LANDINO, Cristoforo
Umanista, nato nel 1424 a Firenze, ivi morto il 24 settembre 1492. Nel 1458 fu chiamato a leggere poesia e oratoria nello Studio fiorentino, non senza opposizioni da parte dei giovani, che gli avrebbero preferito un maestro di maggior nome, che ispirasse il suo insegnamento a quei rigorosi metodi filologici che ormai prevalevano sull'empirismo della vecchia scuola umanistica, ancora seguito dal Landino. Questi nel 1467 era cancelliere di parte guelfa; più tardi fu nominato scrittore di lettere pubbliche presso la Signoria.
Una raccolta di freddi versi latini in un libro (1443-45), ampliata poi in tre, rappresenta il tributo pagato dal L. all'astro poetico che brillava a Firenze nella sua giovinezza, il Marsuppini; ma la sua fama è affidata soprattutto ai 4 libri delle Disputationes Camaldulenses, composti intorno al 1475 e pubblicati a Firenze intorno al 1480. Le discussioni si fingono avvenute nel monastero di Camaldoli nell'estate del 1468, e occupano quattro giornate: nella prima Lorenzo de' Medici e Leon Battista Alberti discutono intorno alla vita contemplativa e alla vita attiva, e si conclude che la prima deve alternarsi con la seconda ed esserle di guida; nella seconda l'Alberti e Marsilio Ficino discorrendo del sommo bene giungono a ravvisarlo nel godimento di Dio, che si conquista dopo la morte; nella terza e quarta lo stesso Alberti, riprendendo una vecchia opinione ormai superata, dimostra che Virgilio nei primi sei libri dell'Eneide allegorizza platonicamente in Enea l'uomo che attraverso la conoscenza dei vizî arriva al compimento della sua perfezione.
Imbevuto di neoplatonismo, il L. concepì sempre la poesia come velo avvolgente "arcani e divini sensi" e a questo concetto ispirò non solo le Disputationes, ma anche il commento all'Eneide (1478) e l'altra sua opera importante, il commento alla Divina Commedia. Un opuscolo De vera nobilitate e i dialoghi De nobilitate animae, dedicati nel 1472 al duca Ercole d'Este, insistono su posizioni antiaverroistiche ben note al pensiero umanistico e specialmente ficiniano. Difensore con Lorenzo de' Medici della dignità del volgare, il L. lesse dalla sua cattedra anche Dante e Petrarca; e della fama di Dante nella Firenze del secondo Quattrocento fu anzi il principale difensore e assertore. Il suo commento, presentato manoscritto alla Signoria nel 1481 con le illustrazioni di Sandro Botticelli, vuol dimostrare che la Commedia cela la stessa allegoria che l'Eneide, e che Dante, pur essendo seguace di Aristotele, attraverso Virgilio risale anch'egli a Platone, primo fra tutti i filosofi. Il fortunato commento, per gran parte condotto sulle orme di quelli che lo precedettero, non ha grande valore per l'interpretazione del poema, ma è importante documento della cultura del tempo.
Bibl.: A. M. Bandini, Specimen liter. flor., Firenze 1748-51, e per la data della morte, F. Pintor, in Bullett. della Soc. dantesca, VII (1899-900), n. s., p. 271 segg.; G. Bottiglioni, La lirica lat. in Firenze nella seconda metà del secolo XV, Pisa 1923, pp. 11-32; E. Wolf, Die alleg. Vergilerklärung des C. L., in Neue Jahrb. für das klass. Altertum, I (1919), p. 453 segg.; id., introd. alla sua trad. parz. ted. delle Disputationes, Jena 1927; G. Gentile, prefaz. al terzo fasc. dei dialoghi De nob. animae, pubbl. da A. Paoli e G. Gentile, Pisa 1915-1917; M. Barbi, Della fortuna di Dante nel se. XVI, Pisa 1890, p. 150 segg.