LANFRANCHINI, Cristoforo
Figlio primogenito di Lanfranchino, nacque a Verona nel 1430; apparteneva a una famiglia di modeste condizioni, con piccole cariche pubbliche: il padre fu tra gli "aediles Domus Mercatorum" nel 1439; nel 1441 il testamento del fratello uterino del padre, Giacomo de Paniciis, consegnò alla famiglia un ingente patrimonio (costituito essenzialmente da 458 "campi" a Bagnolo di Nogarola) che permise di assicurare al L. studi regolari.
Nel 1452 fu nominato Comes palatinus et eques collegiatus, titolo del quale fu insignito da Federico III d'Asburgo (in onore del quale il L. scrisse un encomio), disceso allora in Italia per essere incoronato. Il titolo comitale, che faceva parte dei molti diplomi di nobiltà concessi in quel periodo dal Sacro Romano Impero nel tentativo di consolidare la propria autorità, aveva ancora un valore importante in alcune città dell'Italia centrosettentrionale, soprattutto in quelle della Terraferma veneta, e probabilmente consentì al L. di iniziare con maggiore facilità la carriera politica e diplomatica.
Della sua formazione universitaria si conosce molto poco: studiò a Bologna dove, a parere di Pardi, conseguì il titolo di doctor utriusque iuris; si sa con certezza che si addottorò in diritto canonico a Ferrara, il 17 maggio 1455. Sempre a Ferrara, inoltre, prima di laurearsi tenne la cattedra straordinaria di diritto civile e canonico, di cui si conserva il discorso di inaugurazione pronunciato nell'ottobre 1448 (Parigi, Bibliothèque national, Fonds lat., 7853: Oratio pro suae lecturae primordio in felici Ferrariae Gymnasio; cfr. anche Kristeller, II, p. 406), al quale replicò Guarino Guarini con una Responsio (Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Mss., 151), che farebbe presupporre, secondo Sabbadini, anche un corso di retorica tenuto dal Lanfranchini.
Nel 1456 il L. risultava già capofamiglia nella casa avita in contrada S. Egidio: con lui vivevano i fratelli Donato, Ludovico, Giovanni, Gerolamo, la moglie di Donato, Percha, la sorella di Percha, il figlio di Donato, Lanfranchino.
Per undici volte, tra il 1457 e il 1501, il L. fu inviato a Venezia per svolgere vari incarichi; nel 1458 inoltre entrò nel Consiglio civico di Verona. A conferma del prestigio di cui godeva, nel 1462 fu mandato come oratore a Venezia, insieme con altri esponenti del patriziato cittadino fra i quali Guglielmo Bevilacqua, Ludovico Nogarola, Lelio Giusti, per l'elezione del doge Cristoforo Moro e nel 1471 per l'elezione del doge Niccolò Tron: il discorso tenuto dal L. in quest'ultima occasione è noto per la stampa dell'Oratio ad Nicolaum Tronum, edita nel 1472, probabilmente a Verona per i tipi di Giovanni da Verona (Indice generale degli incunabolidelle biblioteche d'Italia [=IGI], 5665).
In due occasioni, nel 1469 e nel 1479, il Consiglio civico veronese lo nominò podestà di Legnago. Tra il 1456 e il 1503 per ventiquattro volte fu chiamato a far parte della curia del podestà cittadino; fu nominato vicario della Casa dei mercanti nel 1464, 1470, 1472 e 1476 e governatore del Monte di pietà nel 1490, 1494, 1496 e 1499 (cfr. Borelli, pp. 154-157 e le relative fonti d'archivio segnalate).
Oltre all'occupazione politica e a quella di oculato amministratore dei propri beni (insieme con i fratelli andò ampliando e consolidando le proprietà di Bagnolo di Nogarola), il L. si dedicò alla riflessione intellettuale e morale: nel 1497 pubblicò la sua opera più nota, il Tractatulus seu quaestio utrum preferendus sit doctor an miles, uscita a Brescia per i tipi di Angelo Britannico (IGI, 5666; un'altra edizione in Tractatus universi iuris, XVIII, Venetiis 1584).
Scritta in forma di dialogo epistolare con il genero Bartolomeo Dolci, l'opera si pone nel solco della trattatistica nobiliare umanistica di Coluccio Salutati, Bartolomeo Sacchi (detto il Platina), Poggio Bracciolini, Bonaccorso da Montemagno. Si apre con una lettera di Dolci che desidera essere ragguagliato su una questione che suscita la sua indignazione: dal momento che i "milites" pretendono di "anteire et praeferri" rispetto ai "doctores", egli chiede di conoscere il fondamento giuridico di tale tesi. Il L. risponde censendo i privilegi dei doctores e dei milites: inizia con i milites, citando i pareri di Bartolo da Sassoferrato e Baldo degli Ubaldi; poi passa ai doctores. Segue un'attenta analisi dei requisiti dei militari, da cui emerge che la milizia non è una dignitas e non può determinare la nobiltà; quest'ultima, infatti, non è trasmessa mediante le ricchezze o per via ereditaria: richiamandosi all'opinione del giurista veronese Bartolomeo Cipolla ("Teneo ea sit vera nobilitas quae ex scientia et virtute et bonis moribus pollet", cfr. Tractatulus, c. 20), il L. dichiara che sono la virtù e i buoni costumi a rendere l'uomo nobile ("Virtus ergo et boni mores faciunt aliquem nobilem, non genus simpliciter", ibid., c. 21). La conclusione è che "doctores praecedant milites quia doctor valde honorandus est cum sua ex propria virtute polleat" (c. 24), a tal punto che anche una persona di natali umili, se ben educata e di costumi retti, potrà essere ritenuta nobile.
Secondo il costume dell'epoca, il L. si esercitò anche nella poesia: suoi componimenti latini si conservano in un codice ricordato da Maffei (Verona, Biblioteca civica, Mss., 1366); un carme per Niccolò d'Este si legge in un altro manoscritto (Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Mss., 70). Inoltre nel cosiddetto codice Bevilacqua n. 19 o codice Muselli, ora perduto - è stato conservato fino agli inizi del XX secolo nell'archivio della famiglia Sambonifacio di Padova (cfr. Segarizzi, p. 78) - erano testimoniate numerose opere di vario genere.
Stando a quanto riportato da Segarizzi, il codice conteneva le orazioni per l'ingresso alla lettura nell'Università di Ferrara, nell'ottobre del 1448; per il podestà di Verona Andrea Bernardo; per Gilfredo Cavalli, professore nello Studio ferrarese; per le nozze di Gerardo Bevilacqua con la bolognese Costanza Bentivoglio (presente anche nel manoscritto di Verona, Biblioteca capitolare, Mss., CCLVI, cfr. Kristeller, II, p. 294); un'elegia per Ludovico Sforza; poesie celebrative per Ludovico Sambonifacio, Ludovico Nogarola, Lorenzo Strozzi e altri personaggi locali; epigrammi per Niccolò d'Este. Si trattava, come è facile immaginare, di composizioni eminentemente elogiative, il cui valore letterario era modesto, come testimoniano coloro che poterono consultare il manoscritto. Eloquente il giudizio di Ottavio Alecchi, il primo a fornire una descrizione del codice: "Sono versi, che, per dir il vero, penarebbono di aver la licenza di comparire oggi nella solitaria udienza d'un gabinetto" (cfr. Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. X, 101 (=7179): Memorie di letterati veronesi, cc. 245-260).
Il 7 maggio 1494 il L. fece redigere dal notaio Francesco Lando il proprio testamento, disponendo di venire sepolto nella chiesa di S. Eufemia, nel monumento tombale fatto allestire davanti all'altare di S. Nicola, e legando numerosi beni alla figlia Valeria e al genero Bartolomeo Dolci. Dell'ultimo decennio si sa poco: gli vennero affidati ancora alcuni incarichi a Venezia, e fu chiamato nella curia del podestà.
Morì il 20 giugno 1504.
Fonti e Bibl.: G. Pardi, Titoli dottorali conferiti dallo Studio di Ferrara nei secoliXV e XVI, Lucca 1901, p. 28; Epistolario di Guarino Veronese, a cura di R. Sabbadini, I, Venezia 1916, p. 501; II, ibid. 1919, pp. 407, 472; G. Dal Pozzo, Collegii Veronensis iudicum, advocatorum elogia, Veronae 1653, pp. 100 s.; F. Borsetti, Historia almi Ferrariae Gymnasii, Ferrariae 1735, II, p. 25; S. Maffei, Verona illustrata, Milano 1825, III, pp. 200 s.; A. Segarizzi, Lodovico Sambonifacio e il suo epistolario, in Nuovo Archivio veneto, n.s., XX (1910), pp. 102 s., 107-112; G.P. Marchi, Ricerche sull'umanesimo veronese, IV, Due biblioteche delQuattrocento, in Vita veronese, XIX (1966), pp. 278-281; R. Avesani, Verona nel Quattrocento. La civiltà delle lettere, in Verona e il suoterritorio, IV, 2, Verona 1984, pp. 226-228; G. Borelli, "Doctor an miles": aspetti della ideologia nobiliare nell'opera del giurista C. L., in Nuova Rivista storica, LXXIII (1989), pp. 151-168; Rep. fontium hist. Medii Aevii, VII, p. 131; P.O. Kristeller, Iter Italicum. A cumulative index to volumes I-VI…, p. 304.