CRISTOFORO di Bindoccio
Ricordato anche con il soprannome di Malabarba (e a volte Malombra), questo pittore è documentato a Siena dal 1361 al 1407 (la data 1447 a proposito di lavori di scultura a Orvieto, riportata dal Romagnoli [1835. IV, p. 109], non può riferirsi all'artista in questione).
Nel 1361 C. è ricordato insieme con un Francio di Vannuccio per aver eseguito pitture "in più luoghi" a Montalcino (Milanesi, 1854, p. 33); con molta probabilità si riferisce a lui un pagamento del 1362 a "Cristoforo del Mo Bindoccio" (Arch. di Stato di Siena, Biccherna, 243, c. IIII), letto da Michael Mallory nelle note inedite del Milanesi, e gentilmente comunicato; nel 1370 firmò insieme a Meo di Pero gli affreschi nella cappella del Manto dello spedale di S. Maria della Scala (cfr. I RR. Spedali Riuniti di S. Maria della Scala, Siena 1913, p. 27); nei 1382 ricevette un pagamento, insieme a Meo di Pero, "per due angioletti che fero e rinfrescàro che stano in su l'altare magiore di Duomo" (Milanesi, 1854, p. 33); nel 1384 "Cristofano di maestro Bindoccio" è menzionato insieme a "Meio di Piero pintore" (Arch. di St. di Siena, Lira Preste 287: com. di G. Moran); nel 1386 fu tra i consiglieri del terzo di S. Martino (Milanesi, 1854, p. 33); nel 1388 partecipò come consigliere alla scelta del progetto per le "testiere del coro" del duomo (Milanesi, 1856, pp. 354, 365); nel 1390 è elencato come consigliere del terzo di S. Martino (informazione di Michael Mallory); nel 1392 ricevette insieme a Meo di Pero due rate del pagamento per una tavola con il Salvatore "che feciero a la Capela del Champo" (Milanesi, 1854, p. 33); nel 1393 fu pagato insieme a Meo di Pero "pro pictura armorum Comitis Virtutum, que Pinxerunt ad Ianuam Camollerie" (ibid.); nello stesso anno ricevette un pagamento insieme a Bartolo di Fredi e a Meo di Pero "eo quod pinxerunt et reactaverunt Mappamundum" nel palazzo pubblico e, due giorni dopo, per aver dipinto insieme a Bartolo di Fredi e Giusaffà di Filippo uno stemma sulla facciata del palazzo pubblico (Milanesi, 1856, p. 37); ancora nel 1391 firmò insieme con Meo di Pero il ciclo di affreschi in S. Maria a Campagnatico (Padovani, 1981, pp. 56-59); nel 1395 fu pagato per un intervento di restauro su un'immagine della Madonna sulla facciata del duomo (Milanesi, 1854, p. 33); nel 1403 ricevette l'ultimo pagamento per la tavola con il Salvatore della cappella di piazza del Campo (ibid.); nel 1406 fu pagato per il compimento della decorazione di una volta del duomo, che era stata iniziata da Giusaffà di Filippo (ibid., p. 34); nel 1407 "Cristofano di Bindoccio detto Malombra dipentore paga den. 2 e Meio di Pero dipentore presso lui ne paga 1" (Romagnoli, 1835, IV, p. 109); nello stesso anno fu registrato il matrimonio tra "m.o Cristofano di Mo. Bindoccio dipentore, e Madonna Margharita, con dote di fiorini 124" (ibid.).
Le non poche notizie documentarie attestano che C. dovette essere un personaggio di primo piano a Siena nella seconda metà del Trecento, e che ebbe una posizione di preminenza rispetto al compagno di bottega, Meo di Pero. Le commissioni di prestigio per cui sono registrati i pagamenti si riferiscono ad opere andite ormai perdute: ma i resti della decorazione della cappella del Manto nello spedale di S. Maria della Scala, firmata nel sommo dell'arcone centrale ("Hoc opus pinserunt Cristofanus magistri Bindocci et Meus Peri de Senis M.CCC.LXX"), e il ciclo con Storie della Vergine nell'abside di S. Maria a Campagnatico, dove il recente restauro (1979-80) ha recuperato la firma dei due pittori e la data, 1393, permettono di ricostruire la rilevante vicenda artistica di questa bottega, caratterizzata da una sostanziale unità di stile.
Alla fase giovanile, iniziata probabilmente poco dopo la metà del secolo, sembrano appartenere una tavoletta con la Madonna col Bambino (Berenson, 1969) e un'altra di uguali dimensioni con Cristo in pietà (Bologna, 1969), ora entrambe di ubicazione sconosciuta, che in origine formavano un dittico: nelle due tavolette,. a cui va accostato un affresco staccato conservato nella chiesa di S. Donato a Siena raffigurante la Madonna col Bambino (Perkins, 1932), la pittura di C. appare capace di rielaborare in forme autonome di notevole qualità i prototipi lorenzettiani, con soluzioni parallele ai risultati di maestri come Niccolò di Ser Sozzo o Lippo Vanni intorno al 1350. Il riferimento alla pittura monumentale e al tempo stesso preziosa e decoratissima di Niccolò di Ser Sozzo diventa particolarmente evidente in un trittichetto dello Städelsches Kunstinstitut di Francoforte sul Meno (n. 996), e in una piccola Maestà di collezione privata americana (catal. di vendita Sotheby Parke Bernet, New York, 9 genn. 1980, lotto 21), che vanno ricondotti nell'ambito di questa bottega ad una data non lontana dagli affreschi di S. Maria della Scala del 1370.
Questa commissione prestigiosa nella cappella dello spedale, che nel sec. XV fu denominata la cappella dei Manto per l'affresco di Domenico di Bartolo, ma che era stata costruita come la cappella delle reliquie (cfr. Gallavotti Cavallero, 1974)dovette sancire l'affermazione di C. e Meo di Pero nell'ambiente artistico senese: i pochi rovinatissimi frammenti e i busti di Santi entro polilobi nei sottarchi lasciano cogliere un riflesso dell'effetto originale della decorazione, e si può ancora apprezzare nei particolari il gusto raffinato e la cura minuziosa con cui sono rese le vesti e le acconciature delle figure imponenti, degne di stare accanto alle opere dei più noti protagonisti della pittura senese di quegli anni, da Iacopo di Mino ad Andrea Vanni a Bartolo di Fredi.
Dopo il 1370 il linguaggio di C. si definisce in una formula vivacemente espressionistica, che si mantiene fino alla fine del secolo con una coerenza a volte al limite della fretta e della meccanicità, senza che mai la costante presenza del compagno, Meo di Pero, faccia registrare alcuna variazione. Le Storie di s. Francesco affrescate nell'abside della chiesa di S. Francesco a Pienza (Brandi, 1933) costituiscono un'impresa di grande impegno per i due pittori, che lavorarono anche sulle pareti della navata, a quanto si può giudicare dal frammento con la figura di S. Antonio abate conservato sulla parete destra. L'ambientazione spaziale complessa e affollata ricorda gli esempi di Bartolo di Fredi a San Gimignano e gli affxeschi di S. Michele a Paganico; ma le figure allungate secondo il gusto gotico diffuso verso la fine del secolo sembrano suggerire una data già intorno al 1380, nonostante gli arcaismi che in questo linguaggio sono una caratteristica costante.
Molto vicine alle Storie di s. Francesco a Pienza sono alcune opere su tavola di piccole dimensioni, che costituiscono un interessante documento della, produzione della bottega di C. e Meo di Pero, attivi per committenti pubblici e contemporaneamente per il mercato.
Si tratta della Madonna in trono e santi della Pinacoteca nazionale di Siena (n. 181); delle due valve con Quattro santi e l'Annunciazione, della stessa Pinacoteca (n. 221); di un trittichetto sul mercato antiquario (catal. di vendita Palais Galliera, Paris, 29 nov. 1973, lotto 16; catal. di vendita Semenzato, Venezia, 30 maggio 1980).
Gli stessi stilismi, le stesse fisionomie, le stesse ingenue soluzioni architettoniche si riconoscono anche in un altro grande ciclo di affreschi monocromi, con scene bibliche e cristologiche, che ornavano le pareti del refettorio dei cavalieri gerosolimitani in S. Pietro alla Magione a Siena. In gran parte distrutte per le trasformazioni subite dal locale probabilmente nel sec. XVIII, le pitture furono restaurate intorno al 1957(cfr. Bollettino della Società senese degli amici dei monumenti, 1957, pp. 45s.)e collocate, in scene frammentarie e spesso ormai difficilmente leggibili, parte sulle pareti della chiesa di S. Pietro alla Magione, parte negli ambienti del piccolo museo allestito nella vicina chiesa di Fontegiusta. In questa zona C. eseguì, inoltre, l'affresco un tempo molto venerato sulla porta di Pescaia, la cui parte centrale con la Madonna col Bambino fu tagliata in antico e collocata col muro al centro dell'altar maggiore della chiesa di Fontegiusta, opera del Marrina: l'immagine della Madonna ècompletamente ridipinta, ma i busti di S. Paolo e S. Bartolomeo che facevano parte dell'affresco (e che si conservano nel Museo della chiesa di Fontegiusta) permettono ancora di riconoscere la mano della bottega di C. (riconoscibile inoltre, sotto il quasi totale rifacimento, in una frammentaria figura di Santa affrescata sulla controfacciata della chiesa dei servi a Siena).
L'ultima opera di grande respiro che conosciamo di C., sempre assistito dall'inseparabile Meo di Pero, è il ciclo con Storie della Vergine in S. Maria a Campagnatico, firmato sul lato sinistro dell'abside: "Questa chappella di Sca Maria fecer dipegnare / e loperari nomati cioè Giacomo Vannucci / e Fruosino Donati maestri cioè Cristofano del maestro Bindocio / e Meio di Pero dipentori / da Siena e' q[u]ali Dio guardi / dogni cosa ria / e lanni domini / M.O.C.C.C. LXXXXIII / al tempo di ...". La Natività, la Presentazione al tempio, lo Sposalizio, la Morte e l'Assunzione (l'Annunciazione è andata in gran parte perduta) sono ambientate nei caratteristici palcoscenici complessi e prospetticamente traballanti che si sono riscontrati nei cicli e nelle tavole precedenti, e sono raccontate con una immediatezza popolaresca e illustrativa che non manca di interesse. La collocazione periferica e la data avanzata giustificano il risultato un po' deludente rispetto alla più valida produzione giovanile, di cui tuttavia questa tarda commissione conserva tutti i caratteri stilistici.
Così ricostruito sulla base dei due cicli firmati, 1370 e 1393, il profilo artistico di C. (mentre accanto a lui Meo di Pero, che pure svolse numerosi incarichi pubblici, rimane in sottordine come pittore) si distingue dal linguaggio per molti aspetti affine di maestri come Luca di Tommè o Bartolo di Fredi, al cui ambito le sue opere venivano a volte riferite.
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