Cultura cristiana, le artes liberali e i saperi pagani
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La cultura cristiana, assorbiti i saperi pagani, ne ha colto gli elementi degni di contribuire alla formazione del vero cristiano. Nei secoli più bui della decadenza romana, l’utilità di questi saperi e della loro fusione con la sapienza cristiana induce diversi autori, formatisi alle scienze profane, a produrre delle sintesi nelle quali raccogliere le informazioni essenziali per la formazione dei cristiani, e preservarle dalla temperie della storia.
Cassiodoro
Intenti pedagogici
Istitutiones, Libro I
Mi sono sforzato, dopo aver raccolto i fondi necessari, a fare in modo che la scuola cristiana accogliesse maestri che professassero a Roma, consentendo così all’anima dei credenti il raggiungimento della salvezza eterna e conferendo alla loro lingua l’ornamento di un eloquio corretto e puro. Ma quando a causa dell’eccessivo dilagare delle guerre e dei combattimenti nel regno d’Italia il mio desiderio non ha potuto in nessun modo trovare compimento – non c’è spazio infatti per occupazioni pacifiche in tempi turbolenti – riconosco di esser stato spinto dalla divina carità a scrivere per voi, al posto di un maestro, con l’aiuto di Dio, questi libri introduttivi.
Cassiodoro, Le istituzioni, trad. it. M. Donnini, Roma, Città Nuova, 2001
Sin dalle origini, gli intellettuali che animano la vita della Chiesa si sono interrogati sulla dignità da assegnare, nella formazione dei cristiani, ai saperi pagani, su quale ne fosse la pericolosità e, in subordine, l’eventuale utilità ai fini di una maggiore e migliore diffusione del messaggio cristiano. I Padri della Chiesa si impegnano a mostrare che la cultura pagana, depurata dagli elementi fantastici e illeciti che ne caratterizzavano spesso il linguaggio e i contenuti, può diventare uno strumento prezioso, che non solo arricchisce il bagaglio personale di ogni credente, ma permette ai Dottori della Chiesa di difenderla dagli attacchi degli eretici, utilizzando le loro stesse tecniche. Nella Bibbia, ad esempio, si impone, a chi voglia sposare una donna fatta prigioniera in guerra, che faccia a essa tagliare i capelli, le unghie e togliere le vesti. Parimenti, secondo i Padri, e in particolar modo Girolamo, il sapere pagano, attraente ma al contempo lontano dai valori della fede, deve venir epurato di tutti i suoi orpelli, di ciò che lo rende all’apparenza appetibile; solo così può esser degno di congiungersi alla sapienza cristiana.
Nonostante i timori causati dal fascino che tale sapere pagano potesse esercitare sulle menti più deboli, buona parte del patrimonio di conoscenze e competenze ereditato dalla tradizione greco-romana entra dunque a far parte, a pieno titolo, della formazione dell’intellettuale cristiano. È anzi proprio il connubio tra le tecniche sviluppatesi nell’età antica e la fede nata con l’era cristiana a permettere, alla cultura occidentale, di sopravvivere nei secoli del disfacimento dell’Impero romano. Nutrito di competenze tanto solide da aver superato i secoli, e fortificato dal continuo riferimento al Testo Sacro e alle opere dei primi Padri della Chiesa, il sapere cristiano si diffonde infatti in tutta Europa proprio negli anni del disfacimento delle istituzioni romane, osservando e, talvolta, accompagnando la nascita delle nuove identità di matrice barbarica.
I rivolgimenti politici, i continui scontri militari, la mancanza di una solida istituzione centrale, e, di conseguenza, il venir meno di una organizzazione pubblica dell’istruzione, delegano implicitamente il problema della formazione e più in generale della cultura alle istituzioni locali, essenzialmente monastiche, legate alla Chiesa. Al loro interno, diversi intellettuali sentono l’esigenza di raccogliere il più alto numero di informazioni provenienti da diverse tradizioni, per evitare che la temperie dei secoli centrali dell’alto Medioevo spazzasse via ogni traccia della cultura antica e patristica.
Questo atteggiamento ha il merito di garantire, almeno in parte, una continuità nell’evoluzione della cultura occidentale, pur producendo opere di scarsa originalità.
Il desiderio di preservare se stessi e il proprio sapere dalle difficoltà del secolo guida l’operato di Cassiodoro, nobile romano protagonista di una parabola politica che ha visto nella collaborazione con i sovrani goti il suo apice, e nella insofferente convivenza con i nuovi dominatori bizantini una conclusione tanto amara da indurlo alla costruzione, attorno al 550, di una comunità religiosa e culturale, Vivarium, nell’attuale Calabria, dove ritirarsi sino alla morte, che lo coglie quasi novantenne. La compresenza, nella sua formazione personale, tanto di conoscenze tecniche fondate sulla tradizione greco-latina, quanto di una solida fede cristiana, lo induce a improntare la vita della comunità a un fine eminentemente pedagogico, volto cioè a indirizzare i suoi confratelli verso un ideale di sapiente cristiano, solido nella fede ed erudito nelle arti liberali. A tal fine, Cassiodoro compone le Istituzioni (Institutiones), una sintesi di tutte le informazioni indispensabili alla realizzazione di quell’idea di concordia tra saperi e sapienza. Proprio al fine di perseguire entrambi gli aspetti della formazione ideale del cristiano, le Institutiones guidano il lettore in un percorso bipartito, prima attraverso le Scritture (Institutiones divinarum litterarum) poi attraverso i saperi profani (Institutiones saecularium litterarum).
L’accostamento di due percorsi tanto diversi trova fondamento, in Cassiodoro come in tutto l’alto Medioevo, nella convinzione che ogni sapere, sacro o profano, è tale solo se deriva dall’unica fonte di ogni verità, che è Dio. In quest’ottica, è dunque lecito, per il cristiano, affiancare alla meditazione sul Testo Sacro, lo studio dei manuali delle discipline più tecniche, corroborando entrambe le letture con il supporto dei testi dei Padri dei primi secoli di storia della Chiesa. Finalizzata a descrivere un piano di studi concretamente applicabile, la struttura delle Institutiones disegna dunque con precisione l’iter formativo del cristiano, a partire dalla lettura della Bibbia. Cassiodoro esprime infatti il suo rammarico (dolor) nel constatare l’assenza di maestri che insegnino a leggere e comprendere le Scritture. Dopo aver tentato di creare a Roma una scuola pubblica, in cui i cristiani potessero apprendere tanto l’esegesi del Testo Sacro quanto le altre competenze provenienti dalla tradizione greco-romana, e arresosi all’evidenza che la guerra greco-gotica non permette lo svolgere sereno di attività pacifiche (res pacis) quali lo studio, decide di comporre le Institutiones come un maestro (ad vicem magistri).
La conoscenza del Testo Sacro appare a Cassiodoro come un innalzamento dell’animo umano (ascensio), una progressione, descritta con ordine nel primo libro delle Institutiones, attraverso 33 capitoli, evidentemente conformi, come indica lo stesso Cassiodoro, al numero degli anni di Cristo. Nei primi nove libri della prima parte, vengono descritte le varie sezioni del Testo Sacro; esso non è immediatamente intelligibile ma, come descrive Cassiodoro nel capitolo decimo, va analizzato percorrendo diversi livelli di comprensione della verità.
È dunque necessario partire da una introductio, affidata agli autori che facilitano un primo accostamento alle Scritture (ne è un esempio l’Agostino del De doctrina christiana); è poi utile studiare tanto gli expositores, vale a dire gli autori che hanno reso comprensibili i più densi misteri del Testo Sacro, quanto quelli che hanno affrontato singoli problemi (quaestiones). Infine, sono proficui per lo studioso i repertori di citazioni bibliche e il confronto con i più sapienti tra gli anziani (peritissimi seniores), al fine di rapportare uno studio giovanile alle testimonianze di una lunga esperienza di fede. Cassiodoro dedica la parte conclusiva del primo libro, infine, a illustrare alcuni precetti strettamente pratici che indicano il valore prettamente funzionale delle Institutiones. Lo studio si avvale infatti anche di espedienti tecnici, e dunque Cassiodoro non manca di ricordare ai suoi confratelli, una volta decantati i pregi di Vivarium, luogo di studio ideale perché ricco di orti e affiancato da un fiume pescoso, di impegnarsi con rigore e precisione nella riproduzione dei manoscritti. A tal fine, continua il fondatore del monastero, ai copisti non deve mancare nulla: manuali di ortografia, operai specializzati nella rilegatura, lucerne per il lavoro notturno e un orologio che permetta la misurazione delle ore, invenzione questa tra le più utili per il genere umano (horarum moduli, qui ad magnas utilitates humani generis noscuntur inventi).
Il primo libro, che dunque tratta cosa e come debba studiare il monaco e, in generale, il cristiano, non può che concludersi ricordando i doveri che il credente deve sempre rispettare, al di là della propria erudizione: l’obbedienza al superiore (praeceptor), la carità nei confronti dei limitanei il monastero, e la gratitudine per chi ha raccolto in un’opera sola gli insegnamenti derivanti da testi così sparsi, studiando e approfondendo i temi contenuti nel Testo Sacro.
Come la divisione in 33 capitoli del primo libro imita la perfezione degli anni della vita terrena di Cristo, così il secondo libro delle Institutiones consta di sette capitoli, tanti quante sono le artes liberali che si propone di illustrare; grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, musica, geometria e astronomia, descritte nei loro caratteri più generali, rientrano così pienamente nel complesso di competenze utili alla formazione del vero cristiano. Le diverse discipline, brevemente illustrate, emergono nel testo come strumenti utili alla conoscenza della verità; esse hanno infatti regole proprie, il cui rispetto permette di onorare, nel migliore dei modi, il più complesso ordinamento razionale dell’universo voluto da Dio. Le Institutiones di Cassiodoro mostrano dunque, con grande efficacia, i due aspetti dell’enciclopedismo altomedievale: da un lato, la finalità pratica che induce alla stesura di opere utili allo studio; dall’altro, il contesto di cultura religiosa (e, nella fattispecie, monastica) che, nell’Europa divisa dai regni barbarici, rimane l’unico elemento interculturale in vista della cui preservazione dar vita a opere così ampie e, spesso, poco approfondite.
La presenza, nella seconda parte delle Institutiones, di uno studio dettagliato delle sette arti liberali (grammatica, dialettica, retorica, corrispondenti al trivium, e aritmetica, geometria, musica e astronomia, corrispondenti al quadrivium), evidenzia il ruolo rivestito da queste discipline nel lento passaggio dalla cultura pagana alla sapienza cristiana, perché in esse è possibile rintracciare un elemento di commistione tra le nuove esigenze di una educazione cristiana e l’antica, stabile normatività dei saperi classici.
La tradizione delle artes risale, infatti, già al IV secolo a.C., periodo nel quale tali discipline trovano una prima sistematizzazione, e vengono distinte anche in base alle diverse metodologie adottate da ciascuna di esse. La progressiva istituzionalizzazione di questa tradizione è testimoniata, tra il III e il II secolo a.C., dalla pubblicazione di veri e propri manuali di grammatica (come quello composto da Dionisio Trace), di aritmetica ( Introductio arithmetica di Nicomaco di Gerasa) o di geometria (gli Elementa di Euclide). La prima analisi complessiva dell’intero corpus delle arti liberali si deve però, in ambito latino, a un contemporaneo di Cicerone, Marco Terenzio Varrone, che nei Disciplinarum libri IX fornisce una descrizione complessiva delle arti, ampliandone il numero a nove, con l’aggiunta di medicina e architettura, nell’ottica di quella funzionalità pratica del sapere che conduce lo stesso Cicerone a suggerire l’aggiunta dello studio del diritto. Solo nel I secolo a.C. la quantità e la divisione delle discipline divengono stabili. In ambito cristiano, le artes, dopo una iniziale diffidenza, della quale è facile trovare eco anche nelle opere di Agostino, vengono accolte a pieno titolo, mediate dalla presenza diffusa di diversi testi di tenore manualistico.
Tra queste opere spicca un testo composto un secolo prima delle Institutiones, Le nozze di Filologia e Mercurio (De nuptiis Philologiae et Mercurii); conosciuto anche da Cassiodoro (che ne lamenta l’assenza dalla biblioteca di Vivarium), il De nuptiis è redatto da Marziano Capella, autore pagano vissuto a Cartagine. L’opera, che costituisce un esempio di enciclopedismo altomedievale non cristiano, presenta nove libri in prosa con frequenti parentesi in metro, e ripropone alla latinità medievale il patrimonio delle artes liberali riorganizzato nel I secolo a.C. da Varrone, oggi perduti. Rispetto alla partizione varroniana, che prevedeva anche lo studio della medicina e dell’architettura, il De nuptiis descrive le sette artes che, un secolo più tardi, Cassiodoro illustrerà nel secondo libro delle Istitutiones. Il testo di Marziano appare profondamente diverso da quello di Cassiodoro; non solo infatti è limitato esclusivamente allo studio delle artes ma, in virtù della formazione pagana dell’autore, è narrato in una cornice letteraria profana. Nei primi due libri dell’opera, infatti, si narra di Mercurio che, in cerca di moglie, decide, dietro consiglio di Apollo, di sposare Filologia, la figlia della Saggezza. Giunta al senato degli dèi, Filologia incontra Mercurio, seguito da uno stuolo di personaggi illustri, da Eraclito ad Aristotele, da Platone a Orfeo, e riceve in dono dal suo futuro sposo sette ancelle, vale a dire le artes. Nei restanti sette libri del De nuptiis, dunque, Marziano presenta le sette discipline, ciascuna con una sua precisa simbologia: l’aspetto, i vestiti, l’incedere, le parole o gli atteggiamenti di ciascuna di esse ne indica, nella descrizione mitologica, i tratti caratteristici. Così, la grammatica porta con sé la cera utilizzata per le tavolette scrittorie, mentre la dialettica si presenta pronunciando espressioni incomprensibili ai più perché provenienti dal suo specifico lessico. Il De nuptiis si presenta dunque profondamente diverso, nella forma e nelle intenzioni, dalle Institutiones di Cassiodoro, con le quali non condivide né le motivazioni della composizione, né la forma letteraria.
Il testo ha grande fortuna, testimoniando per un verso l’esigenza di una manualistica di base, tanto necessaria da esser accolta nel programma di studi anche se di origine pagana; per l’altro, rivela spiccate competenze degli intellettuali più colti, capaci di districarsi all’interno di un testo, come quello di Marziano, che presenta i problemi legati alle sette arti liberali in una stringatissima silloge, elencandone semplicemente le caratteristiche, in un linguaggio spesso ostico e non immediatamente intelligibile. La tradizione dello studio delle artes, inaugurata da Agostino, proseguita da Cassiodoro, e fondantesi su modelli pagani come quello di Marziano Capella, ottiene, per tutto l’alto Medioevo, uno straordinario successo. In ambito carolingio, costituisce infatti l’ossatura della rinnovata paidéia cristiana promossa da Carlo Magno e dai suoi teologi di corte, e, attraverso l’opera illuminata di Giovanni Scoto e dei suoi esegeti migliori, giunge ai più raffinati rappresentanti della cultura del X e dell’XI secolo, come Gerberto d’Aurillac, Abbone di Fleury e, su tutti, Anselmo d’Aosta, che ne magnifica l’applicazione in tutte le sue opere teologiche.
Una più spiccata vicinanza al modello di Cassiodoro si rivela invece nella lettura delle Etymologiae di Isidoro, vescovo di Siviglia dal 600. Rispetto alle Institutiones, le Etymologiae, alle quali Isidoro lavora quasi ininterrottamente negli ultimi venti anni di vita, non si limitano alla distinzione tra sapienza scritturale e conoscenze liberali, ma si estendono ai più diversi ambiti del sapere, utilizzando come unico criterio di classificazione la ricerca dell’origine etimologica dei termini analizzati, nella convinzione che, una volta conosciuta la causa (origo) che ha generato un nome e l’idea che è a fondamento della sua costituzione (etymologia), si possa coglierne in modo più appropriato il significato. A tal fine, Isidoro dichiara di aver raccolto e scritto secondo lo stile degli antichi quanto è rimasto nella sua memoria (recordatio) delle letture di tutti i testi che, nella sua formazione, ha avuto modo di consultare. L’opera si presenta dunque come un complesso incrocio di fonti pagane (Plinio, Varrone, Marziano Capella, Lucrezio, Gellio) e cristiane (Lattanzio, Ambrogio, Agostino, Girolamo, Cassiodoro), e senza un intento dichiaratamente pedagogico, così evidente invece nelle Institutiones; nelle Etymologiae non è infatti possibile individuare i tratti di una manualistica utile alla formazione del cristiano; la mole delle informazioni riportate le rende infatti un repertorio, che a volte si riduce alla semplice elencazione di tutte le fonti e i frammenti che l’autore ha raccolto su uno specifico argomento. Esse dunque facilitano la ricerca di informazioni per chi ha già competenze più generali, e ritrova, nelle pagine di Isidoro, riferimenti e citazioni già raccolte e sistematizzate.
La descrizione della struttura stessa dell’opera appare complessa. I primi quattro libri sono dedicati alle arti liberali e alla medicina; il quinto alle leggi; sesto, settimo e ottavo ad argomenti religiosi: le Scritture, Dio e gli angeli, la Chiesa; i libri ottavo e nono si soffermano invece su problemi linguistici (le lingue in generale e l’etimologia dei termini). La seconda metà dell’opera è dedicata essenzialmente al mondo sensibile, a partire dall’uomo, dalla terra, dalle costruzioni, sino a giungere a descrivere ciò che riguarda la guerra e i giochi. In tale suddivisione, le Etymologiae rivelano con chiarezza l’intento di Isidoro di analizzare tutti gli ambiti non solo dello scibile, ma anche del comune vivere, per offrire un quadro completo e complessivo della realtà. Opera certo di erudizione ma anche preziosissima testimonianza della cultura e della formazione dell’epoca, le Etymologiae rivelano uno degli aspetti fondanti dell’enciclopedismo altomedievale; se infatti Cassiodoro evidenzia l’aspetto pedagogico di questo genere, e Marziano quello letterario, Isidoro offre uno dei primi esempi di opera di supporto allo studio, antesignana dei repertori di definizioni e informazioni che, per lunga parte della cultura occidentale, costituiscono una tra le più utili e sfruttate fonti di conoscenza.