GHILINI, Cristoforo
Figlio di Giovanni, nacque ad Alessandria nella seconda metà del sec. XIV da famiglia di cospicua posizione sociale.
Suo padre (decurione di Alessandria dal 1377 al 1386) ebbe dalla moglie, di cui non conosciamo il nome, almeno altri tre figli maschi, Bartolomeo, Francesco e Andrea.
Nulla sappiamo circa la sua formazione culturale e i suoi anni giovanili. Sulla base degli incarichi che poi ricoprì al servizio dei duchi di Milano si può ritenere che egli abbia compiuto studi giuridici presso un'università della regione, che con ogni probabilità è da identificare in quella di Pavia. Si trasferì a Milano, dove entrò presto al servizio dei Visconti, e dove risulta abitare nel 1416 presso porta Ticinese, nella parrocchia di S. Pietro in Corte.
Grazie alla sua posizione familiare di rilievo, nel 1395 partecipò, come rappresentante di Alessandria, ai solenni festeggiamenti per l'incoronazione ducale di Gian Galeazzo Visconti. Due anni dopo venne eletto decurione ad Alessandria, dove è elencato tra i membri del Consiglio degli anziani. Non vi sono conferme alle notizie riportate dai seicenteschi Annali di Alessandria di Girolamo Ghilini di una sua missione a Firenze nel 1401, quale ambasciatore del duca e della sua nomina, nel 1402, a presidente del Magistrato ordinario di Milano. Il 3 genn. 1415 fu nominato dal conte di Carmagnola suo procuratore e rappresentante a ricevere il giuramento di fedeltà degli abitanti di Castelnuovo e di Caselle. Nominato capitano di Monza, il 19 gennaio, per conto del duca Filippo Maria Visconti e alla presenza dell'arcivescovo di Milano, dispose l'erezione di sei cappelle nella chiesa di S. Giovanni Battista di Monza, dotandole di alcune terre del valore complessivo di 10 fiorini milanesi, e firmò l'atto di procura per la nomina dei presbiteri incaricati dell'officiatura liturgica. Questi avevano l'obbligo, pena la perdita dei benefici loro concessi, della cura d'anime e della celebrazione quotidiana delle messe.
Incaricato di sovrintendere alle entrate ducali, nel febbraio 1416 il G. stipulò con il genovese Tommaso di Credenza l'acquisto di 120.000 staia di sale (al prezzo di 19 soldi e 11 denari di imperiali allo staio) destinato al mercato urbano di Pavia: nell'aprile successivo gli anticipò una parte della somma pattuita. Il 3 agosto il suo nome figura tra i testimoni presenti alla pronunzia della sentenza in favore dei frati di S. Girolamo di Castellazzo, convento posto fuori del borgo di Porta Ticinese.
L'atto rispondeva a una petizione presentata al duca due anni prima dal priore della comunità, e riconosceva ai religiosi e ai loro massari l'esenzione da ogni onere fiscale e la facoltà di trasportare i prodotti dei loro possedimenti a Milano senza pagare alcun dazio.
Sempre come "maestro delle entrate ducali", il G. intervenne, nel 1421, nel sequestro alla famiglia Bossi della tenuta di San Vittore di Monza (essa fu restituita nel 1494 da Ludovico Maria Sforza); il 23 luglio 1425 ricevette una lettera in cui il duca di Milano, per far fronte a urgenti necessità di denaro liquido, gli impose di concedere agli esattori del dazio, che avessero versato in anticipo la loro quota alla Camera, l'esenzione dall'obbligo di mutua solidarietà verso la stessa nel caso di insolvenza di qualcuno di loro. Nel settembre successivo ricevette dal duca l'incarico di recarsi a Pavia per farsi consegnare dal castellano della città, Giovannolo Biglia, un figlio di Mattiaso, fratello del Carmagnola, lì detenuto, e di scortarlo a Milano. Il 13 novembre dispose, insieme con Lorenzo "de Regio", il pagamento sui dazi dell'anno precedente al tesoriere ducale Vitaliano Borromeo (Vittani, n. 1471).
La conflittualità interna alle famiglie di Alessandria indusse Filippo Maria, il 9 genn. 1417, a concedere loro il privilegio di fregiarsi dello stemma dei duchi di Milano (due vipere intrecciate con una croce in campo bianco nel mezzo) e di chiamarsi "della casa ducale", a condizione che avessero giurato fedeltà ai Visconti, messo a disposizione le loro armi e rispettato i patti che venivano loro imposti. Il G. fu tra i primi esponenti politici cittadini che si avvalsero di tale facoltà. Prestato il giuramento di fedeltà al duca, si impegnò, insieme con i capi di altre 116 famiglie alessandrine, a conservare il "buono stato del duca di Milano", a non aderire ad altra parte diversa da quella ducale o a quest'ultima contraria; si impegnò inoltre, con gli altri, a "porre la vita e consumare le sue facoltà contro qualsivoglia volesse cospirare contro lo stato così del suddetto duca e suoi eredi come della città di Alessandria, sotto pena della perdita dei beni e della vita". Si assumeva in tal modo l'obbligo di denunciare qualunque persona o situazione contraria agli interessi del Ducato e, in caso di rivolta o di sommossa, di schierarsi con la parte ducale, "unitamente con il podestà e i suoi officiali, prendere e trattenere i rivoltosi, e andar loro contro" senza discriminazioni (Ghilini, pp. 441-444 passim).
La devozione nei confronti dei Visconti e i meriti acquisiti nell'impegnativo compito di controllo delle entrate camerali valsero al G. l'esenzione da tutti i carichi fiscali gravanti sulla sua persona, sui redditi e sui possedimenti familiari, concessagli da Filippo Maria il 1° marzo 1429. Il privilegio venne confermato il 15 dic. 1433 dal duca, che lo esentò allora da ogni onere fiscale per i beni da lui posseduti sia nella città e nel Ducato di Milano, sia in Alessandria.
Divenuto segretario ducale, al G. furono affidati nuovi incarichi, che non riguardavano solo il settore delle finanze pubbliche ma anche il delicato ambito della diplomazia. Egli rappresentò infatti il tramite attraverso cui Filippo Maria continuò a mantenere i suoi rapporti epistolari col Carmagnola, capitano generale della Serenissima, anche dopo la rottura delle trattative per un accordo tra la lega antiviscontea e il duca di Milano. I contatti si prolungarono per i mesi di gennaio e febbraio del 1430. A marzo il Visconti spedì direttamente il G. a Venezia con lettere credenziali: pur di ristabilire la pace, si affidava alla mediazione del Carmagnola la decisione su tutte le vertenze. Dopo un breve soggiorno nella città lagunare, il G. rientrò a Milano per riferire sui suoi colloqui e ricevere ulteriori istruzioni; egli tornò poi a Venezia con una bozza dell'atto di compromesso, che venne stipulato qualche giorno dopo. Il contenuto del documento, però, era alquanto diverso dalle promesse iniziali fatte in via preliminare dal G. e comportava notevoli restrizioni ed eccezioni alla discrezionalità arbitrale riconosciuta al Carmagnola, tanto da renderlo del tutto inaccettabile ai rappresentanti della lega, che non lo firmarono. Nonostante questo insuccesso, il G. continuò tuttavia a mantenere i rapporti con i vertici della lega e con il Carmagnola, a nome e in rappresentanza del duca di Milano (quest'ultimo, in una sua missiva del dicembre del 1431 diretta a Niccolò Piccinino, consigliava di nominare alla direzione dell'Ufficio delle entrate e delle spese un uomo di grande esperienza come il Ghilini). La ripresa dei colloqui si ebbe all'inizio del nuovo anno su proposta del pontefice Eugenio IV. Filippo Maria, il 6 marzo 1432, elesse il G. e i consiglieri ducali Castiglioni e Crotti come suoi ambasciatori per trattare e stipulare a suo nome la pace con Venezia e con Firenze. Sappiamo che il G. fu, in quel medesimo torno di tempo, anche a Ferrara presso il marchese Niccolò d'Este per trattare della cosa. L'intesa fu raggiunta all'inizio del mese di aprile.
Essa prevedeva che la Ghiara d'Adda venisse sgomberata dai Veneziani; che il duca di Milano si impegnasse a restituire ai Fiorentini tutti i territori, che aveva loro sottratto, come pure quelli dei Senesi e dei Lucchesi; che il Visconti restituisse al marchese di Monferrato tutto quello che in suo nome aveva preso Francesco Sforza, suo condottiero; che tutti i prigionieri di guerra venissero liberati.
Per i meriti acquisiti il G. ottenne, per sé e per i suoi figli, un'ulteriore conferma del privilegio dell'esenzione da tutti i carichi fiscali, concessagli dalla città di Alessandria l'11 luglio 1437, conferma che venne ratificata, negli stessi termini, dal duca di Milano il 15 dicembre successivo. Egli è ricordato ancora come maestro delle entrate in un atto del 30 maggio 1438, relativo alla permuta di alcuni possedimenti ducali situati a Monza con la tenuta di Valtrenzano del parco nuovo di Pavia. Nel testamento, rogato il 20 genn. 1439, il G. nominò suoi eredi universali i figli e dispose la costituzione di un beneficio sacerdotale in onore dei ss. Cristoforo e Giuliano, nella cattedrale di Alessandria.
Il G. morì a Milano il 1° febbr. 1439. Il suo corpo, dopo solenni esequie, venne sepolto nella chiesa domenicana di S. Eustorgio, vicino alla sacrestia.
Sulla sua tomba fu posta una lapide marmorea, scomparsa verso la metà del sec. XIX (Litta), con un epitaffio poetico in dieci versi che celebrava le sue virtù civili e religiose (Ghilini).
Il G. aveva sposato, ignoriamo quando, una nobildonna, Lucrezia dei Terenzi di Pisauro, dalla quale ebbe cinque figli: Giuliano, Giovanna, Bartolomeo, Caterina e Giovanni.
La rilevante posizione raggiunta dal G. all'interno dell'amministrazione ducale facilitò la carriera dei figli. Essi, poco dopo la morte del padre, ebbero il possesso di Castelceriolo, la conferma dei privilegi di esenzione fiscale a lui concessi e si distinsero per i servizi resi tanto ai duchi di Milano quanto alla città di Alessandria in campo civile e militare.
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