Critica della ragion pratica (Kritik der praktischen Vernunft)
(Kritik der praktischen Vernunft) Opera (1788) di I. Kant in cui si studiano le condizioni trascendentali dell’agire morale, la cui legge si presenta come un «imperativo categorico», ossia pura legge del dovere, scevra da ogni contenuto. A differenza di quello «ipotetico», che comanda in vista di un fine, l’imperativo categorico è fondato sulla norma dell’«agire secondo ragione», dove la ragione è intesa in senso universale, ossia estesa a tutti gli esseri razionali. Ne derivano tre formulazioni: «Agisci secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga legge universale» (dove «massima» è il principio soggettivo, contrapposto all’oggettività della legge); «agisci come se la massima della tua azione dovesse essere elevata dalla tua volontà a legge universale della natura»; «agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona, sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine, mai solo come mezzo». È la conformità fra volontà e principio razionale a determinare la moralità dell’azione che, non legata a premi o ricompense, si iscrive entro un razionale «regno dei fini», in cui si realizza l’unione di tutti gli esseri razionali mediante leggi «oggettive» comuni. La ragion pratica infatti, mediante la legge morale, postula la «libertà», che esula dalle determinazioni della natura fenomenica dell’uomo, l’«immortalità dell’anima», che proietta lungo un progresso infinito la tensione verso l’unione di felicità e bene, e l’«esistenza di Dio», inteso come garante di tale accordo.