CRISTOFORO di Beltramo (C da Conigo)
Originario di Conigo, frazione di Binasco (in provincia di Milano), lo troviamo operoso nel duomo di Milano dalla primavera dell'anno 1394 (Annali..., I, 1877, p. 112) sotto la direzione del padre Beltramo, maestro delle opere in legno presso la Fabbrica del duomo di Milano, col compito di apprendere da lui le cognizioni tecniche sufficienti a sostituirlo nell'attività quando se ne fosse presentata la necessità, cosa che avvenne due anni dopo (ibid., p. 160); nel 1396 è documentato per la prima volta (Maiocchi, 1937, p. 18 n. 64) nella certosa di Pavia.
Si delinea in questo rapporto tra padre e figlio un caso non infrequente di trasmissione familiare di esperienza e perizia tecnica, di cultura, in grado di assicurare, per generazioni, attraverso queste maestranze di secondo piano, la continuità di lavoro in fabbriche e cantieri che, di lentissimo sviluppo, non avrebbero altrimenti raggiunto organica ed armonica conclusione.
Da più parti (Beltrami, Arslan, Romanini), infatti, si è insistito sul valore di conservazione delle tradizioni costruttive lombarde che la presenza di C. avrebbe garantito almeno nella definizione in pianta del complesso principale degli edifici della certosa di Pavia, rimasta la stessa nel susseguirsi del tempo e sotto la spinta di soluzioni architettoniche diverse fra loro.
Nel caso degli artisti originari di Conigo in particolare, oltre ad affacciarsi l'immagine di una gelosa tradizione trasmessa da Beltramo a C. e da questo al figlio Bernardo, presente con lui nei lavori della certosa nel 1445 (Magenta, 1897, p. 107 n. 3), si presenta anche l'ipotesi che un certo gruppo familiare, o solo accomunato dal paese d'origine, fosse impegnato nello stesso cantiere e città e vi svolgesse attività affine.
Una serie di documenti, pubblicati dal Maiocchi (1937, nn. 68, 74, 266, 331, 356, 403, 502), attesta la presenza in Pavia, negli anni fra il 1396 e il 1460, di un Paolino da Conigo e del figlio di questo, Ambrogio, che svolgevano attività di "magistro a lignamine" o di "picator, intaliator lapidum". Si può notare, anche, che fra Paolino e C. intercorsero rapporti di lavoro (ibid., pp. 19, 20), che Paolino mori probabilmente prima del 1444 (ibid., p. 59), che nel registro della certosa (Magenta, 1897, p. 108; Maiocchi, 1937, n. 192) si cita anche Iacopo da Conigo; mancano tuttavia sufficienti prove di una loro possibile parentela. Resta, invece, accertata l'analogia dell'attività in cui alternavano il compito di intagliatori in legno a quello di lapicidi, come è detto in altro luogo (Arch. di Stato di Milano, Liber texaurarii signatus S, 1428-1434, passim: cfr. Beltrami, 1895) dello stesso Cristoforo.
Questo sembra accreditare l'opinione espressa dal Boito (1889) che il termine "ingegnere" non dovesse intendersi "nel significato di oggi", ma "si dava a maestri di diverse arti" senza, però, che costoro debbano essere ridotti al rango di semplici falegnami come egli vorrebbe.
IL necessario, anzi, alla luce di recenti, fondamentali studi sull'architettura pavese dei Quattrocento, riesaminare il valore di certe soluzioni "artigianali" (Peroni, 1978, p. 37), soprattutto "la componente lignea dell'architettura, colpevolmente trascurata dagli studi medievalistici e meno ancora per l'età gotica e rinascimentale".
Sulla traccia di un'originale e difficile riscoperta, per la precarietà della documentazione rimasta, sarà possibile definire meglio la figura, se non di Beltramo, certo di C. il quale, dopo aver fatto i suoi primi passi come ingegnere idraulico (Annali..., I, 1877, p. 160), si stabilì alla certosa, affiancando con una varietà di compiti sorprendente (Maiocchi, 1937, p. 62) altre personalità di rilievo come Bernardo da Venezia, Domenico da Firenze, Giacomo da Campione, Guiniforte e Giovanni Solari, finendo per rappresentare "una certa continuità di direttive... nella lentissima fabbrica" (Romanini, 1955, p. 623). Questa continuità non fu solo formale ma sostanziale, tesa a contrastare, nel momento di abbandonare il "modo gotico", il "Inodo fiorentino" del Filarete che andava diffondendosi da Milano, e a riallacciarsi alle fonti romanico-lombarde, che l'Arslan (1956, p. 608) ravvisa ancora nella tribuna esterna e nella cupola.
Se, infatti, non possiamo più valutare la perizia di C. nell'eseguire porte, ante e finestre degli edifici del monastero, né tavoli e armadi per il capitolo e la libreria o gli stalli del coro originario (Magenta, 1897, pp. 106 s., 376; Beltrami, 1895, p. 37), possiamo riassumerne la cultura in un'opera tarda, sicuramente documentata. Già nel trovarne più volte citato il nome nei registri di spesa della certosa, l'Albertini Ottolenghi (1968, p. 15) si era chiesta se non se ne dovesse rivedere l'importanza; il fortunato ritrovamento di un documento inedito, datato 4 marzo 1453 (Albertini Ottolenghi, 1982) suffraga l'ipotesi, attribuendogli la costruzione dei soffitto del braccio sud dell'ospedale della Pietà fondato dai Pavesi nel 1449, in un recente e fondamentale studio (Albertini Ottolenghi, 1983, pp. 27 s.).
C., in età ormai avanzata, imposta sul braccio della crociera "40 travi, sostenute da 80mensole, intagliate a modo di grande foglia e naturalmente collegate ad un sistema di capriate per la copertura del tetto"; sul soffitto, "secondo un calcolatissimo ritmo di intervalli, lacunari quadrati suddividono il piano. In ciascun intervallo questo piano è raccordato da tavolette oblique ciascuna dipinta con un busto d'angelo..." (Peroni, 1978, pp. 37 s.).
Questo soffitto, recuperabile anche nel suo valore pittorico e cromatico in quello che è oggi l'istituto universitario di storia dell'arte, permette sempre a Peroni, non ancora in possesso dei documento sopracitato, di fare chiari riferimenti alle grandi sale comuni della certosa, di poco precedenti e ci riconduce, quindi, a C. morto certamente dopo questo periodo, forse dopo il 1460(Chierici, 1958,, p. 3,per proporre un'apertura, invece di una conclusione, di indagine. Un avventuroso viaggio di esplorazione dei sottotetti della certosa potrebbe far scoprire i precedenti, forse perduti o forse solo ignorati, dell'unica opera certa di Cristoforo.
Fonti e Bibl.: Annali della Fabbrica dei Duomo di Milano, I, Milano 1877, pp. 112, 127, 158, 160, 172; C. Magenta, IVisconti e gli Sforza nel castello di Pavia, V, Milano 1883, pp. 376, 387; C. Boito, Il duomo di Milano, Milano 1889, p. 170; L. Beltrami, Storia documentata della certosa di Pavia, Milano 1895, pp. 24, 25, 37, 54, 57, 64; C. Magenta, La certosa di Pavia, Pavia 1897, pp. 91, 93, 103, 106, 107, 108, 148, 376, 385, 443; R. Maiocchi, Codice diplom. artistico di Pavia. Dall'anno 1330 all'anno 1550, I, Pavia 1937 (cfr. R. Cipriani, Indice del codice..., Milano 1966, ad vocem); A. M. Romanini, L'archit. viscontea nel XV sec., in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 623, 625; E. Arslan, L'archit. milanese nella seconda metà del '400, ibid., VII, ibid. 1956, pp. 605, 608; G. Chierici, Guida alla certosa di Pavia, Roma 1958 pp. 3. s; A. M. Romanini, L'archit. gotica in Lombardia, Milano 1964, pp. 426, 476; M. G. Albertini Ottolenghi, L'archit., in La certosa di Pavia, Milano 1968, pp. 12, 15, 16; A. Peroni, Residenza signorile e costruz. pubbliche, in Pavia, architetture dell'età sforzesca, Torino 1978, pp. 24, 37 s.; M. G. Albertini Ottolenghi, Per i Mantegazza: note sui capitelli pensili dei chiostri della certosa di Pavia, in Atti del Convegno internaz. "La scultura decorativa del primo Rinascimento", Milano 1982, pp. 113, 122; M. G. Albertini Ottolenghi, Pavia alla metà del Quattrocento. Nuovi docc. sull'architettura e sulla pittura, in Studi di storia delle arti, VI(1983), pp. 27 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon. VIII, p. 117.