Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’ Encyclopédie definisce cosmopolitain il cittadino dell’universo, colui che per definizione non è straniero in alcun luogo poiché antepone il genere umano alla sua patria, alla sua famiglia e a se stesso. La figura del cosmopolita non si sovrappone necessariamente a quella del viaggiatore, perché il sentirsi cittadino del mondo è un atto intellettuale che accomuna uomini di diverse latitudini nella partecipazione alla cultura dei Lumi.
Le élite e le riforme
Pochi decenni prima che il mito ottocentesco dell’identità nazionale di storia e cultura susciti i moti cospirativi delle società segrete e dei nuovi nazionalismi antiasburgici, è attivo in Europa il progetto riformatore degli illuministi. Tale progetto si diffonde – da San Pietroburgo a Berlino, da Parigi a Londra, da Vienna a Milano, da Amsterdam a Venezia – come riforma civile fondata sui principi del giusnaturalismo e come rinnovata concezione della politica ispirata al dibattito in corso da molti anni nei libri dei philosophes. È questo il secolo dell’ Antimachiavel di Federico II di Prussia sotto le cui insegne illuminate sembrano militare anche Giuseppe II d’Asburgo e Gustavo III di Svezia, e in diversa misura Caterina II di Russia, la Semiramide del nord.
Fra riforme e Realpolitik, questi sovrani illuministi sono potenti fautori delle élites europee rappresentate a Berlino dalla presenza di Voltaire, D’Argens, Francesco Algarotti e Julien Ottray de La Mettrie, ma sono anche capi di eserciti che talvolta non fanno difficoltà a dividere, sul piano militare, quell’Europa riunita dalle idee dei Lumi nel dibattito civile di un’antica polis.
Così mentre la Polonia viene divisa dalle potenze confinanti, le riflessioni di Cesare Beccaria in Dei delitti e delle pene servono a Caterina II per scrivere il suo Nakaz, sintesi dei principi giuridici del nuovo ordinamento russo. Tra tutte queste difficoltà, il pensiero riformatore, sottoposto all’egemonia dell’Illuminismo francese e alle resistenze delle politiche nazionali degli Stati, si diffonde in Europa grazie all’intensa attività di uomini cosmopoliti. Questi stabiliscono fra di loro profonde relazioni epistolari e personali, nei viaggi per tutta l’Europa, inoltre trasformano in realtà le letture svolte nelle loro biblioteche. Dalle Accademie ai Clubs, dai caffè alle logge massoniche le affermazioni di John Locke, David Hume, Denis Diderot e Voltaire divengono l’occasione per costituire le premesse di un movimento politico, che a tratti sembra dominare la politica dei governi europei.
Negli anni in cui gli Stati europei reprimono l’attività apologetica dei Gesuiti, del resto molto presenti nel panorama culturale europeo, le logge massoniche propongono una sorta di esoterismo illuminato giovandosi degli antichi rituali delle corporazioni dei liberi muratori. Questo esoterismo illuminato conquista, dunque, il cuore delle corti europee ottenendo la stessa affiliazione dei sovrani, come accade per Giuseppe II d’Asburgo, o proponendosi nella dimensione cripto-pedagogica degli Illuminati di Baviera attivissimi a Coira e Poschiavo nell’editoria dei libri “proibiti”.
Cosmopolitismo e avventura: Carlo Antonio Pilati
Non è poi del tutto possibile separare nel cosmopolitismo settecentesco l’aspetto politico da quello avventuroso, perché le circostanze di una vita au gré du vent possono riguardare tanto gli intellettuali invisi ai governi dell’ ancien régime quanto i libertini. Nei segreti ranghi della massoneria confluiscono anche Giacomo Casanova e Giuseppe Balsamo, detto conte di Cagliostro con lo scopo di procurare un nobile palcoscenico all’oscura condizione di nascita. Il fortunato picaro che nel 1756 fugge dai Piombi di Venezia è già un libero muratore per il quale si aprono i salotti francesi e le corti europee dove recita, fra le molteplici parti, anche quella di ambasciatore itinerante della massoneria. Allo stesso modo, Cagliostro fondando a Lione la Saggesse triomphante – una loggia massonica di rito egiziano – trova la possibilità d’accesso a quel mondo aristocratico che lo aveva fino ad allora del tutto trascurato e paradossalmente la protezione della Chiesa mediante il sostegno dell’influente cardinale de Rohan.
Collocandosi al polo opposto dell’esoterismo alchemico di Cagliostro, Carlo Antonio Pilati, anche lui massone, incarna nella sua errabonda esistenza fra le capitali d’Europa il prototipo di un pensatore il cui itinerario avventuroso non è tanto il frutto di una scelta mondana quanto quello delle ostilità incontrate dai suoi audaci progetti di riforma civile.
Originario della Val di Non, formato nelle università di Lipsia e Gottinga, dove peraltro insegna, Pilati è autore Di una riforma d’Italia – trattato di legislazione anticlericale – nel quale avversa l’egemonia in Italia della Chiesa cattolica sulle leggi e i costumi della società civile. Iniziato alla massoneria presso le università tedesche, Carlo Antonio Pilati appare assai vicino agli Illuminati di Baviera, partecipando all’attività editoriale di Coira e Poschiavo, dove tra l’altro vengono stampate, insieme alle opere dello stesso autore, Le più necessarie cognizioni pei fanciulli, un testo scolastico di natura aconfessionale. Nella sua attività di divulgatore delle idee illuministe e “illuminate” il filosofo della Val di Non comprende assai bene la necessità di un’editoria agguerrita per diffondere le idee apprese durante il periodo di formazione e di insegnamento presso le università tedesche. Costretto ad attraversare le Alpi per sfuggire in una rocambolesca fuga gli sbirri del vescovo elettore di Trento, una volta raggiunti in Europa la patria degli uomini liberi e il campo di osservazione della sua analisi politica, il Pilati scrive le ricche pagine epistolari dei Viaggi in diversi Paesi dell’Europa. In essi l’acuta osservazione del filosofo si unisce ai ricordi del viaggiatore, finché non affiora sulla pagina il ritratto del grande Federico II di Prussia, descritto diversamente da Casanova nella Storia della mia vita.
A Potsdam Pilati può discutere amabilmente con l’autore dell’ Antimachiavel e trarre le sue conclusioni sul “buon naturale” e sulla competenza del sovrano: “io ho parlato ad altri grandi principi che mi accolsero quasi con la stessa umanità, ma presso il re di Prussia ho goduto un vantaggio che non ho goduto e fu che io non mi trovai imbarazzato per la scelta delle cose, di cui doveva io parlargli”. Il libero pensatore, che a Trento rischia la prigione del vescovo, può però discorrere amabilmente con il sovrano di Prussia in nome di quel principio di riforma civile dal quale entrambi traggono gli spunti del loro anticlericalismo.
L’uno e l’altro fautori di uno Stato aconfessionale combattono la loro battaglia cosmopolita nella selezione dei ruoli, che assegna al Pilati le insegne di un radicalismo filosofico, da cui traggono alimento le sue opere più invise alla Chiesa come il Matrimonio di fra’ Giovanni e il Trattato sul matrimonio e sulla sua legislazione, e che fa del sovrano-filosofo il garante della convivenza di diverse confessioni religiose.
Cultura nazionale, culture straniere
L’emergere di una coscienza nazionale caratterizza il XVII secolo proprio nel momento in cui si incontrano la critica dei philosophes e le tradizioni monarchiche. Dal punto di vista burocratico, una nazione come la Francia rafforza la sua struttura statale portandola a identificarsi con la figura del sovrano. Si determina, dunque, un incremento della lingua e delle tradizioni francesi nei confronti del latino, che trova un corrispondente nella proposta italiana di un viaggiatore cosmopolita come Francesco Algarotti. Nel saggio intitolato Sopra la necessità di scrivere nella propria lingua la propagazione di idee moderne viene collegata all’urgenza di una lingua nuova per una conversazione “pulita, disinvolta e frizzante”. Dal momento che Inglesi e Francesi sono riusciti a modernizzare termini antichi, non si vede il perché gli Italiani restino legati ai “rancidumi” dell’arcaismo. Sull’esempio proposto da Bernard de Bovier Fontenelle, anche la filosofia dovrebbe poi diventare argomento di conversazione mondana, possibilmente scegliendosi come interlocutrice una rappresentante del gentil sesso.
Dietro alle idee che vengono dalla Francia si può anche scorgere l’ombra della contraddizione, come accade per i philosophes, che propongono un modello di uomo universale, capace di oltrepassare le barriere e i pregiudizi locali, ma allo stesso tempo non possono non interpretare i processi di civilizzazione partendo proprio dalla cultura francese. Se si cerca in una nazione vicina e tradizionalmente nemica lo specchio della perfezione, l’Inghilterra diventa la patria dei filosofi e dei poeti, da John Locke a Isaac Newton – esaltati nelle Lettere filosofiche di Voltaire – fino alla moda del primitivo, ritrovata in Shakespeare e in Ossian. Da1 776 al 1783 Pierre Letourneur traduce, aiutato da un’équipe, le opere di Shakespeare criticando il gusto francese e proponendo il termine romantique in opposizione a pittoresque. Parallelamente lo stesso Letourneur fornisce una versione in prosa di Ossian , dalla quale derivano le pitture di Gerard e Girodet per la Malmaison di Giuseppina Bonaparte: il vecchio bardo cieco rievoca al suono della sua arpa le anime degli eroi morti per la patria.
Sul modello francese che guarda all’Inghilterra, anche l’Italia di una generazione antiaccademica si rivolge alle altre nazioni quando vuole stabilire i caratteri di un cambiamento. Tra gli intellettuali del “Caffè”, Pietro Verri stende alcuni Pensieri sullo spirito della letteratura d’Italia dove viene diagnosticato il nuovo valore da dare all’espressione “uomo dotto” dopo le esperienze di Francis Bacon, Renato Cartesio e Galileo Galilei, veri innovatori della cultura europea. Per l’Italia si auspica ancora un rinnovamento della lingua che la liberi da rigidità precettistiche e non la riduca nella scrittura alla “rigidezza delle lingue morte”.
Le idee più puntuali sulla situazione italiana provengono però dall’esperienza di Algarotti, che in una lettera del 10 dicembre 1746 a Voltaire stende una diagnosi essenziale sull’arretratezza del proprio Paese. Le accademie, secondo l’enciclopedico viaggiatore, risentono dei danni della condizione politica; non può nascere infatti una vera cultura dove regnano “ignoranza, presunzione, frivolezza”. Solo le grandi capitali europee favoriscono quella ricca frequentazione adatta a una nuova cultura: “La vera Accademia è una capitale, dove i comodi della vita, i piaceri, la fortuna vi chiamino da ogni provincia il fiore di una grande nazione, dove 8 - 900 mila persone si elettrizzino insieme”.
Di riflesso a ciò che accade in Francia, anche in Italia si forma un sentimento nazionale: lo dimostra il gesuita Saverio Bettinelli che nel trattato Dell’entusiasmo delle belle arti lamenta la mancanza di una “metropoli”, di un “centro” verso cui graviti l’attenzione del Paese.
La consapevolezza politica può venire solo da un’organizzazione unitaria dello Stato, dai contatti fra i cittadini e gli uomini di cultura, dall’uso di una lingua adatta. Lo stesso tipo di ragionamento si trova nel Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze (1753) di Antonio Genovesi, che vede nel Paese un “semenzaio di nobili e grandi ingegni” ma non si verifica un atteggiamento positivo nei confronti delle nuove scienze di importazione straniera, affermando: “con tutti i nostri studi noi non abbiamo ancora fatto alle gentili ed utili scienze quell’onore ch’esse da noi dovevano e potevano aspettare”. Il mito illuminista del cosmopolitismo cede proprio di fronte alla disorganizzazione culturale e politica di un Paese che sembra importare senza creare in proprio.
L’allarme di Genovesi suona premonitore: “Ci desteremo noi giammai per raccogliere il vero e sodo frutto de’ nostri studi, o saremo sempre gli ultimi in Europa?”.