CUBISMO
. Come già il termine "impressionismo" derivò, per scherno, da un quadro del Monet intitolato Impressione, e servì a definire tutta una scuola pittorica, così il termine "cubismo" derivò da un motto del Matisse di fronte a un quadro del Braque. Era un quadro rappresentante alcune case dall'apparenza cubica, esposto al Salone degl'Indipendenti di Parigi nel 1908. Si può dire che il quadro e il motto segnarono lo inizio della scuola cubista. Il movimento però che ad essa condusse era già in lento e sordo sviluppo da qualche tempo: e precisamente da quando la reazione contro l'impressionismo si era andata polarizzando intorno alle ricerche di Paul Cézanne, che miravano a ridare solidità e stabilità alla figurazione pittorica, divenuta sotto il pennello degl'impressionisti inconsistente e labile gioco di riflessi luminosi. Il post-impressionismo, come venne detto tale periodo di transizione, recava quindi in sé i germi del nuovo verbo cubista, che ne fu quasi la conclusione, maturando e concludendo la reazione anti-impressionista, col portare alle sue estreme conseguenze teoriche e pratiche il desiderio di fermare sulla tela la realtà tridimensionale della natura, delle cose e delle persone. Lo sviluppo della scuola fu rapido, ché artisti come Pablo Picasso e André Derain, di grande ascendente sui giovani, ne rappresentavano l'uno la forza combattiva e polemica, l'altro l'intima, meditativa preparazione estetica. Nel 1910 un gruppo di quadri cubisti apparve agl'Indipendenti nella primavera, e qualche mese dopo nel Salon d'Automne. Ma fu nel 1911 agl'Indipendenti che ebbe luogo la prima esposizione collettiva, si può dire ufficiale, del cubismo: al quale venne riservata un'intera sala che conteneva le opere di Jean Metzinger, Albert Gleizes, Marie Laurencin, Robert Delaunay, Fernand Leger e altri pochi, che con i nomi fatti più su, e con quelli di Marcel Duchamp, Francis Picabia e Juan Gris aggiuntisi subito dopo, costituiscono la pattuglia iniziale della scuola. Ormai la nuova estetica cubista esisteva. Ed ebbe anche, mentre con esposizioni a Bruxelles e a Barcellona si avviava per tutte le strade d'Europa, il suo entusiastico teorico e storico nella persona di Guillaume Apollinaire. "Quello che differenzia il cubismo dall'antica pittura", dice egli in una frase riassuntiva di tutto il suo pensiero, "è che non è un'arte d'imitazione, ma un'arte di concezione che tende ad elevarsi sino alla creazione". Queste parole fanno comprendere quanto sconfinata libertà sia alla base del credo cubista, e come l'aspetto incomprensibile delle nuove opere che ne sono sorte, non siano il frutto di una insincerità o incapacità figurativa, ma la espressione di una volontà programmatica di non più attenersi al vero, e d'inventare invece associazioni nuove di forme e di colori derivate dalla fantasia dell'artista. Ci "s'incammina così verso un'arte interamente nuova, che starà alla pittura, quale la si è riguardata fino a oggi, come la musica sta alla letteratura. Sarà della pittura pura, come la musica è della letteratura pura".
Lasciando ad Apollinaire la responsabilità di queste sue affermazioni e venendo ai fatti concreti, si può dire che il cubismo si riferì fin dagli inizî, come del resto indica il suo stesso appellativo, alle forme della geometria solida, cercando di riassumere nell'assoluto della sfera, del cubo, del cilindro, del cono e così via, ogni elemento compositivo del quadro. Naturalmente dato che non tutti gli artisti possiedono un uguale potere di creare dal nulla, o per meglio dire dal proprio intimo, visioni totalmente nuove, subito si distinsero nella scuola varie tendenze a seconda di chi si atteneva rigorosamente a invenzioni astratte, o di chi si contentava di composizioni di oggetti già di per sé stessi squadrati o tondeggianti, in una parola geometrici o geometrizzabili. Quelli furono i puri, questi i simpatizzanti. Di tutti fu però il riferirsi piuttosto che alla realtà visiva, a quella conoscitiva per mezzo del tatto: cioè di abolire gli scorci e gli altri mezzi illusivi di rendere la corposità della terza dimensione nello spazio, per rappresentare questa terza dimensione quasi ribaltata in tutti i suoi lati sulla superficie piana della tela. Ed ecco spiegata l'apparenza, altrimenti inconcepibile, dei dipinti ove per esempio il piano di un tavola sembra star ritto sulle sue quattro gambe e un piatto scivolarne verticalmente. La ricerca delle leggi volumetriche aveva abolito la legge di gravità.
Ma all'infuori di questa e di altre manchevolezze che non è qui il luogo di rilevare, la linea di sviluppo del cubismo nato da una sensibilità raffinata di pittori, consci che l'arte troppo s'era oggettivata nella pura e semplice riproduzione, fino a restringersi al solo accidentale, al solo apparente, alla sola impressione, ha avuto ripercussioni profonde: ripercussioni che dai limitati esperimenti pittorici si è estesa a tutte le arti e si può dire al gusto generale della decorazione e della moda, che caratterizzerà il primo terzo del '900. Si direbbe quasi che nel suo assurdo estetico, se così lo si voglia chiamare, il cubismo sia stato per i suoi iniziatori il presentimento, quasi, della disadorna, rettilinea, lucida meccanicità, cui sempre più tutto si va volgendo: dai mezzi di trasporto alle necessità domestiche, dall'automobile alla casa, fino all'indole dei divertimenti, la radio e il cinematografo. Tanto che ormai i principî del cubismo, che sembrarono follia e sono tuttora in arte rifiutati come un sovvertimento eretico della bellezza consacrata dalla tradizione, a ben guardarci intorno, sono penetrati sotto mille forme minime e pratiche nella nostra vita quotidiana, segnandola di un suggello inconfondibile.
D'altra parte, com'è fatale e giusto che avvenga, la scuola cubista, come espressione di un'arte e di una estetica pittorica determinata, ha compiuto il suo ciclo e s'esaurisce. Picasso, Braque, Derain, Leger e tutti insomma i suoi rappresentanti hanno evoluto verso forme diverse che segnano un superamento della prima teoria. Né si possono di loro segnalare discepoli che li continuino in modo integrale. Forse è piuttosto nell'architettura che i loro epigoni, più che discepoli, potrebbero trovarsi: in quegli architetti che vanno creando un'architettura spoglia di ogni ornamentazione, nudamente geometrica e cubica, in quei decoratori che sullo stesso tipo vanno trasformando il mobilio e l'arredo della casa. Quanto alla pittura e alla scultura, del cubismo la cui parabola è durata circa vent'anni coincedendo con l'anteguerra, la guerra e il dopoguerra immediato, non resta in loro che la coscienza di un prevalere degli elementi durevoli della forma statica, al disopra di quelli transitorî del movimento e della luce. Ma queste riconquistate certezze sono sufficienti, come un'eredità benefica, a giustificare l'esistenza storica del cubismo.
In Italia il cubismo non ha avuto cultori veri e proprî, forse perché gli si oppose da noi il futurismo. Né ebbe rami vitali in Inghilterra, Germania o altri paesi, perché anche lì vi furono contemporaneamente e collateralmente i cosiddetti vorticismo ed espressionismo. Il suo vero centro di sviluppo e d'irradiazione fu e rimane Parigi, dove trovarono diritto di cittadinanza quegli stranieri che attirati nell'orbita del movimento, lo colorirono di cosmopolitismo ed esotismo, non ultima ragione del suo rapido fiorire e sfiorire.
Bibl.: G. Apollinaire, Les peintres cubistes, Parigi 1913; G. Coquiot, Cubistes, futuristes, passéistes, Parigi 1914; W. Hungtington Wright, Modern Painting, Londra 1915.