CROCE (σταυρός, σκόλοψ, crux)
Specie di patibolo composto di due legni, uno diritto e uno traverso, su cui si legavano o s'inchiodavano i condannati. Il supplizio della croce, comune specialmente nell'Oriente semitico, come a Cartagine, non fu adoperato dai Greci che raramente; era considerato come un mezzo infamante e tremendo di dare la morte, e si riservava agli schiavi, ai briganti, ai disertori: Dionigi di Siracusa fece crocifiggere i prigionieri greci che avevan fatto parte dell'esercito cartaginese (Diod., XIV, 53); pare che presso i Greci la crocifissione consistesse nel legare o inchiodare il condannato ad un palo infisso in terra.
A Roma la crocifissione pare fosse adottata tardi e come forma eccezionale di supplizio. Non pare che vi accennino le XII tavole le quali non lo riservano nemmeno agli schiavi colpevoli che dovevano esser gettati dalla rupe Tarpeia (Gell., XI, 18; 8; Gaio, III, 189). È molto probabile l'opinione di quelli che credono che i Romani abbiano presa questa forma di supplizio dai Cartaginesi: infatti non si può provare la conoscenza di esso a Roma prima delle guerre puniche, mentre lo conoscono Ennio e Plauto.
Nel periodo repubblicano la crocifissione fu usata come forma di esecuzione capitale per gli schiavi; nel periodo imperiale usualmente per gli schiavi, per i grandi delinquenti, i disertori; e nelle provincie per le persone di più umile condizione se sobillatori di rivolte o briganti; il condannare alla crocifissione un cittadino romano fu sempre considerato come grave offesa al diritto (Cic., Pro Rabir., 16; Verr., I, 7; V, 12; Suet., Galb., 9). Costantino abolì questa pena dopo il 314: il supplizio che appare nel codice giustinianeo sotto il nome di furca non è, come taluni credono, la crocifissione, a cui sarebbe stato mutato il nome per rispetto alla croce di Cristo, ma una speciale forma di impiccagione.
La forma usuale della croce in Roma non è probabile sia stata quella che conosciamo per tradizione; si doveva trattare di un palo conficcato in terra sul quale veniva issato il condannato con le braccia già legate al patibulum, sbarra di legno passata dietro le spalle.
Bibl.: Daude, De ca. poena. iur. iust., 1871, pp. 56-61; H. Fulda, Das Kreuz und die Kreuzigung, Breslavia 1878; Caillemer, Humbert e Saglio, in Daremberg e Saglio, Dict. d. antiq. gr. et rom., I, Parigi 1887, pp. 1573-75; Th. Mommsen, Gesch. d. Todesstrafe im röm. Staat, in Cosmopolis, 1896, p. 135 segg.; id., Röm. Strafrecht, Lipsia 1899, p. 198 segg.; Hitzig, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, coll. 1728-31; P. Franchi de' Cavalieri, Della forca e della sua sostituz. alla croce nel diritto penale romano, in Nuovo Bull. d'arch. crist., XIII (1907), p. 603 segg.; H. Blümmer, Röm. Privataltert, Monaco 1911, p. 295 segg.
La croce e il crocifisso nel culto, nella liturgia e nell'arte cristiana.
Culto. - La croce come strumento del supplizio di Gesù Cristo (per le circostanze di fatto che accompagnarono la crocifissione di Cristo, v. gesù cristo), e come altare ove si compì il sacrificio della Redenzione, ha una parte assolutamente essenziale nel culto cristiano, e non solo nel culto interno, ma anche, con la sua figura sensibile, nel culto esterno. Indi l'antico costume di segnarsi con la croce la fronte prima di ogni azione di qualche rilievo; indi ancora l'usanza di imprimerne la figura schematica sulle pareti del luogo sacro, sulle tombe e massime sugli oggetti destinati a uso religioso. Ma come nell'iconografia (v. appresso) così anche nel culto e nella liturgia cristiana, la croce non si afferma subito nelle prime comunità cristiane. Per spiegare ciò occorre tener presente che la croce era nel mondo pagano strumento di supplizio infame riserbato ai più indegni malfattori: perciò la figura stessa ne richiamava alla mente dei cristiani novelli, passati allora dal gentilesimo, un orrore istintivo, che la fede sola poté trasformare in venerazione. A questa circostanza si aggiunge il fatto che motivi di prudenza potevano tener lontana la croce dal culto: l'accusa di idolatria rivolta dai pagani ai cristiani, lo scherno col quale essi rinfacciavano ai cristiani la loro adorazione per il crocifisso (cruces iam non sunt adorandae sed subeundae, Minucio Felice, Octavius, XII), l'accusa da essi rivolta ai cristiani di adorare un asino crocifisso (v. asino; IV, p. 951 seg.), erano tutti motivi per non offrire in pascolo alla calunnia dei pagani il segno della passione del Salvatore. Ma la pace data da Costantino alla Chiesa, l'apparizione della croce a Costantino stesso (v., per le discussioni in proposito, costantino), l'aver egli impresso il segno della croce sul labaro, sugli scudi dei suoi soldati e sulle monete, l'invenzione della vera croce di Cristo (v. appresso) e il diffondersi delle reliquie di questa nel mondo eristiano, se da una parte concorsero all'affermarsi nell'iconografia cristiana del segno della croce, dettero al culto privato e pubblico della croce stessa un rapido sviluppo. Chiese ed oratorî le furono dedicati a Gerusalemme, a Roma (Basilica Sessoriana, con una reliquia insigne della croce, ehe sarebbe stata donata dalla stessa S. Elena e che ancora vi è venerata; Laterano, da papa Ilario, 461-468; S. Pietro, da papa Simmaco, 498-514), a Ravenna, da Galla Placidia prima del 450; a Poitiers da S. Radegonda, ove l'arrivo di una reliquia donata dall'imperatore Giustino II (565-578) originò il Vexilla regis di Venanzio Fortunato, ecc. In Gerusalemme alla fine del sec. IV al mattino del venerdi santo si esponeva all'adorazione la vera croce: cosa che poi, con l'accorrere dei pellegrini, si ripeté durante l'anno; lo stesso si faceva a Costantinopoli dai tempi di Eraclio in S. Sofia, e a Roma almeno dal sec. VII-VIII. Qui è l'origine dell'"adorazione" della croce, che è ancora una delle cerimonie del venerdì santo nel rito romano; il rito greco finì per perderla in seguito al prevalere di quella della sua terza domenica di quaresima; la conservano i Siri, gli Armeni, i Copti. Il culto della croce fu rispettato dagl'imperatori iconoclasti; gli si oppose invece il vescovo di Torino Claudio (morto nell'839); poi lo combatterono nel sec. XIV i Wycliffiti, e nel secolo seguente alcuni Riformatori, soprattutto i calvinisti: i luterani furono più tolleranti, specialmente riguardo la croce nuda; gli anglicani sono passati dal rigore calvinista alla riaccettazione della croce col crocifisso. Sotto l'aspetto dommatico cattolico il culto della vera croce rientra nel culto delle reliquie, e quello delle sue rappresentazioni nel culto delle immagini: culto di latria, ma relativo. Sotto l'aspetto morale-ascetico, esso è sprone alla mortificazione e alla pazienza, motivo di consolazione e di speranza nel dolore.
Liturgia. - La croce. - Col sec. IV, si è visto, la croce è universalmente oggetto di culto e da allora data, di conseguenza, il suo ingresso nella liturgia cristiana. La croce cominciò allora a sormontare il ciborio sopra l'altare, a pendere soprattutto vicino ad esso, dalla pergula ("croce pensile"). Parallelamente s'introduce l'uso di portare la croce nelle processioni ("croce processionale") ispirata, pare, al labaro costantiniano, tanto che alle volte colui che la portava riceveva il nome militare di draconarius. La croce era inalberata su un'asta ("croce astata" o "astile"). Socrate (Hist. eccl., VI, 8) dice che S. Giovanni Crisostomo fece porre sulle braccia di tali croci dei ceri accesi, e questa fu l'origine delle croci dette "raggianti". Quando la processione era diretta al luogo di stazione", la croce processionale assumeva il nome di "croce stazionale", e giunti al luogo ove si doveva celebrare, pare che venisse innalzata dietro l'altare. Prima del sec. XI non si hanno testimonianze dell'uso di porre la croce sull'altare; invece nel secolo seguente Innocenzo III (1198-1216) prescrive legalmente quest'uso, ma forse solo per il tempo del sacrificio. Questa "croce d'altare", essendo appoggiata su di un piedestallo, ebbe anche il nome di pedunculata, e non è che un'evoluzione della "croce pensile" e, più ancora, della "processionale": forse anzi si cominciò con lo staccare la croce dall'asta e porla in un sostegno sull'altare. Il crocifero o "stauroforo" (gr. σταυρός "croce", ϕέρω "porto") era in origine preferibilmente un diacono, ora è un suddiacono. Connessa con la croce processionale è la "funeraria" che accompagna i trasporti funebri e che, per i bambini, deve essere senza asta. Speciali croci astate, esse pure forse connesse con la processionale, sono la croce che precede il papa (croce papale" o "pontificia"), i suoi legati ("legatizia"), i patriarchi, i primati, gli arcivescovi ("patriarcale", "primaziale", "arcivescovile"), e, per privilegio, certi vescovi. Della papale parla l'Ordo X del sec. XII circa; il Liber Pontificalis la fa risalire a Leone IV (847-855). Questi la concesse a S. Anscario od Oscar, vescovo di Amburgo e suo legato. "Per antica consuetudine" l'hanno gli arcivescovi, a detta di Onorio II e di altri papi del sec. XII. Tale croce è segno di giurisdizione e precede il prelato, che ne ha il diritto, solo nel territorio su cui egli esercita la sua giurisdizione. Dal sec. VIII appare già l'uso di croci "monumentali" davanti alle chiese ed altrove: la crux buxata non era che una croce monumentale eretta nell'atrio della chiesa, e che nel giorno delle Palme si ricopriva di fiori, di rami e soprattutto di bosso (donde l'aggettivo buxata): ad essa si rendeva onore prostrandosi nel ritorno dalla processione delle Palme. Connesse con tali croci sono quelle che si mettono ove è un ricordo, sacro o doloroso. Già nel Codice Giustinianeo (Nov., 131) è prescritta l'erezione di una croce fatta dal vescovo sul luogo ove si edificherà una chiesa. Tale funzione e, per estensione, tale croce è detta in greco σταυροπήγιον (σταυρός "croce"; πήγνυμι "pianto").
Anteriore a S. Pier Damiani (sec. XI) è l'uso di segnare con piccole croci, dipinte o in rilievo, i dodici punti delle pareti interne della chiesa che si toccano col crisma nella consacrazione delle chiese: sono le "croci della consacrazione", che in alcuni luoghi si mettono anche sui punti corrispondenti delle pareti esterne. Croci debbono essere poste su varî paramenti sacri, come manipolo, stola, pallio, amitto, ecc.: tolto il pallio, che già nel sec. VI-VII portava la croce alle sue estremità, per gli altri paramenti l'uso era vario nel Medioevo. Rozze croci, già prima del sec. XI, si lasciavano sul petto o nelle mani dei cristiani defunti, e talora sopra vi si scriveva la formula di assoluzione. Ora il Rituale consiglia di porre una piccola croce tra le mani del defunto, o comporgli le mani in forma di croce. Piccole croci sono poste sopra le stazioni della via Crucis e ad esse sono annesse le indulgenze di tale esercizio. Varî ordini religiosi portano la croce sul loro abito; in parecchi riti di professione religiosa si dà una croce a chi emette i voti.
La "croce pettorale" è una piccola croce latina senza crocifisso, sospesa al collo con una catena d'oro o un cordone di seta e oro, usata dai vescovi e abati. L'usava il papa nelle funzioni sacre già prima di Innocenzo III (1198-1216) che ne parla. L'uso passò ai vescovi e fu sanzionato nelle rubriche del messale di Pio V (1570). Fuori di funzione non risulta portata prima del sec. XVII. Benedetto XIV (1740-1758) favorì molto tale uso, cosicché la croce pettorale è ormai riguardata come un distintivo (insegna) del vescovo in quanto tale, onde può essere portata scoperta anche fuori diocesi, non essendo segno di giurisdizione. Dei papi, Pio IX fu il primo che portasse la croce pettorale fuori funzione. Dai vescovi la presero gli abati e altri prelati minori; a questi ultimi però furono poste speciali limitazioni. L'uso della croce pettorale si ricollega agli encolpia (dal gr. ἐν "in", κόλπος "seno"), reliquiarî a croce ("stauroteche", gr. σταυρός "croce", ϑήκη, "scrigno") di non grandi dimensioni, in cui si ponevano reliquie della S. Croce o altre da portarsi sospese al collo. Tale pratica si sviluppò nel sec. IV, dopo il ritrovamento della vera croce. Spesso la croce era d'oro, e più tardi la si usò anche senza reliquie.
Nel rito bizantino, la croce aveva anticamente due rami trasversali, l'uno per il titolo, l'altro per le braccia. Più tardi se ne è aggiunto un terzo, per appoggio dei piedi. Sulle miniature più antiche, il terzo ramo è orizzontale, e cosi vien raffigurato sulle cupole delle chiese serbe, romene e rutene dell'Europa centrale. In Russia, probabilmente in seguito a qualche abbaglio di miniaturista, il terzo ramo è sempre obliquo, elevato al lato destro del crocifisso e inclinato al lato sinistro. In ciò si è voluto vedere un simbolismo dei due ladri che stavano ai lati della croce di Gesù, l'uno diretto al cielo e l'altro all'inferno; ma questo simbolismo è di epoca posteriore.
Il crocifisso. - Le ragioni che ritardarono l'esposizione patente della croce e del crocifisso nell'arte cristiana (v. appresso), ancor più ritardarono l'uso del crocifisso nella liturgia. Avviarono ad esso le rappresentazioni del crocifisso sulle porte o le mura dei luoghi di culto, finalmente, in modo sporadico verso il sec. X e abitualmente dal sec. XIII-XIV, il crocifisso appare sulle croci processionali e d'altare e da allora entra universalmente nel culto. Gli si dedicano altari e cappelle, e la pietà popolare moltiplica i crocifissi anche fuori delle chiese. Per legge liturgica, l'altare maggiore deve avere sempre un crocifisso ben visibile, nel mezzo, tra i candelieri. Ciò vale anche per gli altari minori, almeno durante la messa. Non è necessario porre tale crocifisso se già ve n'è uno che fa da pala dell'altare. Le croci processionali debbono avere il crocifisso, e questo durante le processioni deve essere rivolto in avanti. È rivolto invece indietro nelle croci che precedono le dignità, cioè la papale, legatizia, ecc. Tutti i crocifissi d'altare ed i processionali devono essere velati con un velo violaceo, dalla sera precedente la domenica di Passione (v.) fino allo scoprimento della croce nella funzione del venerdì santo. Il velo deve essere bianco all'altare ove si celebra la funzione del giovedi santo. Nei messali all'inizio del Canone si deve porre un'immagine del Crocifisso. Forse ciò ebbe origine dall'uso di miniare il T iniziale del Canone (Te igitur) con una rappresentazione del crocifisso. In Oriente l'uso del crocifisso si diffuse prima che in Occidente, perché il concilio Trullano (692) ordinò che sulle croci non si ponesse più l'agnello simbolico, ma la figura reale.
La festa dell'invenzione ed esaltazione della Santa Croce. - È la festa anche oggi celebrata dalla liturgia ai 3 maggio e 14 settembre. Essa commemora il ritrovamento (inventio) della vera croce rimasta sepolta sotto il tempio di Venere eretto sul Calvario da Adriano (v. gerusalemme). La festa fu detta anche dell'esaltazione perché il sacerdote in questa ricorrenza innalzava (esaltava) la croce esponendola alla venerazione dei fedeli. Nel 348 S. Cirillo di Gerusalemme assicurava che la vera croce era già da tempo venerata a Gerusalemme e che reliquie se ne erano sparse per tutto il mondo (Catechesi, 4ª, 10ª e 13ª). La scoperta della croce dovette essere connessa coi lavori di sterro e di costruzione fatti fare sul Calvario e sul Santo Sepolcro da Costantino, dopo il 325, se non già dal 320. Alla fine del sec. IV si dava come certo che nel pellegrinaggio fatto da S. Elena nel 326-327 erano state scavate le tre croci. La basilica costantiniana sorta sul luogo dell'invenzione fu dedicata nel 335; probabilmente solo dopo tale dedicazione fu ivi venerata la vera croce. La festa della invenzione si celebrava a Gerusalemme, alla fine del sec. IV, il 14 settembre, data della dedicazione della basilica e, a quanto si riteneva, anche dell'invenzione stessa. La festa si diffuse in Oriente col diffondersi delle reliquie della croce; in Occidente però non la si trova attestata prima del sec. VIII. La vera croce, asportata nel giugno 614 da Cosroe II re dei Persiani, fu poi restituita all'imperatore Eraclio dal figlio di Cosroe, Siroe, nel 628. Eraclio la consegnò a Zaccaria patriarca di Gerusalemme, forse ai 3 di maggio, accompagnandola da Tiberiade alla città santa.
Per la croce in araldica: v. araldica.
Bibl.: I. Schuster, Liber Sacramentorum, III, VII, e VIII, Torino-Roma 1920-1927; Friedlieb, Archéologie de la Passion, trad. francese, Parigi 1895; Kellner, L'anno ecclesiastico, trad. it., Roma 1914; F. Cabrol, Les églises de Jérusalem, la discipline et la liturgie au IVe siècle, Parigi 1895; Rinaldi-Bucci, De insignibus episcoporum, Ratisbona 1891; Rohault de Fleury, La Messe, V, Parigi 1886; Hoppenot, Le crucifix dans l'histoire, 4ª ed., Lilla e Parigi 1905.
Iconografia. - La croce. - Nei primi secoli, avanti Costantino, la croce nelle catacombe si ritrova di raro, graffita o segnata a pennello: ne sono stati enumerati una ventina di esempî, benché ciò non escluda che di tanti altri non sia rimasta traccia. Ad ogni modo è certo che la croce non era di uso corrente come gli altri simboli consueti, il pesce, i pani, la colomba, l'ancora ecc. Forse la disciplina dell'arcano suggeriva qualche cautela, come quella di dissimulare la croce, aggiungendola oppure intercalandola in forma di tau fra le lettere componenti il nome della persona sepolta, per es. ΔIONTYCIOY. Con la pace di Costantino la figura della croce, che come simbolo ed emblema comparirà d'ora innanzi liberamente, si suole distinguere: 1. la croce commissa o patibulata in forma della lettera maiuscola tau T, la quale si crede fosse comunemente adoperata nelle esecuzioni capitali; 2. la croce immissa o capitata, cioè la consueta figura †, giustamente ritenuta per la croce di Cristo sul Calvario, la quale col fusto principale sorpassa notevolmente il braccio traverso. Questa si suole anche chiamare croce latina, per distinguerla dalla 3, croce greca o quadrata + composta di quattro bracci uguali. Croce latina o croce greca sono però denominazioni convenzionali, che non hanno relazione alcuna con le diverse lingue o nazioni. Dopo l'invenzione della vera croce del Salvatore a Gerusalemme l'immagine della croce anche come soggetto d'iconografia e come elemento decorativo è più largamente diffusa. Ed è verosimile che l'alta croce gemmata, raffigurata in vetta al colle nel celebre mosaico di S. Pudenziana in Roma (c. 390), renda immagine del grande reliquiario di Gerusalemme conservato sul Golgota. D'allora in poi, del resto, la croce prende possesso del posto più onorato nel tempio (atrio del battistero Lateranense; mosaico dell'arco trionfale di S. M. Maggiore; mausoleo di Galla Placidia, battistero degli ortodossi, abside di S. Apollinare in Classe a Ravenna ecc.): e dappertutto, sui capitelli, sui sarcofaghi, sui plutei, in una parola la croce diviene insegna di dignità, nel nimbo del Salvatore simbolo incomunicabile della divinità, e infine elemento decorativo di uso corrente.
Quanto alla figura grafica, conviene ricordare come dall'intreccio delle due maiuscole greche X e P si formò il cosiddetto monogramma di Cristo ☧, di cui si trovano esempî anche prima di Costantino, ma semplicemente quale compendium scripturae, cioè abbreviazione del vocabolo XPICTOC, ridotto alle iniziali XP, come la sigla IHC, abbreviazione di IHCOYC: abbreviazioni che poi divennero comuni entrambe, ed ebbero interpretazioni inesatte cioè non false, ma piuttosto accomodatizie, cioè ☧ spiegato per Pax-Christi, e IHC, latinamente IHS per Iesus Hominum Salvator. Il monogramma ☧ arricchito d'un braccio orizzontale, prese la figura ???, dalla quale si sciolsero poi separatamente la croce greca + e quella che fu denominata croce monogrammatica P̶.
La crocifissione; il crocifisso. - In tutto questo è sempre la croce, senza la persona del crocifisso. La crocifissione nel suo realismo comparisce più tardi nell'iconografia; generalmente le storie della passione del Salvatore appariscono verso la fine del sec. IV e al principio del V: e ancora nella prima metà del sec. VI, a Ravenna nell'amplissimo ciclo dei mosaici di S. Apollinare Nuovo, manca tra le storie della passione la principale, cioè Cristo in croce.
In maniera svariata era nondimeno ricordata o adombrata la crocifissione quando con un simbolo, come l'agnello in un medaglione, quando con la croce vuota e in alto librato in aria un nimbo col busto del Salvatore come nelle ampolle di Monza, di Bobbio e altre; ovvero ancora il Salvatore stesso vivo e vestito, ritto a terra tra i due ladroni confitti alle loro croci. In un bel sarcofago del museo Lateranense in mezzo a quattro storie della Passione (Pilato, il Cireneo, la Cattura, la Coronazione di spine) trionfa la croce, vuota, sormontata dal monogramma di Cristo entro una corona d'alloro, due colombe sul braccio traverso, a pié d'essa due soldati sonnacchiosi, come le guardie al sepolcro. Quella è dunque la vera croce; ma la croce del risorto.
La più antica immagine esplicita della crocifissione, che finora si conosca è quella intagliata in legno nella famosa porta della basilica di S. Sabina sull'Aventino, costruita a tempo di papa Celestino I (422-432), al qual tempo incirca s'attribuisce pure con ogni verosimiglianza, il lavoro della porta: il suo realismo, inteso ad esprimere al vivo le sofferenze dell'Uomo-Dio, in un luogo così patente come una basilica nel centro della cristianità, riusciva di per sé una protesta della fede romana nel dogma fondamentale della duplice natura, divina ed umana, della persona di Gesù Cristo, contro l'errore dei monofisiti, che conduceva a negare la verità di quei patimenti. Dell'età medesima incirca, è la Crocifissione in una tavoletta d'avorio del British Museum: il solo Cristo in croce, vivo, quasi ignudo; alla sua sinistra un soldato nell'atto della lanciata, alla destra la Madre SS. e il discepolo Giovanni, poco oltre Giuda disperato appeso all'albero. L'arte s'avviava alla definitiva rappresentazione storica del racconto evangelico.
Uno dei più antichi esempî è in una miniatura dell'evangeliario del monaco Rabula, trascritto in Mesopotamia nel 586 (Firenze, Bibl. Laurenziana: Cod. Sir. 56); nel quale si veggono riuniti molti elementi, che si ritrovano poi lungamente propagati in Oriente e in Occidente, anche disgiuntamente e con alcune varianti: il Salvatore in croce confitto da quattro chiodi, il capo leggermente inclinato, barba e capelli spioventi, vestito di lunga tunica senza maniche (colobium): in basso le pie donne, i soldati con la lancia e con la spugna, altri che gittano le sorti sulle vesti del Cristo; in alto il sole e la luna, oscurati. A piè di pagina, in una zona inferiore, già apparisce dipinto l'Annunzio della risurrezione.
Somigliante nel concetto, ma semplificata, ritorna la medesima storia a S. Maria Antiqua, in un affresco del tempo di papa Zaccaria (741-752). Poi il colobium fu tralasciato, con una più schietta interpretazione del testo evangelico, per il tradizionale perizoma alla cintola, ma non scomparve del tutto, e anche nell'età romanica si ritrova nei crocifissi da riunire al celebre Volto Santo di Lucca, in Italia, nella Spagna, in Germania.
Con l'inoltrarsi del Medioevo l'arte dell'Oriente rappresentò di preferenza il Cristo già spirato sulla croce; invece, quella occidentale, pur non ignorando quel tipo iconografico (vedi il crocifisso di Ariberto, a Milano), seguitò a rappresentare il Redentore ancora vivente; anzi, e specialmente oltralpe, magnificò il concetto del trionfo nel martirio incoronando di corona regale il Cristo (bronzi ed oreficerie di Limoges e renane; crocifisso del duomo di Vercelli ecc.). E seguono questo tipo, ma senza corona, dandogli un aspetto mesto, doloroso, le croci dipinte in Italia, massime in Toscana e nell'Umbria, dal sec. XI a buona parte del XIII.
In quel tempo tra noi, e alquanto più tardi oltremonti, intervenne un notevole cambiamento in alcune forme della pietà popolare, che si volse di preferenza a una concezione patetica dei misteri, anziché alle considerazioni speculative e simboliche dell'età precedente. Ebbero in ciò gran parte la predicazione, gli scritti, gli esempî, di S. Francesco e dei suoi figli; i pellegrinaggi di Terra Santa; le influenze bizantine allora sempre più profonde nell'arte soprattutto nella pittura: e da Giunta Pisano, a Cimabue, a Giotto i dipinti attestano quell'indirizzo del pensiero religioso e quelle condizioni dell'arte.
Ad esprimere lo spasimo corporale, il morente Salvatore venne confitto con tre chiodi anziché con quattro, come voleva la tradizione più verosimile; quindi il busto contorto, le gambe ripiegate, le braccia stirate a forza, il capo abbandonato sulla spalla destra ovvero inclinato e cadente; e per tutto ciò uno studio di disegno e di anatomia sconosciuto per l'addietro, nel quale ormai, maturati i tempi, si capisce che valenti artisti si compiacessero di mostrare bravura, applicata, del resto, a tema altissimo. Ma dal Rinascimento in poi l'iconografia della crocifissione e del crocifisso si può dire che passa nell'invenzione dell'artista e nell'arte della composizione in genere. Non di meno le affollate composizioni di manigoldi, di soldati, di cavalli, di popolo, tra le quali a mala pena talora risaltano le tre croci del Calvario, se non interessano più lo studio propriamente iconografico, sono pur sempre una prova della viva parte che conservò in ogni tempo nel pensiero umano il ricordo del supremo avvenimento della storia. Anacronismi divoti ancora, senza pretensioni storiche evidentemente, riuniscono talvolta a piè della croce santi e personaggi d'ogni tempo, anco i donatori del dipinto o i patroni del tempio. Tale è il caso della Crocifissione dell'Angelico nel Capitolo di S. Marco a Firenze.
Fra i ricordi tramandati dal Medioevo al Rinascimento, anzi fino ad oggi, è pure il teschio collocato spesso sotto la croce, accompagnato anche da due stinchi. Si vuole talora vedere in ciò un'allusione al trionfo di Cristo sulla morte; ma l'origine e il significato di quel simbolo è ben differente. Ivi è un'interpretazione sensibile del pensiero di S. Paolo (Rom., V, 12, ss. e I Cor., XV, 22-45): il quale presenta Gesù Cristo come Adamo novello autore della vita; e nel Medioevo si credette, non senza aperto dissenso di ragionevoli dottori, che la croce fosse piantata proprio sulla tomba di Adamo, in modo che il sangue di Cristo cadesse sulle ossa di lui; poi che la croce stessa fosse fatta dello stesso tronco dell'albero del bene e del male, come narrò la leggenda della croce istoriata da Agnolo Gaddi in S. Croce a Firenze, da Piero della Francesca ad Arezzo. E similmente la piaga del costato dal lato sinistro, ove è naturale supporre che fosse vibrato il colpo della lancia, fu dagli artisti trasportata al lato destro, come il più nobile, donde uscirono sangue ed acqua simboleggiando nei due sacramenti, dell'eucaristia e del battesimo, la Chiesa che usciva dal lato di Cristo morto, come Eva era uscita dal lato di Adamo dormiente. Chiesa e Sinagoga, a figura dell'Antica e della Nuova legge, già in avorî carolingi personificate ai lati della croce, e contrapposte, come nelle sacre rappresentazioni, presero parte alle Crocifissioni nell'età romanica e gotica (arte francese; B. Antelami, N. Pisano ecc.), ma furono tralasciate da noi fin dal Trecento e altrove col Rinascimento.
V. tavv. I-X.
Bibl.: X. Kraus, Geschichte d. christl. Kunst, Friburgo in B. 1896, 1897 e 1908; A. Mussafia, Sulla leggenda dell'albero della croce, Vienna 1869; L. Bréhier, Les origines du crucifix dans l'art religieux, Parigi 1904; J. Reil, Die frühchristlichen Darstellung d. Kreuzigung Christi, in Studien über christl. Denkmäler, Lipsia 1904; G. Schönemark, Der Kruzifixus i. d. bild. Kunst, Strasburgo 1908; B. Lázár, Die beiden Wurzeln d. Kruzifxdarstellungen, Strasburgo 1912; H. Leclercq, in Dict. d'archéol. chrét., III, ii, Parigi 1914 (con ampia bibl.); C. M. Kaufmann, Handb. d. christl. Archäol., 3ª ed., Paderborn 1922; C. Costantini, Il crocifisso nell'arte, Firenze s.a.; E. Mâle, L'art religieux du XIII siècle en France, Parigi 1929; id., L'art de la fin du moyen-âge, Parigi 1929; K. Künstle, Ikonographie d. christl. Kunst, Friburgo in B. 1928 (con ampia bibl.); I. Sandberg-Vavalà, La croce dipinta italiana, Verona 1929; G. de Jerphanion, La voix des monuments, Parigi 1930.