crosta
. - Le occorrenze di questo termine s'incontrano tutte nella seconda metà della prima cantica, con una diversa intonazione stilistica a seconda del luogo in cui il termine ricorre: in XXII 150 [i diavoli] porser li uncini verso li 'mpaniati, / ch'eran già cotti dentro da la crosta [della pece], il verso ha quel carattere grottesco che è di tutta la sequenza dei barattieri, e le immagini della ‛ cottura ' e della c. riprendono l'immagine culinaria dei cuochi e dei garzoni del canto precedente. La fredda crosta (XXXIII 109) e le gelate croste (XXXIV 75) sono situate invece nel linguaggio duro e pieno di orrore dei canti della ghiaccia. A proposito delle gelate croste, il Pézard avanza l'ipotesi che non si tratti di c. di ghiaccio, ma che in realtà D. e Virgilio compiano la discesa appigliandosi ai villi e alle " croȗtes de lèpre dont la sanie est gelée... image déplaisante, mais preparée par XXIX 75 schianze, et 83 scaglie ". A sostegno dell'ipotesi, il Pézard adduce un passo di Isidoro (IV VIII 11) da lui posto precedentemente in relazione anche con i tre colori delle facce di Lucifero e i colori con cui si manifesta di solito la lebbra: nero, bianco, rosso.
In tutti e tre i casi va notata la posizione in rima del vocabolo, e in due di essi anche l'identità delle rime: costa / posta (XXII 150), poste / coste (XXXIV 75). In XXXIII 109 la rima è con risposta e posta.