CRISTOFORO da Cremona (al secolo Picenardi)
L'esistenza di questo sacerdote cappuccino è validamente documentata solo dai primi di giugno del 1630, vale a dire dal momento della sua ammissione, all'epoca della peste, nel lazzeretto di Milano, nel quale i cappuccini, sotto la guida del padre Felice Casati da Milano, svolsero, perdendovi spesso la vita, un imponente servizio di assistenza materiale e spirituale degli appestati. Pochi giorni dopo, il 10 giugno, C. moriva, "di peste, stimata da lui catarro, ma dagli altri tutti giudicata vera peste, avendo servito con molto fervore di carità et essempi religiosi a' poveri apestati".
La pubblicazione, nel 1827, dei Promessi Sposi del Manzoni. provocando un dibattito sulla "storicità" o meno dei personaggi del romanzo, destò l'interesse degli studiosi sulla figura di C., in cui si individuò presto, ad opera di C. Cantù e poi di D. Muoni, il "modello" del "Padre Cristoforo da ***" del romanzo. Non solo le ultime vicende di questo personaggio dei Promessi Sposi ricalcano in effetti quello che si sa del C. storico, ma nella sua prima apparizione nel Fermo e Lucia non vengono taciuti i suoi natali cremonesi. là del resto certo che il Manzoni conobbe il terzo dei tre documenti più avanti citati tra le fonti, ed è molto probabile che abbia avuto accesso anche al primo. L'indagine sulla reale figura storica di C. è stata peraltro ripetutamente turbata dai contributi, di scarsa correttezza filologica, di studiosi che, nell'intento di tracciare una sua biografia che coincidesse integralmente con la narrazione manzoniana, hanno proposto, senza l'avallo di valide prove documentarie, l'identificazione di C. con il nobile cremonese Lodovico Picenardi, figlio di Giuseppe e di Susanna Cellana, battezzato il 5 dic. 1568, simile al Lodovico manzoniano per la giovinezza audace e scapestrata.
Fonti e Bibl.: Tre documenti ci forniscono dati di vario valore sul padre Cristoforo. Il più antico e attendibile, da cui si è tratta sopra la citazione sulla morte, è il Processo autentico sul servizio dei cappuccini nella peste del 1630 a Milano, conservato in un codice manoscritto all'Arch. di Stato di Milano, Fondo di Religione, parte antica, Conventi cappuccini, Atti stor., Provincie, Milano, cartella 6500, n. 6. Il Processo fu voluto, nel 1646, dal padre generale dell'Ordine, per accertare "le gesta degne di essere inserite negli Annali" dell'Ordine stesso, compiute dai cappuccini in quella occasione; all'uopo si interrogarono i padri superstiti, tra i quali - lo stesso padre Felice Casati. Il Processo, indicato con altri e spesso scorretti titoli dai primi ricercatori che lo segnalarono. è stato pubblicato integralmente per la prima volta dal padre Ottavio da Alatri in quattro puntate su L'Italia francescana, XII (1937), pp. 226-237, 326-334, 415-420, e XIII (1938), pp. 33-36; è ora reperibile in Docum. cappuccini di interesse manzoniano,. a cura di G. Santarelli, Ancona 1973, pp. 97-133. Trattando della peste del 1630, sembra utilizzare tra le proprie fonti anche il Processo ilpadre Massimo Bertani da Valenza, nei suoi Annali de' Frati minori cappuccini, Milano 1714, III, 3, pp. 97-133, ora in Documenti cappuccini...., pp. 185-231. Tra le fonti, il solo Bertani fa appartenere C. alla "nobilissima famiglia de' Picinardi": con ogni probabilità egli deriva dal Processo ilnome dei Picenardi e giunge all'illazione della nobiltà solo a causa dell'esistenza di una famiglia Picenardi nobile a Cremona. Infine, attività e morte di C. nel lazzeretto sono descritte da P. La Croce, Mem. delle cose notabili successe in Milano intorno al mai contaggioso l'anno 1630..., Milano 1730, p. 12, ora in Documenti cappuccini..., p. 249. Anche in questo caso sembra evidente una almeno parziale derivazione dal Processo; ilLa Croce aggiunge solo il particolare degli "ostacoli" (peraltro di imprecisata natura) che C. dovette superare per poter accedere al lazzeretto, particolare che poté dare al Manzoni, che le Memorie conobbe e possedette, lo spunto per l'esilio a Rimini del personaggio del romanzo. Dopo la pubblicazione dei Promessi Sposi, la corrispondenza tra il C. dei La Croce e il frate manzoniano fu rilevata per la prima volta da C. Cantù nei Ragionamenti sulla storia lombarda del sec. XVII per commento ai Promessi Sposi di A. Manzoni, Milano 1832, p. 118, e più tardi nel Commento stor. ai Promessi Sposi o la Lombardia nel sec. XVII, Milano 1874, p. 205 n. 18. La "riscoperta" del codice del Processo (creduto smarrito, ma in realtà solo collocato, nella prima metà dell'Ottocento, secondo criteri archivistici inconsueti, non tanto tuttavia da renderne improbabile la consultazione da parte dei Manzoni: vedi Documenti cappuccini..., Introd, pp. 14-21) fu comunicata da D. Muoni, L'antico Stato di Romano in Lombardia ed altri comuni del suo mandamento, Milano 1871, pp. 243 s. Il Muoni è il primo dei moderni ad attribuire a C. la nobiltà, pur basandosi sul solo Processo, che non ne fa parola: una svista il cui meccanismo avvalora l'ipotesi già avanzata che a un fenomeno analogo si debba la testimonianza del Bertani sullo stesso punto. La tesi dell'identificazione di C. con il nobile Lodovico Picenardi è stata sostenuta da L. Luchini in Fra C. dei Promessi Sposi personaggio storico cremonese, Bozzolo 1892; il Luchini è tornato ancora sul problema con il Commentario dei Promessi Sposi, ovvero la rivelaz. di tutti i personaggi storici, Lecco 1904, pp. 22-52. Sulla linea inaugurata dal Luchini si pongono il saggio del padre Maurizio da Villa di Serio, Il Padre C. dei "Promessi Sposi" era di Cremona, in Gloriose pagine di storta cappuccino-cremonese. Storica realtà e Patria del Padre C. manzoniano, Cremona 1929, pp. 79-94, e la voce dedicatagli dal Lexicon Capuccinum, Romae 1951, col. 401. Una confutazione ironica e puntuale delle tesi del primo saggio dei Luchini è sviluppata in padre Felice da Mezzana, Cenni sul p. C. del Manzoni, Crema 1899, precedentemente apparso senza indicazione d'autore come appendice II in Valdemiro Bonari da Bergamo, Icappuccini della provincia milanese..., II, Crema 1898, pp. XXIII-LIV. Per la correttezza critica della sua impostazione questo contributo e dichiaratamente debitore al saggio di L. Sailer, P. C. nel romanzo e nella storia, in Nuova Antologia, 16 luglio 1885, pp. 199-228, poi raccolto in F. D'Ovidio-L. Sailer, Discussioni manzoniane, Città di Castello 1886, pp. 147-196, che, pur occupandosi solo marginalmente del problema della identità del C. storico. scoraggia opportunamente i tentativi di trovare un precedente "storico" univoco per il personaggio manzoniano, che riprende tratti del cappuccino tipo del Seicento, come tali reperibili in più d'una figura storica. Tesi, questa, validamente ripresa in G. Santarelli, I cappuccini nel romanzo manzoniano, Milano 1970, pp. 99 ss. Del Santarelli, vedi anche la rassegna del dibattito su C., in Il p. C. manzoniano nella critica, Milano 1971.