CULTO (XII, p. 93)
Il culto nel diritto canonico (XII, p. 93).- L'esplicazione del culto divino nella forma ufficiale resa dalla Chiesa, o liturgia, è stata recentemente oggetto di importantissime norme nella Enciclica Mediator Dei, 20 novembre 1947, di Pio XII. Con questa, di fronte al movimento sorto negli ultimi anni nella Chiesa latina, insieme scientifico e pratico, per un rinnovamento liturgico (v. liturgia, in questa App.) il Pontefice fissa i retti principî in base ai quali vanno risolte tutte le questioni che negli ultimi tempi si sono accentuate nel campo della liturgia sacra.
Ci limiteremo qui a considerare i punti che hanno essenzialmente rilevanza giuridica. Richiamato il principio che "tutto il complesso del culto che la Chiesa rende a Dio deve essere interno ed esterno", e che l'elemento essenziale del culto deve essere quello interno, diversamente la religione diventa un formalismo senza fondamento e senza contenuto, ne deriva che "non hanno perciò una esatta nozione della sacra liturgia coloro i quali la ritengono come una parte soltanto esterna e sensibile del culto divino o come un cerimoniale decorativo" né coloro che "la considerano una mera somma di leggi e di precetti con i quali la gerarchia ecclesiastica ordina il compimento dei riti". Si condannano quindi le nuove teorie sulla "pietà oggettiva, o che vorrebbero trascurare o attenuare la "pietà soggettiva" o personale, ossia le altre pratiche religiose non strettamente liturgiche e compiute al di fuori del culto pubblico.
L'Enciclica rivendica ancora alla gerarchia della Chiesa l'esclusiva competenza di disciplinare l'organizzazione, il regolamento e la forma della sacra liturgia. Perciò solo il Pontefice ha il diritto di riconoscere e stabilire qualsiasi prassi di culto, di introdurre e approvare nuovi riti e di mutare quelli che giudica doversi mutare. Nessuna iniziativa in questa materia può essere lasciata all'arbitrio di privati, siano pure essi membri del clero. Per quanto, essendo la Chiesa un organismo vivente, essa si adatti e conformi anche in ciò che concerne la liturgia alle circostanze ed esigenze che si verificano nel corso dei tempi, è severamente riprovato il "temerario ardimento di coloro che di proposito introducono nuove consuetudini liturgiche o fanno rivivere riti già caduti in disuso e che non concordano con le leggi e le rubriche vigenti" (così l'uso della lingua volgare nel Sacrificio Eucaristico, il ripristino di antichi riti e cerimonie, ecc.).
Il culto nel diritto italiano (XII, p. 100). - I ministri del culto. - Si è discusso molto, dopo il concordato, sulla qualità di pubblici ufficiali dei ministri del culto, questione che ha assunto particolare interesse specialmente in relazione alle funzioni devolute ai ministri di culto in materia matrimoniale. L'opinione più largamente accolta è che in via di massima deve escludersi la qualità di pubblico ufficiale negli ecclesiastici, qualunque ufficio ricoprano, e nei ministri dei culti ammessi. Però quando essi esercitano pubbliche funzioni (ad es. nel redigere l'atto di matrimonio) assumono, agli effetti della legge penale, il carattere di pubblici ufficiali.
Le spese di culto. - La disposizione, già contenuta nell'art. 329 dell'abrogato testo unico 4 febbraio 1915, dichiarante obbligatorie per i comuni le spese per la conservazione degli edificî serventi al culto pubblico nel caso di insufficienza di altri mezzi per provvedervi, è ripetuta nell'art. 91, del vigente testo unico 3 marzo 1934, n. 383. Circa la natura di queste spese si sostiene che esse non si differenziano dalle altre spese obbligatorie del comune, e pertanto l'apprezzamento della necessità di esse non può essere sottoposto al sindacato dell'autorità giudiziaria, ma è devoluto all'autorità amministrativa. In caso d'inerzia del comune a provvedere, l'interessato non potrebbe che rivolgersi alla Giunta provinciale amministrativa, domandando che la spesa sia iscritta d'ufficio nel bilancio comunale.
I culti acattolici. - L' attuazione dei principî fondamentali della libertà religiosa e della uguaglianza dei cittadini in Italia (a cui già si ispirava il regolamento della condizione giuridica delle confessioni acattoliche, di cui alla legge sui culti ammessi 24 giugno 1929, n. 1159 e r. decr. 28 febbraio 1930, n. 289) ha trovato pieno sviluppo nella costituzione della Repubblica italiana. Mentre per i citiadini singolarmente considerati si afferma che tutti hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di razza o di religione (art. 3), e per le confessioni religiose riguardate nella loro entità istituzionale, come organismi od aggregati sociali, è stabilito il principio generale che esse tutte (quindi così la cattolica come le acattoliche) sono ugualmente libere davanti alla legge, per quanto concerne i rapporti deì varî culti con lo Stato, essendo impossibile, per l'enorme diversità delle posizioni storiche e pratiche, sottoporli a un regolamento unico, si è attuato un sistema per quanto possibile poggiato su una direttiva uniforme.
Così, in analogia a quanto stabilito per la Chiesa cattolica, mentre si proclama il diritto alle altre confessioni di organizzarsi secondo i proprî statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano, si stabilisce che i loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze (art. 8). Questa norma generale viene integrata da altre disposizioni che oltre a dare uguale garanzia a tutte le confessioni contro ogni forma di speciale restrizione legislativa o gravame fiscale a motivo del carattere ecclesiastico o del fine di religione o di culto (art. 20), assicurano ad ognuno uguale libertà di riunione e di associazione (articoli 17, 18), di professare la propria fede e di farne propaganda, e di esercitarne anche in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrarî al buon costume (art. 19).
In tal modo vengono a eliminarsi le principali incertezze cui aveva dato luogo la precedente legislazione, come quelle intorno alla libertà di propaganda e proselitismo e alle modalità per le riunioni religiose, restando ferme le altre norme positive in materia.
Bibl.: M. Piacentini, I culti ammessi nello stato italiano, Milano 1934; id., Nel decennale della legge sui culti ammessi, Firenze 1940; A. Bertola, Ammissione e riconoscimento dei culti acattolici, in Studî in onore di S. Romano, Padova 1939; A. C. Jemolo, Corso di diritto ecclesisatico, 1944-45, Roma s. d., pp. 193-239; M. Petroncelli, Corso di diritto ecclesiastico, Milano 1946, pp. 286-297; V. Del Giudice, Corso di diritto ecclesiastico, 6ª ed., Milano 1945.