crociata
La c. nasce alla fine del secolo XI, quando i temi della guerra santa contro infedeli, Ebrei ed eretici, della liberazione del sepolcro di Cristo, e dell'espansione armata della fede si uniscono all'antica consuetudine del pellegrinaggio gerosolimitano, congiungendosi saldamente in un'unica ideologia che accompagna e sorregge l'azione della gerarchia sacerdotale volta a spingere i principi cristiani alle spedizioni d'oltremare. Essa si riallaccia così a specifiche tradizioni ideologiche dell'Occidente cristiano, particolarmente accentuate nel corso della lotta per la riforma nei decenni immediatamente precedenti la prima c. (1095-99). Nello stesso tempo la c. costituisce anche la prima vistosa anche se caotica manifestazione dei progressi politici ed economici dei paesi dell'Europa occidentale che riprendono, dopo secoli di ripiegamento, la strada della conquista e dell'espansione verso Oriente. La presenza di precisi interessi politici ed economici nelle numerose spedizioni d'oltremare - legittimati del resto in qualche modo dalla stessa ideologia crociata, che faceva della vittoria e del bottino una componente essenziale della ‛ religione ' crociata - spiega d'altra parte i loro sempre più frequenti dirottamenti verso scopi e zone che poco o nulla avevano a che fare con la liberazione di Gerusalemme. Ma anche a questo riguardo l'ideologia crociata poteva offrire ampi motivi di giustificazione, privilegiando, rispetto al problema della liberazione del sepolcro di Cristo, il tema della lotta contro gl'infedeli, della dilatazione armata della fede, ecc. (‛ c. ' contro i ‛ Saraceni ' di Spagna, gli eretici di Linguadoca e Provenza, ecc.).
Espressione caratteristica della christianitas medievale e frutto insieme, a livello delle formulazioni ideologiche, della progressiva semplificazione, materializzazione e degenerazione di temi di origine evangelica o patristica, la c. viene a costituire la religione tipica di una classe dirigente che è nello stesso tempo, e prima di tutto, una rozza casta militare: per almeno due secoli essa, al di là delle diverse spedizioni ‛ ufficiali ' (otto, ma anche nove o dieci a seconda dei punti di vista), costituirà un motivo serpeggiante in tutta la società occidentale e una componente essenziale della vita del perfetto cavaliere cristiano (modello esemplare in questo senso, Luigi IX di Francia, s. Luigi).
Alla fine del Duecento e agl'inizi del Trecento tuttavia la c. stava lentamente uscendo dall'ambito delle azioni politiche reali. La caduta di Acri (1291) aveva tolto ai cristiani l'ultima valida base di terraferma alla quale le spedizioni potessero appoggiarsi. Ma era la stessa vita e la stessa organizzazione della società occidentale a renderne difficile l'effettuazione. Le dispute e le rivalità fra gli stati cristiani d'Occidente - dispute e rivalità che da altro punto di vista si possono configurare come i primi albori delle monarchie nazionali - impedivano il formarsi di quelle solidarietà politiche a vasto raggio senza le quali ogni spedizione era ormai impossibile. L'accresciuto benessere dell'Occidente e la sua stessa articolazione sociale molto più complessa rendevano pressoché impossibili ormai quei larghi e durevoli soprassalti popolari che avevano permesso le orde di Pietro l'Eremita ma anche, ancora nel 1212, la disgraziata c. detta dei fanciulli. Le solide relazioni commerciali con i paesi musulmani, e in particolare con l'Egitto, rendevano largamente ostili all'impresa d'oltremare l'opinione pubblica mercantile. D'altra parte l'uso sempre più evidente della c. a scopi meramente politici ne aveva fortemente screditato l'appello. Né il Papato, del resto, godeva più del prestigio sufficiente per essere in grado di suscitare un movimento unitario a favore delle spedizioni in Oriente. Il tema della c. restò vivo a livello del richiamo emotivo, e vivissimo, almeno per un certo periodo, nelle trattative diplomatiche fra il Papato e i diversi regni, come non irrilevante merce di scambio: perché con la concessione delle decime della c., molto ambite dai sovrani, il Papato poteva continuare a comprarsi grossi favori politici. E Bonifacio VIII non esitò a indire una c. contro l'odiata famiglia rivale dei Colonna.
Questa situazione negativa è puntualmente rilevata da D. in una delle sue invettive antibonifaciane (If XXVII 85-90): è nel ricordo appunto dell'abnorme c. anticolonnese che emerge netta la veemente accusa per l'abbandono nel quale il papa ha lasciato le imprese di Terra Santa e per la colpevole incuria della nuova società mercantile che il papa d'altra parte non si cura di punire. Questi motivi riemergono chiaramente nell'unico altro passo nel quale D. parli con una qualche diffusione della c. (Pd XV 139-148): il suo avo Cacciaguida, dal cielo di Marte, che raccoglie i combattenti per la fede e in genere per cause giuste e sante (e figura tra essi quel duca Gottifredi [Pd XVIII 47] che il ricordo dei posteri aveva fatto capo della prima c.), dopo aver tessuto l'elogio della Firenze del proprio tempo, traccia un breve racconto della propria esistenza: la sua partecipazione alla II c. al seguito dell'imperatore Corrado III di Hohenstaufen (1047-49) conclude una vita sobria e onesta condotta entro una città esemplare per semplicità e correttezza di vivere civile: A così riposato, a così bello / viver di cittadini, a così fida / cittadinanza, a così dolce ostello, / Maria mi diè, chiamata in alte grida; / e ne l'antico vostro Batisteo / insieme fui cristiano e Cacciaguida. / Moronto fu mio frate ed Eliseo; / mia donna venne a me di val di Pado, e quindi il sopranome tuo si feo. / Poi seguitai lo 'mperador Currado; / ed el mi cinse de la sua milizia, tanto per bene ovrar li venni in grado. / Dietro li andai incontro a la nequizia / di quella legge il cui popolo usurpa, / per colpa d'i pastor, vostra giustizia. / Quivi fu' io da quella gente turpa / disviluppato dal mondo fallace, / lo cui amor molt'anime deturpa; / e venni dal martiro a questa pace (Pd XV 130-148). L'episodio della spedizione in Oriente viene a configurarsi così come degno e altissimo coronamento di un'esperienza religiosa e civile che riceve nuova luce e forza dal quadro di degenerazione del tempo presente. Lo stesso nesso fra ordinata vita pubblica e fedeltà a un Impero conscio dei propri doveri, quale emerge implicitamente dal discorso di Cacciaguida, dà ulteriore concretezza polemica alla ricostruzione storica di Dante. I pochi rapidissimi tratti che egli richiama della vicenda del suo avo (il suo mettersi al servizio dell'imperatore, il premio dell'investitura cavalleresca, il suo seguirlo alla c., la morte sul campo) assumono il significato di simbolo di una serie di valori che il suo tempo gli appare aver perduto. Diventa irrilevante perciò stare a ricordare il carattere effettivamente deludente di quella spedizione, che D. del resto probabilmente ignorava, e che comunque poteva anche non interessargli proprio perché ciò che contava era che quei fatti, quelle azioni, quelle scelte fossero potute nascere e manifestarsi.
La concezione della c. che emerge dai versi danteschi presenta una serie di temi del tutto consueti nella tradizione: il carattere di Gerusalemme e della Terra Santa di legittimo possesso, perché legittima eredità, dei cristiani; l'usurpazione perciò compiuta su di esse da parte dei Saraceni; il dovere della sede apostolica e della gerarchia in genere di promuoverne la riconquista, dovere al quale i pastori sono ormai venuti meno (ed è motivo che trova preciso riscontro in If XXVII 87-90). La morte dei crociati nel corso della spedizione veniva assimilata al martirio per la fede; si può ritenere che anche tale idea sia implicita nell'ultimo verso dantesco, nonostante il termine martiro ricorra in D. anche nella semplice accezione di morte violenta (cfr., ad es., Pg XII 60 e Pd X 128).
I commentatori hanno discusso a lungo sull'identificazione de lo 'mperador Currado soffermandosi su Corrado II di Franconia e su Corrado III di Svevia. In realtà, nonostante il carattere piuttosto vago delle notizie offerte da D., non può esserci dubbio che si tratta dello Svevo, perché Cacciaguida è sicuramente documentato nel secolo XII. La difficoltà avanzata al riguardo, che cioè Corrado III si sarebbe recato in Terra Santa senza passare per la Toscana (mentre il Villani [IV 9] attesta con sicurezza la permanenza di Corrado II a Firenze, da dove un certo numero di giovani cavalieri l'avrebbe seguito nella sua spedizione contro i Saraceni dell'Italia meridionale) è manifestamente insussistente, sia perché D. sembra nettamente distinguere il momento in cui Cacciaguida si sarebbe messo al servizio di Corrado (e nulla vieta di pensare che ciò si fosse potuto verificare durante la sua permanenza in Toscana al tempo delle lotte con Lotario) da quello in cui l'avrebbe seguito alla c., sia soprattutto perché si sa della partecipazione anche di altri toscani alla c. imperiale, come a esempio Guido Guerra III dei conti Guidi: il che dimostra, se pur ce ne fosse bisogno, che per seguire Corrado in Terra Santa non era " proprio necessario aggregarsi a lui in Italia " (Sestan).
Bibl. - Sulle c. in generale, cfr. l'ottima opera complessiva di S. Runciman, Storia delle C., trad. it., 2 voll., Torino 1966; e per la ricchissima bibliografia su di esse, H.E. Mayer, Bibliographie zur Geschichte der Kreuzzüge, Hannover 1960 (con gli aggiornamenti di F. Cardini, Gli studi sulle C. dal 1945 ad oggi, in " Rivista Storica Ital. " LXXX (1968) 79-106, e dello stesso Mayer, Literaturbericht űber die Geschichte der Kreuzzüge. Veröffentlichungen 1958-1967, in " Historische Zeitschrift " III [1969] 641-731).
Per le relazioni di Corrado III con Firenze e la Toscana, cfr. Davidsohn, Storia I 601 ss. e 650 ss. In particolare, per i versi danteschi, cfr. F. Schneider, D. und die Staufer, in " Arch. Stor. Pugliese " XIII (1960) 97-113 (soprattutto 108) e H. Loewe, D. und die Staufer, in Speculum historiale. Geschichte im Spiegel von Geschichtsschreibung und Geschichtsdeutung, Monaco 1965, 316-333 (soprattutto 319 ss.). Vedi anche E. Sestan, D. e i conti Guidi, in Italia medievale, Napoli 1967, 336 ss.