GARATONE (Garaton, Garatoni, Garatono, Garatonus, Garathonius), Cristoforo
Nacque a Treviso, in data anteriore al 1398, da Pietro e da una Riccardina di casato ignoto.
Il padre è probabilmente da identificare con un Pietro di Filippo, di origine imolese, nato attorno al 1347 e morto non oltre il 1403, militare al servizio della Repubblica a Mestre e Treviso; nel censimento del 1397, già pensionato, risultava avere sei bocche a carico; tra i figli ci sono noti almeno un altro maschio e due femmine: Cecilia e Giovanna.
Dopo i primi studi, presumibilmente nella città natale, frequentò la facoltà di arti a Padova, anche grazie a sovvenzioni pubbliche concessegli dai podestà di Treviso.
Al periodo universitario risale la conoscenza di Gasperino Barzizza, di cui resta notevole traccia in un codice delle Filippiche di Cicerone (Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 1757), da lui fittamente chiosato. Le annotazioni risultano preziose per ricostruire contenuti e metodo delle lezioni dell'umanista bergamasco, indirizzate alla trasmissione di un'esperta conoscenza linguistica nel duplice versante lessicale e retorico, arricchita dall'analisi critica della tradizione testuale. Probabilmente in suo possesso fino dalla fase iniziale degli studi fu un altro codice, contenente il lessico di Papia (ibid. 1466), che pure postillò ampiamente con note, di cui alcune però attribuibili ad anni più tardi. Databile al tempo dei primi anni in Curia, ma sicuramente con riferimento all'epoca degli studi universitari, anche la testimonianza dei versi altamente elogiativi dedicatigli da Antonio Baratella nella sua Laureia (Venezia, Bibl. naz. Marciana, Lat. XII.174 [3955], c. 12rv).
Addottoratosi il 21 ott. 1420, due anni dopo sostenne l'esame per accedere al notariato davanti al conte palatino Carlo di Collalto, ricevendone l'approvazione (29 apr. 1422, Arch. di Stato di Treviso, Notarile, v. 288, alla data: cfr. Pesce, 1974, p. 28): non sembra però che nell'immediato esercitasse la professione. Si trasferì invece a Verona, alla scuola di Guarino Guarini, dove frequentò il corso di greco fino al luglio del 1423. Tra i condiscepoli che nello stesso periodo seguivano le lezioni guariniane vanno ricordati almeno Ermolao Barbaro e il francescano Alberto Berdini da Sarteano, che il G. avrebbe in seguito ritrovato al suo fianco in varie occasioni. Agli anni degli studi appartengono alcuni versi italiani, di mediocre fattura, per una Arcinzia, probabile pseudonimo di un'altrimenti ignota giovane.
Già nel settembre del 1423 era a Costantinopoli, cancelliere del bailo veneziano Pietro Contarini. Nella capitale dell'Impero d'Oriente soggiornò ricoprendo lo stesso ruolo almeno fino al 1428 (e forse fino al 1430 o 1431).
Non sappiamo attraverso quali conoscenze e protezioni avesse ottenuto l'importante incarico (che era stato di Guarino e di F. Filelfo): una segnalazione può forse darla proprio Guarino, che sembra parlare di lui in una lettera a Francesco Barbaro; ma è anche probabile che siano state particolari benemerenze del defunto padre a propiziare la sua sistemazione, secondo la consolidata tradizione del governo veneto di favorire i servitori della Repubblica e i loro familiari. Poco sappiamo di concreto anche degli incontri e degli studi durante il soggiorno costantinopolitano, ma non c'è dubbio che di quella esperienza i frutti principali siano stati un perfezionato controllo del greco parlato e letterario, un'appassionata ricerca di testi letterari, prevalentemente classici, e una conoscenza dell'ambiente che si sarebbe rivelata di grande utilità nelle missioni diplomatiche cui in seguito fu chiamato. I codici greci appartenuti al G. finora identificati (una ventina, di cui alcuni scritti su sua commissione, tra l'altro dal diacono Giorgio Crisococca il giovane) componevano un'importante collezione, in cui accanto a grammatiche e lessici di età tardoantica o bizantina il posto d'onore era occupato dai classici pagani: Omero, Esiodo, Pindaro, Teocrito, Oppiano, Platone, Isocrate, Senofonte, Aristotele, Polibio, Diodoro, Plutarco, Arriano, Libanio, Temistio; scarsissima la presenza di autori cristiani. Tranne il Diodoro finito a Firenze (Bibl. Medicea Laurenziana, Gr. LXX.34), gli altri volumi sono tutti conservati nella Biblioteca apost. Vaticana, divisi nei fondi Chigiano e Vaticano.
Rientrato in patria in data imprecisata, nel 1432 si fece chierico. Nello stesso anno o nel successivo fu chiamato a Roma da Eugenio IV, il veneziano Gabriele Condulmer, a ricoprire l'incarico di scrittore apostolico e segretario pontificio.
Tra i personaggi particolarmente favoriti dal papa e dall'influente cardinal nipote Francesco Condulmer vi era un gruppo di giovani trevigiani come Daniele Scoti (altro nipote di Eugenio IV) e Taddeo Adimari, che funsero forse da tramite per la chiamata del G. e per il suo impiego in incarichi di responsabilità. Non è facile dire fino a che punto la prospettiva di una carriera nell'ambito della Curia abbia potuto influenzare la sua decisione di ricevere la tonsura; certo è che negli anni successivi il G. acquisì una serie di benefici ecclesiastici sempre più importanti, anche se spesso gliene venne contestato il possesso da altri pretendenti (canonicati ad Aquileia, Montebelluna, Padova; decanato a Cividale; priorato di S. Maria di Betlem a Treviso).
Nel luglio del 1433 gli fu affidata la prima missione diplomatica a Costantinopoli, che durò da agosto a novembre. Scelto per la sua conoscenza della lingua e dell'ambiente, il G. intavolò con l'imperatore Giovanni VIII Paleologo e con il patriarca Giuseppe II trattative per la definizione di una comune piattaforma che consentisse di celebrare un concilio ecumenico, cui partecipassero la Chiesa d'Oriente e quella di Roma, nella speranza di ricomporre l'unità dei cristiani.
Se tale disegno dava corpo a esigenze e aspettative profondamente sentite in molti ambienti religiosi, le negoziazioni erano rese però particolarmente difficili, oltre che dalla inveterata diffidenza tra cattolici e ortodossi, dal contrasto che opponeva Eugenio IV ai conciliaristi basileesi. L'auspicata riunione aveva del resto valenze anche politiche e strategiche, in quanto posta quasi come condizione per un effettivo impegno delle potenze occidentali a difesa del periclitante Impero bizantino, incalzato sempre più da presso dalla minacciosa avanzata delle truppe turche. Il G., indubbiamente seguendo le direttive di Eugenio IV, si dimostrò arrendevole come non era mai stata la diplomazia pontificia, concordando con i Greci che il concilio si sarebbe tenuto a Costantinopoli: la Chiesa romana sarebbe stata rappresentata da un legato pontificio assistito da un gruppo di prelati e teologi; vi erano concrete prospettive che l'intesa potesse coinvolgere anche lo Stato dei Comneni di Trebisonda e gli Armeni. A suggerire l'insolita condiscendenza era indubbiamente la difficile situazione del pontefice, osteggiato non solo dai conciliaristi (che stavano guadagnando terreno pure nel concistoro, oltre che nella assise di Basilea), ma anche dai principi secolari, segnatamente dal duca di Milano Filippo Maria Visconti.
Nell'estate del 1434 fu deciso un secondo invio del G. in Oriente, per dare forma definitiva alla convenzione dell'anno precedente. I colloqui questa volta si sarebbero dovuti estendere al patriarca armeno, appunto con lo scopo di promuovere la più alta unità tra le confessioni cristiane; ma il G., per espresso desiderio dell'imperatore bizantino, vi rinunciò per non ritardare l'esecuzione dell'accordo, che confermava per il futuro concilio la scelta della sede costantinopolitana. Nel viaggio di ritorno (conclusosi a Venezia il 21 dicembre) fu accompagnato da una delegazione imperiale, guidata dai fratelli Giorgio e Manuele Dishypatos.
Contemporaneamente però i padri riuniti a Basilea avevano intavolato trattative con altri inviati greci sulla base di una diversa ipotesi, che prevedeva la riunione del concilio in Occidente, con pregiudiziale quasi assoluta per la città svizzera: ciò per garantirsi la massima indipendenza dal pontefice e per far figurare le sessioni con i Greci come una continuazione di quelle in corso; il disegno, se realizzato, avrebbe con tutta evidenza segnato il trionfo delle tesi conciliariste.
A Eugenio IV, senza irrigidirsi, parve opportuno chiarire al concilio le ragioni del suo operato: inviò pertanto il G. a Basilea (marzo-aprile 1435), insieme con i fratelli Dishypatos a nome dell'imperatore, nel tentativo di dimostrare che l'accordo da lui negoziato era il più vantaggioso e aveva le maggiori probabilità di successo; ma la missione non portò ad alcun ammorbidimento dei conciliaristi. Fu invece il pontefice a cedere, almeno parzialmente, accettando come punto di partenza per le trattative con i Greci la piattaforma offerta dai basileesi.
Rientrato a Firenze (dove s'era trasferita la Curia) a fine maggio, il G. già in agosto salpò da Venezia per la terza missione alla volta di Costantinopoli. Sulla stessa nave, a Pola, s'imbarcarono pure i legati del concilio (Giovanni Stoiković arcivescovo di Ragusa, H. Menger, S. Fréron), anch'essi in cerca di concludere un accordo definitivo con gli Orientali. Ancora una volta le trattative sembrarono svilupparsi con migliore accoglienza per le tesi del nunzio papale, più duttile e più attento a non urtare la suscettibilità dei Greci: per il problema cruciale della città in cui celebrare il concilio il G. si mostrò sensibile alla necessità di scegliere una sede comoda per gli Orientali (per esempio un porto adriatico), segnando un punto a proprio favore rispetto alla rigidità con cui gli emissari basileesi indicavano la città svizzera. Tuttavia, mentre il G. faceva ritorno presso la Curia verso la fine di ottobre, a Costantinopoli restavano due degli inviati conciliari, che avrebbero potuto rappresentare un ostacolo alla felice conclusione del negoziato.
A Firenze il G. riprese in pieno le sue funzioni di segretario pontificio fino alla primavera 1436; alla fine di aprile, dopo un breve viaggio a Treviso che gli consentì di prendersi cura di interessi familiari e beneficiari, raggiunse nuovamente la Curia, nel frattempo trasferitasi a Bologna.
In quel periodo erano attivi a vario titolo nella Cancelleria papale anche P. Bracciolini, F. Biondo, Cencio de' Rustici, A. Loschi, Lapo da Castiglionchio, L.B. Alberti: indubbiamente la quasi quotidiana frequentazione di figure di tale rilievo nel movimento umanistico dovette lasciare tracce significative nella formazione culturale del G., che per sua parte poteva mettere a disposizione degli interlocutori le proprie conoscenze di greco e la fornita biblioteca di classici. Tuttavia l'assenza di una sua significativa produzione scritta ci impedisce di precisare meglio la portata di questi contatti.
In luglio fu deciso un quarto invio a Costantinopoli del G., che tuttavia si mise effettivamente in moto solo da novembre: questa volta si trattava di ribadire le offerte da parte del pontefice, rendendo nel contempo noto che il contrasto con i conciliaristi si era fatto insanabile: ciò suscitò un estremo tentativo di mediazione da parte dell'imperatore, affidato ai due oratori Giovanni Dishypatos e a Manuel Tarchaniotes Bullotes. Essi s'imbarcarono col G. sul finire dell'anno. Il G. e il Bullotes giunsero in Curia a Bologna nel gennaio 1437 (l'altro messaggero imperiale si recò direttamente a Basilea). Come tangibile segno della gratitudine e dell'apprezzamento del pontefice per il suo operato, il G. ricevette la promozione alla sede vescovile di Corone, da poco vacante (27 febbraio): per il momento riprese comunque il suo lavoro di segretario.
Dopo una breve assenza (è segnalato a Venezia a metà aprile), lo ritroviamo attivo a Bologna in maggio, dove incontrò i messi imperiali di ritorno da Basilea. Al concilio si era verificata una spaccatura tra i sostenitori di un accordo con il pontefice e i radicali; gli inviati bizantini scelsero di schierarsi con il partito pontificio (minoritario, ma definitosi la "pars sanior"), e quindi a favore di un incontro ecumenico in Italia, in una città designata dal papa che ricevesse il loro gradimento.
Si preparò quindi una più solenne missione alla volta di Costantinopoli, in cui non poteva mancare il G., in qualità di nunzio. Con lui erano i vescovi di Digne, Pierre de Versailles, e di Oporto, Antonio Martins, in rappresentanza del concilio; qualche giorno dopo si mossero anche l'arcivescovo della Tarantasia Marco Condulmer, nipote di Eugenio IV, legato a latere, e Nicolò Cusano (anch'egli come rappresentante della "pars sanior" di Basilea); ma indubbiamente, data l'esperienza accumulata nelle precedenti trattative, la responsabilità principale nelle delicate fasi conclusive dell'accordo fu tutta del Garatone.
Dal 3 settembre (data del suo arrivo a Costantinopoli) al 27 novembre (data d'imbarco della delegazione orientale al concilio) in effetti si trattò non solo di mettere a punto gli ultimi particolari, ma anche di opporsi, con energia, alla legazione dei basileesi antipapali, sopraggiunta ai primi di ottobre, che all'ultimo momento proponeva agli Orientali, con insistenza e promettendo le più ampie garanzie, di celebrare il concilio ad Avignone. Il contrasto assunse toni aspri, ma finalmente dagli ultimi di ottobre non ci fu più alcun dubbio sulla scelta dei Bizantini, e le navi degli inviati basileesi levarono le ancore con un nulla di fatto.
Giunto a Venezia con tutta la flotta l'8 febbr. 1438, il G. svolse nei due anni seguenti, durante le sessioni di Ferrara e di Firenze del concilio, un'opera preziosa d'interprete, di assistenza e di cura dei problemi logistici e amministrativi, mentre per la sua formazione culturale era ovviamente escluso che potesse prendere parola in campo dottrinale. Presente alla firma del decreto d'unione e alla solenne cerimonia di chiusura dei lavori nella cattedrale di Firenze (5-6 luglio 1439), fu poi incaricato di riaccompagnare i prelati greci e di risiedere a Costantinopoli come nunzio "pro augmento et stabilimento catholice fidei". Partito da Venezia il 19 ottobre giunse a Costantinopoli alla fine di gennaio del 1440; lungo il viaggio sostò a Modone (Metone), nella sua sede vescovile di Corone e in Eubea per promulgarvi il decreto d'unione.
Ben presto però si manifestò in tutta evidenza una forte ostilità dei Greci all'unione con la Chiesa d'Occidente: fidando sull'appoggio dell'imperatore, e ottimista sull'autorità e l'impegno del nuovo patriarca (Metrofane di Cizico; il suo predecessore era morto a Firenze, prima della conclusione del concilio) il G. probabilmente sottovalutò l'estensione del movimento e le sue ragioni profonde, il che evidenzia il limite dell'intera operazione: un accordo di vertice, sostenuto da un'attività diplomatica abile e conciliante, ma non adeguatamente partecipato. Man mano che il consenso si allargava intorno alle figure degli antiunionisti (soprattutto Marco Eugenico di Efeso, e Demetrio Paleologo), l'azione dell'imperatore si faceva più indecisa e fiacca (il decreto d'unione non fu mai promulgato a Bisanzio).
Così, verso la fine del 1441 il G. rientrò in Curia, forse richiamato dallo stesso pontefice, che in alcuni momenti non nascose la propria insoddisfazione per l'inefficacia del suo operato. Il 4 febbr. 1442 a Firenze presenziò all'atto di unione con la Chiesa copta, propiziato dall'attività di Alberto da Sarteano. Intanto il papa seguiva con preoccupazione l'inarrestabile penetrazione turca nella penisola balcanica: nel marzo 1442 decise una missione diplomatica in Ungheria per tentare l'organizzazione di una crociata, designando come legato il card. Giuliano Cesarini, e come nunzio il Garatone. Preventivamente bisognava regolare le controversie dinastiche e di successione che opponevano Polonia e Ungheria, impedendo la collaborazione tra le due principali potenze cristiane della regione; c'era poi da ottenere per lo meno la benevola neutralità di Venezia e dell'imperatore, che per diversi motivi non sembravano molto favorevoli al disegno della crociata.
Non si hanno notizie precise su questo suo primo incarico diplomatico nella penisola balcanica: si sa solo che si trattò di una missione di breve durata, svolta prevalentemente in Ungheria (dove nelle lacerazioni della crisi dinastica emergeva il prestigio militare del voivoda transilvano Giovanni Hunyadi), mentre il Cesarini si diresse in Polonia. A luglio il G. era già rientrato in Curia a Firenze, dove riprese le funzioni di segretario, gratificato da sempre più vantaggiose condizioni economiche concessegli dal pontefice. Nel gennaio del 1443 si trovava a Padova, dove ebbe occasione di incontrare di nuovo Alberto da Sarteano (con cui venne momentaneamente a contrasto a motivo di provvedimenti disciplinari da questo presi a carico di un frate); a metà febbraio fu nuovamente designato come nunzio in Ungheria. Era previsto che dovesse in seguito recarsi anche in Lituania, Valacchia, Moldavia e Albania, ma sicuramente dovette rinunciare a effettuare questo ampio giro, se a metà aprile lo troviamo già a Treviso, e tra giugno e settembre è documentata la sua presenza in Curia.
Verso la fine di quell'anno il papa lo designò a coadiuvare il card. F. Condulmer, legato della flotta pontificia, che a Venezia preparava tra mille difficoltà l'intervento a sostegno delle soccombenti forze greche. Nel gennaio del 1444 troviamo così il G. nella città lagunare. Nel maggio dello stesso anno un nuovo incarico impose al G. di tornare in Oriente: si trattava questa volta non di una vera e propria missione diplomatica, ma di attendere nel territorio di Creta all'esazione della decima a favore della flotta papale.
Potrebbe sembrare un declassamento: in realtà il compito era delicato e presentava difficoltà di rapporto con le autorità civili veneziane e soprattutto con il clero greco, anch'esso assoggettato all'obbligo di contribuire. La durata della missione (un anno intero) e le concrete remunerazioni economiche concesse al G. testimoniano dell'importanza che il pontefice attribuiva a tale incarico.
Nel frattempo, dopo qualche effimero successo, le forze cristiane avevano subito una grave disfatta a Varna (novembre 1444), e nella ritirata aveva trovato la morte anche il card. Cesarini.
Rientrato in Curia nella tarda primavera del 1445, il G. vi si fermò fino al settembre del 1446 (a eccezione di due brevi viaggi a Venezia nel giugno del 1445 e del 1446). Intanto si concludevano mestamente i sogni di un efficace intervento unanime della Cristianità d'Occidente contro i Turchi: la flotta agli ordini del Condulmer rientrava a Venezia alla fine del 1445 senza concreti risultati (il che indebolì ulteriormente la posizione degli unionisti greci); nel febbraio 1446 la Repubblica veneta sottoscriveva una pace separata con i Turchi. La diplomazia pontificia tuttavia non si rassegnò a registrare passivamente le gravi sconfitte, riprendendo a tessere la tela dei contatti tra le forze potenzialmente disponibili a unirsi in una crociata antiturca, e tra i protagonisti del gioco diplomatico tornò a figurare il Garatone. Nel luglio 1446 ebbe contatti con l'oratore bizantino presso la S. Sede, N. Gudeles, insieme con il quale a settembre svolse il suo terzo viaggio in Ungheria, allora sotto la reggenza di Giovanni Hunyadi.
Quando la missione era già conclusa, nel febbraio del 1447, morì Eugenio IV. Il 6 marzo venne eletto il successore, Tommaso Parentucelli (Niccolò V): l'avvento al trono di un nuovo pontefice comportava ordinariamente un profondo rinnovamento negli incarichi curiali, che avrebbe potuto relegare in secondo piano il G. (la cui presenza a Roma è documentata dal marzo 1447 al maggio 1448); ma già nell'ottobre del 1447 il conferimento dell'importante ruolo di amministratore provvisorio della mensa patriarcale di Gerusalemme vale come concreta dimostrazione della stima del nuovo pontefice nei suoi confronti, e prelude al successivo ritorno del G. a incarichi diplomatici. Nel maggio 1448 infatti venne designato legato in Ungheria per la futura crociata. A settembre era accampato con l'esercito ungherese, comandato da Giovanni Hunyadi; la sconfitta delle forze cristiane nella battaglia di Kosovo (Kosovo Polje, 18 ott. 1448) travolse anche il G., provocandone la morte.
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