CROCIATI
L'appellativo di c., derivato dalla croce che essi portavano raffigurata sul petto, si riferisce ai soldati che parteciparono alle spedizioni militari cristiane in Terra Santa per combattere gli infedeli, dette appunto crociate.Nel novembre del 1095, durante il concilio di Clermont-Ferrand, papa Urbano II bandì la prima crociata, avviando un'impresa destinata a coinvolgere a diverso titolo, per oltre quattro secoli, l'intera Europa. L'aspirazione alla lotta contro gli infedeli, con tutte le sue implicazioni etico-religiose, aveva tuttavia radici lontane e si era andata formando dall'età altomedievale, anche per influsso del jihād, la guerra santa per i musulmani. Tale concezione si trovava già presente nei tentativi di liberazione delle popolazioni iberiche dalla dominazione araba e ricompare in seguito, nella seconda metà del sec. 9°, nell'azione promossa da papa Giovanni VIII contro la minaccia saracena in Italia centromeridionale.L'idea di un'azione militare per riconquistare i luoghi sacri alla tradizione testamentaria trovava tuttavia dei precedenti anche nella cristianità orientale, dove le spedizioni intraprese dagli imperatori di Costantinopoli - in particolare quelle di Eraclio (610-641) e Giovanni Zimisce (969-976) - possono in qualche modo essere ritenute affini, per modalità e scopi, alle imprese dei crociati.Mentre l'uso estensivo del termine crociata, dovuto in gran parte alla storiografia moderna, ha poi allargato tale denominazione a ogni azione avallata dall'autorità morale e politica della Chiesa nei confronti di eretici o infedeli, per arte dei c. o arte crociata si intende un fenomeno ben più ristretto, trattabile in modo unitario solo se limitato alla produzione sviluppatasi nel Vicino Oriente durante i quasi due secoli (1099-1291) nel corso dei quali si succedettero le diverse spedizioni che portarono alla costituzione degli stati latini.In questi anni infatti, per il rapido svolgersi degli eventi sui campi di battaglia, si succedettero fasi di espansione e contrazione territoriale che, travalicando i tradizionali confini della Terra Santa, interessarono a volte solo per pochi decenni un'area molto più vasta, definita Outremer, estendentesi quindi a regioni che potevano vantare da lungo tempo una continuità insediativa e una tradizione artistica specificamente cristiane (per es. Acaia, Cilicia, Cipro).All'apporto delle tradizioni locali si unì dunque l'estrema varietà degli influssi occidentali, che, spesso legati a distinti fenomeni di committenza, si modificarono nel corso dei decenni, ricalcando talvolta le vicende politiche.Accanto a veri e propri interventi legati alla cultura artistica francese in Terra Santa, è ormai consuetudine parlare di arte crociata individuando elementi comuni a tutta la produzione dei regni latini, in particolare nel sec. 12°, in special modo nell'ambito di tipologie edilizie che meglio riflettono il carattere militare e religioso dell'impresa. Accanto all'architettura sacra infatti un'enorme rilevanza ebbe l'attività di fortificazione che accompagnò l'insediamento nei centri urbani e nel territorio e che va considerata, in quanto tale, un capitolo organico alla storia dell'architettura militare europea (v. Castello).
Alla fine del sec. 11° le comunità cristiane in Palestina potevano contare, dopo le persecuzioni di al-Ḥākim (996-1021), su un numero molto ridotto di luoghi di culto, che erano stati parzialmente ripristinati sia per la ripresa della consueta politica di tolleranza dei successori del califfo fatimide, sia per il mecenatismo di Costantino IX Monomaco (1042-1055).Gli oltre duecento edifici ecclesiastici di cui rimane traccia - ma stando alle fonti il loro numero doveva essere di ca. il doppio (Pringle, 1993a, p. 29) -, costruiti o restaurati dai c. nel solo regno di Gerusalemme, attestano una massiccia attività edilizia che, esulando dalle normali esigenze pastorali, si caricava di specifiche valenze simbolico-sacrali, estendendosi a tutti quei luoghi ritenuti in qualche modo legati alla tradizione biblica. Molto frequenti furono dunque l'occupazione e il ripristino di edifici preesistenti, in particolare dei grandi santuari di Betlemme (v.), di Gerusalemme (v.) e di Nazareth (v.), che, a eccezione del primo, vennero sottoposti a ripetute ed estese campagne di ricostruzione. Laddove invece bisognava attendere a integrali rifacimenti o a nuove fondazioni, l'edilizia chiesastica dei c. si rivela particolarmente legata nelle scelte formali alla coeva architettura europea, con una predilezione per tipologie particolarmente semplificate, che determinarono una fisionomia relativamente omogenea, almeno fino alla caduta di Gerusalemme (1187). Molto diffuso fu infatti l'impianto a tre navate con terminazione triabsidata - spesso impostata su un transetto non emergente - e copertura a botte nella navata centrale, a crociera costolonata in quelle laterali; il transetto aggettante risulta impiegato molto di rado, per es. nella cattedrale di Tiro, in Libano, e nella basilica presso il pozzo di Giacobbe in Samaria (Boase, 1977).Malgrado la maggior parte delle chiese costruite in Palestina sotto i c. siano fondazioni latine, la differenziazione tra edifici di culto occidentale e orientale fu per tutto il sec. 12° meno ovvia, essendosi i nuovi vescovi insediati nelle sedi ortodosse ritenute vacanti. Il clero greco e latino, pur dipendendo dal patriarcato di Gerusalemme, era tuttavia libero a un livello più basso di professare nella propria chiesa il culto secondo il proprio rito. Ben poco si conosce ancora sull'organizzazione delle parrocchie, anche se i dati noti su dimensioni e distribuzione sembrerebbero confermare che la popolazione latina si andava rapidamente concentrando all'interno dei centri urbani preesistenti (Prawer, 1977; Pringle, 1993a). Non mancò inoltre un riassetto delle diocesi, i cui confini vennero ridisegnati per essere adeguati alle nuove realtà territoriali. Secondo tale struttura organizzativa, che influì anche sulle proporzioni e sul fasto degli edifici, suffraganei del patriarca di Gerusalemme furono i vescovi di Betlemme, Hebron, Gaza, Lidda e Ramla.Centro di forte suggestione veterotestamentaria e luogo delle sepolture dei patriarchi fu Hebron, che venne conquistata nel 1100 da Goffredo di Buglione e immediatamente fortificata, tanto che già Saewulf (1101-1103) descrisse le tombe come conservate in un castello (Pringle, 1993b, p. 225). L'edificio crociato dedicato a s. Abramo si inserì all'interno del recinto realizzato in età erodiana (sec. 1° a.C.) con corsi di grossi blocchi di pietra di altezza superiore al metro; l'imponenza delle preesistenze condizionò di certo la chiesa determinando forme e proporzioni decisamente inconsuete. Si tratta di una struttura non orientata, a tre navate, priva di abside e con al centro quattro pilastri polistili che sostengono un sistema di volte a crociera costolonata, coprendo uno spazio reso quadrato dai muri d'ambito nord-est, sud-est e sud-ovest, di età erodiana. Estremamente controversa rimane la datazione, piuttosto precoce come sembrerebbe indicare anche la scultura architettonica, ancorabile presumibilmente al rinvenimento nel 1119 delle grotte legate alla memoria dei patriarchi (Vincent, Mackay, Abel, 1923).Uno schema comune, a tre navate concluse da un transetto non emergente su cui si aprivano altrettante absidi semicircolari, è riscontrabile nelle cattedrali del vescovado unito di Lidda, Gaza e Ramla. La cattedrale di Ramla è la più integra e mostra una terminazione orientale rettilinea, con la navata centrale coperta a botte spezzata, intervallata da un sistema a cinghie di spessore variabile. È probabilmente la più antica e venne costruita sulle rovine di una chiesa bizantina, utilizzando però il materiale di spoglio solo nelle parti secondarie dell'edificio (Benvenisti, 1970, p. 167ss.). I capitelli di forme protogotiche sembrerebbero affini a quelli di S. Giorgio a Lidda (Boase, 1977, p. 100), che attestano tuttavia una fase più matura della produzione locale, riferibile alla metà del 12° secolo. Di questo edificio - distrutto da Saladino e saccheggiato dei parati lapidei da Baybars I per la costruzione di un ponte tuttora in opera (Briggs, 1921) - non rimangono, oltre ad alcuni frammenti nella Grande moschea, che l'abside centrale e quella orientale, entrambe a terminazione poligonale, inserite tuttavia in un moderno edificio greco-ortodosso.La Grande moschea di Gaza, ritenuta a partire da Enlart (1925-1928, II, pp. 110-113) l'antica cattedrale dedicata a s. Giovanni, sarebbe invece secondo Pringle (1993b, pp. 208-216) una parrocchiale, la cui intitolazione al Battista sarebbe suffragata solo da una tarda tradizione musulmana. Il complesso, conservatosi integro fino alla prima guerra mondiale, venne colpito durante i bombardamenti del 1916-1917, i quali, causando il crollo del minareto innalzato sull'abside orientale, danneggiarono la zona presbiteriale conclusa da tre absidi semicircolari, di cui rimangono soltanto alcuni setti murari.La Grande moschea è realizzata in tenera pietra calcarea del luogo accuratamente apparecchiata, ed è preceduta all'esterno da un portico coperto a crociera, come l'ampia navata centrale, separata da quelle laterali molto più strette da sei pilastri cruciformi, con splendide colonne di spoglio su ogni lato. Sui pilastri delle pareti della navata centrale si imposta direttamente un secondo ordine di colonne su cui scaricano gli archi trasversi che sostengono le volte.Dal patriarca di Gerusalemme dipendevano anche gli arcivescovadi di Cesarea di Palestina, Karak nella Giordania meridionale, Tiro e Nazareth, a cui era legata pure Tiberiade in Galilea, dove non rimangono però tracce visibili della cattedrale, sul cui sito è stata poi eretta la moschea di al-Bahr.Di proporzioni simili alla basilica dell'Annunciazione di Nazareth, ma di impianto diverso, era S. Maria del Sepolcro di Nostra Signora di Tiro, sede del metropolita di Siria, ricostruita sulla cattedrale consacrata da Eusebio di Cesarea e luogo di sepoltura di Origene (Chéhab, 1978-1979). Non è stata ancora ben chiarita la cronologia dei lavori e, a causa del saccheggio anche recente, molto poco rimane dei materiali lapidei accuratamente squadrati e apparecchiati. L'elemento distintivo era certamente costituito dal transetto aggettante, concluso nel braccio settentrionale da un'absidiola con affiancati due ambienti rettangolari di probabile derivazione armena. Su tale transetto si impostavano tre absidi semicircolari profondamente aggettanti, mentre quattro giganteschi pilastri di granito, ammirati da Burcardo del Monte Sion (Descriptio Terrae Sanctae, in Itinera Hierosolymitana Crucesignatorum, a cura di S. De Sandoli, Jerusalem 1978-1984, IV, pp. 119-219; Boase, 1977, p. 106) e dai viaggiatori di epoca successiva, dovevano sostenere la cupola sul capocroce. S. Maria del Sepolcro di Nostra Signora fu danneggiata dal terremoto del 1170, ma venne prontamente restaurata grazie ai donativi concessi da Emanuele Comneno al vescovo Guglielmo e quando vi furono traslate le ossa di Federico Barbarossa era certamente una delle chiese più imponenti e fastosamente decorate di tutti i principati latini.Una complessa e non perfettamente ricostruibile sequenza di fasi edilizie si può individuare anche nella cattedrale di S. Pietro a Cesarea (Pringle, 1993a; 1993b), a tre navate con pavimentazione musiva, divise da pilastri rettangolari con addossati fusti di colonne a sostenere il sistema di volte. La zona presbiteriale, conclusa da tre absidi semicircolari, apparterrebbe invece a una ricostruzione duecentesca, come suggerirebbero anche i pilastri che fiancheggiano l'abside centrale; a un momento intermedio della trasformazione sarebbe riconducibile l'abside provvisoria innalzata dietro il santuario.Sede suffraganea del vescovo di Cesarea era Sebastia, dove le mura perimetrali della cattedrale formano oggi il recinto della moschea del villaggio. Sorto sulla presunta tomba di s. Giovanni Battista, si trattava di un edificio a pianta longitudinale, con l'abside centrale a terminazione poligonale e quelle laterali in spessore; interamente voltata a crociera e con cupola sul capocroce, tale costruzione sembrerebbe risalire per forme, tecnica costruttiva e decorazione scultorea a una fase più avanzata, collocabile intorno al terzo quarto del 12° secolo. A questa data risalgono infatti i quattro capitelli con Storie del Battista, ora a Istanbul (Arkeoloji Müz.), prodotti da maestranze provenienti forse dalla Linguadoca.Pressoché nulla rimane infine a Karak, il più meridionale di tutti i vescovadi latini e principale centro della 'terra oltre il Giordano', noto anche come Petra Deserti dal 1168, quando da Petra vi venne trasferita la sede episcopale. Fino all'inizio di questo secolo (Meistermann, 1909, p. 256; Deschamps, 1939, p. 97) si potevano ancora vedere resti del portale archiacuto, dei pilastri e delle arcate della cattedrale latina tra le strutture della Grande moschea, che venne però ricostruita a partire dal 1929, cancellando ogni traccia dell'edificio franco.Dal metropolita di Siria dipendevano le sedi suffraganee di Acri, Sidone, Beirut, Gibelet (Byblos) in Libano, Tripoli e Tortosa, sebbene le ultime tre venissero reclamate dal patriarca di Antiochia, sotto il cui controllo passarono nel sec. 13° con l'unificazione delle contee. Disposte lungo la costa, tali sedi seguirono tuttavia una sorte comune, rimanendo in mano crociata più a lungo di quelle palestinesi, e i loro edifici mostrano un'evoluzione verso forme gotiche più mature.Privi di dirette connessioni con i luoghi biblici, questi insediamenti cercarono motivi di prestigio in riferimenti di tipo cultuale o devozionale, come per es. la cattedrale di Tortosa, che vantava essere la prima chiesa dedicata alla Vergine.Non rimangono tracce visibili delle cattedrali di Bania in Alta Galilea, per un breve periodo anch'essa dipendente da Tiro, di Sidone, oggi completamente nascosta dalla Grande moschea, e della Santa Croce di Acri, sui cui resti venne eretta la moschea di Jeza'irli Ḥasan Pasha.Importante centro marittimo, in mano alla famiglia degli Ibelin fino al 1291, fu Beirut (v.), dove, oltre al ricordo di numerose chiese minori, rimane la cattedrale di incerta dedicazione, la cui prima fase, risalente probabilmente al lungo episcopato di Baldovino di Boulogne (1112-1147), fu seguita da un'articolata vicenda costruttiva, conclusa entro il sec. 12° con l'aggiunta di tre campate al corpo longitudinale dell'edificio.Poco più a N la città di Gibelet conserva la chiesa di S. Giovanni Battista, ormai completamente priva della metà occidentale. Si tratta di un edificio di impianto fortemente irregolare, concluso da tre absidi semicircolari, precedute da brevi campate leggermente aggettanti come a formare un transetto. A una prima fase, anteriore al sisma del 1170, risalgono probabilmente, oltre alla zona presbiteriale, la navata settentrionale, fuori asse e rastremata verso l'ingresso, e il battistero che vi si appoggia. La presenza in questa porzione dell'edificio di capitelli, con grosse foglie ricurve sormontate da volute, e di pilastri, con semicolonne addossate che sostengono archi longitudinali a ghiera, confermerebbe la precedenza rispetto alla navata meridionale, di forme molto più composte. Estremamente ben conservato e omogeneo è inoltre l'alzato absidale, con un raffinato partito decorativo che richiama la vicina cattedrale di Beirut (Deschamps, 1964, trad. it. pp. 248-251), mentre alcuni motivi tra i modiglioni delle cornici absidali ricorderebbero secondo Enlart (1925-1928, II, pp. 118-121) la Santa Sofia di Costantinopoli.Anche la cattedrale di S. Maria della Torre di Tripoli (v.) è stata parzialmente distrutta dalla trasformazione in moschea, malgrado la torre campanaria di forme italianeggianti, il portale settentrionale e i capitelli dell'accesso alla stanza delle abluzioni costituiscano ancora oggi cospicui resti dell'edificio crociato. Alla prima fase dei lavori, precedente al terremoto del 1170, appartengono pure numerosi pezzi di scultura architettonica con motivi a ovoli o a nastro intrecciato, mentre alla seconda, post 1170, è riconducibile per es. il portale occidentale archiacuto, con capitelli gotici e cornici a zig-zag (Boase, 1977, p. 108).Di grandissima rilevanza per l'ottimo stato di conservazione e per lo studio dell'evoluzione del linguaggio architettonico durante l'articolata vicenda costruttiva è la cattedrale di Tortosa (v.). Iniziata nella prima metà del sec. 12° e ancora incompiuta all'arrivo di Saladino (Braune, 1985), venne portata a termine nella fronte occidentale solo a partire dalla metà del secolo successivo. Di pertinenza crociata rimangono nella città anche la c.d. cappella, ad aula unica con quattro campate coperte da volte a crociera sostenute da semipilastri addossati alla parete, e, poco distante, l'edificio capitolare del sec. 13°, provvisto al piano superiore di una vasta sala (m. 4415) a due navate con copertura a crociera costolonata che poggia al centro su cinque pilastri rettangolari e lungo la parete sud su teste-mensola accostabili a quelle della torre nord di ῾Athlīth (Chastel Pèlerin) presso Haifa in Israele (Enlart, 1925-1928; Deschamps, 1964).Malgrado i quasi due secoli di dominazione, scarsissimi resti di pertinenza crociata sono invece riscontrabili ad Antiochia (v.), nella cui cattedrale di S. Pietro trovarono prima sepoltura le spoglie di Federico Barbarossa.A Tarso in Cilicia, occupata dai c. già nel 1097 e sede del patriarcato latino d'Armenia, rimane invece la chiesa di S. Paolo, particolarmente ben conservata nella parte presbiteriale, da cui emergono tre absidi semicircolari. Il corpo longitudinale, tuttora a copertura lignea, è scandito da pilastri alternati a colonne con capitelli a dado sgusciato grossolanamente sbozzati, che, richiamando forme protoromaniche francesi, suggeriscono una datazione precoce dell'intero complesso (Enlart, 1925-1928, II, pp. 375-378).A eccezione dei Canonici regolari di s. Agostino, gli ordini religiosi ebbero una diffusione limitata a causa della scarsa sicurezza del territorio, che almeno nei primi anni non forniva condizioni favorevoli all'insediamento di comunità isolate. I Canonici si installarono nei luoghi più venerati della cristianità, come il Santo Sepolcro, l'area del Tempio, il monte Sion e il monte degli Ulivi, dove la chiesa bizantina dell'Ascensione venne sostituita da un edificio ottagono fortificato, con al centro un'edicola che conserva splendidi capitelli datati al secondo quarto del sec. 12° (Kühnel, 1977) e accostabili alla coeva produzione francese della regione della Charente e dei centri limitrofi (per es. Angoulême, Donzy, Fontevrault).Ancora alla fine del sec. 11° esistevano in Palestina due sole comunità monastiche: S. Maria dei Latini e S. Maria Maddalena a Gerusalemme, entrambe benedettine. Negli anni seguenti insediamenti cluniacensi prosperarono nella valle di Giosafatte fuori Gerusalemme e sul monte Tabor in Galilea, dove la basilica dedicata al Salvatore, più volte distrutta, è nota in tracciato nella ricostruzione del 13° secolo. Si trattava di un'ampia aula tripartita, preceduta da torri in facciata, contenenti due cappelle absidate dedicate a Mosè ed Elia; a giudicare dai frammenti, molto ricca e qualitativamente elevata, con una forte impronta borgognona, doveva essere la decorazione del portale (Folda, 1977).Di incerta appartenenza, forse premostratense come quello sul Mont Joy, era il complesso fortificato di S. Giorgio di Lebeyne, di cui rimangono interessanti resti dell'abbaziale a tre navate, con monofore a lancetta e semplici pilastri rettangolari (Benvenisti, 1970; Pringle, 1993a).Le tracce di una cappella annessa ad ambienti di servizio ad ῾Allar al-Sufla in Giudea sono state identificate con l'insediamento di Salvatio, in mano ai Cistercensi come anche S. Sergio presso Gibelet e l'abbazia di Belmont, sulla sommità di una collina nei pressi di Tripoli. Quest'ultima, fondata nel 1157 e distrutta dopo soli dodici anni, venne ricostruita e occupata fino alla caduta del regno latino, quando passò ai monaci ortodossi, che trasformarono la sala capitolare in cappella mentre l'ingresso principale venne inglobato nel refettorio. Malgrado le vaste manomissioni, restano evidenti l'alta qualità della costruzione in pietra a vista e la pertinenza della fabbrica al sec. 12°, anche se alcuni frammenti di scultura architettonica, in particolare capitelli e mensole, testimoniano interventi successivi (Asmar, 1972).Anche gli ordini militari gestivano rilevanti complessi religiosi, come ad Abū Ghōsh (v.) in Giudea, dove gli Ospedalieri si insediarono a partire dal 1141 in un luogo individuato con l'Emmaus della tradizione neotestamentaria.Una grande varietà di soluzioni planivolumetriche, dettate spesso dalle preesistenze, presentano invece le chiese parrocchiali, che nei centri maggiori poterono concorrere per dimensioni e fasto con le cattedrali. Molte di esse non sono state ancora identificate e vengono segnalate soltanto da brani di solida muratura assorbita nel tessuto confuso dei villaggi. Tra le più interessanti sono quella della Risurrezione di Nablus in Giudea, i cui resti, inseriti nella Grande moschea, furono danneggiati da un terremoto nel 1927 (Benvenisti, 1970), e la chiesa del Salvatore presso il pozzo di Giacobbe. Questa, di impianto simile alla cattedrale di Sebastia con l'aggiunta del transetto aggettante e di un sistema alternato di colonne binate e pilastri, venne distrutta da Saladino prima del termine dei lavori.Associate a luoghi significativi erano poi la chiesa di ῾Amwās (Emmaus), legata all'apparizione ai discepoli di Emmaus e realizzata colmando gli intercolumni di una più vasta basilica del sec. 6° di cui venne utilizzata anche l'abside maggiore, e quella di S. Giovanni ad ῾Ayn Karīm in Giudea (Bagatti, Alliata, 1986), nei pressi della quale si trova anche l'abbazia, probabilmente di pertinenza cistercense, di S. Giovanni nella foresta, che ricorda il nascondiglio che permise al Battista di sfuggire alla strage degli innocenti.Modeste quanto numerose furono invece le chiese dei villaggi, a navata unica, di due o più campate coperte indifferentemente a botte o a crociera e concluse da un'abside semicircolare (per es. Baitīn; Dabbūriyya; Zir῾in; chiesa francescana di Tiberiade). Ben più ambiziose erano quelle di Magna Maumeria e Parva Maumeria, due insediamenti agricoli molto precoci di proprietà dei Canonici del Santo Sepolcro. Le rispettive chiese, simili per forme e dimensioni, sono a tre navate scandite da pilastri e concluse da tre absidi di cui quella centrale a terminazione rettilinea (Pringle, 1985). A Saffūriyya, presso Nazareth, di un edificio non molto diverso sopravvive ancora la zona presbiteriale con l'abside nord, restaurata e trasformata in cappella nel 1253 da Luigi IX. Connesse con la funzione parrocchiale erano invece le cappelle cimiteriali, delle quali rimangono nei pressi di Gerusalemme quella di S. Mamilla, appartenuta ai Canonici del Santo Sepolcro, e quella di Acedalma, gestita dai Giovanniti e adibita alle sepolture dei pellegrini, di cui si conserva la grande volta di sostegno sopra la fossa dell'ossario (Pringle, 1993a).La disfatta di Ḥaṭṭīn (1187) costituì la chiave di volta della produzione artistica dei regni latini e molto di ciò che era stato realizzato sotto la spinta propulsiva delle prime crociate venne distrutto da Saladino, in particolare in quei luoghi sacri a entrambe le religioni. L'ascesa dei centri costieri e di un linguaggio architettonico e plastico più moderno, ma non altrettanto omogeneo, rinvigorì la produzione locale, lasciando da ῾Athlīth al Crac des Chevaliers (v.) frammenti di aggiornatissimo Gotico transalpino.Emblematico è a tale proposito il caso di Acri (v.), che, dopo la riconquista del 1191, rimpiazzò Gerusalemme come principale sede episcopale; il moltiplicarsi delle fondazioni religiose, dovuto anche all'arrivo dei nuovi Ordini mendicanti, la trasformarono in centro di irradiazione di modelli provenienti dalla Francia e dall'Italia.Ben diversa fu la situazione nei territori tradizionalmente appartenuti all'impero bizantino, dove, se si escludono la c.d. Morea Franca e qualche isola dell'Egeo, non si assistette a insediamenti duraturi né a fenomeni di produzione artistica originale. Nella stessa Costantinopoli (v.), durante i ca. sessant'anni di dominio, i c. distrussero molto più di quanto realizzarono e gran parte degli sforzi furono indirizzati ad adattare gli edifici di culto al rito latino (Boase, 1977).Nel Peloponneso, sulle rive dell'Alfeo, sono i resti di Nostra Signora di Isova, un edificio ad aula unica con coro a terminazione poligonale fiancheggiato da contrafforti radiali, costruito nella prima metà del sec. 13°, distrutto nel 1263 e mai più riedificato. La navata, illuminata da un registro di sei monofore archiacute per lato, è composta da muratura in apparecchio di pietra ben tagliata frammista a scaglie, che - viste anche la genericità e la scarsità della decorazione superstite - non fornisce informazioni sull'origine delle maestranze (Bon, 1969, I, pp. 537-544).Della fondazione cistercense di Zaraka (Kionia), oltre alla torre d'ingresso del circuito murario esterno, sopravvivono invece tracce dell'abbaziale abbandonata alla fine del 13° secolo. A pianta basilicale priva di transetto, con coro a terminazione rettilinea rinforzato da contrafforti angolari e due cappelle, una su ogni lato, era interamente voltata a crociera ogivale, con nervature che ricadevano sulle semicolonne addossate ai pilastri.Di impianto analogo, in particolare nella zona presbiteriale - l'unica parte conservatasi anche in alzato -, è la cattedrale di Andravida (v.), che divenne la chiesa di corte del principato di Acaia. A Clarenza venne costruita nel secondo quarto del sec. 13° una chiesa, forse francescana, ad aula unica di notevoli dimensioni con coro rettangolare molto aggettante e privo di cappelle, interamente distrutta durante l'ultima guerra. Pochi chilometri a E la chiesa bizantina delle Blacherne subì in data imprecisata, ma comunque molto precoce, trasformazioni e aggiunte franche, come a Negroponte, dove all'edificio preesistente venne annessa un'abside rettangolare fiancheggiata da cappelle (Bon, 1969; Boase, 1977).Un caso particolare è invece costituito da Cipro (v.), dove, sotto la dinastia dei Lusignano, si realizzarono splendidi episodi di committenza artistica - di cui rimangono esempi come la cattedrale di Famagosta (v.) -, che tuttavia presentano una datazione avanzata e un carattere marcatamente occidentale.Il progressivo insediamento degli ordini cavallereschi in tutte le principali fortezze comportò l'esigenza di edifici di culto, spesso distinti da quelli dell'abitato che affiancava il presidio. A Karak si trattava di un lungo vano coperto da volta a botte a tutto sesto con una modesta abside semicircolare illuminata da una feritoia e risalente probabilmente alla metà del 12° secolo. Dopo il terremoto del 1170 gli Ospedalieri ricostruirono invece la cappella del Crac des Chevaliers, anch'essa a navata unica, con tre campate scandite da archi trasversi che sostengono una botte spezzata, mentre l'abside semicircolare è stata ricavata in uno dei salienti della cinta primitiva. Il portale di facciata venne soppresso nella seconda metà del sec. 13°, in una fase probabilmente coeva alle finestre a tracery e alle sculture della loggia. Di poco più tarda è la cappella di Marqab in Siria, eretta a ridosso del 1186, anno in cui gli Ospedalieri vi si insediarono (Deschamps, 1964). Composta di due campate voltate a crociera, è conclusa da un'abside semicircolare affiancata da due ambienti muniti di feritoie, che attestano come anche la cappella facesse parte integrante del complesso difensivo. Tali ambienti si ritrovano nella chiesa al piano inferiore del mastio templare di Safita in Siria e nella cattedrale di Tortosa. Una scarsa attenzione al sistema difensivo, che ne risulta indebolito, mostra invece la chiesa di Bayt Jibrīn in Giudea, addossata in un secondo momento al fianco meridionale del castello. Non si dovevano discostare molto dagli esempi fin qui citati nemmeno le cappelle dei castelli secolari di Shawbak e al Wu῾ayra in Transgiordania o di quello ospedaliere di Belvoir in Galilea, situata probabilmente sopra l'ingresso alla cinta interna (Müller-Wiener, 1966). La pianta centrale, molto diffusa in Occidente nelle architetture degli ordini, venne invece scarsamente utilizzata in Terra Santa; adottata probabilmente già a Ṣafad in Alta Galilea (Pringle, 1993a), rimane tuttavia documentata solo dai resti della cappella poligonale eretta intorno alla metà del sec. 13° nella fortezza di ῾Athlīth (Enlart, 1925-1928, II, p. 93; Pringle, 1993b), occupata come la stessa Ṣafad dai Templari.Pressoché coeva alla cappella castrale dovrebbe essere poi la parrocchiale di ῾Athlīth, situata a ridosso delle mura urbiche e composta di un'ampia campata conclusa da un coro ettagonale fiancheggiato all'esterno da contrafforti angolari. Anche qui, come nella cappella poligonale, i capitelli a crochets e il profilo delle mensole e dei costoloni rivelano un linguaggio aggiornatissimo sulle novità dell'Ile-de-France.
La natura della produzione scultorea dei regni crociati fu, fin dall'inizio del sec. 12°, una realtà ben più complessa del mero trasferimento di artisti occidentali che lavorarono nella tradizione della loro terra di origine; esistette certo anche questo aspetto ma, contrariamente a quanto si era in un primo tempo ritenuto (Enlart, 1925-1928; Deschamps, 1931), esso costituì solo una componente marginale dell'intero fenomeno. La compresenza in uno spazio geografico ristretto di culture figurative tanto ricche quanto diverse determinò quindi una produzione frutto, più che della semplice contiguità di queste componenti, di una sintesi formale di altissima originalità.In particolare per la scultura non figurativa il passaggio da una fase romanica a una gotica venne determinato anche dalla maggiore o minore rilevanza della componente decorativa di matrice paleocristiana o bizantina - di cui l'elemento distintivo fu l'acanto molle -, alla quale succedette una tendenza naturalistica che si diffuse a partire dai centri costieri, tradizionalmente meno conservatori e più aperti alle esperienze francesi (Folda, 1977).Almeno fino alla metà del sec. 12° rimase tuttavia indiscussa l'egemonia di Gerusalemme, fondata sui grandi cantieri dei loca santa e in particolare del Santo Sepolcro, nella cui facciata si ritrovano già tutte le componenti della produzione successiva (Buschhausen, 1982). Questa è ritenuta una perfetta fusione di elementi occidentali e orientali (Pringle, 1993a): su un impianto di origine provenzale sono stati inseriti motivi come la modanatura a godroni, presente al Cairo già alla fine del sec. 11° nella Bāb al-Futūḥ, o la doppia imposta del portale, di gusto siriaco e riscontrabile anche a Gibelet, Abū Ghōsh e Ramla. Uno stesso etimo sembrerebbe inoltre avere lo sviluppo in fasce orizzontali, con funzione decorativa, di molti elementi strutturali come timpani e imposte, che, riunendo e inquadrando più aperture, richiamerebbero i grandi santuari paleocristiani della Siria (Deschamps, 1964).Tra i complessi decorativi superstiti qualitativamente paragonabili alla fronte meridionale del Santo Sepolcro è sicuramente il gruppo di frammenti provenienti dall'area dell'ospedale di Gerusalemme e attualmente conservati al Greek Orthodox Patriarchate. Questi pezzi, definiti da Deschamps (1931) borgognoni, sono caratterizzati - anche rispetto a brani figurativi come gli architravi del Santo Sepolcro (Gerusalemme, The Israel Mus., Rockefeller Mus.) - da un notevole vigore plastico accompagnato da un linearismo insistito nel trattamento delle vesti. Malgrado il precario stato di conservazione, il ciclo dello zodiaco sul portale nord di S. Maria dei Latini si distingue invece tuttora per le figure allungate e un drappeggio molto mosso.Molto più abbondante e articolata fu la produzione non figurativa, dove la partecipazione a una medesima campagna di maestranze franche, bizantine e locali - attestata anche dai segni lapidari - pone costantemente il problema dell'imitazione e del riuso. I capitelli di tipo giustinianeo dell'accesso al Calvario, per es., sembrerebbero opera di scultori cristiani del luogo che lavorarono per i latini, mentre di incerta datazione rimangono quelli di S. Maria Maggiore (Folda, 1977), sempre a Gerusalemme.Una problematica simile è rintracciabile in tutta la Palestina, dove all'acanto appuntito dei capitelli della cappella di Bait Jibrin e della cattedrale di Ramla fa riscontro quello più morbido, di ispirazione paleocristiana, delle chiese di Gaza e Sebastia. Difficile rimane poi, per la pluralità dei modelli e la ricchezza dei linguaggi, anche solo delineare uno sviluppo cronologico: se infatti a partire dal settimo decennio si osserva un accentuato plasticismo (per es. nella chiesa della Risurrezione di Nablus), in quegli stessi anni per decorare la basilica della Natività di Betlemme si tornò a forme più arcaizzanti, nello stile della facciata del Santo Sepolcro.Tra i numerosi apporti esterni, ricchi di elementi distintivi propri, che si innestarono nel substrato locale, di particolare rilevanza sembrerebbe quello proveniente dalla Francia centro-occidentale. Un gruppo omogeneo di capitelli, reimpiegati principalmente nella moschea dell'al-Aqṣā a Gerusalemme, è stato infatti prodotto probabilmente negli anni trenta o quaranta del sec. 12° da maestranze provenienti da Fontevrault o da centri vicini (Kühnel, 1980). Anche le circostanze storiche tenderebbero poi ad accreditare un momento di egemonia di quelle regioni, dato che proprio in quegli anni Folco V d'Angiò venne incoronato re di Gerusalemme. Elementi di forte tangenza con questi pezzi sono stati poi riscontrati, oltre che nei capitelli dell'edicola dell'Ascensione, anche nel chiostro di Betlemme, a S. Pietro in Gallicantu a Gerusalemme e in un capitello del ciborio all'angolo S-O del c.d. cenacolo. Quest'opera, decorata con aquile e maschere, sarebbe un'originale moralizzazione di un racconto del Physiologus che ben si adatterebbe alla santità del luogo (Kühnel, Kühnel, 1983).Anche la rappresentazione di Cristo assistito da due angeli su tre capitelli nel minareto all'angolo N-O dello Ḥaram al-Sharīf può essere motivata dalla loro originaria collocazione nella distrutta cappella del Riposo; questi, ritenuti opera di lapicidi provenienti dal Berry, o comunque dalla Francia centro-orientale, sono stati quindi datati agli anni sessanta del sec. 12° (Folda, 1978).L'apporto più rilevante dell'intera storia della scultura nel regno di Gerusalemme si deve alla 'bottega dell'area del Tempio', così denominata dal luogo ove è stata individuata la maggior concentrazione di pezzi. Si tratta di una produzione unica per vastità, qualità e area di diffusione, all'interno della quale è possibile riscontrare un'evoluzione di forme e modelli del tutto coerente. Un primo gruppo omogeneo di sculture - capitelli, lastre, architravi - reimpiegate nelle varie costruzioni dello Ḥaram al-Sharīf era già stato individuato da Strzygowski (1936), ma solo di recente (Jacoby, 1982a; 1985) sono stati delineati i criteri per censire la produzione di questo atelier, i cui pezzi sono giunti solo in condizioni di forte frammentarietà, reimpiego o collocazione museale. L'uso costante di motivi base, come un morbido tralcio di acanto con larghe foglie a palmetta, e di elementi quali la colonna intrecciata, semplice o doppia, unito a inequivocabili caratteristiche di plasticismo e levigatezza formale, rende infatti alquanto riconoscibili questi prodotti, malgrado non si sia conservato alcun complesso decorativo integro e in situ.L'intera produzione è datata ai tre decenni precedenti la conquista di Saladino da Z. Jacoby (1979; 1982a), che individua nel legame con la produzione linguadocana e provenzale - in particolare di centri quali Saint-Gilles-du-Gard, Saint-Guilhem-le-Désert, Les Saintes-Maries-de-la-Mer e Arles - il medium fondamentale per lo studio dell'antico e per il repertorio di elementi fitomorfi, oltre che di specifiche tipologie quali il tralcio abitato. A questo si aggiunge una certa affinità con la plastica siciliana (Monreale e Cefalù), campana (Salerno e Calvi) e bizantina - intesa sia come substrato locale sia come novità costantinopolitana -, affinità riscontrabile anche nella tomba di Baldovino V (Gerusalemme, Greek Orthodox Patriarchate).Malgrado l'alta densità di sculture all'interno della spianata del Tempio, dove vennero impiegate per decorare le grandi fabbriche agostiniane e templari, non mancano tuttavia esemplari di altissima qualità anche fuori la stessa Gerusalemme. Strettissime affinità presentano infatti i capitelli provenienti dal castello templare di Latrun in Giudea (Istanbul, Arkeoloji Müz.) o il portale acritano - erroneamente ritenuto pertinente alla chiesa di S. Andrea (Jacoby, 1982b) - rimontato nel mausoleo di al-Nāṣir al Cairo, dove già Baybars I aveva trasferito legni e sculture asportate da Giaffa.Una datazione molto più tarda di questi pezzi è stata invece proposta da Buschhausen (1978), che colloca l'intera produzione in età federiciana, in particolare nel quarto decennio del sec. 13°, riconducendola all'attività di lapicidi provenienti dall'Italia meridionale.Tale ricostruzione ha suscitato numerose obiezioni di carattere storico, oltre che storico-artistico (Burgoyne, Folda, 1981), secondo le quali furono casomai la diaspora di artisti gerosolimitani dopo il 1187 e il loro eventuale approdo nei porti pugliesi sullo scorcio del sec. 12° a influenzare la produzione locale e a costituire una delle matrici della plastica federiciana (Jacoby, 1984).Se la scultura architettonica arrivò ben presto alla formulazione di un repertorio di motivi ornamentali eseguiti in uno stile decisamente originale, ben più complesso è invece rintracciare un percorso simile nella produzione figurativa, che rimase secondo Barasch (1971) sempre legata a un carattere marcatamente occidentale. Malgrado il progresso degli studi abbia in parte attenuato un giudizio tanto severo, permane l'estrema difficoltà di ricomporre un quadro unitario di questo genere, a causa soprattutto della rarità di pezzi - in particolare del Duecento -, dovuta anche all'accanimento delle distruzioni arabe.Le testimonianze superstiti mostrano tuttavia la penetrazione e il progressivo aggiornamento di stilemi gotici, già documentabili a Gerusalemme negli ultimi anni prima della caduta (Jacoby, 1980) e presenti in seguito in Galilea e nella fascia costiera. Due teste, una di giovane e l'altra barbuta, ritrovate a Belvoir (Gerusalemme, The Israel Mus., Rockefeller Mus.), richiamano opere francesi, in particolare dall'Ile-de-France, del sesto o settimo decennio del sec. 12°, datazione che ben si armonizza con la ricostruzione del castello intrapresa a partire dal 1168. Ad attestare rapporti sempre più stretti e immediati stanno poi alcuni frammenti ritrovati ad Acri e le mensole a protome umana di ῾Athlīth, che sono state paragonate con le teste per la galleria dei Re di Notre-Dame e con la produzione degli anni venti del sec. 13° a Parigi e Chartres. Al decennio successivo e a modelli provenienti da Reims e da Chartres è stata ricondotta una testa femminile dalla basilica dell'Annunciazione di Nazareth (Mus. of Franciscans; Jacoby, 1982b).L'alta qualità dei pezzi prodotti in centri come Acri, Montfort, ῾Athlīth, Tortosa e Cesarea - dove vennero rilavorati anche alcuni frammenti antichi - e il loro aggiornatissimo linguaggio plastico mostrano infine come, fin oltre la metà del sec. 13°, siano affluite in Terra Santa maestranze qualificate, in grado di soddisfare una committenza facoltosa ed esigente, mentre poco o nulla risulta realizzato negli ultimi tre decenni di vita dei regni latini.
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Il crearsi di numerosi stati crociati nell'area del Mediterraneo orientale nel periodo compreso tra il 1099 e il 1291 - dovuto principalmente alle spedizioni intraprese per riconquistare la Terra Santa - costituì il presupposto di una straordinaria attività artistica. Del regno latino di Gerusalemme (1099-1291) si conserva tuttora - in particolare nei luoghi santi più venerati, come Betlemme e Gerusalemme, e presso il monastero di S. Caterina sul monte Sinai - un notevole patrimonio di opere pittoriche; innumerevoli testimonianze restano anche per la contea di Tripoli (1109-1289), per il principato di Antiochia (1098-1268) e per la contea di Edessa (1098-1144). Oltre che negli stati della Siria e della Palestina, i c. commissionarono numerose opere anche a Cipro dopo il 1191 e, tra il 1204 e il 1261, a Costantinopoli e nella Grecia franca.La pittura ebbe i suoi promotori principalmente tra gli importanti personaggi che si stabilirono negli stati crociati, tra i quali vanno annoverati capi politici, funzionari ecclesiastici e ricchi membri della Chiesa latina, rappresentanti di ordini militari come i Templari e in particolare i Cavalieri Ospedalieri, soldati, aristocratici, ricchi mercanti provenienti soprattutto da grandi città come Pisa, Genova e Venezia. Non tutti i committenti risiedevano però in queste regioni, come i militari che poi facevano ritorno in patria, i pellegrini, i viaggiatori e alcuni mercanti; gli artisti provenivano sia dall'Europa sia dall'area bizantina. Il concetto di arte crociata, pertanto, pur traendo origine dalle crociate, non si riferisce soltanto a quelle manifestazioni artistiche direttamente legate alle varie spedizioni, ma abbraccia anche fenomeni promossi dai coloni della seconda e della terza generazione, alla cui configurazione contribuirono gli apporti di pellegrini e viaggiatori in visita ai luoghi santi. Si tratta comunque di un'arte che, sebbene talvolta radicatasi e fiorita in modo del tutto indipendente dalle singole spedizioni, rimase sempre circoscritta all'area del Levante. Tale condizione ha determinato le sue peculiarità formali, iconografiche e culturali, consistenti nell'incontro di Oriente e Occidente, emerse con maggiore chiarezza a partire dal 1957 con l'individuazione di un cospicuo corpus di pittura crociata.I pittori crociati si servirono di varie tecniche, dalla miniatura all'affresco, dal mosaico alla pittura su tavola. Sebbene gli sviluppi della pittura siano tuttora oggetto di indagini approfondite, appare tuttavia chiaro come la produzione crociata abbia, per alcuni aspetti, esiti paralleli a quelli dell'Occidente, mentre per altri se ne distacchi decisamente, in particolar modo per quanto concerne sia le specifiche esigenze dei luoghi santi, sia i materiali e le tradizioni artistiche locali. Benché correlata all'arte europea e bizantina dei secc. 12° e 13°, la pittura crociata deve essere dunque considerata come un fenomeno indipendente, in cui si possono distinguere diverse fasi: quella degli esordi, individuabile nel primo terzo del sec. 12°; quella del pieno sviluppo, durante i regni della regina Melisenda (1131-1161) e del figlio Amalrico I (1162-1174); quella caratterizzata da una radicale riduzione dell'attività pittorica dovuta all'invasione di Saladino, conclusasi con la caduta di Gerusalemme (1187) e con la perdita di gran parte del territorio da parte dei c., compresi i principali luoghi santi.La conquista crociata di Gerusalemme, avvenuta nel 1099, pose il problema di un'organizzazione militare, politica ed ecclesiastica che comportò l'estensione e il consolidamento delle posizioni difensive tramite le fortificazioni, l'organizzazione di nuovi stati e la sostituzione del clero ortodosso e locale con quello latino. Ai luoghi santi più importanti fu dedicata particolare attenzione dal punto di vista sia della difesa sia del rinnovamento della loro veste monumentale; a Betlemme si possono trovare le più antiche testimonianze di pittura crociata in un affresco che raffigura la Vergine in trono con il Bambino, dipinto su una colonna della navatella meridionale della chiesa della Natività e datato al 1130 da un'iscrizione. Quest'opera significativa, forse commissionata da un pellegrino, nella quale si riflettono lo stile italiano del sec. 12° e l'iconografia imperiale bizantina, testimonia dell'importanza che ebbe nei luoghi santi tale pittura devozionale realizzata secondo la maniera italo-bizantina. L'affresco è il primo di numerosi esempi di pittura su colonna a Betlemme e probabilmente anche in altre regioni (dove tuttavia non si sono conservati), dato il numero straordinario di nuove chiese edificate prima del 1150.L'altro grande centro della pittura crociata del sec. 12° fu Gerusalemme: la produzione miniata dello scriptorium del Santo Sepolcro iniziò forse già negli anni venti del sec. 12°, ma il più importante tra i primi codici conservati fu realizzato per la regina Melisenda tra il 1134 e il 1135 circa. Si tratta del noto salterio eponimo (Londra, BL, Egert. 1139), realizzato da quattro artisti di origine occidentale che si distinguono per un diverso grado di familiarità con lo stile bizantino. Uno di loro, Basilio - che firmò la Déesis, l'ultima delle ventiquattro miniature introduttive a piena pagina -, era legato ai modi della cultura pittorica bizantina così come era stata tramandata dalle opere dell'11° secolo. Degli altri pittori, i cui nomi non sono noti, uno realizzò in porpora su oro splendide iniziali miniate dal carattere esotico per il testo dei Salmi, e un altro le immagini dei santi per i suffragi, in uno stile a carattere decorativo di matrice occidentale al quale si sovrappongono colore e iconografia bizantina in una commistione che caratterizza del resto l'intero manoscritto. Oltre all'opera di questi pittori occorre segnalare l'intervento di un copista proveniente dal Nord della Francia - che scrive in latino tanto un calendario inglese con dati gerosolimitani, ma decorato in stile occidentale da medaglioni raffiguranti i segni zodiacali, quanto il testo latino del salterio -, nonché la presenza di una legatura ricamata d'argento (argyrokéntitos), di evidente manifattura bizantina, con piatti in avorio intagliato e probabilmente policromato, in cui si fondono nell'iconografia e nello stile elementi occidentali e bizantini. Nel Salterio della regina Melisenda, opera composita nella quale la pittura ha una parte preminente, si trovano per la prima volta riuniti, nell'interazione di diverse forme di espressione artistica, i caratteri sostanziali dell'arte crociata.Anche nel periodo seguente fino alla seconda metà del secolo la chiesa del Santo Sepolcro continuò ad avere un ruolo centrale nella pittura crociata. Oltre alla produzione di una serie di eleganti manoscritti, databili dagli anni trenta del sec. 12° al 1175 ca. e avvicinabili stilisticamente al Salterio di Melisenda - per es. un sacramentario diviso tra Roma (Bibl. Angelica, D.7.3) e Cambridge (Fitzwilliam Mus., McClean 49); un messale con iniziali decorate e istoriate (Parigi, BN, lat. 12056); tre evangeliari con ritratti degli autori (Parigi, BN, lat. 276; lat. 9396; Roma, BAV, Vat. lat. 5974) -, risale a quest'epoca anche il vasto programma di decorazione musiva per la chiesa, ampliata e trasformata dai c., consacrata il 15 luglio 1149. I nuovi mosaici si aggiunsero a quelli bizantini (post 1042) rivestendo l'interno dell'edificio di splendide immagini comprendenti, oltre a santi e profeti, le scene della Vita di Cristo e anche, secondo lo stile e l'iconografia tradizionali bizantini, l'Anastasi nell'abside maggiore e scene della Passione nelle cappelle del complesso del Calvario-Golgota. Anche la facciata principale, quella del transetto meridionale, venne ornata da mosaici secondo un uso comune nelle chiese della Toscana e dell'Italia meridionale. Di tale decorazione - nota soprattutto grazie alle descrizioni del Santo Sepolcro di pellegrini come Giovanni di Würzburg, Teodorio e Giovanni Foca, che visitarono Gerusalemme tra il 1170 e il 1185 ca. - si è conservato soltanto il maestoso Cristo dell'Ascensione, ora collocato nella cappella francescana del Calvario, opera di alta qualità realizzata secondo uno stile dai forti ritmi lineari e dai raffinati colori, tra cui il blu intenso, il porpora e l'argento.Dopo gli anni cinquanta del sec. 11° il centro dell'attività pittorica si spostò nuovamente da Gerusalemme a Betlemme, dove nella chiesa della Natività continuava l'uso, da parte dei pellegrini, di far dipingere ex voto sulle colonne. Inoltre il re Amalrico I, l'imperatore bizantino Manuele Comneno e il vescovo Raffaele di Betlemme commissionarono anche un importante ciclo di mosaici, databile al 1169 grazie a due iscrizioni, l'una in latino e l'altra in greco, ancora parzialmente conservate di fronte all'abside, nel lato sud-est della campata d'incrocio. Come quello del Santo Sepolcro, il programma della chiesa della Natività prevedeva la decorazione di tutto l'interno dell'edificio. Tra i mosaici, le scene con la Vita di Cristo nel transetto mostrano figure elegantemente lumeggiate e movimentate, secondo i dettami dello stile comneno, tra le quali va ricordato il Cristo dell'Incredulità di Tommaso. Stilemi diversi caratterizzano, pur nei medesimi modi improntati a un estremo decorativismo, sia i mosaici sulla parete della navata, che riproducono, all'interno di inquadramenti architettonici e floreali, alcuni importanti concili della chiesa locale, sia quelli tra le finestre del cleristorio, che raffigurano angeli dalle forme estremamente allungate. Uno di questi reca la firma, in latino e in siriaco, di un Basilio, ma le divergenze stilistiche fanno escludere che si tratti dello stesso artista che realizzò parte delle miniature introduttive del Salterio della regina Melisenda. Anche nella cripta, il luogo santo della nascita di Cristo, si trova un elegante mosaico con la Natività realizzato nella maniera sontuosamente decorativa di stile comneno del transetto. A questi mosaici lavorò certamente un gruppo di artisti di varia provenienza, tra i quali alcuni greci, che operarono anche in altre località del regno latino. La grande iscrizione in latino tratta da Lc. 2, 14, rivela tuttavia la committenza crociata dell'opera.La porta c.d. di Damasco a Gerusalemme conserva nella cappella affreschi di straordinaria qualità, fra i quali i frammenti di una Annunciazione - unico esempio conservato nel regno latino di pittura monumentale con questo tema - in cui il panneggio con pieghe a V è assai simile a quello dell'affresco sulla colonna di S. Margherita nella chiesa della Natività a Betlemme. Altri artisti realizzarono in uno stile più fluido figure di angeli nella chiesa dell'Agonia al Getsemani e in S. Giovanni Battista a Sebastia. Nello stesso periodo a Bethphage, presso Gerusalemme, su una stele che segna il luogo in cui secondo la tradizione Cristo sarebbe salito sull'asino, furono dipinte secondo un'iconografia di tradizione essenzialmente bizantina le scene della Risurrezione di Lazzaro e dell'Ingresso di Cristo a Gerusalemme; purtroppo i restauri eseguiti in tempi moderni non permettono di riconoscerne lo stile originario.Ad Abū Ghōsh, a O di Gerusalemme, nella chiesa degli Ospedalieri si conserva, danneggiato e molto frammentario, il più bel ciclo di affreschi del sec. 12°, testimonianza di un momento squisitamente bizantino della pittura crociata. Nel complesso è stata individuata la mano di due diversi artisti: uno, forse inviato direttamente da Costantinopoli, autore della Crocifissione e della Kóimesis, e un suo stretto collaboratore, che realizzò tra l'altro l'Anastasi nell'abside. Le opere di entrambi i pittori, il cui stile costituisce una variante di quello tardocomneno riscontrato altrove, trovano negli affreschi dell'Enkleistra di Aghios Neophitos a Cipro, dipinti nel 1183, importanti termini di confronto. I due artisti, che lavorarono forse a Betlemme, è probabile che siano giunti ad Abū Ghōsh dopo il 1169.Tra la metà e la fine del sec. 12° negli stati crociati fu eseguita la maggioranza delle opere di pittura monumentale e di decorazione musiva, soprattutto a Gerusalemme, Betlemme e nelle regioni circostanti, ma poiché esistono i presupposti per ipotizzare una copiosissima attività pittorica, bisogna ammetere che gran parte di questo patrimonio sia andata perduta.Più difficile è valutare la produzione della pittura su tavola. Una sola icona può essere datata con certezza al sec. 12°: una tavola con sei santi, opera di un pittore sicuramente occidentale forse proveniente dall'Italia (S. Caterina sul monte Sinai). L'importanza attribuita alle figure di Giacomo Maggiore e di Stefano fa presumere un'origine gerosolimitana dell'opera, mentre la presenza di s. Leonardo di Limoges, patrono dei prigionieri, permette di ipotizzarne la realizzazione in un periodo di poco precedente al 1187, anno della conquista di Gerusalemme da parte di Saladino, e di avanzare confronti stilistici con la pittura bizantina dell'ultimo decennio del 12° secolo.Con la caduta di Gerusalemme si concluse questa ricca fase della pittura promossa dai c.: infatti committenti e artisti che dovettero cercare rifugio in luoghi ben fortificati, lontani dai centri urbani dell'entroterra, non poterono più dar vita ad intensi scambi culturali. Un importante esempio della produzione di quest'epoca si trova nella cappella dell'imponente castello degli Ospedalieri a Marqab, sulla costa siriana tra Tortosa e Laodicea. Lo stato di conservazione delle scene della Natività e della Pentecoste, eseguite probabilmente tra il 1187 ca. e il 1202, permette di ritenere questi artisti ancora legati a modelli bizantini, ma il loro stile provinciale fa pensare a imitatori di maniera piuttosto che a pittori provenienti da Gerusalemme.In seguito alla progressiva rinascita del regno latino dopo la terza crociata (1189-1192) e allo stabilirsi della nuova capitale ad Acri, si ebbe per tutto il sec. 13° un rinnovato sviluppo in varie fasi della pittura di impronta crociata. Gerusalemme e i luoghi santi, un tempo fulcro dell'attività artistica, persero la loro preminenza a vantaggio dei centri commerciali sorti lungo la costa; pitture di impronta crociata furono eseguite anche in regioni non appartenenti agli stati crociati della Siria e della Palestina, come a Cipro, conquistata nel 1191 da re Riccardo III mentre si recava in Terra Santa, a Costantinopoli, espugnata con la quarta crociata nel 1204, e nella Grecia franca, conquistata negli anni successivi al 1204.All'inizio del sec. 13° le principali spedizioni militari dirette verso l'Oriente non ebbero più come meta la Terra Santa. La quarta crociata (1203-1204) si volse, per complesse ragioni, verso Costantinopoli: i c. e i veneziani saccheggiarono la città e inviarono in Occidente un enorme bottino comprendente importanti opere che fecero dimenticare per un certo periodo l'arte proveniente dalla Siria e dalla Palestina.La quinta crociata (1217-1221) ebbe come destinazione l'Egitto, in particolare Damietta, dove il legato papale Pelagio, vescovo-cardinale di Albano, e i c. tentarono senza successo di conquistare il califfato da cui dipendevano i musulmani della Terra Santa. Nel contempo lo stesso regno latino ricevette dall'Occidente un piccolo aiuto militare e i c. si impegnarono in un'estesa opera di costruzione, o ricostruzione, di fortezze in luoghi come il Crac des Chevaliers (Cavalieri Ospedalieri), ῾Athlīth (Templari) e più tardi Montfort (Cavalieri Teutonici), castelli a cui è collegata una modesta attività pittorica. Al Crac des Chevaliers, intorno al 1200, fu affrescato l'interno della cappella e sulla parete settentrionale esterna si conserva ancora la Presentazione al Tempio, probabilmente parte della decorazione di una piccola cappella esterna andata perduta. L'artista, forse un occidentale rifugiatosi al Sud da uno dei centri maggiori, mostra uno stile meno provinciale di quello testimoniato a Marqab.Dopo il fallimento del progetto di una crociata guidata da Enrico VI, nel 1228 Federico II organizzò una spedizione in Terra Santa, benché si trovasse nella condizione di scomunicato. Grazie al suo straordinario successo diplomatico se non militare, con il trattato del 1229 fu di nuovo possibile accedere a Gerusalemme, Betlemme e Nazareth. È noto soltanto un numero estremamente limitato di opere di pittura di quest'epoca eseguite nei territori crociati. Durante il soggiorno a Gerusalemme fu probabilmente commissionato da Federico per la sua terza moglie, la principessa inglese Isabella di Brienne, il salterio ora a Firenze (Bibl. Riccardiana, 323): il codice, aggiornato sulle recenti tendenze della pittura bizantina, contiene un calendario con santi inglesi, ma nel contempo rivela una matrice tedesca nell'inserimento di scene con la Vita di Cristo direttamente nel testo dei Salmi. La raffinatezza dello stile di queste miniature, realizzate nel 1235 ca., mostra come lo scriptorium del Santo Sepolcro fosse di nuovo in grado di produrre, seppure per breve tempo, opere di alto livello qualitativo per una committenza regia. Le differenze tra questo codice e il suo famoso precedente, il Salterio di Melisenda, sono indicative della vivacità artistica non sopita. Il Salterio di Firenze, ultima opera conservata dello scriptorium del Santo Sepolcro, con l'evidente commistione di elementi orientali e occidentali, rispetta ancora comunque in modo chiaro il carattere dell'arte crociata.Grazie al sostegno ricevuto da Federico II i Cavalieri Teutonici raggiunsero negli stati crociati il medesimo status degli Ospedalieri e dei Templari. Negli anni intorno al 1229 essi ricostruirono il loro quartier generale, il castello di Montfort, a N-E di Acri. Gli scavi compiuti negli anni Venti hanno portato alla luce testimonianze di decorazione dipinta su elementi architettonici e un frammento di icona che, anche se prodotta da una bottega di Acri, di Gerusalemme o del Sinai, indica come negli avamposti crociati circolassero tali opere mobili.Federico II trascorse meno di un anno in Terra Santa e, nonostante i suoi successi diplomatici, lasciò gli stati crociati dilaniati da una guerra civile, nota come guerra lombarda. Questo conflitto indebolì a tal punto il regno latino che, allo scadere della tregua ottenuta da Federico II, Gerusalemme cadde definitivamente nelle mani degli Shāh del Khwārazm nel 1244, perdendo in tal modo il suo ruolo artistico centrale.In risposta alla conquista di Gerusalemme a opera dei Turchi, nel 1248 Luigi IX il Santo guidò una crociata contro gli Ayyubidi in Egitto. Dopo una disastrosa sconfitta a Manṣūra nel 1250, Luigi cadde nelle mani del nemico; rapidamente riscattato, salpò in direzione di Acri per fornire aiuti diretti agli stati crociati. Diversamente da quanto era avvenuto con Federico II, il re santo garantì, durante la sua permanenza tra il 1250 e il 1254, un certo grado di prosperità e stabilità al regno latino. Egli commissionò inoltre opere che resero Acri un fiorente centro di pittura crociata: tra queste la più importante ancora conservata è una Bibbia (Parigi, Ars., 5211) costituita da una scelta di testi della Vulgata tradotti in francese, con venti pagine miniate poste all'inizio del codice e numerose iniziali istoriate eseguite in un raffinato stile franco-bizantino. Il nuovo carattere francese della pittura crociata, testimoniato da questa Bibbia, non può sorprendere se si tiene conto del ruolo svolto da Luigi come committente; del tutto inaspettato è invece il profondo legame stilistico con gli affreschi che raffigurano Storie di s. Francesco, eseguiti nello stesso periodo nella costantinopolitana Kalenderhane Cami (ora Istanbul, Arkeoloji Müz.).L'influenza francese sulla pittura perdurò e addirittura si rafforzò negli anni successivi alla partenza di Luigi IX. È in effetti sorprendente come tra il 1250 e il 1291, durante le spietate incursioni mamelucche, la produzione pittorica crociata si sia accresciuta e diversificata grazie a un nuovo apporto italiano. Stilemi francesi e veneziani si fondono con i caratteri bizantini propri dell'arte crociata in un messale (Perugia, Mus. Capitolare, 6) di poco posteriore alla Bibbia parigina. Di singolare importanza tra i codici crociati del sec. 13°, tale messale è l'unico ad avere nel calendario un riferimento liturgico diretto ad Acri. Un particolare significato assume la pagina con la Crocifissione (c. 182v), che attesta con certezza sia il riferimento ad Acri del messale, come prova la copia della raffigurazione della Crocifissione in un altro manoscritto sicuramente proveniente da questa città (Londra, BL, Egert. 3153, c. 83r), sia la presenza di una consistente tradizione di bottega, come testimoniano le miniature di un codice (Padova, Bibl. Capitolare, C 12) stilisticamente legate a questa pagina del messale perugino. Lo stile e l'iconografia della Crocifissione in esame ricorrono anche nella pittura su tavola, come testimoniano numerose opere conservate nel monastero di S. Caterina sul monte Sinai, attribuibili ad artisti legati alla pittura di impronta crociata. A questa fiorente scuola sviluppatasi ad Acri è da attribuire inoltre anche un numero considerevole di codici di contenuto profano. L'estesa diffusione della produzione acritana può essere ipotizzata grazie al sorprendente numero di varianti dello stile di base franco-italiano con influenze bizantine, che costituisce il comune denominatore dell'opera degli artisti attivi nella città; talvolta diverse varianti si ritrovano in un'unica opera, come nel trittico con la Vergine in trono con Bambino e scene della Vita della Vergine, a S. Caterina sul monte Sinai.Discussa è l'origine delle icone conservate nel monastero di S. Caterina: un gruppo consistente presenta caratteri stilistici acritani, ma molte mostrano una iconografia sinaitica, nella raffigurazione di santi venerati sul monte Sinai o del Roveto ardente, in base alla quale si deve presumere che siano state realizzate per il monastero o eseguite nel monastero stesso. Altri dipinti caratterizzati da stretti legami stilistici con icone e affreschi di Cipro della fine del sec. 13° possono indurre a ipotizzare la mano di artisti ciprioti o perfino siriaci. La questione dei rapporti tra lo stile pittorico proprio di Acri, quello di S. Caterina sul monte Sinai e quello di Cipro investe inoltre il problema generale della pittura al di fuori di Acri, cioè negli altri stati crociati. Le testimonianze relative a una produzione pittorica nella contea di Tripoli o nel principato di Antiochia sono scarse e, per quest'ultimo in particolare, si è conservato soltanto un manoscritto di argomento profano, il codice della Histoire d'Outremer di Guglielmo di Tiro (Roma, BAV, Pal. lat. 1963), miniato in uno stile provinciale italo-bizantino con tratti iconografici in larga misura dipendenti da manoscritti della scuola di Acri. Alcune vivide rappresentazioni topografiche di Antiochia provano che il loro autore deve averle realizzate nella città poco prima del 1268, anno della sua caduta.Il rafforzarsi delle componenti francese e italiana nello stile crociato di Acri rispecchia l'accresciuta importanza sociale delle maestranze francesi nella sede dei Cavalieri di s. Giovanni e la rilevante presenza nei quartieri commerciali della città dei mercanti italiani, ai quali si deve anche il nuovo interesse per i manoscritti di argomento profano. Tra gli ultimi codici illustrati ad Acri, nel periodo compreso tra il 1275 e il 1291, si conservano sette copie della Histoire d'Outremer di Guglielmo di Tiro, una dei Faits des Romains (Bruxelles, Bibl. Royale, 10212), una straordinaria traduzione istoriata del De inventione e della Rhetorica ad Herennium di Cicerone (Chantilly, Mus. Condé, 590) e quattro copie della Histoire universelle, una delle quali forse eseguita per essere donata a Enrico II di Lusignano, che nel 1286 divenne re di Gerusalemme (Londra, BL, Add. Ms 15268). L'aspetto più sorprendente di quest'ultima fase della pittura crociata ad Acri, prima della caduta della città nel 1291, fu senza dubbio la comparsa di un artista noto come il Maestro Ospedaliere, che illustrò molte di queste opere profane. La matrice squisitamente gotica del suo stile appare temperata da una nuova sensibilità sviluppatasi nel corso di una quasi decennale permanenza ad Acri. A lui nei codici della Histoire d'Outremer si devono affascinanti rappresentazioni di personaggi, di eventi importanti della storia del regno latino, di furiose battaglie e di cerimonie, realizzate nello stile gotico cortese della Parigi rayonnante. L'opera del Maestro Ospedaliere permette di cogliere un ristabilito collegamento tra Acri e Luigi IX proprio quando l'attività pittorica della città crociata stava giungendo al suo termine.In conclusione va ribadito che si ebbero due fasi importanti della pittura di impronta crociata: tra il 1130 e il 1170 nell'area di Gerusalemme e Betlemme e tra il 1250 e il 1291 ad Acri. Il regno latino costituì quindi sempre, nonostante siano state individuate opere anche in altri stati crociati, il centro dell'attività pittorica, con la possibile eccezione del monastero di S. Caterina sul monte Sinai dopo il 1250.Caratteristica fu anche la scelta dei mezzi artistici: la produzione miniata ebbe sempre un ruolo importante, ma durante il sec. 12° si sviluppò un particolare interesse per mosaici e affreschi, mentre nel 13° acquistò grande rilievo la produzione di icone. Se dunque nel sec. 12° l'arte crociata era considerata un'arte legata al pellegrinaggio e alla liturgia, connessa a importanti progetti architettonici, nel sec. 13°, in centri commerciali come Acri, l'arte di pellegrinaggio fu piuttosto legata alle icone, immagini devozionali mobili, e nello stesso tempo si sviluppò un nuovo interesse per la pittura di soggetto profano.
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