Vedi Croazia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Croazia è uno stato dei Balcani occidentali dichiaratosi indipendente dalla Repubblica Socialista Federale di Iugoslavia nel 1991. Tale atto è stato tra i fattori scatenanti i conflitti scoppiati all’inizio degli anni Novanta nella regione balcanica. Come la Bosnia-Erzegovina, seppure in misura minore, la Croazia ha subito l’invasione delle forze federali iugoslave: queste erano intervenute a favore della popolazione serba di Croazia che nel dicembre 1991 si era organizzata nella Repubblica Serba di Krajina (Rsk) – entità che riuniva gli abitanti di Craina e Slavonia, ma senza alcun riconoscimento internazionale –, in contrapposizione alla politica indipendentista perseguita dal presidente croato Franjo Tuđman. Nonostante i tentativi di cessate il fuoco, il ritiro ufficiale delle forze iugoslave nel 1992 e l’istituzione di una missione di peacekeeping da parte delle Nazioni Unite (Unprofor), il conflitto si è protratto fino al 1995, coinvolgendo tra il 1992 e il 1993 anche i territori croati della Bosnia-Erzegovina. Le operazioni ‘Lampo’ e ‘Tempesta’ tra il maggio e l’agosto 1995 riportarono nel giro di poche settimane il controllo di Zagabria su tutto il territorio croato. Le regioni più orientali del paese furono reintegrate il 15 gennaio 1998 al termine del periodo di amministrazione temporanea da parte dell’Un (Untaes), una missione di stabilizzazione istituita nel gennaio 1996 sulla base degli Accordi di Dayton e dell’accordo di Erdut (1995).
I rapporti con la Serbia e con la vicina Bosnia-Erzegovina (regione nella quale risiede una vasta comunità serba accanto a quelle croata e musulmana) sono migliorati, così come quelli con la Slovenia, con la quale, fino al 2010, si sono mantenute alcune controversie territoriali – non del tutto concluse – che impedivano l’ingresso di Zagabria nell’Unione Europea (Eu). Ciononostante, la recente emergenza migratoria attraverso la cosiddetta rotta balcanica ha alimentato nuove tensioni tra gli stati dell’area.
Una delle caratteristiche geopolitiche della Croazia è di avere il maggior numero di chilometri di costa sul mare Adriatico tra i paesi dell’area. Tale elemento influisce sulla struttura economica e politica del paese e lo rende unico nell’area balcanica. La priorità del governo croato nell’ultimo decennio è stata creare le condizioni per l’accesso del paese all’Eu, obiettivo raggiunto il 1° luglio 2013 (i trattati di accesso erano stati firmati nel dicembre 2011): la Croazia è diventato il 28° stato dell’Eu. Per raggiungere questo traguardo, Zagabria ha attuato profonde riforme sul piano economico, sociale e politico, che hanno inciso in particolar modo sulla stabilizzazione del paese. Già nel 2009 la Croazia era entrata a far parte della Nato, definendo la propria posizione internazionale sotto l’aspetto della sicurezza.
Dopo la guerra e l’esperienza di governo dell’ex presidente Tuđman, la Croazia ha emendato la Costituzione del 1990, togliendo molti poteri al presidente e trasferendoli al parlamento, reso unicamerale e composto da 151 membri. Nonostante il paese goda di una relativa stabilità politica, le spaccature all’interno dell’Sdp, al governo dal 2011, e le sconfitte di quest’ultimo in occasione delle consultazioni europee del maggio 2014 – che hanno invece visto la vittoria dell’Unione democratica croata (Hdz) – e delle presidenziali del febbraio 2015 – che hanno visto l’elezione del candidato dell’Hdz Kolinda Grabar-Kitarović – hanno aperto la strada ad un cambiamento di governo. Nelle elezioni legislative dell’8 novembre 2015 la coalizione di centro-destra guidata dal leader di Hdz, Tomislav Karamarko, ha infatti battuto – seppur di misura – il blocco di centro-sinistra del premier uscente Zoran Milanović. L’impossibilità di raggiungere una maggioranza assoluta ha richiesto la ricerca di un compromesso politico con Most – l’associazione delle liste indipendenti –, formazione che, sebbene di recente creazione (2012), si è attestata come terza forza.
Come accaduto anche in altri paesi dell’area balcanica, dopo la guerra del 1992-95 in Croazia la popolazione è diminuita a causa sia delle vittime che dell’emigrazione. Ancora oggi vi sono circa 62.000 croati rifugiati all’estero e le procedure per il rientro in patria sono tuttora difficili da attuare. Nonostante la caduta del tasso di fecondità, l’immigrazione dagli altri paesi (soprattutto da parte dei croato-bosniaci) ha garantito però un sostanziale equilibrio demografico negli ultimi anni, anche se non si è più arrivati ai livelli antecedenti la guerra. Come altre realtà della regione balcanica, anche la Croazia ha dovuto affrontare l’emergenza migratoria. Sebbene la Croazia rappresenti soltanto una tappa di passaggio nella cosiddetta rotta balcanica, l’afflusso di migranti da e verso i confini serbi, sloveni e ungheresi ha costretto le autorità locali a rivedere le proprie politiche in termini di accoglienza nei confronti dei profughi e dei rifugiati.
All’interno della Croazia è ancora presente una minoranza di etnia serba, poco più di 185.000 persone, vale a dire il 4,4% della popolazione totale. Prima della guerra erano circa il doppio. Nonostante la forzata ridistribuzione demografica, in Croazia le tensioni inter-etniche sono ancora esistenti: nel settembre 2013, in seguito all’emissione di avvisi pubblici anche in alfabeto cirillico (ossia serbo), nella città di Vukovar sono scoppiate violente proteste. Ai sensi della legge costituzionale sulle minoranze nazionali del 2002, nei comuni che (secondo i dati del censimento 2011) raggiungono una presenza serba pari a un terzo della popolazione sono obbligatori i cartelli bilingue.
Il tasso di scolarizzazione è di circa il 90%, anche se durante il periodo della guerra molti bambini non sono andati a scuola. Si riscontrano ancora discriminazioni di genere nel mondo del lavoro, soprattutto in merito alla popolazione attiva, che risulta essere molto maggiore tra gli uomini. La corruzione e la presenza della criminalità organizzata costituiscono i due principali ostacoli allo sviluppo economico del paese.
Nel 2009, la Croazia è piombata nella recessione, con un tasso di crescita negativo del 7,4% circa, a cui è seguito un periodo di stagnazione durato 6 anni. Questa situazione ha condotto nel gennaio 2014 il Consiglio Ecofin ad approvare una richiesta della Commissione europea di apertura di una procedura di infrazione per deficit eccessivo nei confronti di Zagabria, in seguito alla quale è stata approvata una manovra correttiva da parte dell’allora governo Milanović, basata su un aumento della tassazione sul carburante e sulle telecomunicazioni.
Una ripresa della crescita è iniziata solo a partire dal 2015, anche se si attesta ancora su valori modesti (0,8%). Le prospettive di crescita dell’economia croata restano tuttavia strettamente collegate al proseguimento dei processi di privatizzazione, alla stabilizzazione del quadro finanziario pubblico e, infine, all’implementazione delle riforme economico-strutturali, tra le quali ha assunto un ruolo importante la recente riforma fiscale.
L’economia croata è centrata sul settore dei servizi, che contribuisce al pil per il 67%. Quella croata si può dunque definire un’economia di tipo post-industriale: è anche una conseguenza della guerra, che ha gravemente danneggiato le strutture e le infrastrutture del settore secondario. L’agricoltura (4% del pil) riveste invece un’importanza inferiore.
La Croazia è povera di materie prime e risorse energetiche, il che la rende dipendente dalle importazioni per circa i due terzi dell’energia consumata. Dal 2000 l’allora governo guidato dai socialdemocratici ha messo in atto un progetto di potenziamento e costruzione di nuove infrastrutture, che ha portato il paese ad avere più di 400 km di nuove autostrade, soprattutto tra Zagabria e i centri turistici sulla costa della Dalmazia. Proprio il turismo rappresenta una delle maggiori entrate, vista l’estensione della costa e le numerose isole sull’Adriatico. Grazie ai fondi europei, il paese ha potuto effettuare investimenti per modernizzare la società e realizzare nuove infrastrutture. In particolare, sono stati potenziati i 6 maggiori porti e il sistema ferroviario. Ciò ha permesso di far crescere del 50% rispetto al periodo immediatamente successivo alla guerra il numero di passeggeri su rotaia. Un elemento di forza dell’economia è la cantieristica navale, settore in cui il paese è tra i primi in Europa e nel mondo, ma non al pari dei principali produttori asiatici (Cina e Corea del Sud). L’Eu e in particolar modo Italia, Germania e Slovenia sono i principali partner commerciali della Croazia.
Negli anni del dopoguerra il passo più importante della Croazia dal punto di vista delle politiche di difesa e sicurezza è stato l’ingresso nella Nato, in seguito alla decisione del summit di Bucarest del 2008. Assieme all’Albania, nell’aprile del 2009 la Croazia è diventata un membro effettivo dell’Alleanza atlantica. Ciò è stato possibile grazie al sostegno ricevuto dagli Usa, che fin dagli anni della guerra si sono proposti come garanti della stabilità regionale; un ruolo che, con il tempo, sembra essere passato progressivamente all’Eu, da un lato, e alla stessa Nato, dall’altro. Attualmente i militari croati sono presenti all’estero in Afghanistan, nell’ambito della missione Resolute Support della Nato (106 effettivi), e in Kosovo in un’altra operazione dell’Alleanza atlantica, la Kfor (24 effettivi).
Meno di tre mesi dopo la sua adesione all’Eu, la Croazia si è ritrovata ad affrontare la minaccia di sanzioni da parte di Bruxelles. Oggetto della controversia è stata una legge, approvata in Croazia pochi giorni prima del suo ingresso in Europa, che impediva l’estradizione di individui accusati o condannati per reati commessi prima di agosto 2002, ovvero prima che l’Eu adottasse una decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo, secondo la quale ogni autorità giudiziaria nazionale deve riconoscere, ipso facto, la domanda di consegna di una persona formulata dall’autorità giudiziaria di un altro stato membro. La cosiddetta ‘Lex Perković’ di fine giugno 2013 è stata interpretata come un palese tentativo di proteggere l’ex responsabile dei servizi segreti iugoslavi Josip Perković, ricercato in Germania per l’uccisione di un dissidente croato, Stjepan Đurekovic, in territorio tedesco nel 1983. Alle misure croate, la Commissione europea ha risposto attivando la clausola di salvaguardia per giustizia e affari interni, che ha comportato l’avvio di sanzioni quali un monitoraggio rafforzato su Zagabria e la sospensione dei fondi Eu per aiutare il paese a potenziare il controllo dei confini, condizione essenziale affinché la Croazia possa accedere allo spazio Schengen. Il governo croato, che si è difeso dalle accuse sostenendo che la legge era necessaria per proteggere i cittadini da procedimenti giudiziari di altri paesi relativi alla guerra in Croazia tra il 1991 e il 1995, ha provveduto ad adeguare la legislazione nazionale nel giro di qualche mese. Dal primo gennaio 2014 il mandato d’arresto europeo è valido anche in Croazia illimitatamente; Perković si trova in stato d’arresto e nell’ottobre 2014 è iniziato il processo a suo carico presso la Corte regionale di Monaco di Baviera.