NUMAI, Cristoforo
– Nacque a Forlì alla metà del XV secolo, secondo dei cinque figli di Francesco e di Cassandra Ercolani. I Numai erano un potente casato della Romagna, da secoli schierato col potere imperiale, ma anche presente nelle file della gerarchia ecclesiastica. Pure la famiglia della madre apparteneva al ceto dirigente politico e religioso di Forlì.
Entrò presto tra gli osservanti dell’ordine francescano e frequentò lo studium di Bologna, poi ricevette una più approfondita formazione teologica negli studia di Parigi, ove ottenne il dottorato. Per le sue qualità personali fu scelto come confessore della duchessa Luisa di Savoia, moglie di Carlo di Valois e madre di Francesco I, la quale, rimasta vedova nel 1496, quando il futuro re di Francia era molto giovane, ebbe da Numai consigli sull’educazione religiosa del figlio. Non è certo che sia stato anche confessore della moglie di Francesco I, la regina Claudia.
Rientrato in Italia nel 1497, ricoprì il ruolo di predicatore nella provincia francescana osservante di Bologna. Nel 1507 fu eletto a Ferrara vicario degli osservanti bolognesi e qualche mese più tardi subdelegato provinciale del commissario per la predicazione delle indulgenze, i cui proventi erano destinati alla fabbrica della basilica di S. Pietro a Roma. In questa veste fu rigido nei confronti di ordini religiosi concorrenti, che dirottavano i fedeli verso l’acquisto di indulgenze plenarie le cui somme non erano destinate a Roma. Ne sono prova le lettere del 1508 indirizzate a Ludovico Brognolo, podestà di Viadana, al quale Numai ordinava di intervenire nei confronti degli eremiti agostiniani, che, nonostante la proibizione papale di predicare altre indulgenze, continuavano a offrire ai fedeli quelle tradizionali del loro ordine, danneggiando gli introiti destinati alla Chiesa del papa (Sella, 2004, pp. 451-457).
Nel 1511 era ancora vicario della provincia bolognese, ma nel 1512 fu eletto commissario in Curia romana, dignità che gli permetteva di abitare a Roma e di operare per il disbrigo degli affari generali del suo ordine. Morto nel 1513 il vicario generale degli osservanti cismontani, la riunione dei vicari provinciali convocata nel giugno 1514 in S. Maria degli Angeli di Assisi elesse Numai al suo posto. Accanto ai lui agiva come definitore il bresciano Francesco Licheto.
Nel 1515 ricevette da Leone X con solenne precetto l’ufficio di nunzio e commissario apostolico per promuovere la fabbrica della basilica di S. Pietro nei territori cismontani e in Polonia. Si trattava di concedere ai fedeli indulgenze plenarie per la remissione di tutti i peccati e delle pene derivanti da scontare nel Purgatorio. La facoltà era estensibile a tutti i familiari, vivi e defunti che, dopo l’offerta in denaro fatta al predicatore, avrebbero goduto della estinzione della pena.
L’anno successivo Leone X, al fine di eliminare le divergenze esistenti tra gli osservanti e i conventuali, indisse per la Pentecoste del 1517 un capitolo generalissimo da tenere a Roma presso il convento di S. Maria in Aracoeli, a cui furono invitati tutti i vicari, i custodi e i superiori sia degli osservanti, sia dei conventuali, nonché i rappresentanti dei gruppi riformati (amadeiti, cappuccini ecc.). Prima della grande assise Numai e il collega dell’Osservanza ultramontana pregarono il papa di non costringerli a unirsi ai conventuali, che si erano allontanati dall’osservanza della Regola. L’unione si sarebbe fatta solo se tutti avessero accettato di ritornare sotto la norma della Regola e unica fosse in tutti la vita religiosa. Poiché i superiori dei conventuali, richiesti dal papa di esprimere parere sulla questione, risposero di non volere una simile unione, anzi di desiderare che la loro vita religiosa continuasse con i privilegi precedentemente concessi dai papi, Leone X li escluse dall’elezione del ministro generale, che affidò agli osservanti e a tutti gli altri gruppi riformati. La separazione tra i conventuali e gli osservanti si attuò con la lettera di Leone X, Ite vos, del 29 maggio 1517. Due giorni più tardi, il 1° giugno, Numai, dopo aver parlato a tutti gli intervenuti al capitolo, fu eletto con 73 voti ministro generale dei francescani e il papa gli consegnò l’antico sigillo dell’ordine, usato dai generali sin dal tempo di Francesco. Nel contempo il pontefice approvò anche l’erezione della provincia di Bosnia, effettuata nel 1514 da Numai, quando era vicario generale dei cismontani.
Nel concistoro del 1° luglio 1517 Leone X nominò 31 cardinali, fra cui i generali dei tre grandi ordini religiosi: il francescano Numai, il domenicano Tommaso De Vio e l’agostiniano Egidio da Viterbo. Numai ottenne il titolo di cardinale prete di S. Maria in Aracoeli e nello stesso anno ebbe l’amministrazione della sede episcopale di Alatri, carica con beneficio che mantenne per tutta la vita. Dai conventuali e dai protestanti fu accusato di aver acquistato con un’alta somma di monete d’oro la dignità cardinalizia, ma il sospetto − o se si vuole la diceria − non fu mai provato.
A Roma ebbe rapporti con il cardinal Giulio de Medici, in quel momento arcivescovo di Firenze, quando i canonici della cattedrale fiorentina gli chiesero di proporre un predicatore osservante; designò prima fra Serafino da Settimo, che si ammalò, poi fra Raffaele da Venezia, colpito anch’egli da malattia, tanto che nel 1518 sentì il bisogno di scusarsi con il collegio canonicale.
Rimase generale sino al capitolo dei minori osservanti, tenuto a Lione il 10 luglio 1518, quando sotto la sua presidenza risultò eletto Licheto. Il soggiorno a Lione, durato dal 29 marzo al 19 novembre, fu preceduto da una tappa a Modena per la visita ai conventi e per presiedere il capitolo della provincia bolognese, durante il quale fu eletto Paolo Pisotti. Il viaggio in Francia aveva anche lo scopo di incontrare Francesco I per sollecitarlo a partecipare alla crociata che il papa intendeva bandire contro i turchi, spedizione per la cui propaganda già il 15 novembre 1517 Numai era stato incaricato da Leone X di designare solerti predicatori francescani. Probabilmente in questa circostanza scrisse una Exhortatio ad Galliarum regem Franciscum I in Turcas in esametri. Si rivolse anche a Luisa di Savoia, come testimonia una lettera del cardinal Bernardo Dovizi da Bibbiena, in quel momento legato papale presso la corte francese, al cardinal Giulio de Medici, datata 18 luglio 1518, secondo la quale Numai era attivo a Lione e in stretti rapporti con la regina madre, che desiderava farlo incontrare col sovrano. Francesco I giunse agli inizi di ottobre ad Ansenis, nel territorio della Loira Atlantica, ove allora risiedeva Numai, cui Luisa di Savoia offrì 200 ducati per rendere più agevole il soggiorno. Tuttavia il re non accettò la proposta della crociata e Numai rientrò a Roma.
Al soggiorno francese appartengono due lettere del 7 e del 18 luglio 1518. La prima, scritta nel convento di S. Bonaventura di Lione e indirizzata al preposito Nicola e alla comunità premonstratense di Schlägl, cui veniva comunicata l'ammissione alla confraternitas e ai suffragia in vita e in morte operati dai tre ordini francescani, presenta la firma autografa di Numai con la formula: «Frater Christophorus, qui s[...] manu propria». La seconda, sempre spedita da Lione e indirizzata a Ponzio di Soleilhaut, canonico di S. Maria di Novocastro, in diocesi di Losanna, concedeva cento giorni di indulgenza a tutti i fedeli che avessero visitato in alcune festività la chiesa e nel contempo contribuito alla sua riparazione. La lettera (conservata nell’Archivio di Neuchâtel ed edita da Jeunet, 1868, pp. 107-109) mostra il sigillo ovale del cardinale con la scritta: «Christophorus cardinalis forliviensis».
Intento religioso e di incremento delle forme devozionali legate al pellegrinaggio verso luoghi sostitutivi della Terrasanta aveva la lettera del 18 novembre 1517 al santuario di S. Vivaldo in Valdelsa, con la quale Numai esortava i fedeli che vi accorrevano al culto per Gerusalemme e i luoghi santi, allora non più visitabili. La venerazione per la Terrasanta, espressione della spiritualità di Numai, è al centro anche della lettera che inviò l’11 gennaio 1520 a Luisa di Savoia insieme ad «alcune reliquie de li devoti lochi di Terra Sancta» (Molini, Documenti di storia italiana, I, p. 73): erano poche cose, ma Numai era sicuro che la regina le avrebbe apprezzate per la devozione che aveva verso Cristo e Maria; ciascun oggetto aveva un cartello che indicava il luogo da cui proveniva, e ciò perché «la devotione sua sia incitata a pensare li fatti operati in quelli sancti lochi dal Figliolo di Dio e da la sua benedetta Madre» (ibid.).
Intanto raccomandò al papa il nipote Antonio Ercolani, che il 21 maggio 1520 ebbe la nomina a vescovo di Cariati e Cerenza, pur rimanendo come vicelegato nelle città di Macerata e poi Perugia.
Morto Leone X, partecipò al conclave durante il quale, il 9 gennaio 1522, fu eletto all’unanimità Adriano VI. Da questo ottenne nell’aprile 1523 la nomina ad amministratore apostolico di Isernia, carica che rassegnò a favore di Ercolani nel dicembre 1524. Nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano di Isernia Numai è raffigurato infermo ai piedi dei due santi medici, con una scritta che ricorda la sua intercessione affinché nel 1523 la chiesa fosse donata al capitolo della cattedrale.
Morto Adriano IV nel settembre 1523, il 1° ottobre Numai prese parte al conclave, dopo che nei primi giorni era a letto ammalato, forse per un attacco di podagra. Inserito nel gruppo dei cardinali legati alla Francia, nello scrutinio del 25 ottobre ricevette 22 voti, non sufficienti per l’elezione, cui si opposero quattro cardinali legati all’imperatore. Divenne papa, con il nome di Clemente VII, Giulio de Medici, il quale il 14 dicembre 1523 incaricò Numai, insieme a Francesco Soderini, Egidio da Viterbo e Marco Corner, di stabilire quanto la predicazione di Lutero avesse influenzato il mondo cristiano. Il lavoro si interruppe l’anno successivo per la morte di Soderini.
Nello stesso 1524 Clemente VII inviò Francesco Guicciardini a governare la Romagna, terra travagliata da scontri tra famiglie ‘guelfe’ e ‘ghibelline’, capeggiate rispettivamente dai Morattini e dai Numai. Questi ultimi avevano come protettore a Roma il loro congiunto cardinale, con il quale Guicciardini fu a lungo in contrasto, ritenendo che, pur essendo tutti cattivi, «siano peggio i ghibellini che i guelfi» (Guicciardini, 1866, p. 404). Egli sospettava che il cardinale, pur avendo fama di uomo prudente e neutrale, alla fine parteggiasse per la sua famiglia e gli impedisse di intervenire duramente contro i ghibellini che avevano occupato con violenza Forlì. Di fatto, nel 1525 prevalse per ordine del papa la soluzione patrocinata da Numai, che prevedeva una composizione pecuniaria di 2000 ducati per annullare tutte le condanne pronunciate contro esponenti del gruppo ghibellino. L’azione del cardinale era servita, con la tesi della colpevolezza delle due fazioni, avversata da Guicciardini, a salvaguardare gli interessi del partito familiare.
Dopo la sconfitta di Francesco I da parte degli spagnoli a Pavia (24 febbraio 1525) e la rinuncia della Francia al ducato di Milano, nell’aprile 1526 Numai ottenne da Clemente VII l’amministrazione della diocesi di Riez nel territorio francese. Tuttavia Francesco I, tornato dalla prigionia, scrisse al papa e al cardinale datario lamentandosi che Numai fosse stato nominato subito dopo la morte del predecessore, senza rispettare i diritti del re riconosciuti dal concordato. La netta opposizione del sovrano convinse il cardinale a trattare con la corte francese, in vista di una rassegnazione del beneficio. Lo scambio avvenne nel novembre 1526 ed è documentato da una lettera di Numai al duca Anne de Montmorency, nella quale il prelato prometteva di rifiutare il beneficio di Riez a favore del nipote del duca, il giovane François de Dinteville (Molini, 1836, pp. 259 s.), chiedendo però che Montmorency si impegnasse presso i sovrani affinché fosse provvisto nel regno «di qualche cosa ch’io possa vivere, como quella mi promette e la devota servitù verso loro Maestà ricerca», e concludeva con l’affermazione di essere «bon servitore di quella sancta corona». L’operazione si concretizzò nel marzo 1527.
Qualche mese più tardi le truppe di Carlo V entravano in Roma per punire il pontefice alleato dei francesi. Numai, che aveva casa in Borgo, gravemente ammalato di podagra, non riuscì a fuggire e fu preso prigioniero dai lanzichenecchi, i quali − secondo il racconto di Guicciardini − lo fecero salire su un asino e lo condussero sino all'Aracoeli, ove pensavano di ottenere la somma del riscatto. Secondo un’altra versione, quella di fra Casimiro (1736), Numai fu posto in una bara e portato sino all’Aracoeli per essere collocato nel suo sepolcro qualora si fosse rifiutato di garantire il riscatto. Ottenuta la garanzia, fu riportato in Borgo, ma i lanzichenecchi stimarono che la somma fosse inadeguata e pertanto lo trascinarono presso amici per chiedere prestiti a integrazione del pattuito. Fu liberato per le garanzie date da Cesare Ercolani.
Stanco e ammalato preferì abbandonare Roma per recarsi ad Ancona, mentre i sovrani europei gli scrivevano per manifestargli la loro solidarietà e il loro rincrescimento. Nel frattempo decise di vendere il suo palazzo romano al ‘diletto’ nipote Gerolamo Numai, che Guicciardini indica come capo del partito imperiale a Forlì.
Morì ad Ancona il 23 marzo 1528 e la sua salma, trasferita a Roma, fu sepolta in S. Maria in Aracoeli.
Un manoscritto miscellaneo proveniente dal fondo Piancastelli della Biblioteca comunale di Forlì contiene alcuni scritti di Numai, tra cui un breve trattato sulla cabala, realizzato sulla base dell’opera di Pico della Mirandola, autore studiato da alcuni osservanti francescani, fra cui il veneziano Francesco Zorzi. Probabilmente il cardinale pensava che la conoscenza di questo strumento interpretativo potesse favorire la conversione degli ebrei. Nel medesimo fondo sono conservate alcune lettere papali a lui indirizzate e brevi trattati di natura teologica e di diritto canonico.
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