Tradizione, culto e teologie serbe
Il culto di Costantino il Grande si sviluppa durante il suo regno nell’area che più tardi sarebbe diventata l’Impero bizantino. La sepoltura dell’imperatore, avvenuta nel 337 nella chiesa dei Santi Apostoli, ne conferma la dimensione sacra. La Chiesa ortodossa lo indica come «ravnoapostolni» (pari agli apostoli), per i suoi meriti verso i cristiani e la loro Chiesa. È comprensibile che l’Impero bizantino fosse il pilastro del culto sacro di Costantino, culto che fu trasmesso nel tempo anche agli altri popoli che abbracciarono il cristianesimo: bulgari, serbi, russi, etc. Esso si diffonde più velocemente tra i popoli e nelle aree dove maggiore è la presenza di Costantino. In Inghilterra, per esempio, nell’area di York, in Germania nell’area di Arl e naturalmente in Serbia, nella sua città natale Niš e nelle aree circostanti. In seguito si parlerà della diffusione del culto sacro, ma anche profano, di Costantino in Serbia e nelle aree della Dalmazia abitate dai serbi1.
Nel Medioevo, prima di Stefan Nemanja, dalla metà fino alla fine del XII secolo, i principati serbi esistevano come piccoli vassalli dell’Impero bizantino. Nel suo intento di liberarsi dal forte dominio di Costantinopoli, Stefan Nemanja cerca in ogni modo di ottenere l’appoggio di Federico Barbarossa, il quale dichiara la terza crociata nel 1187, e così nel mese di dicembre del 1188, a Norimberga, il portavoce serbo tenta di combinare l’incontro tra i due, che avrebbe dovuto avere luogo a Niš2. Dal 1183, insieme a Béla III d’Ungheria, Nemanja tenta di opporsi all’Impero bizantino conducendo spietate battaglie nella valle del fiume Morava, nel sud della Dalmazia e nella Doclea, per cui ha un urgente bisogno d’aiuto3. Stefan Prvovenčani, figlio di Stefan Nemanja e testimone dell’incontro del padre con Federico Barbarossa, descrive l’evento, che ebbe luogo «nella celebre città di Niš»4, certamente perché Costantino era nato lì. Nemanja ottiene il sostegno del Barbarossa per la sua lotta contro l’Impero bizantino, ma solo per un breve periodo: non molto tempo dopo il loro incontro a Niš, nel mese di giugno del 1189, Federico Barbarossa annega attraversando un fiume.
Stefan Nemanja muore nel monastero di Hilandar nel 1199 come monaco Simeone. Dopo la sua morte, i figli, l’arcivescovo Sava5 e il re Stefan Prvovenčani6, scrivono la biografia del loro padre richiamando l’autorità cristiana dell’imperatore Costantino. La loro intenzione è di presentare Nemanja come progenitore della stirpe reale scelta da Dio. La vita di Nemanja, scritta da Stefan Prvovenčani, è un’ampia biografia bizantina che presenta tutti gli elementi sostanziali di un’agiografia. Scritta per glorificare il sovrano e monaco, la biografia comprende una serie di attributi significativi per creare il culto sacro di Stefan Nemanja: le buone azioni compiute durante la sua vita, la difesa della patria, l’osservanza della religione, la costruzione di templi – un vero angelo terrestre, morto come monaco, per cui si racconta che, essendosi avvicinato a Dio, il suo corpo non si sia deteriorato dopo la morte e che alcuni visitatori della sua tomba siano stati miracolati.
La descrizione della battaglia di Pantin (Kosovo) del 1168 tra l’esercito di Nemanja e quello di suo fratello maggiore Tihomir è senza dubbio un chiaro riferimento a un evento della vita di Costantino:
E [Tihomir] prese i soldati mercenari greci, franchi, turchi e altri, entrarono nelle sue terre e attaccarono il Santo in un luogo chiamato Pantin. [Stefan] allora alzò lo sguardo e le mani verso il cielo e dal profondo del suo cuore invocò Dio e il martire San Giorgio: «Condanna, o Signore, coloro che mi attaccano e ostacola quelli che con me vogliono combattere. Prendi la tua lancia e lo scudo e aiutami! Ostacola il cammino di quelli che mi perseguitano! Di’ all’anima mia: Sono Io la tua salvezza!». Dopo di che, prese la Santa Croce e la lancia che gli furono date e si presentò impavido a tanti popoli7.
Stefan Nemanja esce vincitore dalla battaglia di Pantin mentre Tihomir annega nel fiume.
C’è un’analogia tra la descrizione della battaglia di Pantin e quella di ponte Milvio avvenuta nell’ottobre del 312, descritta da Eusebio di Cesarea. Entrambi i sovrani ne escono vincitori dopo aver preso con sé la croce, circostanza che costituisce un’indicazione chiara della grazia di Dio. Sia Costantino sia Nemanja, portando la croce in battaglia, sconfiggono gli avversari nonostante siano meno numerosi e in condizioni fisiche peggiori, mentre i loro avversari, Massenzio e Thomir, muoiono annegati: Massenzio nel Tevere, Tihomir nel fiume Sitnica8.
È possibile individuare un altro punto di collegamento tra Costantino e Nemanja nella lotta contro gli eretici. All’inizio del suo governo, dopo il primo concilio di Nicea, Costantino perseguita i seguaci dell’arianesimo mentre Nemanja mette al bando dalla sua terra i bogomili, i quali, ne è convinto, si possono sconfiggere soltanto con la croce di Cristo9. Dopo essere diventato monaco e aver eretto il monastero di Hilandar, Nemanja, ovvero il monaco Simeone, manda a suo figlio Stefan Prvovenčani la propria croce pettorale (neni: una specie di croce su una catena portata al collo, in modo che la croce si posi sul petto) fatta con un pezzo della vera croce, come simbolo di preservazione del potere con l’aiuto di Dio10.
Questo dettaglio della biografia è analogo alle tre visioni della croce di Costantino prima delle sue battaglie, quella del ponte Milvio, contro Licinio, e poi contro gli Sciti e i Sarmati11. Stefan Prvovenčani prega che la croce sia, «come per l’antico imperatore Costantino»12, il simbolo di una vittoria benedetta e rappresenti anche un aiuto per suo padre.
Con Nemanja, il quale dopo la morte è proclamato san Simeone, comincia una dinastia che lascia un segno significativo nella storia medievale serba. Il successore di Nemanja, Stefan Uroš III Milutin, con l’aiuto del suo biografo, l’arcivescovo Danilo II, riesce a collegare il proprio nome a quello di Costantino. Descrivendo le vittorie reali di re Militin, Danilo II afferma che il re è «in molti modi simile al grande Costantino»13. Vi sono alcuni esempi di questa similitudine.
Innanzitutto Milutin vince la battaglia contro i tatari nel dicembre del 1282 vicino a Lipljan. Prima della battaglia, nella sua preghiera chiede aiuto a Dio e a san Simeone (Nemanja)14. Durante la battaglia, un gran numero di tatari annega nel fiume Drin, il che ricorda la battaglia di ponte Milvio. Anche il capo dei tatari, Črnoglava, muore annegato come Massenzio15. Alla vigilia della battaglia accadono miracoli, elemento che richiama gli avvenimenti descritti nella Vita Constantini di Eusebio.
Inoltre gli affreschi che rappresentano Milutin somigliano a quelli di Costantino; nella chiesa del re del monastero Studenica e Staro Nagoričane, le raffigurazioni di Costantino e di sua madre Elena sono poste accanto alla coppia reale.
Il re Milutin cerca di emulare la gloria di Costantino, fatto comprensibile poiché vi è stato un periodo in cui egli pensava di assumere il trono dell’Impero bizantino. Dopo negoziati durati due anni (1297-1299), riesce a sposare la principessa Simonida, figlia di Andronico II, sperando di salire al trono dopo la sua morte. Milutin introduce le usanze bizantine alla sua corte ispirandosi a Costantino, il cui culto è sempre presente nel regno. L’influenza bizantina è evidente nella letteratura, nella pittura, nell’architettura e nella musica di quel periodo, ma ciò che maggiormente influenza la Serbia di quell’epoca è il diritto bizantino.
San Sava scrive Krmčije («Nomocanone») e vengono elaborati i vari typika (complesso delle regole liturgiche della preghiera e della comune vita cenobitica) per alcuni monasteri. Nella Serbia medievale l’influenza bizantina è sempre presente, anche se con intensità diversa nei vari periodi.
Secondo il desiderio di Milutin, così come volle Costantino al suo tempo16, si costruiscono nuove chiese e monasteri e si restaurano quelli esistenti. Durante il suo regno, sorgono la cattedrale di Nostra Signora di Ljeviš, situata nella città di Prizren (Kosovo), il monastero di Gračanica in Kosovo e la sede dell’episcopato di Lipljan, la chiesa della Bogorodica trojeručica a Skopje, la sede dell’episcopato di Skopje. Vengono restaurati vari monasteri, tra cui quello di Žiča, una delle due sedi dell’Arcivescovado serbo. Il fratello di Milutin, Dragutin, contribuisce alla costruzione della chiesa di Moravica vicino ad Arilje, dedicata a sant’Ahilije, la quale diventa la sede dell’episcopato di Moravica17.
La donazione più nota di re Milutin è il monastero Banjska, dedicato a santo Stefano – mausoleo del sovrano – e che per un breve periodo è anche la sede dell’episcopato. È sempre merito suo la costruzione del monastero di S. Giorgio vicino a Skopje, della chiesa di S. Costantino e S. Giovanni Battista di Skopje, del monastero di S. Giorgio a Staro Nagoričane, del monastero di S. Nicola a Kožlje e del monastero di S. Nikita nei pressi di Skopje. Milutin sostiene inoltre la ricostruzione della chiesa di S. Giorgio a Orahovica, nella contea di Dabar, e la costruzione della chiesa di S. Gioacchino e S. Anna a Studenica, nota come la Chiesa del re, per citare solo alcuni esempi della sua opera di donatore e benefattore delle chiese. Dopo la sua morte, la Chiesa serba lo proclama santo per i suoi meriti e tra i membri canonizzati della dinastia Nemanjić è noto come il ‘Santo re’.
Il culto di Costantino come sovrano continua con Stefan Uroš III Dečanski, figlio di Milutin e fondatore del monastero Visoki Dečani. Una vittoria importante per il destino della Serbia, conseguita da Stefan Dečanski nella battaglia di Kjustendil, nel 1330, contro l’esercito bulgaro guidato da Mihajlo III Šišman, è rappresentata con la raffigurazione monumentale della vittoria di Costantino contro Massenzio nella chiesa di S. Nicola Dabarski, nei pressi di Priboj. Di questa simbolica vittoria-sconfitta si è già parlato in precedenza. Nella biografia di Stefan Dečanski, Danilo II scrive, facendo un paragone con Costantino: «perché la forza delle sue virtù proviene dal Signore, così come le vittorie dell’imperatore Costantino contro i popoli diversi, e questo grazie alla loro fede»18. Così, una serie di affreschi che raffigurano Costantino (le sue vittorie, il ritrovamento della vera croce) costituisce anche un’allusione politica.
L’importanza dell’autorità di Costantino è tale che nemmeno il re e imperatore Dušan, il figlio di Stefan Uroš III Dečanski, sottovaluta l’accostamento all’imperatore. Dušan conquista gran parte della terra bizantina proclamandosi «l’imperatore dei serbi e greci». Promulgando il suo Codice, nell’introduzione del documento afferma: «Dio, con la sua grazia […] ha voluto muovermi dal regno all’impero ortodosso. E mise nelle mie mani, come al grande imperatore Costantino, le terre, i mari e le grandi città dell’impero greco»19.
Il Codice di Dušan è emanato durante il consiglio nazionale a Skopje il 21 maggio del 1349, alla presenza del patriarca Joanikije, di alti rappresentanti della Chiesa, dell’imperatore e dei suoi vassalli. Il Codice consisteva inizialmente di 135 articoli, ai quali nel 1354 ne vengono aggiunti altri 66; esso diviene necessario per l’impero di Dušan, dove non esiste un sistema giuridico uniforme.
L’imperatore Dušan, come il re Milutin, vuole essere paragonato a Costantino. Appena diventato imperatore, si occupa anche di elargire donazioni consistenti alle chiese e ai monasteri, essendo più ricco dei suoi predecessori. Una delle sue prime opere in questo senso è la ricostruzione della chiesa, quasi distrutta, di S. Nicola di Dobrušta, vicino a Prizren, che non soltanto viene ricostruita, ma riceve anche numerosi terreni. Dušan finanzia molte altre ricostruzioni e dona altre terre alle chiese e ai monasteri della Serbia e della Grecia20.
La sua principale donazione consiste nell’edificazione del monastero degli Arcangeli, nei pressi di Prizren. La costruzione del monastero inizia quando Dušan è re e termina dopo la sua incoronazione a imperatore. Costruito magnificamente, come mausoleo dell’imperatore, in poco tempo diventa uno dei più importanti monasteri della Serbia. Secondo alcune testimonianze la chiesa del monastero era famosa per il suo mosaico, che una volta ricopriva il pavimento. Dušan invia ricchi doni anche al monastero degli Arcangeli di Gerusalemme, alla chiesa di S. Nicola di Bari e a tanti altri monasteri e chiese della Tessaglia. Dona terre alla chiesa di Bogorodica Perivlepta a Ocrida, al monastero Trskavac vicino a Prilep e a molte altre chiese serbe.
Per capire meglio il perché di questi paragoni con Costantino, si possono considerare alcuni affreschi, come quello che rappresenta il re Milutin e la regina Simonida nella chiesa di Staro Nagoričino, vicino a Skopje. La rappresentazione dei fondatori della chiesa raffigura non soltanto la coppia regnante, ma anche il Santo imperatore Costantino e l’imperatrice Elena, e la scelta non è casuale: secondo l’ideologia dei sovrani bizantini, l’imperatore bizantino è l’erede al trono di Costantino il Grande, per cui se ne potrebbe dedurre che questo erede è un «nuovo Costantino»21.
La postura di Costantino e del re Milutin è uguale, così come le loro vesti, a sottolineare il paragone diretto. Milutin, come fondatore, è rappresentato con la chiesa tra le mani. Egli difende e rafforza la fede, è l’erede di Costantino, il primo imperatore cristiano raffigurato con la croce. Il re Milutin continua a diffondere il cristianesimo ed è pronto a difenderlo con la spada che gli viene data da san Giorgio, l’intermediario tra lui e Dio. In questo modo le vittorie del re assumono un carattere divino22.
Come grande sostenitore della tradizione bizantina, il re Milutin vuole che le immagini del Santo imperatore Costantino e dell’imperatrice Elena siano di fianco alla sua anche nella Chiesa del re del monastero Studenica. Nella sua biografia, Milutin è paragonato all’imperatore Costantino, così come nei canti sacri, in quanto santo e difensore della fede23.
Subito dopo la battaglia del Kosovo, quando la perdita dell’indipendenza serba diventa evidente con l’avanzata dell’Islam verso la parte centrale dei Balcani, alla fine del XIV secolo vengono erette due chiese dedicate al Santo imperatore Costantino e a sua madre, l’imperatrice Elena: una basilica con una navata, vicino a Ohrid24, e una chiesa nei pressi del monastero Ramaća nelle vicinanze di Kragujevac25. Si presume che tutte e due siano state volute dal re Marko26.
Con la perdita della libertà cambia la percezione della realtà, della storia, dei personaggi storici. Nella letteratura di quel periodo non vi sono molti sovrani che si paragonano a Costantino; all’inizio del XV secolo, però, alcuni tentano di ricollegare il proprio albero genealogico all’imperatore.
Il culto dell’imperatore Costantino comincia a diffondersi in Serbia dopo l’invasione turca alla fine del XIV e all’inizio del XV secolo, nel periodo in cui Roma non ha più nessun interesse in questa parte dei Balcani e la Turchia avanza sempre di più verso l’Occidente. Seguendo il desiderio del despota Stefan Lazarević (1377-1427)27, il monaco Grigorije del monastero di Hilandar traduce nel 1408 alcune parti delle Cronache di Jovan Zonara, cronista bizantino del XII secolo, dove si dice che il paese d’origine di Licinio era «la Dacia, cioè la Serbia»28. Konstantin il Filosofo29, il biografo del despota, riporta questo dato nella sua biografia. In tal modo il despota comincia a costruire consapevolmente un mito usando il glorioso e a tutti noto passato della dinastia Nemanjić, aggiungendo alcuni fatti non veri. Per rafforzare la propria posizione in quei tempi insicuri, Stefan Lazarević ricorre al legame genealogico con Stefan Nemanja, attribuendogli lo status di pronipote di Costantino. Il despota Stefan Lazarević eleva così la propria autorità a livello di Costantino il Grande nel mondo dei cristiani e di Stefan Nemanja in Serbia.
Nella letteratura classica europea la dinastia Nemanjić (di cui alcuni membri furono dichiarati santi) viene collegata a Costantino il Grande in questo modo:
Il Grande Costantino ebbe tre figli, Costantino, Costanzo, Costante, e una figlia, Costantina, la quale fu data in moglie a Licinio. A quest’ultimo fu dato l’onore di regnare in Grecia e di obbedire e aiutare in dolorose guerre. Licinio fu un nobile della Dalmazia, d’origine serba, e Costantina gli diede il figlio Bela Uroš, il quale a sua volta ebbe Tehomil, Tehomil ebbe santo Simeon, e a santo Simeon seguirono tre figli: Stefan Prvovenčani (primo incoronato), Vukan il grande principe e Rastko, più tardi chiamato Sava, il primo arcivescovo serbo. Quest’ultimo celebrò l’incoronazione di suo fratello Stefan. Il re Stefan ebbe quattro figli: Radoslav, Vladislav, Stefan, Predislav. Il figlio Stefan fu chiamato anche Uros, come suo bisnonno, e conosciuto come il ‘re ruvido’ [probabilmente a causa del morbillo]. Egli ebbe due figli: Stefan e Milutin Banjski (il re). Milutin ebbe Konstantin e Stefan Dečanski. Dečanski ebbe due figli, Dušman e Dušan. Quest’ultimo ingrandì il regno dei suoi avi e si proclamò imperatore. Ebbe un figlio, Uroš, il quale però non ebbe figli, lasciando la stirpe senza prole. Secondo ramo della discendenza: Vukan, il secondogenito di santo Simeon, fratello di santo Sava, il grande principe, ebbe come figlio il principe Dmitar, chiamato anche David. A David seguì il principe Vratislav. Vratislav ebbe il principe Vratko, al quale seguì la figlia Milica. Questa andò in moglie al grande principe Lazar e gli diede tre figli: il despota Stefan, il grande personaggio di cui si sta parlando, Vuk e Dobrivoje. E questa stirpe prosperò30.
Conoscendo bene il mondo occidentale, il despota Stefan Lazarević si convince che una biografia come questa gli procurerebbe uno status più neutrale rispetto a quello contraddittorio che aveva all’inizio del XV secolo. Da una parte egli è un vassallo turco e garante della pace in Serbia, dall’altra appartiene all’Ordine del Dragone31, al capo del quale si trova l’imperatore ungherese Sigismondo. Lo scopo dell’Ordine, come scritto nell’atto della sua fondazione, è proteggere la sacralità del cristianesimo dai Turchi.
Allo stesso tempo, anche il re bosniaco Tvrtko I ha bisogno di questo legame genealogico con i Nemanjić e Costantino. A Tvrtko I questa contraffazione dei fatti storici conviene non soltanto per rafforzare la propria posizione, ma anche perché potrebbe pretendere la corona dei Nemanjić, il che permetterebbe l’espansione dei confini dello Stato bosniaco. La Chiesa ortodossa serba accetta questa diversa interpretazione dei fatti per un motivo pratico: il popolo oppresso, senza nessun supporto da parte degli Stati cristiani circostanti – anch’essi in difficoltà –, ha bisogno di fare del passato glorioso un momento di speranza e di conforto.
La tesi di Costantino quale antenato di Nemanja esce dai confini della Serbia del XVI secolo e si diffonde in tutta la penisola balcanica, particolarmente in Dalmazia, dove la popolazione serba, che vive al di fuori dell’Impero ottomano, ha un forte bisogno di conservare l’integrità nazionale attraverso i miti e la storia. I serbi, oppressi dagli interessi delle grandi potenze, cercano di fare causa comune con tutti quelli che condividono il sentimento di slavità. In un’atmosfera come questa, vengono pubblicati due libri importanti, O poreklu i slavi Slovena («Oratio de origine successibusque Slavorum») nel 1532, di Vinko Pribojević e Kraljevstvo Slovena («Il regno degli Sklavi») di don Mavro Orbin32.
Vinko Pribojević, nato sull’isola di Lesina, appartenente all’Ordine domenicano e fondatore dell’ideologia panslava nella sua regione, scrive nella sua opera:
Però, nemmeno il grande imperatore beato Costantino era senza sangue slavo, perché, secondo Trebellio Pollione, Eutropio e Platina, l’erede al trono imperiale Costanzo, padre di Costantino, era da parte di madre nipote dell’imperatore Claudio il Dalmata33.
Don Mavro Orbin usa il testo di Pribojević quando scrive il suo Kraljevstvo Slovena e dice: «Neanche a quell’illustre e nobile Costantino il popolo slavo era tanto distante, poiché (come dicono Trebellio, Eutropio e Platina) suo padre Costanzo era nipote di Claudio il Dalmata, slavo»34.
Altri scrittori usano il testo revisionato, noto anche come Paralipomen35, di Jovan Zonara, dove si sostiene che Licinio fosse daco, cioè serbo, per attribuire a Costantino un’origine serba. Uno di loro è il patriarca Pajsije Janjevac (morto nel 1647). Scrivendo l’agiografia del Santo imperatore Uroš nel 1641, riporta alcune affermazioni dal Paralipomen36. Anche se quasi tutta la genealogia dei Nemanjić si basa su quella scritta da Konstantin il Filosofo, in questo manoscritto di Pajsije si incontra per la prima volta la seguente affermazione:
Quando gli giunse la notizia che suo genero [Licinio] si era infuriato con i cristiani, l’imperatore Costantino volle la sua testa. Il figlio di Licinio, impaurito e terrorizzato, fuggì nella terra dei Goti […], da lì andò nella terra serba dove ebbe un figlio e gli diede il nome Bela Uroš [bela = bianco], poiché i suoi capelli erano bianchi alla nascita37.
Più avanti, Pajsije ripete l’affermazione di Konstantin il Filosofo sul legame genealogico fra Costantino, Nemanja, Lazar e il despota Stefan Lazarević38. Il dotto patriarca, in questo modo, fa la stessa cosa che fece il despota Stefan qualche centinaio di anni prima di lui: quando l’identità nazionale è quasi perduta e l’Impero ottomano è ormai alle porte di Vienna, diventa opportuno utilizzare il mito per mantenere la memoria del glorioso passato e degli indimenticabili avi nel popolo oppresso. Si potrebbe dedurre che Pajsije, scrivendo la biografia di Stefano, introduca il suo legame con Costantino, poiché in quegli anni svolge anche attività diplomatiche: ristabilisce i contatti con Roma, soggiorna a Mosca nel 1622 e visita Costantinopoli nel 1641, lo stesso anno in cui finisce la biografia di Stefano39.
Subito dopo la morte di Costantino viene completata la sua agiografia, un presupposto indispensabile per la sua canonizzazione, e la Chiesa ortodossa proclama il 3 giugno (21 maggio secondo il calendario Giuliano) giorno di festa liturgica del Santo. Lo stesso giorno è stata canonizzata e celebrata la madre di Costantino, Elena, per i suoi meriti verso i cristiani, ovvero per avere trovato la vera croce40. Il culto di Costantino si sviluppa velocemente dopo la sua morte, quindi ogni suo successore al trono è accolto come Νέος Κωνσταντινος («Nuovo Costantino»)41. Il caso vuole che l’ultimo imperatore dell’Impero bizantino abbia lo stesso nome del fondatore di Costantinopoli.
Il popolo serbo e più tardi anche la Chiesa serba riconoscono Costantino e sua madre Elena come protettori dell’Impero bizantino con Costantinopoli come capitale, nello stesso modo in cui san Marco evangelista è santo patrono di Venezia, o santo Stefano dell’Ungheria, oppure san Vladimir e santa Olga della Russia, san Giovanni di Rila della Bulgaria, o san Clemente e san Naum protettori di Ocrida, oppure santa Petka protettrice della Romania42. I protettori della Serbia sono san Sava e san Simeone-Nemanja, per cui la presenza del culto di Costantino e di sua madre dipende dalle varie situazioni politiche. La costante tendenza della Serbia verso l’indipendenza la porta continuamente in conflitto con l’Impero bizantino, per cui tutto ciò che è riconosciuto come bizantino non è gradito in alcuni periodi storici della Serbia. Tuttavia, il culto dell’imperatore Costantino e di sua madre Elena si diffonde velocemente durante il regno di Milutin e Dušan, i quali conquistano gran parte della Grecia settentrionale e centrale. Gli affreschi più belli che rappresentano Costantino ed Elena si trovano proprio nei monasteri di questa epoca.
Per un lungo periodo, nella Serbia medievale non si sa di chi sia la competenza di proclamare e approvare un culto, a differenza di quanto accade nell’Europa occidentale, dove il papa è l’unica autorità a poter decidere su questa materia, mentre in Russia sono lo zar e il patriarca43. Da ciò si può dedurre che un culto si crea prima nel popolo e solo successivamente la Chiesa stabilisce il suo carattere cristiano-apologetico. D’altra parte, il popolo raramente rifiuta un culto proclamato dalla Chiesa44.
Non si sa con esattezza quando il culto di Costantino ed Elena si instauri nella Serbia medievale. Sulla base dei numerosi paragoni presenti nella letteratura agiografica serba, molti dei quali già citati, risulta evidente come la figura di Costantino sia necessaria a rafforzare la posizione di alcuni sovrani serbi, ma anche a dimostrare che essi sono gli eletti. Nelle trascrizioni successive delle vite e memorie liturgiche dei sovrani, fino al XVIII secolo, raramente si nominano Costantino ed Elena. I loro nomi non compaiono neppure nella raccolta dei canti sacri pubblicata nel 1580 a Sas-Sebeş (Ungheria), né nella raccolta di Ramnicu (1765, Mosca), e neanche nella raccolta di inni e canti sacri (srbljak) di Belgrado (1861, Belgrado)45. Ciò si spiega con il fatto che la Serbia è sotto il dominio turco, per cui in primo piano vi sono i santi nazionali, come santo Stefan Prvovenčani, il principe san Lazar, san Sava e san Simeone46.
La Chiesa ortodossa festeggia il Santo imperatore Costantino e sua madre Elena in due occasioni: il 3 giugno è la festa a loro dedicata e il 27 settembre (Elevazione della vera croce) è la data del ritrovamento della vera croce da parte dell’imperatrice Elena47. Il tropario di san Costantino e santa Elena recita:
Dopo aver visto il segno della Croce nei cieli
E come Paolo non fu convocato dall’uomo, o Signore,
Il Tuo apostolo tra gli imperatori
La città imperiale nelle Tue mani mise
E assicurò la pace per molti anni
Pregando la Beata Vergine Maria,
Tu che ami l’uomo, gloria a Te48.
Se ci si interroga sulla persistenza di Costantino nella memoria del popolo serbo, la risposta può essere trovata nei poemi popolari antichi e nei canti epici che parlano del ritrovamento della vera croce, della basilica di Santa Sofia49 di Costantinopoli, dell’identificazione di questa città quale donazione di Costantino, del peccato e della necessità della penitenza, etc.50 In uno dei poemi popolari che hanno per tema la vera croce si dice che, quando Costantino colpisce la pietra con la croce, la pietra si spacca51: un motivo sicuramente preso dall’Antico Testamento, data l’ovvia allusione a Mosè. Nel poema, che si intitola Vera Croce, il poeta popolare spiega che fu Costantino, e non Elena, a trovare la reliquia. In esso il ritrovamento della vera croce è descritto in modo simile a quello presente nella biografia di Costantino52. Negli ultimi versi si mette in evidenza l’importanza di questo oggetto sacro:
La Vera Croce splende sulla terra,
Splende per il meraviglioso popolo cristiano,
Ma quando morirono l’imperatore Costantino
E l’onorabile imperatrice Elena,
Allora la Vera Croce risuscitò,
Risuscitò nei cieli,
E adesso splende nell’altro mondo,
Come il sole splende in questo53 .
In un altro poema si raccontano i falliti tentativi dei turchi di costruire un minareto sulla basilica di Santa Sofia: ciò che costruiscono di giorno crolla durante la notte. Soltanto quando edificano un monastero vicino alla sorgente del fiume Piva, in Serbia, riescono a portare a termine il minareto54. La basilica di Santa Sofia, donazione di Giustiniano I il Grande, sorge nel luogo in cui una volta si trovava la chiesa dei Santi Apostoli, nella quale è stato sepolto Costantino55.
Nei poemi e nei canti popolari si rintraccia un altro motivo a sfondo storico molto interessante. Secondo le convinzioni tradizionali, le cause delle guerre tra cristiani e turchi sono la mela di Cristo, la corona dell’imperatore Costantino e le vesti della madre di Cristo, il cui possessore avrebbe conferito prosperità al proprio impero56. Nel potere miracoloso degli oggetti sacri si crede anche prima del cristianesimo e la corona è sempre il simbolo di potere e di dominio. L’importanza della corona di Costantino è confermata anche da un documento dell’VIII secolo, noto come Constitutum Constantini. L’autenticità del documento è messa in dubbio, ma al di là che non si tratti di un falso, il documento conferma l’importanza del richiamo al primo imperatore cristiano anche nel caso in cui la sua autenticità sia negata. Secondo il documento, Costantino attribuirebbe ai pontefici le insegne imperiali e la sovranità temporale su Roma, l’Italia e l’intero Impero d’occidente:
Per questo, concediamo ai santi apostoli, ai miei santissimi Pietro e Paolo, poi anche al nostro santo padre Silvestro, il pontefice, e a tutti i papi di Roma e ai loro successori i quali saranno seduti sulla poltrona di San Pietro fino alla fine del mondo, da questo momento concediamo il palazzo imperiale del Laterano il quale si solleva sopra tutti i palazzi del mondo; poi il diadema cioè la corona della nostra testa e anche il cappello frigio cioè la tiara, poi la mantella delle spalle, la veste purpurea e la tunica rossa, tutte le nostre vesti imperiali come anche tutti gli stemmi della cavalleria imperiale, concediamo anche lo scettro imperiale e tutte le bandiere, varie onorificenze, cerimonie e gloria della nostra imperiale maestosità57.
Nel poema popolare intitolato L’imperatore e lo scolaro autodidatta, Costantino è descritto come un uomo ordinario che vorrebbe espiare le proprie colpe, ma poiché lo fa in modo sbagliato finisce bruciato e di lui rimane soltanto il braccio destro. La descrizione alla fine del poema esprime sostanzialmente la percezione che il popolo serbo ha di Costantino:
[Lo scolaro] trovò il suo braccio destro,
Il braccio destro santo.
Il braccio dell’imperatore era santo,
Poiché egli fece tante buone azioni:
Sfamò tanti,
Dissetò coloro che erano assetati,
Vestì nudi e scalzi,
Diede a chi era senza niente;
Per questo il suo braccio era santo58.
Come si può vedere, nel corso del Medioevo, in Serbia, il culto dell’imperatore Costantino ha inizialmente lo scopo di dimostrare come i sovrani paragonati a Costantino siano stati scelti da Dio. Col tempo, il culto di ciascuno di questi sovrani diventa il piedistallo della genealogia dinastica dei Nemanjić e dei rami collaterali della stirpe, riuscendo in tal modo a ottenere una certa autorità in altri paesi cristiani.
Il culto del Santo imperatore Costantino si diffonde in tutta la penisola balcanica, soprattutto negli Stati di cultura e tradizione bizantina. Durante il periodo dell’occupazione turca (dal XIV al XIX secolo), senza uno Stato libero e senza un sovrano, il culto di Costantino passa in secondo piano. Soltanto all’inizio del XX secolo ritorna ad avere importanza, ma in un contesto diverso, ovvero come rinascita della tradizione.
1 A. Linder, The Myth of Constantine the Great in the West: Sources and Hagiographic Commemoration, Spoleto 1987; J. Wortley, Studies on the Cult of Relics in Byzantium up to 1204, Burlington 2009; Poteri religiosi e istituzioni: il culto di San Costantino imperatore tra Oriente e Occidente, Seminario internazionale di studi (Sassari, Sedilo, Oristano 3-6 luglio 1999), a cura di F. Sini, P.P. Onida, Torino 2003; C.Y.-M. Kerboul, Constantin et la fin du monde antique, Paris 1993; J.B. Bury, History of the Later Roman Empire: From Arcadius to Irene (395 A.D. to 800 A.D.), II, London 1923.
2 Annales Colonienses Maximi, MGH SS XVII, pp. 795-796.
3 J. Kalić, Borbe i tekovine velikog župana Stefana Nemanje, in Istorija Srpskog naroda (Le battaglie e il patrimonio del gran principe Stefan Nemanja, in Storia del popolo serbo), I, Beograd 1981, pp. 253-257.
4 S. Prvovenčani, Sabrani spisi (Opere raccolte), Beograd 1988, p. 72.
5 S. Prvovenčani, Ktitorsko žitije gospodina Simeona (La vita di Simeone, il fondatore delle chiese), 1208.
6 S. Prvovenčani, Žitije sv. Simeona (La vita di san Simeone), 1216.
7 Ivi, 31. Il passo «La lancia che gli fu data» da Cristo significa che Nemanja fu scelto da Dio.
8 M. Mitić, The Meaning of the Holy Cross in the Hagiography of Saint Symeon-Nemanja by Stephen the First-Crowned, in Mitološki zbornik, 18 (2004), pp. 93-120, in partic. 117.
9 S. Ćirković, Srbi u srednjem veku (Serbi nel Medioevo), Beograd 1995, p. 61.
10 S. Hafner, Studien zur altserbischen dynastischen Historiographie, München 1964, p. 54.
11 M. Mitić, The Meaning of the Holy Cross, cit., p. 118.
12 S. Prvovenčani, Žitije sv. Simeona, cit., par. XII.
13 Danilo II, Žitije kralja Milutina (La vita di re Milutin), pp. 138-139.
14 Ivi, pp. 140-141.
15 S. Ćirković, Srbi u srednjem veku, cit., p. 105. I tatari erano al servizio dell’Impero bizantino.
16 Soc., h.e. I 18.
17 M. Blagojević, Srbija u doba Nemanjića (La Serbia durante la dinastia dei Nemanjić), Beograd 2001, p. 94.
18 Danilo Drugi, Žitije kralja Stefana Dečanskog (La vita di re Stefan Dečanski), 140.
19 Dušanov zakonik (Codice di Dušan).
20 M. Blagojević, Srbija u doba Nemanjića, cit., p. 98.
21 H. Hunger, Das byzantinische Herrscherbild, Darmstadt 1975, p. 135.
22 B. Todić, Staro Nagoričino, Beograd 1993, p. 121.
23 Srbljak II (Inni e canti sacri per i santi serbi canonizzati), Beograd 1970, p. 95.
24 P. Simić, Crkvena umetnost (Arte delle chiese), Beograd 2000, p. 45.
25 O. Zirojević, Crkve i manastiri u Srbiji do gašenja Pećke patrijaršije (Chiese e monasteri della Serbia fino all’abolizione del Patriarcato di Peć nel 1689), Beograd 1984, p. 98.
26 P. Simić, Crkvena umetnost, cit., p. 48.
27 I. Božic, Potiskivanje pravoslavlja, in Istorija Srpskog naroda (La soppressione della religione ortodossa, in La storia del popolo serbo), II, Beograd 1981, pp. 285-288.
28 Konstantin il Filosofo, Žitije despota Stefana Lazarevića (La vita di despota Stefan Lazarević), p. 82.
29 Ibidem.
30 Ibidem.
31 G. Fejér, Codex Diplomaticus Hungariae ecclesiasticus ac civilis, X/4, Budae 1841, p. 317; T. von Bogyay, Drachenorden, in Lexikon des Mittelalters, III, München 1986, p. 1346.
32 Vincentius Priboevius, Oratio de origine successibusque Slavorum, Venetia 1532; M. Orbini, Il regno degli Slavi, Pesaro 1601.
33 Vincentius Priboevius, Oratio de origine, cit., p. 151: «Sed nec magnus ille divus Constantinus Augustus Sclavorum generis penitus expers fuit, quoniam, quemadmodum Tribolius, Pollio ac Eutropius et Platina referent, compertum tibi fiet Constantium Caesarem, Constantini genitorem, Claudii Augusti Dalmatae ex filia nepotem extitisse».
34 M. Orbini, Il regno degli Slavi, cit., p. 238.
35 «Non avendo la certezza di chi fosse l’autore della traduzione della Cronaca di Zonara, alcuni storici sostengono che Paralipomen fosse il cognome del monaco Grigorije, che lavorò sulla traduzione», L. Stojanović, Stari srpski rodoslovi i letopisi, III (Vecchie genealogie e cronache serbe), Beograd 1927; J. Redjep, Count Djordje Brankovic and Oral Tradition, Novi Sad 1991, p. 34.
36 Patriarca Pajsije, Život svetog cara Uroša (La Vita del Santo imperatore Uroš), Beograd 1993, pp. 86-87.
37 Ivi, p. 88.
38 Ivi, pp. 98-99.
39 O. Zirojević, Srbija pod tursk omvlašću 1459-1804 (La Serbia sotto il dominio turco 1459-1804), Beograd 2007, p. 56.
40 Socr., h.e. I 17.
41 H. Jedin, Handbuch der Kirchengeschichte, II, Freiburg 1975, p. 17.
42 L. Pavlović, Kultovi lica kod Srba i Makedonaca (I culti serbi e macedoni), Smederevo 1965, p. 255.
43 Ivi, p. 321.
44 Ivi, p. 323.
45 S. Novaković, Srpska bibliografija (Bibliografia serba), Beograd 1869, p. 9; G. Mihailović, Srpska bibliografija XVIII veka (Bibliografia serba del XVIII secolo), Beograd 1964, p. 78; L. Pavlović, Kultovi lica kod Srba i Makedonaca, cit., pp. 272-274.
46 Ð.Sp. Radojčić, Srpske biblioteke u srednjem veku i u tursko doba (Biblioteche serbe nel Medioevo e nel periodo turco), Beograd 1954, p. 151.
47 Socr., h.e. I 17.
48 N. Dazgić, Tropari na velike praznike u četiri glasa za Mešovite Horove I Nedeljne Škole, Libertyville 1967, p. 23.
49 Nel poema è usato il termine turco Ayasofya.
50 D. Ajdačić, Specijalizacija svetaca u folkloru pravoslavnih Slovena (Le caratteristiche dei Santi nel folclore slavo ortodosso), Beograd 2004, p. 26.
51 B. Petranović, Srpske narodne pjesme iz Bosne i Hercegovine (Poemi epici popolari serbi dalla Bosnia ed Erzegovina, II, Beograd 1867, p. 9.
52 J. Popović, Žitija svetih za maj (Vite dei Santi, mese di maggio), Valjevo 1979.
53 V.S. Karadžić, Srpske narodne pjesme, II, Beč 1845, p. 30.
54 Ivi, V 2.
55 Socr., h.e. I 40.
56 M. Šunjić, Narodne junačka pjesme iz Bosne i Hercegovine (Poemi epici popolari dalla Bosnia ed Erzegovina), Sarajevo 1925, p. 23; N. Šaulić, Srpske narodne pjesme (Poemi epici serbi), Beograd 1929, p. 14.
57 Constitutum Constantini, XIV 4: «Pro quo concedimus ipsis sanctis apostolis, dominis meis, beatissimis Petro et Paulo et per eos etiam beato Silvestrio patri nostro, summo pontifici et universali urbis Romae papae, et omnibus eius successoribus pontificibus, qui usque in finem mundi in sede beati Petri erunt sessuri atque de praesenti contradimus palatium imperii nostri Lateranense, quod omnibus in toto orbe terrarum praefertur atque praecellet palatiis, deinde diademam videlicet coronam capitis nostri simulque frygium nec non et superhumerale, videlicet lorum, qui imperiale circumdare assolet collum, verum etiam et clamidem purpuream atque tunicam coccineam et omnia imperialia indumenta seu et dignitatem imperialium praesidentium equitum, conferentes etiam et imperialia sceptra simulque et conta atque signa, banda etiam et diversa ornamenta imperialia et omnem processionem imperialis culminis et gloriam potestatis nostrae».
58 V.S. Karadžić, Srpske narodne pjesme, cit., pp. 32-34.