CULTURA POPOLARE.
– Il dibattito in Italia e i Cultural studies. Le nuove forme di diffusione della cultura popolare. Bibliografia
Il dibattito in Italia e i Cultural studies. – In Italia il dibattito intorno alla c. p. si è sviluppato soprattutto nell’ambito degli studi demologici e di tradizioni popolari, dove è stato influenzato negli anni 1949-50 dal pensiero di Antonio Gramsci. La pubblicazione nei Quaderni dal carcere delle Osservazioni sul folclore, ha infatti segnato il passaggio da una concezione del folclore di stampo romantico, a una concezione marxista di classe, connessa alle condizioni socioeconomiche dei ceti rurali, la quale ha dato l’avvio a una stagione di studi demologici sulla c. p. entro i temi del meridionalismo. Nell’accezione gramsciana la c. p. (folclore) definisce un insieme di elementi culturali (di natura magico-religiosa, morale, espressiva ecc.) dotati di una propria specificità socioculturale, che si pongono in una relazione di subalternità con la cultura colta propria dei ceti dominanti. Questa accezione della c. p. è stata ripresa tra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento dai più importanti demologi ed etnologi italiani, come Ernesto De Martino (De Martino 1949), Alberto Cirese (Cirese 1971; cfr. Dei 2002), Alfonso Maria di Nola e molti altri, anche in connessione con il movimento del folk revival, caratterizzato dalla riscoperta della c. p. (nei fenomeni musicali, festivi, di tradizione orale ecc.), come ambiti di espressione controculturale e oppositivi sia nei confronti della cultura borghese ‘colta’, che di quella di massa, ritenuta conformista e omologante.
A partire dagli anni Settanta, con le profonde trasformazioni economiche e sociali e l’invasione della cultura di massa la c. p. (o subalterna) ha cessato di corrispondere a differenze di classe (la cultura contadina, agropastorale ecc.) e a una sfera autonoma di produzione culturale, ed è stata progressivamente riletta entro specifiche modalità di consumo della cultura di massa. È la prospettiva introdotta dai Cultural studies di derivazione anglosassone, dove la nozione di popolare (popular) recupera la concezione gramsciana di egemonia/subalternità, ma più che definire una cultura socialmente subalterna al potere egemone, definisce specifiche modalità oppositive di consumo dei prodotti di massa (Dei 2002, p. 77; Fiske 1989). In questa prospettiva il popolare ci avvicina a determinate tipologie, socialmente subalterne, di consumatori, o di pubblico (audience), intesi tuttavia, non come ricettori passivi, ma come attivi agenti di interpretazione e di resistenza popolare. Televisione e subculture giovanili diventano luogo centrale della riflessione dei Cultural studies. Dallo studio etnografico, per es., relativo all’uso dei programmi televisivi di massa, come le soap operas, emerge un pubblico non totalmente passivo, come le precedenti letture critiche avevano voluto mostrare. La fruizione dei programmi televisivi appare essere al contrario selettiva, capace di letture ironiche e creative, nonché autonomamente integrata alla vita quotidiana dell’individuo che vi ravvisa elementi del proprio vissuto e li elabora anche in base al suo background sociale e culturale (Moores 1993). Lo stesso si può dire delle sub-culture giovanili, che nei precedenti studi sociologici erano state lette solo in termini di devianza e di criminalità. Le mode musicali, i modi di vestire e gli specifici comportamenti pubblici, trasgressivi e identitari, come quelli espressi dalla beat generation, fino al dark e oltre, passando per i movimenti mods, psichedelici, punk, skinheads, rasta, hip hop e altro, pur essendo tutti dipendenti dal mercato e dall’industria culturale, rappresentano pratiche subculturali di rielaborazione autonoma e creativa, espressione di differenziazione sociale e di ‘resistenza’ antiegemonica che definiscono le nuove forme della c. p. degli anni più recenti (Resistance through rituals, 1975).
Le nuove forme di diffusione della cultura popolare. – Più di recente, il dibattito antropologico ha individuato specifici fenomeni culturali dentro la cultura di massa, in cui la c. p. (folclorica) si sarebbe ‘trasfigurata’, riemergendo in forme diverse rispetto al passato, ma mantenendo una dimensione ‘altra’ e subalterna alle forme elitarie, come vediamo per es. nella narrativa popolare di tradizione orale, nei fenomeni rituali e nelle forme della socialità e della comunicazione, oggi intesi come prodotti culturali del presente, al centro di processi identitari connessi con i flussi globali e con la comunicazione mediatica digitale.
La narrativa popolare, per es., rappresentata da poesia, fiabe e proverbi, che in passato costituiva un momento espressivo della c. p. folclorica, oggi non appartiene più solo ad ambiti ‘locali’ di socialità, ma circola e viene rielaborata nei media e in rete. Il genere della barzelletta si è conquistato uno spazio di rilievo sia nelle trasmissioni televisive sia nei siti web, dove prescinde da luoghi, genere e collocazioni politiche, ma da qui ritorna alla vita sociale nel momento in cui essa viene ri-narrata rientrando in una trama di relazione interpersonali (Oltre il folklore, 2001). Considerazioni analoghe possono essere fatte per la poesia estemporanea in ottava rima (Meloni 2009), che vive oggi nell’Italia centrale una stagione di ripresa entro forme di diffusione non più legate alla socialità quotidiana, ma formalizzate in festival e raduni che hanno visto anche la partecipazione di artisti come Francesco Guccini o Roberto Benigni. Mentre le leggende popolari, con i loro schemi narrativi e varianti, sembrano oggi ritornare nella forma delle cosiddette leggende metropolitane, storie spesso trasmesse dalle generazioni più giovani e ambientate in luoghi potenzialmente pericolosi, come ospedali, supermercati, università, con i temi classici, come quello degli amanti ‘incastrati’, del rapimento dei bambini da parte degli zingari, dell’espianto di organi e di donne adescatrici, dove appare sempre un eroe sfortunato e un suo antagonista (Bonato 1998).
Anche un altro ambito classico degli studi antropologici come la magia, tradizionalmente attribuita ai cosiddetti popoli primitivi o al modo popolare contadino, appare oggi ‘trasfigurata’ nella cultura di massa, come dimostra la fitta presenza di maghi in televisione, i quali instaurano con il loro pubblico di consumatori, specifiche strategie comunicative non riconducibili a semplici forme di ‘inautenticità’ o di ‘inganno’ (Dei 2009). Lo stesso può dirsi delle feste popolari tradizionali legate al calendario agricolo o alla devozione popolare, che oggi sempre più si iscrivono entro forme di comunicazione mediatica e di visibilità legata alla rete (v. festa popolare). Ma nuove feste ‘popolari’ sono state e vengono inventate, come nel caso delle cosiddette feste neomedievali, sempre più presenti nell’Italia centrosettentrionale, o le sagre, oggi capillarmente diffuse nella penisola e luogo di nuova socialità legata al consumo del ‘prodotto tipico’ locale.
Da questo punto di vista particolarmente rilevante appare la nozione di ‘patrimonio’, che ha progressivamente investito e trasformato la concezione demologica di cultura popolare. Fenomeni culturali, materiali e immateriali, espressione della vita dei ceti contadini e agropastorali come i fenomeni festivi, i saperi naturalistici locali, le espressioni musicali e coreutiche tradizionali o di tradizione orale, sono andati incontro negli ultimi anni a un processo di patrimonializzazione, a livello sia locale sia nazionale, che ha portato a un loro riconoscimento come beni culturali (v. beni culturali: Beni culturali immateriali). Tale processo è oggi visibile non solo nelle locali politiche del patrimonio culturale, nella museografia etnografica e nella vitalità che caratterizza numerosi ambiti di riproposta di fenomeni popolari, ma anche a livello legislativo nella nozione di «beni demoetnoantropologici», così come definiti dall’attuale Codice dei beni culturali e del paesaggio (Clemente, Candeloro 2000; Bravo, Tucci 2006). Un ambito di riconoscimento che ha investito anche la scena internazionale con la nozione di «patrimonio culturale immateriale» introdotta nel 2003 dall’UNESCO con la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (Il patrimonio culturale immateriale secondo l’UNESCO, 2008). Entro questa cornice patrimoniale la c. p. diventa non solo fenomeno socialmente trasversale, ma anche luogo forte di politiche culturali, locali e nazionali, che guardano alla valorizzazione di questi beni in vista di uno sviluppo locale legato al turismo di area. In Italia, a partire dal 2001, diversi fenomeni tradizionalmente appartenenti alla c. p. sono stati riconosciuti dall’UNESCO, soprattutto alcune feste tradizionali, come la festa dei Gigli di Nola, la festa di santa Rosa di Viterbo, la Varia di Palmi e i Candelieri di Sassari, ma anche forme di teatro popolare, come il teatro dei pupi siciliani, o espressioni musicali, come il canto a tenore sardo.
Bibliografia: E. De Martino, Intorno a una storia del mondo popolare subalterno, «Società», 1949, 3, pp. 411-35; A. Gramsci, Osservazioni sul folclore, in Letteratura e vita nazionale, Torino 1950, pp. 215-21; A.M. Cirese, Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale, Palermo 1971; Resistance through rituals. Youth subcultures in postwar Britain, ed. S. Hall, T. Jefferson, London-New York 1975; J. Fiske, Understanding popular culture, London-New York 1989; S. Moores, Interpreting audiences. The ethnography of media consumption, London 1993 (trad. it. Il consumo dei media. Un approccio etnografico, Bologna 1998); L. Bonato, Trapianti, sesso, angosce: leggende metropolitane in Italia, Roma 1998; P. Clemente, I. Candeloro, I beni culturali demo-etno-antropologici, in Manuale dei beni culturali, a cura di N. Assini, P. Francalacci, Padova 2000, pp. 191-220; Oltre il folklore. Tradizioni popolari e antropologia nella società contemporanea, a cura di P. Clemente, F. Mugnaini, Roma 2001; F. Dei, Beethoven e le mondine. Ripensare la cultura popolare, Roma 2002; G.L. Bravo, R. Tucci, I beni culturali demoetnoantropologici, Roma 2006; Il patrimonio culturale immateriale secondo l’UNESCO: analisi e prospettive, a cura di C. Bortolotto, Roma 2008; F. Dei, I maghi televisivi. Analisi descrittiva ed alcune suggestioni interpretative, 2009, http://www.fareantropologia.it/sitoweb/index.php?option=com_content&view=article&id=99:i-maghi-televisivi-analisi-descrittiva-edalcune-suggestioni-interpretative&catid=54:cultura-popolare-ecultura-di-massa&Itemid=67 (13 maggio 2015); P. Meloni, Poeti estemporanei e cultura di massa, in L’albicocco e la rigaglia. Un ritratto del poeta Realdo Tonti, a cura di P. Clemente, A. Fanelli, Iesa 2009, pp. 255-74.