Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Alla fine del Medioevo, mentre comincia a delinearsi una tendenza all’accentramento nella politica, tende anche a generalizzarsi la disapprovazione del ceto colto per alcuni costumi che vengono ora considerati volgari, per una religiosità giudicata troppo vicina al mondo materiale e per quelle manifestazioni corali in cui si rinsalda la compagine sociale e a tutti i partecipanti è permesso esprimere l’assenso o il dissenso verso l’esercizio dei diversi poteri.
La cultura dei dotti
Una profonda volontà di rinnovamento spirituale, insieme a motivazioni politiche e sociali, è alla base della Riforma protestante che modifica in modo radicale gli atteggiamenti mentali non solo dei gruppi ristretti entro cui matura, ma, molto presto, anche di larghe fasce della popolazione della Germania e dell’Europa centro-settentrionale.
L’insegnamento di Lutero, Calvino, Zwingli è fondato su un forte credo interiore e sul ruolo prevalente della parola scritta sull’immagine che contrasta con la materialità della religiosità popolare. I capi protestanti sanno interpretare il malcontento diffuso nei diversi ceti, soprattutto rispetto alla Chiesa di Roma e alla struttura ecclesiastica, tuttavia non raccolgono né le istanze popolari di giustizia sociale che rivendicano uguaglianza, né quelle degli umanisti che, dal canto loro, sebbene chiusi in una dimensione aristocratica, introducono il concetto di tolleranza. Al contrario la nuova confessione, nei suoi molteplici indirizzi, si orienta verso un progressivo irrigidimento nella dottrina e nella pratica, verso il controllo dell’ortodossia attraverso le visite alle parrocchie e il sistematico rifiuto delle vecchie forme religiose, tacciate in blocco di paganesimo. La stessa accusa di paganesimo è peraltro utilizzata dalle gerarchie cattoliche della Controriforma, impegnate a reprimere sia i movimenti ereticali, espressione di quell’esigenza di comunione mistica con Dio che è anche alla base della Riforma, sia le vere e proprie adesioni al protestantesimo, sia infine un modo di essere cristiani apparso fino ad allora congruente con l’insegnamento di Cristo che ora viene considerato troppo aderente alle esigenze umane per rispondere al desiderio di centralizzazione e di difesa della Chiesa di Roma. Un sistema articolato fatto di istruzione – dalle scuole di dottrina cristiana ai collegi gesuitici per i nobili –, di indottrinamento attraverso le missioni urbane e rurali, di regolamentazione dei culti e dei riti, di dominio delle coscienze per mezzo della predicazione, della confessione e dell’Inquisizione, insieme al rafforzamento della struttura gerarchica del clero e all’instaurazione di un efficace sistema di comunicazione e di controllo fra centro e periferia, tende a una modificazione della scala dei valori e dei comportamenti del clero stesso e dei fedeli. La penetrazione capillare dei nuovi modelli è facilitata inoltre dalla diffusione di confraternite, monti di pietà, ospedali, conservatori, dove l’attività religiosa è strettamente legata agli interessi laici e all’offerta di servizi di assistenza indispensabili alla società. Contemporaneamente la Chiesa di Roma insiste sia sulla dimensione consolatoria della religione, sul bisogno di protezione dei fedeli dalle avversità della vita, sia sulla sollecitazione di un senso del peccato e di un sentimento di appartenenza a una comunità chiusa che invita a eliminare come colpevoli delle tensioni sociali i nemici della cristianità.
Ma non è solo la cultura religiosa a imprimere una svolta agli atteggiamenti mentali degli uomini del Cinquecento. Una serie di trasformazioni nel mondo della politica e in tutta la società contribuiscono alla separazione fra cultura dotta e cultura popolare. Con la tendenza all’accentramento statale si diffonde per esempio una maggiore uniformità giuridica e, a discapito dei diversi usi consuetudinari, si allentano i rapporti clientelari a favore dei legami di dipendenza dal principe; la riorganizzazione amministrativa e militare finirà con l’imporre un modello di società gerarchico e autoritario.
D’altra parte, il maggiore ricorso al mercato, la nascita del capitalismo e la diffusione della stampa introducono elementi di rottura degli equilibri esistenti che si traducono in nuove fratture. Sebbene una vera rivoluzione nelle scienze si produca solo nel XVII secolo, anche in questo campo si avvia – ad esempio con la convinzione che l’uomo possa leggere nel libro della natura e sia anzi capace di apportarvi modifiche sostanziali – una nuova cesura fra chi guarda a un futuro manipolato dall’uomo e chi resta ancorato a una scala di valori fondata su principi immutabili.
Si verifica anche un cambiamento nello stile di vita dei ceti elevati: la ricercatezza dell’abbigliamento e dei gesti, l’autocontrollo e la spettacolarità delle cerimonie, sottolineano la crescente articolazione della società, le competizioni, le alleanze, le fedeltà e, soprattutto, il solco che si scava fra una élite di attori, artefici dei mutamenti in atto, e la folla degli spettatori.
Benché spesso in conflitto fra loro, le autorità civili e quelle religiose finiranno con il collaborare nel sottrarre al popolo gli spazi in cui esso celebra riti e culti mal controllati, per esempio nei processi di stregoneria, o nelle esecuzioni capitali, quando le confraternite che si occupano dell’assistenza ai condannati a morte si fanno carico di giustificare il castigo agli occhi della vittima e a quelli della società, rimandando il riscatto del colpevole al regno ultraterreno, e sottraggono il tempo tradizionalmente offerto al condannato per esprimere le sue ultime opinioni.
La cultura popolare
Il risultato sarà l’inizio di un processo di emarginazione dei ceti popolari cui verranno sempre più attribuite una serie di caratteristiche negative, dalla stupidità all’instabilità emotiva, alla volgarità, fino all’oscenità. “Indiani d’Europa” sono per la Chiesa di Roma coloro che non comprendono il nuovo corso religioso. Sarà lentamente eliminato – e non solo nell’area cattolica – un intero sistema di credenze e di pratiche, come quelle magiche e propiziatorie, di comportamenti quotidiani, balli, spettacoli, commedie, giochi. Anche la tradizionale scansione del tempo verrà rimisurata sulla liturgia della Chiesa e sugli eventi dinastici; e lo stesso immaginario verrà condizionato, cancellando, ad esempio, dai muri dei luoghi di culto raffigurazioni giudicate sconvenienti. Intanto le autorità civili e gli aristocratici si accollano l’onere delle feste nelle strade e nelle piazze per esaltare il proprio potere e raccogliere il consenso popolare, mentre imponenti macchine (come quelle per l’esposizione delle Quarantore nelle parrocchie cattoliche), allestimenti effimeri per le entrate trionfali e catafalchi funebri che celebrano la potenza dei casati e della Chiesa, inducono il popolo a diventarne spettatore attonito.
Ma questo sforzo per cambiare i valori e i comportamenti del popolo, per modificare immagini, visioni, costumi, senso del miracoloso e della giustizia, sollecita spesso resistenze, a volte esplicite. Ne sono espressione non solo sommosse e proteste episodiche contro le autorità civili o religiose, ma anche atteggiamenti significativi, anche se poco eclatanti, come il rifiuto della confessione e la preferenza accordata all’osteria rispetto alla chiesa, oppure agli oratori e agli eremi più lontani dal controllo delle gerarchie ecclesiastiche rispetto alla parrocchia; così come l’attaccamento ai santi locali e al loro potere taumaturgico di contro ai modelli di santità obbediente offerti dalla Chiesa tridentina. Altre volte, invece, le popolazioni reinterpretano le suggestioni e le imposizioni adeguandole alle proprie esigenze. Basti pensare al potere magico attribuito alle preghiere e alla pratica sacramentale o al presenziare alla messa, considerata spesso come occasione di identificazione di gruppo più che come momento liturgico.
Inoltre la pratica religiosa, benché largamente seguita, non sempre è indice di un’adesione convinta alle norme della Chiesa; spesso indica soltanto un conformismo scelto o subito. Lo stesso può dirsi del resto per l’accettazione di molte norme civili. Resta aperto il problema di misurare l’incidenza effettiva delle norme sui comportamenti, e ancor più sulle convinzioni. È certo comunque che ciò che conta per la gran parte del popolo è soprattutto la ricchezza dei raccolti, la capacità generativa degli uomini, la fertilità delle donne, le condizioni meteorologiche, la protezione dalle malattie, piuttosto che l’obbedienza alle imposizioni civili ed ecclesiastiche, espressione di interessi estranei alle comunità. Si vanno così delineando una spaccatura fra ceti dirigenti e non, e una divaricazione fra le convinzioni private e quelle manifestate, fratture destinate a protrarsi a lungo e ad avere conseguenze di rilievo in Europa.
La diversa intensità delle resistenze rende disomogenea la penetrazione dei nuovi modelli. È per questo che si approfondiranno una serie di fratture fra i ministri del culto, investiti di nuovi compiti, e la comunità in cui sono chiamati a intervenire; fra l’alto e il basso clero che, contrariamente alle alte gerarchie, condivide le esigenze e gli affanni dei fedeli e rimane più legato a vecchi schemi religiosi; fra gli abitanti delle città, dove le maglie dell’organizzazione civile ed ecclesiastica sono più fitte, e quelli delle campagne; fra i ceti elevati e il popolo minuto più legato alle pratiche tradizionali; fra gli uomini e le donne, più esposte all’influenza della Chiesa anche per l’interesse che suscitano in quanto educatrici e mogli. Il quadro si complica ancora se si considera che nei fatti gli alti prelati e i laici colti sono spesso più vicini di quanto siano disposti ad ammettere a quella plebe che intendono correggere.
Tutto ciò ha indotto a domandarsi dove si deve collocare la linea di separazione fra la cultura dotta e la cultura popolare.
Ma cosa si intende per cultura popolare? La cultura prodotta dal popolo o per il popolo, cultura che costituisce una sopravvivenza di stadi primitivi, cultura contrapposta a quella d’élite? In questo ultimo caso si è parlato di una tradizione orale e una scritta, di cultura folklorica e cultura dotta, ufficiale e non ufficiale, delle classi subalterne e delle classi dominanti, dei vincitori e dei vinti, di una cultura bassa fondata su una materialità fonte di vita e di gioia di contro un’altra basata su un rigido intellettualismo. Ci si è anche chiesti quali rapporti intercorrano fra le due culture, se la cultura popolare sia solo il prodotto dell’imitazione dei valori di quella aristocratica o se esistano una contaminazione reciproca e uno scambio fra di esse: è stato notato che occorre considerare il loro diverso potere contrattuale e la sostanziale sconfitta della cultura popolare. Ancora, è stato posto il problema se i riti della cultura popolare siano strumenti di protesta o finiscano con il rafforzare l’organizzazione esistente della società. Si è anche sostenuto che la cultura popolare sia inconoscibile, visto che essa lascia poche tracce e si trasmette oralmente e attraverso immagini e comportamenti. Sono stati quindi analizzati miti, riti, credenze, leggende, pratiche cerimoniali, parodie, mentalità, l’immaginario e la cultura materiale, i meccanismi di trasgressione, di inversione e di protesta, gli indizi che traspaiono dai silenzi e dalle incertezze degli inquisiti nelle risposte fornite a giudici e confessori.
Ne è emersa una notevole difficoltà di tracciare i confini della cultura popolare. Solo considerando la compresenza di diversi ordini di pensiero nell’universo mentale degli uomini del tempo si può parlare di una divaricazione fra cultura dotta e cultura popolare. E occorrerebbe inoltre considerare la larga accettazione dei nuovi modelli da parte dei ceti popolari, sul cui sfondo va collocata questa conflittualità per comprendere la dinamica nella sua interezza. Bisogna quindi essere disposti a variare i confini della cultura popolare a seconda dell’angolo da cui si considera il problema e soprattutto a partire da ciò che di volta in volta sia stato considerato come popolare: basti pensare a quanto può essere incerta la linea che separa la religione dalla superstizione, fondata come è su convinzioni più che su fatti incontrovertibili. La cultura popolare costituisce, in conclusione, un oggetto di studio mobile, ma non per questo meno concreto, e una categoria difficilmente sostituibile, capace di rendere conto di una realtà multiforme.