in vista dei quale era stata ventilata anche la possibilità di un matrimonio fra un figlio della duchessa di Orléans e una figlia del duca di Milano, tuttavia, come aveva fatto suggerire anche la duchessa Iolanda allo Sforza, la presenza dell'ambasciatore alla corte del re di Francia era vista con troppo sospetto dal nuovo alleato borgognone.
Fu probabilmente dopo la morte del duca che C. divenne cancelliere della Cancelleria segreta. Nell'agosto 1478 egli si recò, dopo una malattia che ne aveva ritardato la partenza, a Firenze, ove era anche Filippo di Commynes, inviato di Luigi XI, riavvicinatosi alla reggente Bona, il quale dopo una sosta a Milano, si era fermato nella città toscana, prima di recarsi presso Sisto IV.
Successivamente non si hanno per alcuni anni notizie di C., che forse per i cambiamenti politico-dinastici avvenuti nel ducato fu lasciato inutilizzato, per lo meno in quanto all'attività diplomatica.
Alla morte di Carlo I di Savoia (14 marzo 1490) però C., che doveva essere ormai anziano, fu inviato da Lodovico il Moro in Savoia e, poiché si era sospettato che la morte del duca fosse dovuta ad avvelenamento, egli visitò il corpo insieme con Niccolò Cusano e accertò che il sospetto, come scriveva il 15 marzo al duca, era infondato. Rimase in Savoia almeno fino all'estate di quell'anno e benché fosse entrato in rapporto con i piu ragguardevoli personaggi della corte, pare che da alcuni la sua presenza non fosse vista di buon occhio.
C. morì prima del 1497.
Aveva fondato una cappella nella chiesa di S. Pietro di Gessate; fece testamento nel 1493 a favore della figlia Laura e, nel caso che ella gli fosse premorta senza figli, a favore del genero Giovanni Antonio Biglia.
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