Tradizioni, culto e dottrine nel mondo bulgaro
Il tema e l’immagine di Costantino entrano nella cultura bulgara con la conversione del primo impero bulgaro (681-1018) al cristianesimo1, avvenuta tra gli anni 864 e 866. Sia il patriarca di Costantinopoli Fozio (858-867, 877-886) sia il papa Nicolò I (858-867) esortano il neobattezzato principe bulgaro Boris-Michail (852-889, morto nel 907) a seguire il modello di Costantino il Grande nella lotta contro il paganesimo per il trionfo del cristianesimo. Dopo l’introduzione del paleoslavo come lingua ufficiale della Chiesa e dello Stato in Bulgaria (893), il modello costantiniano viene insistentemente riproposto anche grazie a traduzioni di testi catechetici e cronachistici, nonché attraverso il culto di Costantino e di sua madre Elena, festeggiati come santi il 21 maggio, ma commemorati durante l’anno liturgico anche in occasione di altre ricorrenze legate alla santa croce. Nell’epoca della riconquista bizantina (1018-1185/1187) nei territori bulgari non soltanto continua a diffondersi il culto di Costantino ed Elena, ma in ambito non ufficiale, apocrifo-leggendario2, viene elaborata un’ideologia patriottico-escatologica nella quale a Costantino viene riservato un ruolo di primo piano, pur all’interno di un paradigma rovesciato. Con la formazione del secondo impero bulgaro (1185/1187-1393/13963) Costantino ricompare con forza nella tradizione ufficiale: come immagine del sovrano cristiano ideale e vincitore del paganesimo nonché come difensore della fede dalle eresie e rinnovatore dell’impero. È nel XIV secolo che si osserva il massimo impatto del tema costantiniano sulla cultura bulgara, che trova espressione sia nell’idea di Tărnovo, capitale del secondo impero bulgaro, come Nuova Costantinopoli (ergo, Terza Roma), sia nell’elaborazione della prima ampia opera in lingua slava, dedicata specificamente a Costantino il Grande e sua madre Elena, scritta da Eutimio, l’ultimo patriarca di Tărnovo. Con la caduta del secondo impero bulgaro sotto il dominio ottomano (1393/1396), destinato a durare fino al 1878, la figura di Costantino continuerà a essere presente, insieme con quella della madre Elena, soprattutto nell’ambito del culto religioso, che con il tempo assumerà anche una particolare forma popolare, il nestinarstvo (danza rituale su carboni ardenti), conservatasi in alcune località della Bulgaria e della Grecia sino ai giorni nostri.
Nell’autunno dell’864 o dell’865 (la cronologia è incerta) l’ultimo khan dei bulgari Boris (regnante dall’852) riceve il battesimo da parte di Costantinopoli e assume il nome Michail in onore dell’imperatore bizantino Michele III, suo padrino virtuale. Poco più tardi il patriarca di Costantinopoli Fozio invia al neobattezzato principe un’ampia epistola, De officio principis, con la quale assume il ruolo di suo mentore4. Dopo aver riportato il testo del Credo formulato dai 318 padri del primo concilio ecumenico di Nicea, il patriarca dedica ampio spazio (13 capitoli su 118 secondo l’edizione in Patrologia Graeca) ai sette concili ecumenici. Alla fine del capitolo dedicato al primo concilio, Fozio sottolinea che era stato l’imperatore Costantino a convocarlo e a illuminarlo con la propria presenza. Più avanti il patriarca, lodando Boris-Michail per aver convertito il suo popolo al cristianesimo, scrive che così facendo egli si è elevato all’opera di Costantino il Grande ed è diventato simile a lui5. Il patriarca Fozio estende in questo modo la teoria bizantina dell’imperatore come Nuovo Costantino anche a un principe straniero impegnato nella lotta contro il paganesimo6. Questa estensione assumerà un diverso significato ideologico (ovvero tornerà a quello originale: un nuovo Costantino prima o poi deve sedere sul trono di Costantino) quando il figlio di Boris-Michail, Simeone il Grande (893-927), si proclamerà zar e cercherà di conquistare Costantinopoli.
Con la conversione Boris-Michail si ripropone di entrare a far parte della famiglia dei sovrani cristiani, riservando però alla Bulgaria una esplicita autonomia politico-ecclesiastica. Insoddisfatto della risposta bizantina (l’epistola di Fozio fu consegnata al principe da una missione composta di semplici sacerdoti e monaci che non avrebbero potuto instaurare nel paese una gerarchia ecclesiastica autonoma), egli si rivolge a papa Nicolò I che nell’autunno dell’866 invia in Bulgaria un’autorevole missione guidata da Formoso, vescovo di Porto e futuro papa (891-896), e Paolo, vescovo di Populonia. Essi portano con sé le celebri Responsa Nicolai I papae ad consulta Bulgarorum7 nelle quali il pontefice, in modo ben più concreto di Fozio, rispondendo alle domande fattegli (e non conservatesi se non all’inizio di ciascuna delle 106 risposte), istruisce il principe bulgaro su come governare il nuovo Stato cristiano. Nella risposta XXVI, raccomandando la sostituzione della tradizionale insegna militare dei proto-bulgari, la coda di cavallo, con la santa croce, il papa narra la storia della battaglia di ponte Milvio, della visione di Costantino e della sua vittoria grazie al segno della croce. All’inizio della sua risposta Nicolò I cita inoltre Mosè, avanzando così l’idea di Costantino come nuovo Mosè: un’idea già cara a Eusebio di Cesarea, primo biografo di Costantino il Grande.
Non si ha notizia di come il principe Boris-Michail abbia recepito il modello costantiniano indicatogli dai suoi illustri precettori. Il paragone con Costantino il Grande nella lotta contro il paganesimo, contenuto nell’epistola del patriarca Fozio, avrà in parte confortato la sua coscienza sulla quale pesava la morte di tutti i membri maschi, bambini compresi, di 52 famiglie nobili proto-bulgare ree di essere insorte per opporsi alla conversione8. Anche Nicolò I, pur rimproverando il principe per la morte dei bambini innocenti, gli promette indulgentia (dopo la necessaria penitenza, naturalmente) giudicando che il massacro era stato compiuto per eccessivo zelo nei confronti della religione cristiana e per ignoranza delle sue leggi (risposta XVII).
Comunque sia, questi due testi non ebbero diffusione nella Bulgaria medievale, almeno non in lingua slava. L’epistola di Fozio, molto diffusa nel tardo Medioevo e nelle epoche successive come uno degli specula principum (e come tale adottata anche per l’educazione di Luigi XV di Francia dal teatino p. Bernard9), venne tradotta solo verso la fine del XIV secolo: le testimonianze manoscritte, una serba e le altre russe, risalgono ai secoli XV-XVI. Le Responsa di Nicolo I, invece, sono state tradotte in bulgaro solo in epoca moderna per fini di studio. Sono altri i testi, di carattere letterario e cultuale, che hanno introdotto e coltivato l’immagine di Costantino nel Medioevo slavo ortodosso.
Un elemento della dottrina costantiniana, così come si era formata nell’Impero romano d’Oriente, viene recepito molto bene da Boris-Michail: spetta al sovrano trovare la soluzione dei problemi concernenti la Chiesa. Nell’870 egli invia al VI concilio di Costantinopoli (riconosciuto da alcuni teologi occidentali come VIII ecumenico) una legazione che il 28 febbraio partecipa alla sessione conclusiva del concilio e ripropone la questione della giurisdizione ecclesiastica nel territorio bulgaro. Il 4 marzo, a concilio concluso, i legati dei patriarcati orientali vengono riconvocati dall’imperatore Basilio I e assegnano a Costantinopoli la giurisdizione sulla Chiesa bulgara; di lì a poco il patriarca Ignazio (richiamato dal concilio al trono patriarcale dopo la deposizione e la condanna di Fozio) invia in Bulgaria un arcivescovo coadiuvato da alcuni vescovi. In questo modo, grazie all’accordo tra i due sovrani viene risolta felicemente una questione che Boris-Michail non era riuscito a sciogliere negli oltre cinque anni di negoziati con il patriarcato di Costantinopoli e con la Santa Sede.
Ottenuta nell’870 l’autonomia (sebbene non ancora l’autocefalia) della Chiesa bulgara, Boris-Michail compirà il passo successivo, la sua slavizzazione, ventitré anni più tardi. Nell’889, dopo trentasette anni di governo, egli si ritira in monastero e mette sul trono il primogenito Vladimir, coltivando forse l’idea di vedere un giorno a capo della Chiesa bulgara il figlio più piccolo, Simeone, allievo costantinopolitano. Ma nell’893 Boris-Michail lascia temporaneamente il monastero e in forza dei suoi diritti di re-padre depone e acceca Vladimir, reo di aver voluto restaurare il paganesimo (almeno così presentano la vicenda, assai oscura, le fonti occidentali a partire dal Chronicon di Reginone di Prüm). Secondo alcune fonti Boris-Michail, ancora una volta nel ruolo di ‘nuovo Costantino’, convoca un’assemblea che eleva al trono Simeone, trasferisce la capitale dalla vecchia Pliska con le sue forti tradizioni pagane a Preslav, costruita e pensata come Nuova Costantinopoli, e decreta l’introduzione – nella Chiesa e nell’amministrazione dello Stato – della lingua paleoslava, portata in Bulgaria nell’885/886 dai discepoli dei santi Cirillo e Metodio, soppiantando così la lingua greca e il clero greco.
Con l’introduzione delle lettere slave nella prassi liturgica e statale ha inizio la vera e propria ricezione del modello culturale bizantino nel primo impero bulgaro, sebbene in forma ridotta, confacente alle condizioni socio-culturali di uno Stato da poco convertito al cristianesimo. L’immagine e il culto ecclesiastico di Costantino il Grande rientrano in questo modello, ma sono recepiti con sostanziali riduzioni. Costantino, insieme con la madre Elena, vengono naturalmente venerati come santi, come in tutta la tradizione orientale, e sono festeggiati il 21 maggio. Nel calendario di uno dei più antichi manoscritti slavi conservatisi, l’Evangelistario di Assemani (cod. Vat. slav. 3, X-XI secolo, scritto nell’alfabeto originale di san Cirillo, il glagolitico), al 21 maggio si legge: «Mese di maggio, 21. Memoria del santo, grande e pio zar Costantino e di sua madre Elena» (f. 146v). Alla stessa data già nei più antichi minei liturgici10 si trova l’Ufficio (Služba) dei Ss. Costantino ed Elena tradotto dal greco. La sua ricca metaforica presenta Costantino come nuovo Davide unto direttamente da Dio; egli è «pari agli apostoli» (spesso paragonato concretamente all’apostolo Paolo) e «padre di tutti gli zar»; particolare attenzione è dedicata al legame dell’imperatore con la santa croce. Nella Bulgaria medievale, però, non verranno mai tradotte né la Vita Constantini di Eusebio di Cesarea né le successive opere agiografiche e/o panegiristiche conosciute nella tradizione greco-bizantina. Ai secoli IX-X risalirebbe la sola traduzione di una anonima Vita di papa Silvestro (BHG 1632B) che riporta alcune notizie su Costantino11. Così nella tradizione ecclesiastica del primo impero bulgaro l’immagine e le gesta del ‘padre di tutti gli zar’ si riducono a pochi elementi dalla forte carica simbolica che gravitano intorno all’idea di Costantino, l’imperatore che vince con la forza della santa croce e fa trionfare il cristianesimo.
Rimandano esplicitamente o implicitamente alle figure di Costantino ed Elena anche le ricorrenze liturgiche della santa croce accolte nella tradizione bulgara da quella bizantina. Per la solennità dell’Esaltazione della croce (14 settembre) nella tradizione medievale bulgara sono presenti ben quattordici diversi sermoni12, almeno tre dei quali composti o tradotti tra la fine del IX e la fine del X secolo, epoca alla quale risale anche la traduzione del corrispettivo Ufficio liturgico nel quale, però, non compaiono mai i nomi di Costantino ed Elena. Uno dei sermoni suddetti, Lode nel giorno dell’elevazione della croce13, viene attribuito da alcuni studiosi a san Clemente di Ocrida (morto nel 916), da altri a Giovanni Esarca di Bulgaria (fine IX-inizio X secolo). Si tratta di un lungo testo altamente retorico, incentrato sulla croce stessa, tuttavia nella narratio iniziale si afferma che, quando ormai da molti anni la santa croce, i chiodi e il titulus crucis erano caduti nell’oblio, «Dio innalzò nel mondo degli uomini uno zar pio e cristiano, intendo Costantino il Grande, e sua madre Elena che cercò e ritrovò la croce con l’aiuto di Dio e tramite la fede di un archiereo»14. Se in questo sermone viene accolta la versione secondo la quale sant’Elena ottenne l’aiuto del patriarca di Gerusalemme Macario, un altro sermone, Del ritrovamento della santa e vivificante croce ritrovata da Elena15, tradotto dal greco (BHG 396, ma con finale variato), presenta invece la versione secondo cui Elena sarebbe stata aiutata nella sua impresa dall’ebreo Giuda, poi convertitosi e battezzato come Ciriaco. Questo sermone ha sapore apocrifo, cosa avvertita anche dal copista di una delle sue testimonianze più tarde (1623) che accanto al titolo scrive: «Questo sermone non è veridico» e a margine del racconto di Giuda che avrebbe aiutato sant’Elena si rivolge direttamente all’ebreo: «Non buggerare, o eretico, Macario la trovò, non tu»16. La terza opera dell’epoca, il Sermone dell’albero onorabile17, appartiene al pope bulgaro Ieremia, noto autore di testi apocrifi del X secolo. Nel testo, che racconta la storia dei tre alberi dai quali vennero ricavate le tre croci, non vi sono riferimenti a Costantino ed Elena, ma in alcuni manoscritti lo troviamo alla data del 14 settembre, come sermone per la festa dell’Esaltazione della santa croce, benché riporti nel titolo l’indicazione per la lettura nella terza domenica della Quaresima, dedicata appunto alla venerazione della santa croce. In alcuni casi alla stessa ricorrenza viene destinata anche la succitata Lode nel giorno dell’elevazione della croce18, mentre dal XIV secolo in poi l’anonimo sermone Del ritrovamento della santa e vivificante croce si trova inserito sia alla festa del 14 settembre, alla quale era in origine destinato, sia al 21 maggio, memoria liturgica di Costantino ed Elena. In questo modo viene evidenziato il legame funzionale, ma anche contenutistico, tra la memoria di Costantino ed Elena e le ricorrenze della croce, alle quali vanno aggiunte altre due date (sempre seguendo l’ordine dell’anno liturgico ortodosso che inizia il 1° settembre): il 7 maggio, «Commemorazione del segno della preziosa croce che apparve nel cielo sopra Gerusalemme nel 351 D.C.», e il 1° agosto (nei più antichi manoscritti slavi anticipato al 31 luglio), «Processione del venerabile Legno della Croce del Signore». Di quest’ultima ricorrenza, legata a un’usanza costantinopolitana, si hanno soltanto le testimonianze dei calendari liturgici (per esempio nel già citato Evangeliario di Assemani, f. 151r), mentre per il 7 maggio si è conservata un’antichissima copia dell’Ufficio liturgico (tradotto dal greco tra la fine del IX e la fine del X secolo), il cui testo non cita mai Costantino ed Elena, ma ha un titolo alquanto eloquente: «Memoria del segno della croce, quando è apparso nella Città Santa nella terza ora del giorno, ai tempi dello zar Costantino, figlio di Costantino il Grande»19.
L’intera tradizione cultuale offre un’immagine di Costantino il Grande inscindibilmente legata al simbolo della croce: egli è padre di tutti gli zar cristiani poiché ha ricevuto l’invincibile arma della santa croce direttamente da Dio ed è stato il primo zar cristiano. Costantino, dunque, tramite la croce ha ricevuto l’investitura divina, e il suo potere viene da Dio – un’idea cara nei secoli a tutta la tradizione cristiana orientale che, a differenza di quella occidentale, venera Costantino come santo. In quanto tale egli è anche un aiutante divino, come gli angeli e le altre forze celesti, in particolar modo nella risoluzione dei problemi della Chiesa. Quest’idea si rileva nei racconti dei concili ecumenici: un motivo già impiegato dal patriarca Fozio nella sua epistola a Boris-Michail. Uno di questi racconti, tradotto dal greco, è inserito nella raccolta didattico-enciclopedica composta al tempo dello zar Simeone (893-927) e nota pertanto come Părvi Simeonov sbornik (Prima raccolta dello zar Simeone). Qui del primo concilio ecumenico si afferma soltanto che si era tenuto «durante il regno di Costantino il Grande», mentre il ruolo principale è attribuito a papa Silvestro20. Nell’ampia introduzione alla Vita paleoslava di san Metodio, il fratello di Costantino-Cirillo il Filosofo, di nuovo si dice che il primo concilio era stato convocato a Nicea da papa Silvestro che aveva accolto «l’aiuto del grande zar Costantino»21. Questa frase non va intesa come una sottovalutazione del ruolo dell’imperatore, ma è da considerare una formula fissa che si riferisce a Costantino come ausiliatore che agisce per volontà divina: lo dimostra il fatto che il presbitero bulgaro Kosmà (Cosmas, metà X secolo) nel suo Discorso contro i bogomili, passando brevemente in rassegna le eresie ‘storiche’, cita anch’egli Costantino imperatore come ausiliatore dei santi padri del concilio niceno con la formula seguente: «adjuti, divina disponente voluntate, ab ipso imperatore Constantino»22.
Tutti i testi finora citati, liturgici, catechetici o polemici che fossero, propongono un’immagine simbolica di Costantino, semplificata e teologicamente corretta, frutto della lunga elaborazione nella tradizione bizantina, dalla quale quest’immagine viene accolta nella tradizione bulgara dei secoli IX-X per poi diffondersi in tutta la Slavia Orthodoxa. Gli unici testi nei quali s’intravede il personaggio storico e se ne raccontano le gesta sono le traduzioni delle principali cronache bizantine eseguite per la biblioteca della corte e lette soprattutto dal principe e dalla sua cerchia.
La traduzione antico-bulgara della Cronaca di Giovanni Malalas non ci è pervenuta integralmente, manca il racconto dell’epoca di Costantino, ed è difficile affermare con certezza fino a che punto questo testo abbia contribuito a diffonderne la conoscenza tra l’élite del primo impero bulgaro. Un racconto biografico abbastanza dettagliato su Costantino è invece presente nella cosiddetta versione slava della Selezione cronografica (‘Εκλογὴ χρονογραϕίας) di Giorgio Sincello databile verso la fine del IX o l’inizio del X secolo. In realtà si tratta di una compilazione cronografica (probabilmente redatta già in greco, ma l’originale rimane a tutt’oggi sconosciuto), la cui prima parte, dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo, è compilata sulla base della Cronografia di Sesto Giulio Africano e dell’opera di Giorgio Sincello, con probabile ricorso anche alla Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea (il riferimento alla quale è direttamente testimoniato nella seconda parte dell’opera), e una seconda parte che segue più da vicino il racconto di Giorgio Sincello e del suo continuatore Teofane il Confessore per gli anni dalla Resurrezione di Cristo al regno di Costantino il Grande23. In questa compilazione è dedicato ampio spazio alla biografia di Costantino, interpretata naturalmente in sintonia con l’immagine-simbolo del santo imperatore cristiano e perciò non troppo lontana dal racconto agiografico24. Sono presenti tutti i principali momenti della leggenda cristiana di Costantino: figlio di Elena, questi vive cristianamente sin da giovane e soffre per le persecuzioni dei cristiani; affronta il tiranno Massenzio e in seguito all’apparizione della santa croce, dopo la quale aveva ordinato che fosse creato un labaro d’oro in forma di croce «ancor oggi esistente»25, vince ed entra trionfalmente a Roma; vengono poi raccontate alcune battaglie, che vedono Costantino vittorioso grazie al fatto che davanti a lui veniva sempre portata la croce. Sconfitti tutti gli avversari e divenuto «edinoderžatel’» (‘monocrate’), Costantino emana le sue leggi: la prima impone la conversione dei templi pagani in chiese cristiane; la seconda, che solo i cristiani vengano promossi agli alti ranghi militari, mentre gli ufficiali in servizio che non vogliono convertirsi devono essere condannati alla «pena capitale» (è il modo in cui, dopo il battesimo, anche il principe Boris-Michail avrebbe trattato i nobili disobbedienti); la terza, evidenziata nel testo con l’iniziale rossa, impone che la Risurrezione di Cristo venga festeggiata per due settimane, una prima e una dopo ‘il grande giorno’ («velik” d’n’», come ancora oggi viene chiamata la Pasqua in bulgaro: velikden). Poco più avanti inizia il racconto dell’eresia di Ario, del battesimo di Costantino da parte di papa Silvestro e del I concilio ecumenico di Nicea; il racconto del concilio e delle sue conseguenze è particolarmente dettagliato. Il testo finisce (lasciando l’impressione di non essere compiuto) con l’invio della madre Elena alla ricerca della santa croce e con il proposito di fondare una nuova città che prenda il posto dell’antica Bisanzio (Byzàntion).
Gli episodi ai quali la fine della versione slava della Cronaca di Giorgio Sincello riserva solo accenni sono dettagliatamente narrati in un’altra Cronaca, tradotta molto probabilmente nella seconda metà del X secolo: la Cronaca universale di Giorgio Amartolo (o Giorgio Monaco), che va da Adamo all’anno 842/843. Il racconto della costruzione di Costantinopoli è qui molto ampio, con particolare attenzione alle chiese edificate; viene narrato in modo particolareggiato il ritrovamento della santa croce da parte di sant’Elena, e sono forniti anche dati biografici sulla sua persona. Inoltre la Cronaca di Amartolo contiene quella che è forse la più lunga e teologicamente meglio elaborata esposizione del primo concilio ecumenico in lingua paleoslava.
Le informazioni su Costantino e le sue gesta contenute nelle cronache presentano così all’élite del primo impero bulgaro non tanto il personaggio storico di Costantino (con tutte le sue contraddizioni) e la sua opera concreta in favore del cristianesimo e della Chiesa, quanto un costrutto ideologico già elaborato nell’impero bizantino e avente come fine quello di regolamentare il comportamento e le azioni politiche dei sovrani cristiani. Ricca di elementi leggendari ed elevata ad alto livello simbolico nell’ambito del culto, l’immagine di Costantino – l’imperatore santo che, armato della santa croce, vince sempre e ovunque e ristabilisce l’ordine divino nell’Ecumene – non solo entra a far parte dell’immaginario della nobiltà e dell’élite intellettuale bulgara tra la fine del IX e la fine del X secolo ma, seguendo vie che non abbiamo i mezzi per esplorare, arriva a raggiungere strati socio-culturali molto più ampi che, a partire del periodo della riconquista bizantina (XI-XII secolo), associano quest’immagine a idee storico-apocalittiche che vedono i bulgari come nuovo popolo eletto.
Il già menzionato Discorso contro i bogomili, nel quale Costantino è citato come aiutante ‘per volontà divina’ dei padri conciliari di Nicea, parla dei tempi dello zar bulgaro Pietro (Petăr, 927-967, morto nel 969), il primo sovrano bulgaro al quale i bizantini riconoscono in modo pacifico il titolo di zar (καίσαρ, ‘cesare’). L’avere regnato per quarant’anni senza mai affrontare impegnative imprese belliche, a differenza del padre Simeone, e l’essersi ritirato in tarda età in monastero gli valsero la canonizzazione come santo: è l’unico sovrano medievale bulgaro la cui santità sia documentata e incontestabile26. Già per questo lo zar Pietro appare paragonabile a Costantino, giacché anche nell’impero bizantino la santità imperiale costituiva un fatto piuttosto raro. Inoltre, nell’Ufficio liturgico «in memoria del nostro santo padre Pietro, monaco, che fu zar bulgaro» egli, similmente a Costantino, viene lodato come «zar dei Bulgari per volontà di Dio», «solida pietra della fede di Cristo», «affermazione delle chiese e della tua città Preslav»27. Sotto il figlio di Pietro, Boris II, la Bulgaria è invasa da schiere russe (ancora pagane) che la occupano e la coinvolgono in una guerra contro Bisanzio che si concluderà con l’occupazione bizantina dei territori nord-orientali del paese, inclusa la capitale Preslav (971). Lo Stato bulgaro sopravvivrà ancora per quasi mezzo secolo nelle regioni sud-occidentali, fino a essere definitivamente conquistato da Basilio II il Bulgaroctono (976-1025) nel 1018. Questo spiega perché proprio nei territori occidentali dell’ex primo impero bulgaro, oggi divisi tra le odierne Bulgaria e Macedonia, nel periodo della riconquista bizantina (1018-1185/1187) si conservi meglio l’idea della statalità bulgara espressa in opere leggendario-letterarie a carattere storico-apocalittico.
Alcune di queste opere sono compilazioni oppure versioni di più antiche opere in lingua greca alle quali vengono aggiunti motivi ‘bulgarizzanti’. È di questo tipo, per esempio, una Leggenda della Sibilla28 conosciuta in due redazioni, la prima delle quali deve essere comparsa tra l’XI e il XII secolo e la seconda, forse, nel XIII. Spiegando una visione, la Sibilla parla di nove stirpi umane, la prima tra le quali è «quella slava, cioè bulgara […] che ama il cristianesimo e riporterà a Dio la retta fede superando tutto il mondo». Giunta alla sesta stirpe, che sarebbe quella siriaca (cioè aramaica), la Sibilla profetizza:
Comparirà uno zar di due stirpi di nome Costantino: verrà da Roma e sarà un guerriero scelto da Dio; distruggerà le chiese [i templi] degli infedeli […]; riceverà un segno dal cielo; e uscirà sua madre, la gloriosa Elena, e ritroverà la croce […]; e creerà [Costantino] una grande città che sarà la Nuova Gerusalemme, fortezza per i greci, luogo di riposo per i santi, gioiello per gli zar – la chiameranno Costantinopoli.
Arrivata, quindi, all’ottava stirpe, quella dei Saraceni, la Sibilla vaticina per loro «uno zar di nome Leone, padre di Cirillo Filosofo» (va ricordato che, secondo quanto riporta la Vita, san Cirillo, l’apostolo degli slavi, era di Salonicco e suo padre si chiamava Leone).
Dalle profezie sibilline sembra influenzato un altro testo, risalente ai secoli XII-XIII e noto come Le profezie di Pandech29, dove similmente si parla della costruzione di Costantinopoli da parte di Costantino (ma dopo aver distrutto l’antica città di nome Bisanzio) e si aggiunge che in questa città «hanno regnato i romei fino allo zar Manuele, ma dopo, al dies irae, non regneranno più». Trattandosi con ogni probabilità dell’imperatore bizantino Manuele I Comneno (1143-1180), viene da chiedersi se la profezia esprima gli umori dei bulgari che qualche anno dopo (1185) si ribelleranno contro il dominio bizantino, oppure faccia riferimento (post factum) alla conquista di Costantinopoli da parte dei crociati nel 1204. La prima ipotesi sembra più verosimile alla luce della seguente frase nel testo: «Il Bulgaro è giovane e mentre due combattono tra di loro, il terzo diventerà primo. E la giovinezza significa cambiamento del regno».
Nei testi di questo tipo non c’è nesso diretto tra l’immagine di Costantino e i bulgari, e come in tutte le profezie si parla in termini abbastanza oscuri di fatti e personaggi storici. Ancora più oscuro, ma con un sottolineato legame tra l’imperatore Costantino e il sopra menzionato zar bulgaro Pietro, è il contenuto di un’opera tradizionalmente nota come Cronaca apocrifa bulgara (Bălgarski apokrifen letopis)30, ritenuta databile verso la fine dell’XI secolo, ma sulla cui denominazione e datazione è stata recentemente formulata un’ipotesi diversa31. Il titolo dell’opera nell’unico manoscritto che ce l’ha tramandata (risalente all’inizio del XVII secolo) è «Detto del profeta Isaia, di come fu elevato da un angelo fino al settimo cielo», e la sua prima parte è una visione apocrifa di tipo tradizionale. Alla fine della visione Dio ordina al profeta di ritornare sulla Terra per raccontare agli uomini tutto quello che ha visto e per annunciare loro cosa succederà «negli ultimi tempi con l’ultima stirpe». Riportato dall’angelo sulla Terra, Isaia sente di nuovo la voce divina che gli ordina di andare «nella parte superiore delle terre romane» (evidentemente, però, intese come romee, cioè bizantine), di separare un terzo dei cumani, detti bulgari, e di popolare con loro la terra di Karvuna (il Nord-Est dell’attuale Bulgaria). Il profeta obbedisce, conduce il nuovo popolo eletto (che sarà «l’ultima stirpe») nella terra di Karvuna, sceglie uno tra questi cumani-bulgari e lo nomina re: «il suo nome era Slav». Segue la storia leggendaria di questo regno nella quale si trovano tutte le più importanti componenti mitologiche legate alla fondazione di una città e di uno Stato. Vengono mescolati nomi veri o simili a quelli storicamente noti con nomi e personaggi di pura invenzione leggendaria. Si giunge a Boris e Simeone, che però non sarebbero padre e figlio, ma fratelli che si avvicendano come sovrani. E dopo Simeone la Cronaca apocrifa bulgara, ricollegando la leggenda alla realtà, racconta dell’ascesa al trono del figlio di quest’ultimo, Pietro che «fu zar dei bulgari e anche dei greci». Nei tempi di questo «santo Pietro, re dei Bulgari» (lo zar Pietro, come s’è già detto, fu realmente proclamato santo), per volontà divina, c’è abbondanza di ogni bene. Segue un brano importante che deve essere citato letteralmente perché si possano cogliere non solo le connotazioni patriottiche, ma anche il carattere profondamente apocrifo-leggendario del testo:
Allora, negli anni del santo Pietro, zar bulgaro, si trovò nella terra bulgara una donna vedova: giovane, saggia e pia di nome Elena. E partorì [ella] lo zar Costantino, uomo santo e pio. Egli, dunque, era figlio di Costantino il Verde [sic, così è reso il nome di Costanzo Cloro] e della madre Elena; questo Costantino, chiamato Porfirogenito, era uno zar romano. Perseguitata dall’invidia degli elleni romani, poiché era incinta, sua madre Elena fuggì nella città di Visa e lì partorì lo zar Costantino. A lui apparve un angelo del Signore e gli diede la buona novella della Santa Croce a Oriente. Si volevano bene lo zar Pietro e lo zar Costantino. E radunò [Costantino] i suoi soldati, prese sua madre e si diresse via mare verso oriente, al luogo [detto] Golgota. Costantino si trovò dove era una piccola città di nome Bisanzio. Giunto in questo luogo e visto il territorio deserto da mare a mare, egli pensò: «Se giungerò al Golgota e troverò la Santa Croce alla quale è stato crocifisso Gesù, tornerò di nuovo in questo luogo deserto e costruirò una città e le darò il nome di Nuova Gerusalemme: luogo di riposo per i santi e gioiello per gli zar». Ma mentre lo zar Costantino andava al Golgota, vennero via mare alcuni aggressori grandi come giganti e devastarono la terra bulgara; Pietro, zar bulgaro, uomo pio, lasciò il regno e fuggì a occidente, a Roma, dove concluse la propria vita.
L’apocrifo prosegue con il racconto di come nelle terre bulgare venga elevato al trono un nuovo zar (nonostante sia detto poco prima che queste terre furono devastate e più avanti si parli della loro ri-popolazione grazie a Costantino), mentre Costantino trova la santa croce, ritorna a Bisanzio e al posto suo costruisce la nuova città alla quale dà il proprio nome, Konstantin-grad (traduzione letterale del greco Konstantinoupoleos); immediatamente dopo, però, la città viene chiamata nel testo Nuova Gerusalemme, così come aveva promesso Costantino prima di partire. In questo punto il testo coincide con quello della Leggenda della Sibilla: «una grande città che sarà la Nuova Gerusalemme, fortezza per i greci, luogo di riposo per i santi, gioiello per gli zar – la chiameranno Costantinopoli». Si racconta quindi che Costantino, dopo aver stabilito l’ordine in tutto il Regno di Gerusalemme (si tratterebbe di quello che ha avuto come capitale Costantinopoli), si diriga verso il Danubio e lì fondi una città chiamata Bdin (oggi Vidin, nell’estremo nord-occidentale della Bulgaria, sul Danubio). «E popolò di nuovo lo zar Costantino la terra bulgara [a cominciare] dalla parte occidentale. E creò lo zar Costantino settanta città quando aveva [sotto il suo governo] tutte queste terre. E avendo regnato per 62 anni, morì. E dopo di lui salì al trono un altro zar nella terra bulgara […]». Nel seguito del racconto compaiono nomi storici e leggendari di sovrani che spesso regnano su entrambe le terre, bulgara e greca, finché «dalle zone meridionali venne un altro zar di nome Turgij [personaggio leggendario]; presa la corona dello zar Costantino e assunto il potere su tutto il regno bulgaro e greco [sic!], egli regnerà per 17 anni e morirà». Nella frase finale si allude all’invasione dei peceneghi, che storicamente risale alla fine dell’XI secolo.
La Cronaca apocrifa bulgara è il testo medievale bulgaro che contiene in forma maggiormente elaborata l’idea escatologica del popolo bulgaro nella quale lo zar Costantino ha un ruolo di primo piano (il ruolo di sua madre Elena, invece, è fortemente ridotto sia rispetto alla tradizione ecclesiastica sia rispetto a quella popolare). A prescindere da tutti gli anacronismi e le incongruenze di questo testo, affascina l’ampiezza del suo respiro che mette i bulgari al centro della storia della Salvezza, in qualche modo li affratella con i greci e fa loro condividere gli stessi sovrani, i più importanti dei quali sono due santi, Costantino e Pietro, anzi, Pietro e Costantino, dei quali si racconta più a lungo di ogni altro sovrano. Colpisce l’inversione del paradigma tramite l’inversione delle vicende storiche: Costantino, che in tutta la tradizione bizantino-slava è il modello ideale di sovrano essendo stato il primo imperatore cristiano e perciò ‘padre di tutti gli zar’, nel testo della Cronaca apocrifa bulgara è subordinato allo zar Pietro, figlio di Simeone, che a sua volta è fratello minore di Boris che «battezzò [=convertì] la terra bulgara e creò chiese nelle terre bulgare». Costantino nacque ai tempi dello zar Pietro da una vedova proveniente dalle terre bulgare. Le sue imprese alla ricerca della santa croce e la fondazione di Costantinopoli-Nuova Gerusalemme non lo distraggono dalla cura per le terre bulgare e dopo la morte di Pietro (a Roma) e dopo che quelle terre vengono invase e devastate dai nemici, le ripopola costruendo settanta città e muore nelle terre che governava (il contesto lascia dedurre che si trattasse delle terre bulgare). Questa ‘bulgarizzazione’ dell’immagine di Costantino in un’opera apocrifo-leggendaria che mette i bulgari al centro della Storia (che è quella della Salvezza) e vede in Costantino solo il continuatore dell’opera di cristianizzazione e civilizzazione delle ‘terre bulgare’ da parte dei pii zar Boris, Simeone e Pietro, è la più coraggiosa operazione ideologica di sapore patriottico mai realizzata nella tradizione medievale bulgara. Una sua eco, pur ricondotta al paradigma ‘normale’, si avvertirà anche nei testi di carattere ufficiale dopo la rinascita dello Stato bulgaro verso la fine del XII secolo.
Tra gli anni 1185 e 1187 un’insurrezione, capeggiata dai fratelli Asen e Teodoro-Pietro, pone fine al dominio bizantino e segna il ripristino dell’autonomia statale dei bulgari. Nei turbolenti anni tra la terza e la quarta crociata sul trono nella nuova capitale bulgara, Tărnovo, si susseguono Asen I (1186-1196), Teodoro-Pietro (1196-1197) e il loro fratello minore Kalojan (1197-1207). Dopo l’uccisione di quest’ultimo, il trono viene occupato dal figlio della sorella di Kalojan, Boril (1207-1218) che nel febbraio del 1211 convoca un concilio contro l’eresia dei bogomili che fioriva nelle terre bulgare già dal X secolo. A concilio concluso, Boril ordina che esso sia inserito tra i concili della Chiesa ortodossa nel Synodikon dell’ortodossia, per sua disposizione tradotto dal greco e completato dal racconto del concilio del 1211 e delle sue decisioni. Nasce così il cosiddetto Synodikon di zar Boril32, il più importante documento bulgaro duecentesco di carattere dogmatico-canonico nonché liturgico, poiché veniva letto solennemente durante l’officiatura della Domenica dell’ortodossia, la prima domenica della Quaresima, ricorrenza istituita in Bisanzio nell’843 in occasione della definitiva sconfitta dell’iconoclastia.
Nel Synodikon di zar Boril e più precisamente nella parte che contiene l’elenco dei sovrani degni di ‘memoria eterna’ per aver contribuito al consolidamento della retta fede, il redattore bulgaro costruisce un parallelo eloquente. Nel testo tradotto dal greco la corrispettiva sequenza inizia con «Costantino il Grande e sua madre Elena, i santi e pari agli apostoli primi zar cristiani»; segue l’elenco degli «zar greci che assieme al regno terreno hanno ereditato anche quello dei cieli», dall’imperatore Teodosio I (379-395) ad Alessio II Comneno (1180-1183), e poi delle «zarine ortodosse greche», da Flacilla, moglie di Teodosio I, alla «grande e santa zarina Teodora», imperatrice-reggente dal 842 al 856, la quale «radunò i patriarchi, gli archierei e i monaci da tutte le parti dell’Ecumene a un concilio ecumenico che condannò, assieme a tutte le precedenti eresie, quella degli iconoclasti»33. Dopo l’augurio di eterna memoria a questa pia imperatrice, il testo continua con una lunga aggiunta bulgara segnalata con la seguente rubrica: «Inizio degli zar bulgari»34. La prima «memoria eterna» è per «Boris, il primo zar bulgaro, nel santo battesimo chiamato Michail, che tramite la conversione portò la stirpe bulgara alla conoscenza di Dio»; seguono gli zar del primo impero, poi Cirillo e Metodio e i loro cinque santi discepoli (sic! – tra i due gruppi di sovrani), per arrivare ai tre fratelli rinnovatori della vita statale bulgara (una renovatio imperii in prospettiva bulgara) Asen, Pietro e Kalojan35. Dopo la «memoria eterna» a questi ultimi, il redattore bulgaro introduce un ampio racconto del concilio contro i bogomili convocato da Boril che si conclude con anatemi contro gli eretici seguiti dall’augurio di eterna memoria per «tutti gli archierei e vescovi e sacerdoti e monaci, e tutti i nobili che insieme allo zar Boril si sono riuniti contro questa tre volte maledetta eresia e l’hanno condannata»36.
In una ricezione lineare questa parte del Synodikon può essere colta come espressione dell’idea della continuità dell’operato dei pii sovrani cristiani, dal primo, Costantino, all’ultimo, in questo caso Boril. Letta, però, in asse verticale, paradigmatico, diventa molto chiaro il parallelo istituito tra Boris-Michele e Costantino il Grande, da un lato, e tra Boril e l’imperatrice (e poi santa) Teodora, dall’altro. Costantino è indiscutibilmente al principio di tutto, sia in senso cronologico, come il primo imperatore cristiano, sia in senso tipologico, come modello di comportamento dei suoi successori diretti e indiretti. Ma il paragone in questo caso non è diretto, bensì condotto tramite l’inserimento della sequenza parallela dei sovrani bulgari dove a Costantino corrisponde Boris-Michele, il cui lontano erede è Boril. La lotta contro gli eretici di quest’ultimo, nonostante le somiglianze evidenti (la convocazione del concilio che condanna gli eretici e consolida la retta fede), non è paragonata direttamente a quella condotta da Costantino e alla convocazione del concilio di Nicea, ma viene messa in parallelo con l’attività di Teodora e il concilio contro l’iconoclastia, ed è espressa con parole molto simili. A differenza dei testi apocrifo-leggendari, dunque, qui la storia bulgara non si fonde con quella bizantina in un’unica prospettiva lineare, e rimane invece separata, ma parallela, non viene vista come la storia della Salvezza, ma solo come uno dei suoi filoni.
Nei secoli XIII-XIV presso gli slavi ortodossi si diffonde un nuovo libro liturgico-agiografico, il Prolog (il corrispondente slavo del Sinassario bizantino), contenente letture agiografiche in forma compendiaria per uso liturgico (spesso definite ‘Vite brevi’); è noto sia nella versione detta Prolog semplice, sia in quella contenente i versi dedicati ai santi per opera di Cristoforo di Mitilene (Prolog stišnoj)37. Le letture per il 14 settembre, giorno dell’Esaltazione della santa croce, e per il 21 maggio, la festa propria dei santi Costantino ed Elena, hanno in comune l’affermazione che «il grande Costantino fu il primo zar cristiano»38 e il racconto della battaglia vinta con l’aiuto del segno della croce che, però, presenta significative differenze che indicano diverse fonti agiografiche. Secondo la lettura per il 14 settembre, dove dopo la formula citata si passa direttamente all’episodio della battaglia, quest’ultima si è svolta «a Roma, contro Magnetio [sic!], prima di assumere il potere regio, come dicono alcuni scrittori, mentre altri [affermano] che si è svolta sul fiume Danubio, contro gli Sciti»; dopo la vittoria Costantino si converte insieme con sua madre Elena, che egli invia a Gerusalemme per trovare la santa croce; segue, come richiesto dalla ricorrenza, un breve racconto del ritrovamento e dell’esaltazione della croce e dell’istituzione della festa39. La lettura per il 21 maggio, invece, parla prima della discendenza di Costantino da Costanzo Cloro, che educa suo figlio a rispettare i cristiani e a chiedere aiuto all’Altissimo, perciò nella battaglia con «Maksitio» Costantino vince con il segno della croce, e quindi distrugge gli idoli e costruisce chiese e città; più tardi insieme con la madre Elena trova la santa croce40. Colpisce il fatto che di sant’Elena si parli ben poco e in modo marginale, benché la festa del 21 maggio sia dedicata anche a lei.
Per la ricorrenza del 7 maggio, ‘Commemorazione del segno della preziosa croce che apparve nel cielo sopra Gerusalemme nel 351 d.C.’, nel Prolog è inserita una breve lettura che ricorda la sostanza dell’evento, confondendo però i nomi: l’apparizione sarebbe avvenuta «ai tempi dello zar Kostandino, figlio del grande Kostando»41, anziché ai tempi di Costanzo, figlio di Costantino il Grande. Alla data dell’11 maggio è presente un’altra breve lettura che ricorda la fondazione di Costantinopoli da parte del «più grande tra gli zar cristiani», la costruzione di una chiesa dedicata alla Madre di Dio e l’erezione al foro della città di una statua di Costantino, nelle fondamenta della quale sono state inserite alcune reliquie ritrovate nella Terra Santa «che ancora oggi si trovano lì»42.
Per quanto brevi e concentrate sui principali episodi della biografia di Costantino dall’alto valore simbolico per il cristianesimo, le letture liturgico-agiografiche del Prolog rimarranno, per la massa dei fedeli, la principale fonte di notizie biografiche su Costantino il Grande durante tutto il secondo impero bulgaro.
Le letture del tipo destinato al Prolog si possono trovare anche in altri libri liturgici. Così in un mineo festivo della fine del XIII secolo, noto come Draganov minej, nell’ufficio liturgico per il 19 ottobre, dedicato a san Giovanni di Rila, è inserita la ‘Vita breve’ del santo in cui si parla del rinnovamento dello Stato bulgaro da parte dello zar Asen I che, giunto a Sredec (l’odierna Sofia), «trovò [le reliquie del] santo Giovanni, il grande anacoreta, e volendo con zelo imitare gli zar antichi, dico il glorioso zar Costantino e lo zar Pietro, elevò [‘văzdviže’] il corpo del santo padre Giovanni degno di ogni onore e lo trasferì nella città di Tărnovo»43. L’uso del verbo ‘văzdviže’ nel passo citato indubbiamente rimanda al ritrovamento, l’elevazione e l’esaltazione della santa croce per volontà di Costantino (la solennità del 14 settembre porta la denominazione ‘Văzdviženie’ appunto). D’altronde, alcune righe prima nel testo si racconta di come alcune persone, inviate dallo zar Pietro, abbiano trovato le reliquie del san Giovanni di Rila e le abbiano traslate a Sofia44. Ma al di là di questi ovvi paragoni, nel citare insieme, come in una coppia, Costantino e Pietro riecheggiano le idee espresse nei già citati testi apocrifo-leggendari di ispirazione ‘patriotica’.
Dopo la burrascosa seconda metà del XIII secolo, della quale non ci sono pervenute molte testimonianze scritte, la situazione nel secondo impero bulgaro si stabilizza e durante il lungo regno di Giovanni Alessandro (1331-1371)45 la cultura bulgara raggiunge una fioritura paragonabile soltanto al ‘secolo d’oro’ dello zar Simeone (893-927). Anche l’espressione letteraria e artistica dell’ideologia del potere regio raggiunge in questo periodo il suo culmine ritornando, tra l’altro, all’idea degli zar bulgari come ‘nuovi Costantini’. Di quest’epoca si è conservato un certo numero di codici destinati e/o dedicati allo zar, alcuni dei quali sono veri e propri capolavori dell’arte del libro manoscritto e nello stesso tempo dell’arte di lusingare il sovrano46.
Il primo in ordine cronologico, un Salterio con catene esegetiche copiato nel 133747, contiene un lungo colofone-elogio di Giovanni Alessandro, ottimo esempio di eloquenza epidittica. L’ignoto copista, dopo aver esordito dicendo che questo «modesto lavoro» veniva eseguito per ordine «del nostro altissimo zar Giovanni Alessandro, scelto da Dio e da Dio incoronato», costruisce la prima parte dell’elogio, la narratio, su due paragoni: con Alessandro Magno, per via delle vittorie militari di Giovanni Alessandro (dettagliatamente elencate con qualche inevitabile esagerazione), e con Costantino il Grande. Lo zar bulgaro «si è rivelato un altro Costantino, [zar] tra gli zar, per la fede e la devozione, per il cuore e il temperamento, avendo accolto lo scettro della croce vittoriosa»48. L’elogio contiene anche una breve descrizione fisica di Giovanni Alessandro che è basata sul ritratto di Costantino nella Cronaca di Simeone il Metafraste tradotta dal greco proprio all’epoca49.
Il paragone con Costantino e con il ritrovamento della santa croce è usato in modo un po’ insolito nel colofone del Tetravangelo di Giovanni Alessandro del 1356 noto anche come Vangelo di Londra50:
Avendo cercato questo [libro], il devoto e amante di Cristo, sommo autocrate incoronato da Dio, lo zar Giovanni Alessandro, lo trovò, come un lume posto in un luogo oscuro e poi dimenticato e tenuto nell’incuria dagli antichi zar. Questo zar Giovanni Alessandro, amante di Cristo, lo ritrovò con desiderio divino, lo espose e lo trascrisse dalle parole elleniche nella nostra parlata slava, dopodiché lo mise in evidenza. [Lo zar] rivestì questo [codice] all’esterno con tavole dorate, mentre all’interno i pittori, [usando] tinte luminose e oro, lo ornarono ad arte con vivificanti immagini del Signore e dei suoi gloriosi discepoli: [questo fece] per confermare il suo impero. Come già il grande tra i santi zar Costantino, con la madre Elena, estrasse dal seno della terra la vivificante Croce del Signore, così lui [fece con] questo tetravangelo51.
A motivare questo paragone è forse il fatto che la ricchissima decorazione del codice, comprensiva di trecentosessantasei miniature, ha avuto come modello quella di un codice bizantino di fine XI-inizio XII secolo, ora conservato a Parigi52. Si ignora dove e come Giovanni Alessandro abbia trovato questo codice bizantino (oppure una sua copia a noi oggi sconosciuta), però il Tetravangelo copiato per lui non solo rappresenta uno dei capolavori dell’arte bulgara del XIV secolo, ma è anche un importante documento dell’ideologia del potere nel secondo impero bulgaro, con le sue miniature che ritraggono la famiglia dello zar in piena sintonia con i canoni del ritratto imperiale bizantino.
L’ideologia del potere imperiale applicata agli zar bulgari ha trovato espressione, sia verbale che visiva, anche nella traduzione mediobulgara della Cronaca di Costantino Manasse. Nella copia di questa traduzione contenuta nel manoscritto del pope Filippo del 1344/134553 vi è una glossa proveniente dal testo greco, ma rielaborata per reindirizzare allo zar Giovanni Alessandro le lodi originariamente riferite all’imperatore Manuele I Comneno (1143-1180). Nella glossa greca si parla della disfatta della Roma antica contrapposta alla fioritura della Nuova Roma-Costantinopoli, mentre nella versione bulgara si legge: «invece la nostra nuova Città-degli-zar fiorisce, cresce, si rafforza e ringiovanisce»54; ricordando che in slavo il nome di Costantinopoli è Carigrad (Città degli zar) è chiaro che nel passo si parla di Tărnovo come della Nuova Costantinopoli, ergo Terza Roma: un’idea che nel Trecento bulgaro rimarrà in forma embrionale, ma verrà ripresa e coltivata con successo due secoli più tardi a Mosca, ai tempi di Ivan il Terribile. Nello stesso manoscritto del pope Filippo vi è un dettagliato racconto del primo concilio ecumenico dove ampio spazio è dedicato al ruolo di Costantino. Nell’altra copia della traduzione della Cronaca di Manasse eseguita ai tempi di Giovanni Alessandro e destinata alla biblioteca reale, ricca di sessantanove miniature (è l’unica miniata delle oltre cento copie che del testo conta l’intera tradizione bizantina e slava del testo)55, è presente una miniatura (al f. 86v) che ritrae Costantino a capo dei trecentodiciotto padri conciliari di Nicea. Va ricordato che anche Giovanni Alessandro aveva convocato e presieduto alcuni concili contro gli eretici e contro gli ebrei (aveva peraltro sposato, in seconde nozze, un’ebrea convertita), perciò il paragone con Costantino, pur non espresso esplicitamente come negli elogi del 1337 e del 1356, è implicitamente presente anche in questo codice.
Ai tempi di Giovanni Alessandro gli elogi dello zar avevano elevato la sua immagine – e con quella anche l’idea del potere regale – fino ai cieli: nella miniatura con cui gli viene dedicata la copia illustrata della Cronaca di Manasse (Vat. Slav.2, f. 1v) egli è effigiato al centro, affiancato da Gesù Cristo e dal cronista Manasse, mentre nella raffigurazione dell’Ultimo Giudizio nel Vangelo di Londra (f. 124r) Giovanni Alessandro, ancora vivo e regnante, è ritratto in Paradiso. Poco dopo la sua morte (1371), però, diviene patriarca di Tărnovo l’esicasta Eutimio (1375 circa-1394, morto nel XV secolo in esilio), fervente seguace dell’idea che il potere spirituale sia superiore a quello secolare. Per volere dello zar Giovanni Šišman (1371-1393), figlio di secondo letto di Giovanni Alessandro e ultimo zar di Tărnovo, Eutimio scrive, dedicandola al sovrano, la più lunga opera medievale bulgara su Costantino e sua madre Elena: Encomio dei santi grandi e pari agli apostoli zar Costantino ed Elena56.
Già nell’esordio Eutimio, parafrasando il discorso di Eusebio di Cesarea in occasione del trentennio del regno di Costantino, ricorda che il vero grande zar è quello «che è Zar e Signore e Dio sopra tutto e prima di tutto» e che «di Lui ha predicato anche il beato Costantino, in lui ha creduto con tutta la sua anima e [per questo] è stato interamente illuminato dalla Sua luce»57. Un simile appello a non elevare l’autorità dello zar terreno sopra tutto e tutti s’intravede anche nel dettagliato racconto del concilio di Nicea secondo il quale Costantino, arrivato davanti agli archierei radunati, «si dimostrò più piccolo di tutti, si prosternò [davanti a loro] e pregò di poter dilettarsi delle loro preghiere; quando ebbe questa [soddisfazione], si alzò e non si sedette sul semplice sedile preparatogli finché non si fu seduta la onorevole schiera degli archierei»58. In un’altra sua opera, la Vita del santo Giovanni di Rila, il patriarca Eutimio esprime in modo ancora più esplicito le proprie idee sul rapporto tra potere regale e potere ecclesiastico. In essa il protagonista si rivolge allo zar Pietro (ma è evidente il richiamo dell’autore a Giovanni Šišman) con le parole seguenti: «Prosternati ai piedi di tua madre, la Chiesa, inchinati con zelo e piega il capo davanti ai suoi prototroni»59.
La dimensione conciliare nel governo della Chiesa che deve essere programmatica anche per il potere secolare è un altro punto saldo nell’ideologia esicasta (o per meglio dire palamitiana) rigorosamente professata da Eutimio. Nel suo Encomio quasi un quinto del testo è occupato dal racconto del concilio di Nicea e delle sue conseguenze, tra le quali è inserita anche la consacrazione della città di Costantinopoli da parte dei padri conciliari, appositamente invitati per ciò da Costantino dopo la chiusura del concilio. Questi arrivano a Costantinopoli l’11 maggio e tutti insieme fanno ufficiare la Divina liturgia. Naturalmente, non solo l’atto della fondazione di Costantinopoli, ma tutta la biografia di Costantino, a partire dall’infanzia, è presentata in chiave fortemente agiografica: ancora bambino, la madre Elena lo manda a imparare le Sacre Scritture; prima della battaglia di ponte Milvio il cristianissimo Costantino si rivolge al Dio di suo padre (ergo, anche Costanzo Cloro sarebbe da considerare cristiano); appena conquistato il potere a Roma fa cessare le persecuzioni contro i cristiani e raccoglie le reliquie dei martiri; si fa battezzare ufficialmente da papa Silvestro; emana una serie di decreti a favore del cristianesimo e delle chiese e di conseguenza anche i popoli vicini si convertono al cristianesimo. Solo dopo viene il racconto del concilio di Nicea e degli episodi successivi, tra i quali lo spazio più ampio è dedicato al ritrovamento della santa croce: è la parte dove protagonista è la madre Elena, fatto che giustifica la dedica dell’opera (e della festa del 21 maggio) anche a lei. Verso la fine del racconto biografico viene introdotto l’episodio in cui Costantino desidererebbe avere il dono del sacerdozio ed entrare a far parte dell’episcopato per potersi avvicinare a Dio, poiché «non c’è un’altra schiera, a esclusione di quella degli angeli, che si avvicini a Dio come quella dei gerarchi ecclesiastici (svjatiteli)». I vescovi da lui invitati a pranzo delicatamente gli spiegano che Dio gli ha già affidato la cura di tutti i sudditi (vescovi compresi, dunque: qui Eutimio dà a Cesare quello che è di Cesare) e che se rispetta le leggi del Verbo avrà gli onori e la corona riservati lassù ai gerarchi della Chiesa.
Per la narrazione biografica che occupa quasi nove decimi del testo Eutimio usa come fonte principale la Vita greca di Costantino (BHG 346) inclusa nella nota raccolta menologica di Simeone il Metafraste60, con l’aggiunta di qualche altra fonte non sempre identificabile con certezza61. Nella parte finale, dopo un elogio di Costantino altamente retorico ma relativamente breve, il patriarca Eutimio si rivolge direttamente allo zar Giovanni Šišman che avrebbe sollecitato la stesura dell’opera, dichiarando di aver seguito «i veri testimoni e non le favole ingannevoli» e consigliandogli di seguire l’esempio del piissimo Costantino. Più che il vero testimone e biografo di Costantino, cioè Eusebio di Cesarea, Eutimio in realtà presenta la vita e l’immagine del protagonista così come li aveva canonizzati la tradizione bizantina tra il IX e il X secolo, creando in questo modo un classico della letteratura slavo-ecclesiastica.
Tra gli anni 1393 e 1396 i due regni nei quali la Bulgaria era divisa già dagli anni Sessanta cadono nelle mani dei turchi ottomani, il patriarca Eutimio viene esiliato e la Chiesa bulgara perde per quasi cinque secoli la sua autonomia. In questi secoli le immagini di Costantino e di sua madre Elena continuano a vivere tra i bulgari grazie alle ricorrenze liturgiche, in primis quelle del 21 maggio e del 14 settembre, all’iconografia, alle chiese loro dedicate e, in una regione culturalmente isolata ma geograficamente molto vicina a Costantinopoli, grazie a un misterioso rito popolare fortemente legato alla festa del 21 maggio ma con radici molto più antiche del cristianesimo stesso.
Le figure di Costantino ed Elena sono centrali nella tradizione cultuale dei nestinari (conosciuti in Grecia con il nome di anastenaria), una comunità bilingue che storicamente viveva in una ventina di villaggi sperduti sui monti Strangia, nella Tracia orientale. Dopo la Prima guerra mondiale questo territorio si ritrovò diviso tra Bulgaria e Turchia e la popolazione prevalentemente grecofona si trasferì in Grecia, dove la tradizione sopravvive, con alcune inevitabili variazioni, in cinque paesi sparsi tra Salonicco, Serres e Drama: Langadas, Meliki, Ajia Eleni (Sant’Elena), Kerkini e Mavrolefki62. In Bulgaria la danza sulle braci ardenti, il rito più caratteristico della tradizione, viene ora praticata solo nel villaggio di Bulgari (già Urgari), ma alle feste dei nestinari partecipano anche gli abitanti di altri quattro villaggi vicini: Kosti (che la memoria collettiva ricorda come l’epicentro, assieme a Bulgari, della tradizione), Gramatikovo, Kondolovo e Slivarovo.
La tradizione dei nestinasri/anasternaria, così come si è tramandata nei secoli e come era conservata prima delle trasmigrazioni seguite alla Prima guerra mondiale, viene descritta in alcuni studi etnografici tra la metà del XIX e gli anni Venti del XX secolo63; alcune importanti testimonianze dovute agli ultimi rappresentanti della tradizione ancora omogenea sono state raccolte negli anni Quaranta-Cinquanta del XX secolo64. Su queste basi, però, è difficile chiarire bene l’antichità e la provenienza della tradizione e questo ha dato luogo a diverse ipotesi65. A prescindere da alcune interpretazioni in chiave patriotica, formulate già nel XIX secolo66, sembra abbastanza plausibile l’ipotesi che vede nel nestinarstvo una continuazione delle tradizioni dionisiache delle popolazioni arcaiche della Tracia e dei loro riti, probabilmente arricchite da influenze del Vicino Oriente antico e poi adattate al cristianesimo67. Quello che è certo è che la denominazione ‘a[na]stenaria’, riferita a una pratica cultuale di ‘posseduti’, s’incontra per la prima volta in una glossa alla Cronaca di Niceta Coniate scritta tra il 1180 e il 1206. Il contesto è quello della rivolta antibizantina dei fratelli Asen e Petăr (1185/1187) che portò alla nascita del secondo impero bulgaro. Stando al racconto di Niceta, i posseduti (che, secondo il glossatore, «alcuni chiamano asthenaria»68), invitati da Asen e Petăr all’inaugurazione della nuova chiesa dedicata a san Demetrio di Salonicco, sarebbero entrati in contatto con il santo che avrebbe comunicato tramite loro che Dio era favorevole all’azione dei bulgari69.
Qualsiasi fossero le sue radici e l’epoca in cui assunse la forma nella quale è arrivato al XX secolo, il nestinarstvo, così come oggi è conosciuto, fa parte della tradizione cristiana come un suo filone particolare, ma non è da ritenersi ‘eresia’ poiché non è una dottrina, bensì una specifica prassi cultuale al pari di tante altre espressioni popolari del cristianesimo. I nestinari «sono profondamente credenti, loro non solo pensano sé come cristiani, ma sottolineano di essere ‘più ortodossi’ sia dei sacerdoti sia degli altri cristiani che non sono loro seguaci»; si considerano ‘giusti’ e credono «che il loro contatto con Dio sia il più veritiero possibile»70. La loro fede e il loro ciclo cultuale hanno come principale punto di riferimento il Figlio il quale, però, più che da Gesù è incarnato dal Santo, cioè da san Costantino. Strettamente legata alla figura di Costantino è quella di Elena, che appare in due ipostasi: di moglie o sorella e di madre del Santo. Sia nel villaggio di Kosti, prevalentemente grecofono, sia a Bălgari (bulgarofono), venivano conservate e utilizzate nei riti tre identiche icone raffiguranti Costantino (a sinistra di chi osserva) ed Elena intorno alla santa croce; però le tre icone, di eguali dimensioni, portavano tre nomi diversi: «San Costantino», «Santa Elena» e «La madre di s. Costantino»71. Queste icone sono portate durante le varie cerimonie cultuali e usate durante la danza sulle braci, per questo motivo hanno delle maniglie di legno per via delle quali sono chiamate ‘icone con la coda’ ma anche ‘icone che danzano’. I campanelli che vengono appesi sulle icone a speciali catenine d’argento (assieme ad altri oggetti votivi) portavano il nome di ‘campanelli di san Costantino’.
La danza estatica a piedi nudi sulle braci appositamente preparate (bruciando per tradizione dodici carri di legna, oggi di meno), alla quale partecipano solo i nestinari (nei tempi moderni di solito donne) ‘presi’ dallo spirito del Santo, rappresenta il momento culminante della sequenza rituale alla quale prende parte tutta la popolazione. I festeggiamenti seguono un calendario ‘liturgico’ abbastanza articolato e, in alcuni punti, diverso da quello delle chiese ortodosse. I nestinari non festeggiano (o almeno non festeggiavano), per esempio, la natività del Signore. Il loro ciclo festivo ha inizio con il giorno di S. Basilio Magno (1° gennaio secondo il nuovo stile (n.s.) ovvero secondo il calendario gregoriano, 14 gennaio secondo il vecchio stile (v.s.), cioè secondo il calendario giuliano72) e con la festa di S. Giovanni Battista del 7 gennaio. Durano tre giorni le feste comprese tra il 18 e il 20 gennaio (31.01-2.02 v.s.), giorni dedicati a S. Atanasio d’Alessandria e S. Eutimio il Grande: è il culmine del ciclo invernale. Le danze (di regola non sulle braci) vengono eseguite in uno spazio chiuso, all’interno del cosiddetto konak dove si conservano le icone e il grande tamburo rituale.
Il ciclo estivo inizia con il mese di maggio considerato e denominato ‘mese di Costantino’. I preparativi per la grande festa cominciano già dal 1° maggio. Poi, dieci giorni o una settimana prima del 21 maggio (3 giugno v.s.), viene ripulita e preparata per la festa l’ajazma, la fonte considerata sacra dove si svolge considerevole parte del rito. I riti nei giorni 21-23 maggio (3-5 giugno v.s.) comprendono una processione all’ajazma e il lavaggio rituale con l’acqua dell’ajazma stessa (vengono lavate anche le maniglie delle icone); la preparazione del kurban, il sacrificio di un animale precedentemente scelto, con il quale viene preparato il cibo rituale che viene quindi mangiato da tutti; la disposizione delle braci intorno alle quali danzano tutti, mentre solo i nestinari ‘chiamati dal Santo’, cioè da san Costantino, vi salgono. Sulle braci solitamente si danza con una delle tre icone, tenuta in alto – da qui la denominazione di ‘icone danzanti’. Vengono eseguite melodie speciali per le quali vengono impegnati solo il tamburo e una cornamusa (gajda). I danzatori, in contatto mistico con il Santo, pronunciano vaticini concernenti eventi d’interesse comune o di singole persone del villaggio. Secondo i nestinari, che durante la danza sulle braci sono in stato di estasi e non sono in contatto con il mondo che li circonda, «avere strada libera per entrare nel fuoco dipende dal Santo, da san Costantino. Lui appare al prescelto per dirgli che lo deve servire e che deve danzare nel fuoco per ricevere il vaticinio»73.
Il calendario festivo dei nestinari comprende inoltre la Pentecoste e il lunedì dello Spirito Santo, la natività di S. Giovanni Battista (24 giugno/7 luglio), le feste di S. Marina (17/30 luglio), del santo profeta Elia (20 luglio/2 agosto), di S. Panteleimone (27 luglio/9 agosto), della dormizione/assunzione della Madre di Dio (15/28 agosto). Paradossalmente non viene festeggiata in modo particolare l’Esaltazione della santa croce (14/27 settembre), almeno non tra i nestinari bulgari in tempi recenti. Un ultimo raduno si svolge nel giorno di S. Demetrio (26 ottobre/8 novembre) quando si decide quale sarà l’animale sacrificale per il successivo 21 maggio, e con questo il ciclo si conclude – quest’abitudine oggi esiste solo tra gli anestenaria in Grecia. Secondo alcune testimonianze, le danze sulle braci a volte vengono eseguite anche durante alcune altre delle feste estive elencate (che però durano solo un giorno), per esempio nel giorno di santa Marina74, ma in via di principio sono riservate e rappresentano la caratteristica più distintiva della festa dei Ss. Costantino ed Elena. Testimonia Zlata, la principale nestinaria nel villaggio Bălgari negli anni Quaranta del XX secolo:
Anche altri santi mi danno la forza, s. Elia, s. Giovanni, s. Eutimio, la Santa Trinità, ogni santo mi dà la forza. […] Solo che allora danziamo con le loro icone e andiamo alle loro ajazme, a seconda della festa. Ma sul fuoco danziamo solo nella festa dei santi Costantino ed Elena, anche per [conto delle] altre feste. Così è la legge che lui ci ha dato: solo in quel giorno si cammina sul fuoco75.
Sul perché la tradizione dei nestinari/anastenaria ponga al centro della vita cultuale la figura di Costantino, accompagnata da quella di Elena, esistono diverse leggende (e solo leggende).
1. Il buon Dio decise di trovare qualcuno che lo aiutasse a mantenere l’ordine nel mondo. Per sceglierlo, convocò tutti i giovani, accese una pira e attese che si riducesse in brace: chi, scalzo, l’avesse attraversata, avrebbe dimostrato la propria fedeltà. Nessuno dei giovani azzardò tentare la prova, tranne uno, che non solo ne uscì illeso, ma sulle braci incandescenti fu capace anche di danzare. Era il giovane Costantino, che così divenne l’aiutante del buon Dio. L’anno dopo, Costantino manifestò il desiderio di sposarsi. Il buon Dio, allora, accese nuovamente la pira, per mettere alla prova le ragazze. Ne uscì vincitrice Elena, danzando a sua volta sulle braci. Allora il buon Dio benedisse quel giorno e lo consacrò a Costantino ed Elena. Il loro esempio fu seguito negli anni a venire76.
Questa leggenda è nota già ai primi studiosi che si sono interessati del fenomeno ed è diffusa tra tutti i nestinari sia in Bulgaria sia in Grecia. Pare che solo in Bulgaria, in tempi più recenti, se ne sia diffusa un’altra:
2. S. Costantino era zar dei Greci ed Elena sua moglie. Attaccati da nemici [secondo alcune versioni, dai turchi, secondo altre, perseguitati da Pilato] che circondarono la loro città/villaggio con il fuoco, i due riuscirono ad attraversarlo.
2.a Dopo, secondo una delle versioni, sconfissero i nemici «e da allora accendiamo loro il fuoco e li veneriamo77.
2.b Secondo un’altra versione, i due, attraversato il fuoco, si nascosero nei pressi del villaggio di Urgari (l’attuale Bălgari), dove oggi si trova l’ajazma del Santo. Però gli uomini di Pilato li trovarono anche lì e Costantino ed Elena dovettero scappare nuovamente, nascondendosi laddove ora c’è la Grande ajazma [vicino a Kosti]. «Li furono trovati da gente nostra, non so se vivi o morti, è stato tanto tempo fa». Dopo, poiché erano già morti, li proclamarono santi e dipinsero icone che li raffiguravano. Quelli di Kosti andavano lì, poiché sono greci e Costantino era loro zar78.
3. Si danza sul fuoco nel giorno di S. Costantino perché una volta egli era zar ed era in guerra. Sul suo omero cadde una stella. Gli spiegarono che ciò significava che doveva far passare il suo esercito attraverso il fuoco vivo. Così egli fece e vinse79.
L’ultima leggenda in qualche senso si ricollega all’episodio della visione della croce prima della battaglia presso ponte Milvio e la successiva vittoria di Costantino e in generale è la più moderata, la meno legata alle radici antiche del nestinarstvo. La seconda, invece, nella versione 2.b rimanda a un fatto testimoniato da chiunque abbia studiato la tradizione dei nestinari: nell’immaginario popolare questa tradizione origina dal villaggio grecofono di Kosti dove il Santo veniva chiamato ‘il vecchio s. Costantino’ mentre quello di Bălgari è ‘il giovane/il piccolo Costantino’80. Ma i due santi sono fratelli, come sono sorelle le icone dei due villaggi dipinte, secondo la leggenda, su tavolette ottenute dallo stesso albero. Naturalmente, anche le chiese di entrambi i villaggi sono dedicate ai Ss. Costantino ed Elena. Fino all’inizio degli anni Venti del XX secolo, cioè prima della trasmigrazione, la tradizione voleva che il 21 maggio i nestinari di Bălgari andassero al crocevia per incontrare i fratelli, gli anastenaria di Kosti, e raggiungessero insieme la Grande ajazma. Poi festeggiavano tutti insieme, in uno dei due villaggi secondo gli accordi presi. Questo fatto non può non far pensare alla già citata Cronaca apocrifa bulgara, secondo la quale «si volevano bene lo zar Pietro e lo zar Costantino»: lo stesso spirito di fratellanza tra bulgari e greci, lo stesso senso di appartenenza alla medesima tradizione si avverte anche nelle leggende con le quali i nestinari cercano di spiegare la propria fede e la centralità in essa dell’immagine di Costantino. È forse questo il messaggio più forte legato alla figura di Costantino il Grande che la tradizione bulgara ha tramandato attraverso i secoli.
1 La presenza dell’immagine di Costantino il Grande nella tradizione medievale bulgara finora è stata trattata con una certa ampiezza solo in un saggio in lingua russa: F.K. Badalanova-Pokrovskaja, M.B. Pljuchanova, Srednevekovaja simvolika vlasti: krest konstantinov v bolgarskoj tradicii (La simbologia del potere nel Medioevo: la croce di Costantino nella tradizione bulgara), in Učënye zapiski Tartuskogo universiteta, fasc. 781, Tartu 1987, pp. 132-148. Sul primo impero bulgaro e la sua cristianizzazione: S. Runciman, A history of the First Bulgarian Empire, London 1930 (trad. in bulgaro: 1993; in russo: 2009); sulla Bulgaria medievale in generale: V. Ghiuzelev, La Bulgaria durante il Medioevo, in A. Fol, Storia della Bulgaria, ed. italiana e note a cura di F. Guida, Roma 1982, pp. 25-155.
2 Cfr. V. Tapkova-Zaimova, A. Miltenova, Historical and Apocalyptic Literature in Byzantium and Medieval Bulgaria, Sofia 2011.
3 Sulla storia del secondo impero bulgaro nel contesto balcanico si veda J.V.A. Fine, The Late Medieval Balkans. A Critical Survey from the Late Twelfth Century to the Ottoman Conquest, Ann Arbor 1987.
4 Epistola ad Michaelem Bulgariae principem, de officio principis, ed. J.P. Migne, PG 102, cc. 627-696 (epistola VIII, con traduzione latina; in questa edizione l’epistola è suddivisa in 118 paragrafi); Photii patriarchae constantinopolitani epistulae et amphilochia, I, Epistularum pars prima, rec. B. Laourdas, L.G. Westerink, Leipzig 1983, pp. 1-39 (epistola 1, edizione critica del testo greco non suddivisa in paragrafi ma con numerazione delle righe). Cfr. I. Dujčev, Au lendemain de la conversion du peuple bulgare. L’épître de Photius, in Mélanges de science religieuse, 8 (1951), pp. 211-226 (ora in I. Dujčev, Medioevo bizantino-slavo, I, Saggi di storia politica e culturale, Roma 1965, pp. 107-123); V. Gjuzelev, Photius Constantinopole Model of a Ruler Newly Converted to Christianity, in Bulgarian Historical Review, 15,3 (1987), pp. 34-42; P. Odorico, La lettre de Photius a Boris de Bulgarie, in Byzantinoslavica, 54 (1993), pp. 83-88.
5 J.P. Migne, PG 102, cc. 659-660 (§ 24); Photii patriarchae constantinopolitani epistulae, I, cit., p. 19, ll. 562-563.
6 Cfr. L. Simeonova, Diplomacy of the Letter and the Cross. Photios, Bulgaria end the Papacy, 860s-880s, Amsterdam 1998, pp. 87-156.
7 Responsa Nicolai I papae ad consulta Bulgarorum, ed. J.P. Migne, PL 119, cc. 978-1052 e MGH.Ep, VI, Karolini aevi IV, Berolini 1925, pp. 568-600 (epistola 99). Cfr. I. Dujčev, Die Responsa Nicolai I Papae ad Consulta Bulgarorum als Quelle für die bulgarische Geschichte in Festschrift des Haus-, Hof- und Staatsarchivs, I, Wien 1949, pp. 349-362 (ora in I. Dujčev, Medioevo bizantino-slavo, I, cit., pp. 125-148); Id., I Responsa di papa Nicolò I ai bulgari neoconvertiti, in Aevum, 42 (1968), pp. 403-428 (ora in I. Dujčev, Medioevo bizantino-slavo, III, Roma 1971, pp.143-173).
8 Cfr. D. Češmedžiev, Imperator Konstantin I Veliki i knjaz Boris I Michail: pobedata nad ezičnicite (The Emperor Constantine I the Great and Prince Boris I Michail: Victory Over the Pagans), in Niš i Vizantija / Niš and Byzantium, šesti naučni skup (Niš 3-5 jun 2007), zbornik radova VI, Niš 2008, pp. 357-368.
9 Maximes pour la conduite du Prince Michel, Roy de Bulgarie, traduites du Grec en vers François [sic!], et presentées au Roy par le Pere D. Bernard Theatin, Paris, Imprimerie Royale, 1718.
10 Sulla terminologia italiana concernente i libri liturgici slavo-ortodossi si veda il Glossario nel volume di A. Naumow, Idea-immagine-testo. Studi di letteratura slavo-ecclesiastica, a cura di K. Stantchev, Alessandria 2004, pp. 179-185.
11 Cfr. K. Ivanova, Bibliotheca Hagiografica Balcano-Slavica (di seguito BHBS), Sofija 2008, p. 418 (2 gennaio, n. 1).
12 Ivi, pp. 203-213 (14 settembre).
13 Ivi, p. 206 (14 settembre, n. 6).
14 K. Ochridski, Săbrani săčinenija, (Clemente di Ocrida, Opera omnia), II, Sofija 1977, p. 29 (il sermone intero in paleoslavo è alle pp. 29-32).
15 K. Ivanova, BHSB, pp. 204-205 (14 settembre, n. 3).
16 Ivi, p. 204-205, per la datazione del manoscritto p. 141.
17 Ivi, p. 211-212 (14 settembre, n. 11).
18 Cfr. K. Ochridski, Săbrani săčinenija, cit., p. 12 (ms. n. 9).
19 L. Ščëgoleva, Putjatina mineja (XI vek), 1-10 maja (Mineo di Putjata, XI sec., 1-10 maggio), Moskva 2001, p. 125.
20 Simeonov sbornik (po Svetoslavovija prepis ot 1073 g.) (Raccolta di Simeone secondo la copia di Svetoslav dell’anno 1073), I, Sofija 1991, p. 241 (l’intero racconto è alle pp. 241-248).
21 K. Ochridski, Săbrani săčinenija, (Clemente di Ocrida, Opera omnia), III, Sofija 1973, p. 186; trad. it Cirillo e Metodio. Le biografie paleoslave, a cura di V. Peri, Milano 1981, p. 102.
22 Trad. lat. J.M. Gagov, Ofm. Conv., Theologia antibogomilistica Cosmae presbyteri bulgari (Saec. X), Roma 1942, p. 50; testo paleoslavo: M.G. Popruženko, Kozma Prezviter, bolgarskij pisatel’ X veka (Presbitero Cosma, scrittore bulgaro del secolo X), Sofija 1936, p. 2.
23 Dettagliata analisi con identificazione delle fonti delle diverse parti in A.-M. Totomanova, Slavjanskata versija na chronikata na Georgi Sinkel (La versione slava della cronaca di Giorgio Sincello), Sofija 2008.
24 Ivi, pp. 188-198.
25 Ivi, p. 192.
26 Cfr. I. Biljarski, Pokroviteli na Carstvoto. Sv. car Petăr i sv. Paraskeva-Petka (Protettori dell’Impero. Il santo zar Pietro e la santa Parasceve-Petka), Sofija 2004, pp. 17-42.
27 S. Kožucharov, Problemi na starobălgarskata poezija (Questioni di poesia bulgara antica), I, Sofija 2004, pp. 77-79.
28 V. Tapkova-Zaimova, A. Miltenova, Historical and Apocalyptic Literature, cit., pp. 469-506 (con una traduzione inglese dell’opera).
29 Ivi, pp. 353-364 (con una traduzione inglese dell’opera).
30 Ivi, pp. 274-300 (con una traduzione inglese dell’opera).
31 I. Biljarski, Skazanie na Isaija proroka i formiraneto na politiheskata ideologija na rannosrednovekovna Bălgarija (Il ‘Detto del profeta Isaia’ e la formazione dell’ideologia politica nella Bulgaria altomedievale), Sofija 2011. Il volume, oltre a una dettagliata analisi del testo, comprende una nuova edizione estremamente accurata.
32 Edizione critica con traduzione inglese: Borilov sinodik. Izdanie i prevod (Il Synodikon di Borli. Edizione e traduzione), pod red. I. Božilov, A. Totomanova, I. Biljarski, Sofija 2010.
33 Ivi, pp. 146-149, trad. ing. p. 351.
34 Ivi, p. 149.
35 Ivi, pp. 149-151, trad. ing. p. 352.
36 Ivi, pp. 151-156, trad. ing. pp. 352-353. Seguono i nomi di successivi zar bulgari, aggiunti nel XIV secolo, quando il Synodikon fu aggiornato.
37 Cfr. L.R. Cresci, L. Skomorochova Venturini, I versetti del Prolog Stišnoj. Traduzione slava dei distici e mnostici di Cristoforo di Mitilene (Mesi: settembre, ottobre, novembre 1-25, dicembre, gennaio 1-11, aprile), I, Torino 1999; L.R. Cresci, A. Delponte, L. Skomorochova Venturini, I versetti del Prolog Stišnoj. Traduzione slava dei distici e dei mnostici di Cristoforo di Mitilene (Mesi: gennaio, febbraio, marzo, maggio, giugno, luglio, agosto), II, Torino 2002.
38 Stanislavov (Lesnovski) prolog ot 1330 godina (Prolog di Stanislav o di Lesnovo dell’anno 1330), a cura di R. Pavlova, V. Željazkova, Sofia 1999, p. 32 (14.IX), p. 246 (21 maggio).
39 Ivi, p. 32.
40 Ivi, p. 246.
41 Ivi, pp. 230-231.
42 Ivi, p. 235.
43 J. Ivanov, Bălgarski starini iz Makedonija (Antichità bulgare in Macedonia), Sofija 1931 (rist. 1970), p. 365.
44 Ibidem.
45 A. Alberti, Ivan Aleksandăr (1331-1371). Splendore e tramonto del secondo Impero bulgaro, Firenze 2010.
46 M. Cibranska-Kostova, Slovesni formuli za carskata vlast prez Srednovekovieto: car Joan Aleksandăr (1331-1371) (Formule verbali concernenti il potere degli zar nel Medioevo: lo zar Joann Aleksandăr), in: Cyryl i Metody w duchowym dziedzictwie Słowian (Cirillo e Metodio nell’eredità spirituale degli slavi), Biała Podlazka (Polonia) 2009, pp. 76- 90.
47 Sofia, Biblioteca dell’Accademia Bulgara delle Scienze, Slav. 2.
48 A. Alberti, Ivan Aleksandăr (1331-1371), cit., p. 59 (testo dell’intero colofone in traduzione italiana: pp. 58-59; in slavo antico: pp. 187-189); nella traduzione di Alberto Alberti si sostituisce qui ‘imperatore’ con ‘zar’.
49 Simeona Metaferasta i Logofeta Opisanie mira ot bytija i letovnik sobran ot različnych letopisec, Slavjanskij perevod chroniki Simeona Logofeta s dopolnenijami (La traduzione slava della Cronaca di Simeone il Metafraste con integrazioni), pod red. V.I. Sreznevskij, S. Peterburg 1905 (rist.: München 1971, Slavische Propyläen, Band 99).
50 Londra, British Museum, Ad. Ms. 39627 (dal 1973 nella British Library). Edizione in L. Zhiwkowa, Das Tetraevangelion des Zaren von Bulgarien Ivan Alexander, Sofija 1982 (l’edizione in lingua bulgara è del 1980).
51 Traduzione ripresa con alcune variazioni da A. Alberti, Ivan Aleksandăr (1331-1371), cit., p. 108 (testo dell’intero colofone in traduzione italiana: pp. 107-108, in slavo antico: pp. 208-209).
52 Paris, Biblioteque nationale de France, Gr. 74. Cfr. S. Der Nersessian, Recherches sur le miniatures du Parisianus graecus 74, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik, 21 (1972), pp. 109-117.
53 Mosca, GIM, Sinod. 38; edizione del testo della traduzione mediobulgara secondo questo manoscritto: Srednebolgarskij perevod Chroniki Konstantina Manassii v slavjanskich literaturach (La traduzione mediobulgara della Cronaca di Costantino Manasse nelle letterature slave), pod red. D.S. Lichačev, I.S. Dujčev, M.A. Salmina, Sofija 1998.
54 Srednebolgarskij perevod Chroniki Konstantina Manassii, cit., p. 152.
55 Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Slav 2, degli anni Quaranta del XIV secolo (tra 1344/1345 e 1349). L’edizione in A. Džurova, V. Velinova, Constantine Manasses. Synopsis Chroniki, I, Facsimile edition; II, Studies, Athens 2007. Sulla tradizione dei manoscritti greci della Cronaca si veda O. Lampsidis, Constantini Manassis Breviarum Chronicum. Recensuit Odysseus Lampsidis. Pars prior: Praefationem et textum continens. Pars altera: indices continens, Athens 1999 (CFHB 36/1-2), pp. I-CXVII.
56 K. Ivanova, BHBS, pp. 534-535 (21 maggio). Edizione in E. Kałužniacki, Werke des Patriarchen von Bulgarien Euthymius, 1375-1393, Wien 1901 (rist. London 1971), pp. 103-146.
57 E. Kałužniacki, Werke, cit., p. 103.
58 Ivi, p. 121-122.
59 Ivi, p. 20.
60 M. Guidi, Un ΒΙΟΣ di Costantino, in Atti della Accademia Nazionale dei Lincei, 16 (1907), Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Rendiconti, s. V, pp. 637-662; trad. ing. in S. Lieu, D. Montserrat, From Constantine to Julian, Pagan and Byzantine Views, London-New York 1996, pp. 97-146.
61 Sulle fonti dell’opera di Eutimio si veda K. Ivanova, Vizantijskite iztočnici na Pochvalata za Konstantin i Elena ot Evtimij Tărnovski (Le fonti bizantine dell’encomio di Costantino ed Elena di Eutimio di Tărnovo), in Starobălgarska literatura, 10 (1981), pp. 3-15.
62 Lo status attuale della tradizione presso gli anastenaria trasmigrati in Grecia è stato studiato sul territorio da L.M. Danforth, Firewalking and Religious Healing: The Anastenaria of Greece and the American Firewalking Movement, Princeton (NJ) 1989 e J. Sarno, Le icone che danzano: transe, musica e firewalking negli Anastenaria greci all’epoca del postmoderno, Lucca 2008; vi dedicano molta attenzione anche due studiose bulgare: V. Fol, R. Nejkova, Ogăn i muzika (Fuoco e musica), Sofija 2000.
63 Si veda in primis lo studio di M. Arnaudov, Nestinari v Trakija (Nestinari in Tracia), in Id., Studii vărchu bălgarskite obredi i legendi (Studi sui riti e sulle leggende bulgare), I, Sofija 19712 (ed. or. Sofija 1922), pp. 15-161.
64 C.A. Romaios, Cultes populaires de la Trace. Les Anasténaria. La Cérémonie du Lundi Pur, Athênes 1949; R. Angelova, Igra po ogăn. Nestinarstvo (Danza sul fuoco. Nestinarstvo), Sofija 1955.
65 Per l’analisi delle diverse ipotesi si veda M. Arnaudov, Studii, cit., pp. 69-117.
66 Si veda sull’argomento, con ricca bibliografia, D. Xygalatas, Ethnography, Historiography, and the Making of History in the Tradition of the Anastenaria, in History and Anthropology, 22,1 (2011), pp. 57-74.
67 Cfr. V. Fol, R. Nejkova, Ogăn i muzika, cit., pp. 30-38.
68 Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio, II (libri 9-14), a cura di A. Meschini Pontani, testo critico di J.-L. van Dieten, Milano 1999, p. 709. Il primo ad affermare che gli asthenaria di questa glossa siano «ancêtres incontestables des actuels Anasténarides» è stato C.A. Romaios, Cultes populaires de la Trace, cit., p. 139.
69 Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio, II, cit., pp. 348-351.
70 V. Fol, R. Nejkova, Ogăn i muzika, cit., p. 56.
71 Descrizione e foto: Ivi, allegato n. 2.7, cfr. anche il capitolo Živi ikoni (Icone viventi), pp. 86-110.
72 In Bulgaria il calendario gregoriano è stato introdotto nella primavera del 1916, ma la Chiesa ortodossa bulgara lo ha adottato solo nel dicembre del 1968, perciò per il periodo tra il 31 marzo 1916 e il 20 dicembre 1968 tra il calendario civile e quello ecclesiastico vi è una differenza di tredici giorni che si riflette sulle date delle feste citate negli studi di questo periodo.
73 Traduzione secondo V. Fol, R. Nejkova, Ogăn i muzika, cit., p. 119.
74 Ivi, p. 30.
75 Ivi, p. 56.
76 Vedi J. Sarno, Le icone che danzano, cit., pp. 178-179. Cfr. R. Angelova, Igra po ogăn, cit., pp. 55-56.
77 R. Angelova, Igra po ogăn, cit., p. 56.
78 V. Fol, R. Nejkova, Ogăn i muzika, cit., p. 273.
79 Ivi, p. 281.
80 Ivi, p. 16.