croio
Dal provenzale croi (la voce ha riscontri anche in alcuni dialetti dell'Italia settentrionale; cfr. Parodi, Lingua 279), col valore di " non arrendevole " (Anonimo), " duro ", ricorre in If XXX 102, detto de l'epa [" pancia ", " ventre "] croia (in rima con Troia e con noia) dell'idropico Mastro Adamo, gonfia e indurita come cuoio, tanto che, percossa, sonò come fosse un tamburo (v. 103). Meno probabile è in questo caso il valore di " spregevole ", " vile " (Torraca, in " Bull. " II [1895] 156), che pure il vocabolo ha, per esempio, in Guittone Gente noiosa 143 " meo caro amico... a noia / è remesso e a croia / gente e fello paiese " (Contini, Poeti I 205) e in altri poeti due-trecenteschi.
In senso metaforico, con il valore di " triste ", il termine c. s'incontra invece, in dittologia con malvagia, in Rime CXIII 11 Non è colpa del sol se l'orba fronte nol vede quando scende e quando poia, / ma de la condizion malvagia e croia. In questo significato il termine trova riscontro nei poeti che precedono D. e in particolare in Giacomo da Lentini Dal core mi vene 139 " La mia vita è croia sanza voi vedendo " (in rima con ‛ noia ').