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La Repubblica di Cuba, isola del Mar dei Caraibi, è uno degli ultimi stati socialisti dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e del blocco orientale del 1989-91. Nonostante la previsione formale di meccanismi democratici – dal 1976 la costituzione ha stabilito l’elezione quinquennale dell’Assemblea popolare, composta da 614 membri, e delle sue articolazioni locali – esiste un solo partito, il Partito comunista cubano. Di fatto, il potere è fortemente concentrato nelle mani del presidente, carica che per un cinquantennio è stata esercitata da Fidel Castro, leader insieme a Ernesto ‘Che’ Guevara della rivoluzione comunista che nel 1959 rovesciò il governo militare di Fulgencio Batista, appoggiato dagli Stati Uniti.
Nel corso della Guerra fredda l’allineamento di Cuba con Mosca, data la vicinanza geografica agli Stati Uniti e gli interessi economici americani sull’isola, ha reso quello cubano uno dei teatri più tesi dello scontro tra le due superpotenze. Con il crollo dell’Unione Sovietica Cuba ha quindi perso il suo maggiore interlocutore internazionale ed è sprofondata in una doppia crisi, politica ed economica, fino ai gravi scontri di piazza del 1994. Tuttavia il regime castrista ha resistito, e ha risposto alternando limitate aperture a strette repressive e accentratrici. Nel 2006, a causa di problemi di salute, Fidel Castro ha lasciato la guida del paese nelle mani del fratello Raúl Castro, e la fase di transizione si è formalmente conclusa nel 2008, quando anche l’Assemblea popolare ha ratificato l’elezione del nuovo presidente.
Seppur non anagraficamente giovane, il nuovo presidente Raúl Castro (80 anni nel 2011) ha inaugurato una fase di riforme economiche, dando il via ad un processo di consultazioni e dibattiti che ha avuto il suo culmine nell’aprile 2011. In quella data sono stati formalizzati i cambiamenti riguardanti il sistema di gestione pianificata dell’economia a seguito del Congresso del Partito comunista, il primo dal 1997. In preparazione a questo passaggio critico, il governo aveva pubblicato un documento interno che prospetta un ruolo molto più ampio per il mercato, dichiarando d’altra parte che il sistema socialista ‘non è negoziabile’. Già nel 2010 il governo aveva ampliato l’elenco dei lavori che possono essere svolti dai privati e ha annunciato il licenziamento di 500.000 dipendenti pubblici. Dopo il Congresso, una delle novità maggiori in campo economico riguarda la possibilità, per la prima volta dalla rivoluzione del 1959, di vendere e comprare case da parte dei cittadini. L’evento ha rappresentato con molte probabilità la prima fase di una transizione economica e politica del Paese, in direzione della liberalizzazione.
Sebbene l’attenzione sia stata prevalentemente rivolta alle riforme economiche, sembra inevitabile, infatti, che queste avranno una serie di ricadute anche sulla struttura politica del paese. Alcuni analisti si interrogano già sugli scenari che una successione a Raúl Castro, che ha pubblicamente auspicato l’arrivo di una nuova generazione di leader politici, aprirebbe per l’isola. Intanto, le reazioni internazionali al processo di riforma sono discordanti. L’Unione Europea ha deciso di continuare a vincolare la propria cooperazione politico-economica con l’Avana al processo di democratizzazione, ma ha indicato la volontà di studiarne una modifica sulla scorta della liberazione di 52 prigionieri politici. D’altra parte, a dispetto delle iniziali aperture di Barack Obama, la vittoria dei repubblicani alle elezioni di mid-term nel 2010 sembra invece aver allontanato le prospettive di un riavvicinamento tra Cuba e gli Stati Uniti.
Dal punto di vista delle relazioni internazionali, la perdita del tradizionale alleato sovietico ha inciso fortemente sulle scelte del regime cubano, che si è trovato in una situazione di grave isolamento diplomatico protrattasi per tutti gli anni Novanta. La prolungata interruzione delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti – il grande nemico della Guerra fredda – è a tutt’oggi condizionata da tre fattori: la presenza sul territorio statunitense della più grande diaspora cubana (più di un milione di persone), l’embargo imposto da Washington sui prodotti cubani e l’occupazione statunitense della base di Guantánamo.
Dall’inizio del primo decennio del 21° secolo le relazioni di Cuba con alcuni paesi dell’America Latina sono andate sensibilmente migliorando, grazie agli esiti elettorali che hanno visto imporsi esponenti di sinistra vicini alla causa cubana. Di grande rilievo sono ad esempio i rapporti tra i Castro e Hugo Chávez, presidente del Venezuela dal 1999: Caracas è oggi il primo partner commerciale dell’isola e il principale fornitore delle risorse energetiche del paese. Dal 2004 la profondità del legame strategico tra i due paesi è stata sancita formalmente dalla firma di un importante accordo di cooperazione politico-commerciale. Il trattato è poi diventato il primo atto formale che avrebbe condotto alla costruzione dell’Alleanza bolivariana per le Americhe (Alba), il cui obiettivo dichiarato è quello di creare in America Latina una zona di libero scambio non soggetta all’influenza ;statunitense.
La popolazione cubana supera gli 11 milioni di abitanti. Il 75,7% di questi vive in centri urbani e quasi il 20% risiede all’Avana, capitale del paese e unica città a superare il milione di residenti. Il numero dei cittadini che ogni anno lascia l’isola è alto e si attesta sui 3,5 abitanti ogni mille. Molti di essi, ad oggi più di 7500, hanno lo status di rifugiati politici nei paesi ospitanti, mentre la politica di immigrazione degli Stati Uniti prevede che i cubani che riescono a raggiungere le coste statunitensi possano acquisire la cittadinanza.
Il sistema sanitario cubano è paragonabile, per efficienza, ai sistemi dei paesi industrializzati. Cuba ha infatti investito molto, negli scorsi decenni, per garantire gratuitamente a tutti i cittadini le cure mediche di base e la spesa per la sanità si attesta al 10,4% del pil nazionale.
La struttura sanitaria attuale, basata sulla formazione di un alto numero di medici di famiglia, è stata ideata negli anni Ottanta: nel 2007 i medici erano circa 71.000, ovvero 633 ogni 100.000 abitanti, rapporto tra i più alti al mondo. La specializzazione medica cubana in ortopedia e nel trattamento delle paralisi cerebrali, inoltre, attira molti pazienti stranieri che si ricoverano negli ospedali dell’isola, contribuendo così ad accrescere i proventi del turismo. L’istruzione è gratuita, garantita e obbligatoria dai 6 ai 12 anni.
Il governo cubano non garantisce alla popolazione adeguati diritti politici e civili e Cuba non può essere definito un paese libero. I media, ad esempio, sono controllati dallo stato, che esercita una forte censura: esistono tre quotidiani nazionali – il Granma, la Juventud rebelde e Los trabajadores – tutti appartenenti al Partito comunista. La censura riguarda sia i fatti di politica interna che di politica internazionale, e i giornalisti stranieri necessitano di un visto speciale per l’ingresso nel paese.
Anche l’accesso alla rete internet è fortemente limitato e controllato. Le scuole, gli istituti di ricerca, gli uffici della pubblica amministrazione sono forniti di apparecchiature informatiche; tuttavia, nel 2004, anno in cui è stata conclusa la rete nazionale di fibra ottica, solo 13 abitanti su 1000 avevano accesso a internet. Un accordo per allacciare la rete cubana a quella venezuelana è stato siglato tra i due governi nel 2007 ed è in corso di realizzazione. Nel dicembre 2010 Cuba ha aperto un portale simile a Wikipedia, in cui però circa 2000 voci sensibili, inerenti a temi politici, di storia e di relazioni internazionali, sono gestite e manipolate dal governo.
La censura si estende inoltre a tutte le altre forme di comunicazione – dall’arte, alla musica, alla letteratura – i cui prodotti, se considerati ‘controrivoluzionari’, possono condurre all’arresto dell’autore.
Il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991 ha sottratto a Cuba il suo maggiore partner commerciale, provocando la più grave crisi economica dell’isola dai tempi della rivoluzione (tra il 1990 e il 1994 il pil nazionale si è ridotto di un terzo). Soltanto dal 2005 Cuba si è risollevata ai livelli precedenti alla crisi, e solo al prezzo di una vasta ristrutturazione del suo sistema economico, rimasto tuttavia incentrato attorno a un sistema centralizzato e di tipo pianificato. Timide liberalizzazioni si sono alternate a nuove strette accentratrici, mentre le dimensioni del settore pubblico sono calate dal 95% del totale dell’attività economica nel 1990 a un 75% nel 2005, per poi conoscere un nuovo incremento.
Oggi Cuba possiede un’economia relativamente ampia (la seconda tra i paesi caraibici), ma il pil pro capite della popolazione è tra i più bassi della regione. La struttura economica dell’isola è dominata dai servizi: quelli interni si concentrano sul welfare state (sanità e istruzione) eccezionalmente sviluppato per gli standard regionali; quelli rivolti all’estero sono dominati, a partire dagli anni Novanta, dall’industria del turismo. Turismo e rimesse dall’estero, sebbene siano stati entrambi colpiti duramente dalla recessione globale del 2009, costituiscono infatti due settori fondamentali per lo sviluppo economico dell’isola (7% del pil). Anche per questo motivo il regime monetario dell’isola prevede una doppia moneta: il peso e il peso convertibile. Il peso convertibile ha un cambio fisso collegato al dollaro, quasi equivalente alla parità, ed è impiegato per gli acquisti di prodotti di lusso da parte dei turisti. Il peso normale, invece, è utilizzato quotidianamente dai cittadini cubani.
Una fetta cospicua del turismo verso l’isola è comunque destinata a resistere alla crisi internazionale: si tratta del turismo sanitario, sostenuto dall’alta qualità dei servizi ospedalieri cubani. Dietro i buoni risultati del settore turistico si cela tuttavia il crescente fenomeno del turismo sessuale.
Dal punto di vista industriale e del commercio estero, Cuba è il sesto produttore mondiale di nichel, mentre la produzione di zucchero, un tempo dominante, sembra ormai essere avviata verso una crisi irreversibile.
Carattere distintivo dell’economia cubana è poi la rilevanza del lavoro nero. Nonostante la disoccupazione ufficiale sia relativamente bassa, infatti, tale dato nasconde un forte sottoimpiego (gran parte della popolazione ha un secondo lavoro) e quasi un terzo della forza lavoro nazionale non compare nelle statistiche perché considerato economicamente inattivo. I sottoimpiegati e gli inattivi costituiscono un’ampia riserva di lavoro che spesso si dirige verso il settore sommerso.
Dal punto di vista energetico l’isola è fortemente dipendente dalle importazioni estere, che nel 2009 hanno coperto l’80% dei consumi nazionali. La produzione di petrolio dell’isola, nonostante abbai raggiunto un picco negli ultimi anni, rimane modesta e la concessione di diritti di esplorazione del mare territoriale non pare aver condotto all’individuazione di nuovi giacimenti importanti. Per sopperire alla cronica carenza di energia Cuba può fare oggi affidamento sul Venezuela, solido alleato, dal quale proviene tra il 90% e il 95% del totale del petrolio importato.
Il Presidente Raúl Castro è comandante in capo dell’esercito e dirige l’apparato della difesa assieme al generale Julio Casas Regueiro, attuale ministro delle forze armate.
Sono 49.000 i soldati arruolati tra Marina, Aviazione ed Esercito, ma sono più di un milione i civili addestrati a resistere in caso di invasione statunitense e inquadrati nella Milizia territoriale. La popolazione cubana, inoltre, è periodicamente coinvolta in esercitazioni militari nazionali, l’ultima delle quali risale al 2004. Tale dispiegamento di forze rientra nella strategia militare cubana di deterrenza internazionale. Il maggior timore del governo di Cuba è, infatti, l’invasione dell’isola da parte degli Stati Uniti: la difesa cubana non potrebbe reggere il confronto con l’apparato bellico statunitense, ma può indurre il governo degli Usa a non invadere Cuba per timore di subire ingenti perdite di uomini. Nella Baia di Guantánamo, nel sud del paese, inoltre, è installata una base militare statunitense dove sono acquartierati 902 soldati, la maggior parte dei quali appartenenti alla Marina.
Gli Stati Uniti ottennero in affitto da Cuba i circa 72 km2 della baia, compresa la zona marittima, nel dicembre del 1903, per realizzare una stazione carbonifera. L’accordo venne riconfermato nel 1934, con la clausola che entrambi gli stati potessero recedere dal trattato in qualsiasi momento. Il 3 gennaio 1961, però, il presidente statunitense Dwight Eisenhower decise di sospendere i rapporti diplomatici con Cuba, mantenendo la presenza militare statunitense nella Baia di Guantánamo, che divenne meta per molti rifugiati cubani. Da quel giorno il confine che divide Gitmo dai territori di sovranità cubana, lungo quasi 28 km, è costantemente pattugliato dalla Brigata di frontiera cubana e dall’Esercito statunitense.
Oggi la Baia di Guantánamo, rivendicata da Cuba, è ricordata soprattutto per la presenza del carcere omonimo. Questo infatti, a seguito degli attentati agli Stati Uniti dell’11 settembre 2001, è divenuto il campo di detenzione dei presunti terroristi legati alla rete di Al-Qaida. La mancata definizione dello status legale dei detenuti - né prigionieri di guerra, né imputati ordinari - insieme alle condizioni di detenzione, ha sollevato tuttavia diverse critiche verso il governo statunitense. Ciononostante, a seguito di una votazione della Camera dei rappresentanti che, il 9 dicembre 2010, ha respinto il disegno di legge di chiusura del campo di reclusione di Guantánamo, il carcere ospita ancora 214 presunti terroristi.
Sul versante interno, il Ministero della difesa è da sempre impegnato a svolgere operazioni di polizia attraverso intercettazioni telefoniche, intimidazioni, rigidi controlli per contrastare i dissidenti politici. Il Partito comunista – l’unico partito legalmente riconosciuto – non ammette, infatti, opposizione politica e le carceri cubane sono affollate da prigionieri.
Nel settembre 2010, però, a seguito della pressione internazionale e grazie anche all’intermediazione di Jaime Ortega, guida della Chiesa cattolica cubana, il governo ha stabilito la scarcerazione di 52 detenuti; tuttavia, 13 di questi sono ancora in prigione perché non hanno acconsentito ad andare in esilio.
Sono invece scemate le speranze di uno scambio di prigionieri tra Cuba e Stati Uniti: i negoziati tra i due paesi, conclusisi negativamente il 4 novembre 2010, prevedevano la scarcerazione di cinque agenti dei servizi segreti cubani in cambio della liberazione di Alan Gross, cittadino statunitense arrestato a Cuba nel dicembre 2009 per aver avviato attività finanziate dall’Agenzia statunitense di aiuto e sviluppo (Usaid).