CRITICA DELL'ARTE nell'antichità classica
Se critica d'arte significa penetrazione intima nel monumento e nell'artista, onde, in stato di stretta convivenza con ambedue, il critico, raffigurandosi e rivivendo le fasi dell'atto creativo, ne sveli le ragioni d'essere e gli stadi del suo crescere fino al concretamento formale in linee, piani, colori, volumi: questa fatica creatrice che vuole "rifare l'opera dell'artista, e anzi superarlo nel giudizio che il superiore grado raggiunto dal pensiero estetico richiede" (Croce, La Critica, 1940, p. 141): questa fatica creatrice insomma la quale rinunzia a priori a creare opere d'arte, ma, quasi a titolo di surrogato e per via teoretica (talora soltanto dialettica), conduce lo spettatore a comprendere e rivivere l'opera d'arte già creata: questa critica in Grecia non c'e stata e non poteva esserci.
Eppure la "lettura" del monumento, la quale da un centinaio d'anni forma, come eredità positivistica, il punto di partenza della moderna critica d'arte, era esercitata diligentemente anche dai Greci, che esprimevano, per ogni opera, giudizi di raffinata sensibilità e precisi orientamenti di gusto. Noi troviamo preziose coincidenze tra i giudizi d'arte degli antichi e i nostri; noi, sia pure attraverso le copie, riscontriamo la storica stabilità delle valutazioni artistiche trasmesse da Plinio, Dionigi di Alicarnasso, Cicerone, Quintiliano.
Come può spiegarsi allora la mancanza di una "critica" come attività a sé? Pensiamo che ciò accada per una convergenza di molteplici cause:
1) Una speciale concezione filosofica della genesi dell'opera d'arte in Grecia. Il greco - filosofo o artista - osserva; e dalla osservazione, diligente, costante, minuta, cerca di astrarre un corpo di regole, che i filosofi chiameranno tèchnai (le nostre "arti") e tende ad assegnare a queste leggi un valore impegnativo e costruttivo di leggi naturali. Ne deriva che le forme concordate, tanto per la letteratura che per le altre arti, vengano considerate come concettualmente preesistenti. Chi per il primo arriva a concretare un tipo di componimento letterario, o plastico, o architettonico, non lo inventa, ma lo trova per il primo (invenire, d'onde "invenzione", significa "trovare"). Solo quel tipo che ha raggiunto la dignità naturale resterà stabile attraverso i secoli - come il Doriforo -; i tentativi dei precursori sussistono, ma sono lontani dall'idea.
2) I filosofi hanno sempre esercitato in Grecia la funzione di codificatori e di legislatori; indirettamente, con i naturalisti e i presocratici; direttamente, da Socrate in poi. Pertanto l'arte greca si è via via staccata dalla koinè arcaica del Mediterraneo orientale - Egitto, Fenicia, Anatolia - ed ha raggiunto i suoi noti sviluppi del VI, V e IV sec., non tanto perché si sia perfezionata intrinsecamente con un graduale progresso evolutivo abbandonando ad una ad una le convenzioni primigenie, ma perché il progressivo razionalismo della filosofia greca, permeando tutte le intelligenze di tutti gli strati, ha richiesto una produzione artistica razionalmente umana, umana nel senso più alto della parola, come può esserlo un'arte che, rifuggendo dall'individuo, ne idealizza la totalità, un'arte che è predicabile da tutti, pur non scendendo a immedesimarsi in nessun singolo.
3) Tutte le arti, pertanto, risalgono, se non ne dipendono addirittura, ad un'unica norma centrale; è un complesso sistema unitario che non si estingue nei necessari contatti tecnici tra arti sorelle; ma, uscendo dalla prassi artigiana di ogni giorno, si innalza a precisa e assoluta teoria filosofica, fuori dalla quale è impossibile concepire manifestazioni vitali. "Normatività" e "tipicità", che tutti riconoscono all'arte greca, sono corollari necessari di questa situazione. Soltanto che questa normatività e tipicità si estendono per natural conseguenza anche alla valutazione critica dei Greci rispetto alla loro arte.
4) E come alla base della filosofia sta l'assillante problema cosmico degli elementi; e dell'armonia, del numero, del ritmo di questi elementi nella composizione dei corpi, un simile non meno insistente quesito governa la creazione dell'opera d'arte, e, del pari, la sua lettura, la sua comprensione. Creazione dell'opera d'arte e valutazione dell'opera d'arte si equivalgono: sono due momenti della stessa attività; si tratta anzitutto di stabilire le categorie creatrici, poi di saperle "leggere". Anzitutto, coordinamento e composizione (Socrate, Platone, Aristotele e poi tutti gli altri) degli ingredienti necessari alla costituzione del corpo desiderato; poi, in seguito, analisi, dissociazione, computo, registrazione degli ingredienti adoperati; alle variazioni di computo corrispondono la varietà di perfezione o di tipo artistico.
Ognun vede di qui quanto profondamente diversa sia la concezione critica tra noi e il pensiero dell'età classica, da Socrate a Luciano.
5) L'arte antica, pertanto, deve avere uno scopo; è condizione implicita nelle premesse. In epoca arcaica è predominante, vorrei dire obbligato, il fine religioso-magico. In epoca classica - con riferimento al V sec. principalmente - è trasparente uno scopo etico-politico; si creano i più famosi tipi di divinità, alle quali non crede più alcuno; eppure si popolano tutti i templi e tutte le agorài di Grecia di simulacri famosi a garantire la coesione e la sussistenza della pòlis. Col quarto secolo compaiono la euritmia (v. eurythmia), la ricerca dell'effetto ottico, la grazia (v. grazia), la venustà (v. venustas), il decoro (v. decor); la hedonè e il kàllos (v. bello) diventano la meta comune.
6) Il principio della scelta e composizione dei varî elementi - "modulo" ne è il raggruppamento minimo, o unità di misura - unitamente alla costante mentalità greca normativa, conducono o, meglio, risiedono su di un'altra situazione, particolare, ma basilare, della creazione artistica in Grecia: il contenuto separato dalla forma. Separazione che a noi, a prima vista, può sembrare paradossale, ma che è intimamente greca. Come la parola è somma di lettere e di sillabe (Plato, Cratylus) così la pittura è somma di linee, colori, toni; ma tanto la parola quanto la pittura, a sintesi avvenuta, "significano" un oggetto o un argomento assolutamente separati e differenti dai singoli addendi, lettere e colori; e, cioè, come il "significante" è di natura sua scisso dal "significato", e la "fabrica " dalla ratiocinatio (Vitruvio), e le res dai verba, i pràgmata dagli onòmata, i noèmata dalla lèxis (Diod. Halic.), lo schematìzon, dallo schematizòmenon (Aristosseno), il conoscente (gignòskon) dal conosciuto (gignoskòmenon; Platone): entro questa ferrea e costante concezione binomica, che sta alla base di ogni arte, i Greci, fin dal tempo antichissimo della filosofia naturalistica, hanno costruito una complicata legislazione che riguarda materia e forma, contenuto e forma: due concetti antitetici, ma vicendevolmente indispensabili. Questa separazione che assume talvolta aspetti anche crudi (come in Luciano, Quomodo hist. conscr., 48 e Imagines, 5 ss.) - errata o no - è storicamente viva ed universale. I Greci pensano così; l'artista greco, nato in Grecia e vivente in Grecia, è educato così, e così pensa ed agisce.
7) Parallelamente al binomio "contenuto" - "forma"; si ha in Grecia, specialmente in epoca classica, nell'epoca creatrice, cioè, per eccellenza, la tendenza a scindere la persona umana dell'artista dall'opera d'arte. Il pregio in cui è tenuta l'opera si accompagna di regola alla noncuranza, se non addirittura al dispregio, verso l'artefice, ora meteco, ora schiavo, sempre bànausos, cioè cittadino di categoria inferiore (v. artista). Fidia crea uno Zeus e una Atena di incomparabile valore artistico, ma nessuna delle fonti sembra impressionarsi troppo sulle avventure giudiziarie di Fidia stesso e sul suo esilio. Le firme degli autori sono rarissime nel periodo aureo, compaiono invece spesso nelle trascrizioni ellenistiche.
8) Infine si deve tener conto, almeno parzialmente, dell'influenza politica sull'arte. La tendenza democratica e individualista dei Greci, ha gelosamente escluso l'individuo dalla rappresentazione di se stesso fino alla metà del sec. IV a. C. Si può eccezionalmente fare una statua a un atleta e a un cittadino, ma non fisiognomica; sarà la statua tipica precostituita e prefissata da norme adeguate; sarà una statua del "tipo" dell'atleta, del "tipo" del cittadino, non di quell'atleta, non di quel cittadino. Questa è la ragione, o la somma di ragioni, per cui i Greci non hanno avuto il ritratto (v.), come espressione d'arte, prima dell'epoca ellenistica avanzata.
9) Considerando assieme tutte queste limitazioni, convenzioni e restrizioni, che premono da ogni parte l'atto della creazione artistica, è difficile a noi rappresentarci l'artista greco nello svolgimento dell'attività sua. Che cosa lasciano a lui i Greci, al di là di questa tremenda morsa di regolamenti e di diffide? E da considerarsi un semplice e meccanico esecutore di ordini? o almeno anche soltanto un docile osservatore della legge? Evidentemente, i Greci stessi distinguevano fra una statua di Fidia e una di Policleto e una di Lisippo e le innumerevoli di tanti artisti di secondo e terzo rango; la personalità di ogni artista è pertanto valutabile e valutata. Ma per la estrinsecazione di questa nota personale non resta altro che la tèchne; è soltanto nella tèchne nel magistero esecutivo dell'arte propria - che l'artista può trasfondere la sua intima volontà, il suo intimo concetto, anche, forse, il suo intimo capriccioso travaglio. E forse nella mente dei Greci, accanto alla tèchne si apponeva la "forma"; ambedue potevano con una certa libertà esser manovrate dall'artefice, il quale solo su di esse - fermo il "contenuto" - poteva incidere più o meno profondamente il suo personale sigillo.
Tèchne e forma, insomma, costituiscono probabilmente l'unico campo di effusione per la personalità dell'artista antico; la tèchne in senso assoluto; con qualche restrizione la "forma". In conclusione: la contemporanea e concomitante considerazione di tutte queste speciali situazioni dell'epoca classica, se da un lato illumina di storica luce la creazione di un'opera di arte greca, dall'altro crea l'unica possibilità di una critica d'arte antica storicamente giustificata. La critica antica, pertanto, si attua sul terreno ed entro la mentalità degli artisti stessi; è sottoposta alla stessa legge della creazione artistica, è critica di artisti e di creatori. Il Greco preferisce questo o quel manufatto a quello o agli altri, e sa esprimere con appropriata chiarezza le ragioni del suo giudizio; ci saprebbe forse dire subito che questo varia se la "somma" degli elementi in una data opera è sufficiente e indovinata o se è invece errata o minore del giusto, come sanno far Socrate e Dione di Prusa e Luciano. Piuttosto che registrare emozioni e tradurle in espressioni letterarie, come troppo spesso tende a fare certa critica visibilistica nostra, lo spettatore greco cerca piuttosto le ragioni intime che l'artefice ha seguito nel costruire, gli elementi che si sono coagulati nell'atto della genesi, ben inteso col pieno rispetto delle superiori leggi estetiche fissate stabilmente per tutti, e non le espressioni esteriori, psicologiche, coloristiche, che potrebbero risultare personali e fallaci.
Affievolitosi dopo tre o quattro secoli il fuoco l'epoca creatrice, i Greci dell'età ellenistica e dei tempi imperiali, come non hanno abbandonato le arti, così non hanno dimenticato di essere, come sempre erano stati, sia pure a modo loro, critici dell'opera d'arte. Come tutti sappiamo, anzi, la produzione artistica greca si è moltiplicata quantitativamente data la moltiplicazione dei centri di produzione in tutto il Mediterraneo. Ne ha sofferto la originalità, naturalmente; il Greco ora copia, ripensa, ricrea, amalgama: confonde e uniforma le tecniche; si compiace di rappresentare per via astratta tutti i concetti e concettini propri dell'epoca, le varie situazioni psicologiche, il grandioso, il minuto, il terribile e il meschino. È il regno della pura forma; la tèchne, in origine gelosa ed intima prerogativa personale di ciascun artista, è ora, a scapito del contenuto, divenuta unica e sola padrona del campo, unica e sola preoccupazione dell'artista. Anche l'arte della parola che, durante la vita politica della Grecia, aveva trovato abbondante contenuto nelle vicende storiche e che i sofisti si erano incaricati di addestrare e agguerrire onde superare l'avversario, ha ora partita vinta. La tèchne della parola, l'arte del dire, del persuadere e del presentare, colla parola, qualsiasi oggetto, qualsiasi stato d'animo, qualsiasi contorcimento del pensiero pervade tutte le scuole greche, abbagliando con splendide luci gusto e coscienze.
Anche la vecchia critica d'arte, fredda e analitica, risente necessariamente degli effetti del gusto mutato; e pur non cessando di vivere (Luciano è ancora un critico di vecchio tipo), rimane appartata accanto ai nuovi indirizzi. I quali, del resto, trovano la loro giustificazione storica nella stessa epoca classica: oltre l'insegnamento retorico dei sofisti e l'affievolimento della creazione originale, la mimesi platonica, in una ovvia estensione di significato, può ben ammettere un quarto grado, mimetico, che sarebbe appunto la descrizione tecnica dell'opera d'arte; e cioè, se l'"idea" è la prima origine, e l'oggetto o il personaggio ne sono un surrogato e, a sua volta, il manufatto artistico è un surrogato dell'oggetto e del personaggio (Plat., Polit., x, 597, 602): è chiaro che una descrizione, redatta con perfetta tèchne, del manufatto stesso può a sua volta diventarne un surrogato (qualche cosa come un tètarton gènnema).
Infatti la èkphrasis, o descrizione tecnica dell'opera d'arte, è propriamente una mimesi di quarto grado rispetto all'idea; e nella mentalità del critico ellenistico rappresenta uno sforzo per eguagliare (synexomoioùsthai: Hermogenes) il manufatto stesso. In altre parole il critico ellenistico d'epoca imperiale e poi bizantino, quando scrive un'èkphrasis abbandona l'antica preoccupazione genetica e analitica e si mette a gareggiare su piede tecnico col marmo e col colore e col suono, sicuro e convinto di poter, per mezzo della parola sapientemente mossa, comporre un brano artistico equipollente, in qualche caso anche superiore (Himer., Orat., 14, 14). Questo conato verso la superiorità dell'espressione critica rispetto all'opera d'arte corrisponde, come tutti vedono, a un preciso conato moderno (Croce). Pertanto la èkphrasis, nonostante l'eccessivo, e scolasticamente monotono, psicologismo, costituisce una fonte interessantissima per una completa penetrazione nell'intimo dell'opera d'arte greca: tanto più che non mancano notevoli e finissime registrazioni di lettura visibilistica, direttamente utilizzabili anche da noi.
Terminologia critica: I termini critici usati dagli autori greci e latini vengono discussi alle voci relative. Per facilitarne il reperimento ne viene data qui la serie alfabetica: Amplitudo - Aruficium - Auctoritas - Austeritas - Collocatio - Commodulatio - Commodus - Compositio - Consuetudo - Convenientia partium - Decor - Dignitas - Diligentia - Dispensatio - Dispositio - Distributio - Divisio - Doctrina - Doctus - Eidos - Elegantia - Ethos - Eurythmia - Firmitas - Floridus - Gratia - Gravitas - Harmogen - Humanitas - Indecentia - Innocentia - Modus - Necessitas - Numerus - Ordinatio - Ordo - Partitio - Pathos - Perigraphe - Ponderatio - Pondus - Proportio - Proprietas - Quadratura - Qualitas - Quantitas - Ratio - Rudimenta - Sanctitas - Statio - Suavitas - Subtilitas - Symmetria - Tonos - Umidus - Venustas. Si vedano anche le voci: artifex - artista - bello - chiasmo - katagrapha - intelligentes - spiranta signa - visiones.
Bibl.: Opere generali: E. Müller, Geschichte der Theorie der Kunst bei den Alten, Lipsia 1834; J. Walter, Geschichte der Aesthetik im Altertum, Lipsia 1893; P. Friedländer, Johannes von Gaza, Lipsia-Berlino 1912, 84 ss.; in particolare: S. Ferri, in Annali Scuola Normale Pisa, 1936, 237 ss.; id., in Atene e Roma, 1941, 247 ss.; id., in Atti Accademia Palermo, 1941, Serie IV, vol. II; id., in Memorie Accademia d'Italia, 1943, IV, i; id., in Miscellanea Galbiati, I, 1951, p. 151-158.