CUPOLA
. Una vòlta a padiglione, costruita su un poligono di un numero infinito di lati, oppure una superficie generata dalla rotazioné di una curva intorno a un asse verticale, definiscono, geometricamente, la cupola. Si dicono cupole anche quelle vòlte a padiglione che si basano su ottagoni o su poligoni di maggior numero di lati. La forma geometrica più semplice di cupola è quella della semisfera che si volge su una base cilindrica (fig. 1, a) ma si hanno vòlte sferiche inscritte entro basi poligonali (fig. 1, b), e in questo caso si determinano, nei triangoli misti che risultano, i pennacchi, secondo la denominazione architettonica, che nelle varie epoche e regioni dell'architettura prendono varia forma costruttiva. Se la base su cui si imposta la semisfera è un quadrato, si ha lo schema rappresentato nella fig.1, b in alto, che nelle realizzazioni architettoniche rappresenta il problema più arduo; i pennacchi in questo caso appartengono a una superficie sferica, elementi di vòlta a vela; essi determinano un cerchio sul quale può svolgersi una calotta, elemento della stessa sfera, a cui i pennacchi stessi appartengono (la cupola in questo caso s'identifica con la vòlta a vela); oppure a una sfera avente per base circolare l'anello anzidetto: questa è la cupola su pennacchi sferici.
La cupola sferica su pianta cilindrica o poligonale a più di quattro lati fu caratteristica dell'arte romana, mentre quella su pianta quadrata ricevette il massimo impulso dall'architettura bizantina dapprima e poi nel Rinascimento, specie nella forma risultante dall'interposizione di un elemento cilindrico, il tamburo, tra i pennacchi sferici e la cupola.
I procedimenti costruttivi relativi alle cupole ripetono dispositivi e regole analoghe alle costruzioni a vòlta a seconda che si tratti di pietra da taglio, di laterizî, di pietrame, di materiali a getto, calcestruzzi, conglomerati varî; valgono le disposizioni più complesse derivanti dall'adottare in modo misto i detti materiali stabilendo sistemi di nervature, scheletri resistenti, fino ai più moderni mezzi, quali il ferro e il cemento armato.
La costruzione delle cupole è stata realizzata nell'antichità col portare gli elementi costruttivi, pietra, laterizî, a sporgere gradatamente mediante una formazione di anelli orizzontali restringentisi a poco a poco verso la sommità della vòlta; ogni anello funziona come una mensola per quello sovrapposto. Ciascuno di questi è assoggettato a sola azione di peso e con ciò vengono eliminate le azioni laterali, e la costruzione stessa può procedere senza ausilio di armature con tanto maggiore facilità quanto più la curva dell'intradosso tende al sesto acuto. La forma del piedritto da cui sorgono sarà preferibilmente cilindrica od ovoide e solo eccezionalmente si svilupperà dal quadrato per passare al rotondo della calotta mediante una successione di smussature ottenute col disporre lastroni d'angolo in una serie di poligoni di sempre maggior numero di lati.
Su questo sistema, adottato anche in costruzioni dell'India fino al sec. II a. C. e nelle cupole dell'Asia Minore, si basano le pseudocupole (analoghe alle pseudovolte) costruite nei primordî dell'arte greca con perfezione e ampiezze notevoli: sono le tombe a cupola micenee (tholos), i cosiddetti tesori, di cui quello d'Atreo è il più notevole per la luce del vano (diam. m. 14, 20), per le dimensioni dei blocchi, per l'esecuzione accurata e per la decorazione. Veri tipi a tholos su pianta circolare, simili ai micenei, sono le pseudocupole etrusche di Casal Marittimo nella tomba "La Mula" nel fiesolano e in altre analoghe di Sesto Fiorentino e di Cerveteri. Raccordi angolari a risega per passare dalla pianta quadrata alla cupola conica (fig. 2), embrioni di quello che sarà il pennacchio sferico, appaiono già in tombe cretesi e furono adottati anche dagli Etruschi nelle necropoli di Populonia e di Vetulonia.
In un bassorilievo del palazzo di Sennacheribbo a Ninive (705-681 a. C.) sono figurati, come sfondo di paese, una serie di edifici terminati da forme ovoidali, allungate, coniche, tagliate superiormente come per dar posto a un tondo di illuminazione: ma non si può accertare se si tratti, dal punto di vista costruttivo, di cupole oppure di pseudocupole. Così le stūpa indiane sono costruzioni esteriormente emisferiche, ma, poiché sono massicce internamente, non possono considerarsi come cupole. Si hanno invece avanzi imponenti di cupole nei palazzi persiani di Fīrüz-ābād e di Sarvistān: quivi col progresso delle costruzioni a vòlta favorite dalle condizioni naturali, la cupola viene adattata sulla pianta quadrata, il che è ottenuto mediante raccordi conici. Degli Etruschi, oltre alla pratica delle pseudovolte e delle pseudocupole, non è possibile ancora citare documenti che non siano di carattere troppo embrionale, quale ad es., la vòlta del carcere Mamertino, su pianta rotonda.
L'architettura romana, ereditando dagli Etruschi le strutture ad arco e la tradizione di forme planimetriche rotonde, e trovando nella natura dei suoi materiali costruttivi metodi e procedimenti d'impasto particolarmente adatti al getto, applica il tipo della cupola a copertura di vani rotondi: il passaggio dal tipo etrusco al romano si osserva nelle celle dei più antichi sepolcri romani del sec. II a. C., coperte da forme coniche costruite di calcestruzzo, e nel sudatorio dei bagni Stabiani a Pompei, dove si nota una cupola ovoide. Si continua cioè nella vòlta la struttura del piedritto, col gettare su armature lignee il conglomerato costituito di malta, di calce e di sabbia, o meglio di calce e pozzolana, costituente l'elemento coesivo di scaglie di pietra tufacea, o altrimenti vulcaniche come pomici, e anche di frammenti di laterizio. Si viene così a costituire una massa monolitica, costruita artificialmente, paragonabile a un solido elastico di struttura omogenea, secondo la denominazione moderna di queste strutture. Negli sviluppi delle cupole romane la stabilità dell'insieme è ottenuta dapprima esagerando gli spessori del piedritto, stabilendo una stretta continuità tra la massa muraria del piedritto e quella della vòlta, specie nell'imposta, quindi col progredire della tecnica, diminuendo il peso della massa concretizia, disponendo archi di scarico, nervature laterizie, nei punti di maggiore sollecitazione, adottando nel piedritto speciali soluzioni planimetriche atte alla stabilità.
Risalgono a epoca repubblicana le cupolette delle celle di templi peripteri rotondi (supposto tempio di Vesta a Tivoli, tempio di Ercole Gordiano), dei mausolei di Cecilia Metella sulla via Appia, dei Plauzî sulla via Tiburtina, oltre a minori nei laconici di terme. L'originarsi della cupola si scorge nelle sale della Domus Augustana, dove la forma a padiglione ottagono si trasforma gradatamente verso il sommo in una forma sferica. Nel periodo flavio la pratica del gettare grandiose vòlte è compiuta; appartiene probabilmente a questo periodo la cupola del Ninfeo degli Orti sallustiani che presenta la particolarità di essere costituita nella superficie d'intradosso dall'alternarsi di spicchi piani e di spicchi concavi. Nella meravigliosa fioritura dell'arte adrianea, tornando in favore l'uso degli edifici a pianta rotonda, le cupole prendono più largo sviluppo e segnano progressi nella concezione e nella tecnica. Dai tipi elementari sorgenti su tamburi cilindrici di forte spessore, appena interrotti da nicchie, costituite esclusivamente della massa inerte, si passa a sistemi che alleggeriscono e riducono la massa del getto, concentrando le nazioni in una serie di nodi cui sono dirette mediante archi di scarico penetranti nella zona sferica dalla cupola e nel materiale di getto di cui è costituita. Il contraffortamento è ottenuto con l'addossare al piedritto una serie di nicchie, o absidi, il cui perimetro oltrepassa la linea di base ampliandola: tale la cupola del padiglione d'ingresso della Piazza d'Oro nella villa di Tivoli.
Tali progressi si applicano in grandiosa unità organica nel Pantheon (fig. 3), opera massima del periodo di Adriano, la cui cupola misura m. 43,50 di diametro ed è alta al vertice m. 43,50 (per la sua struttura vedi Pantheon). Se questa segna la più vasta applicazione dei principî romani, il progresso, sia pure su rotonde di minore dimensione, prosegue in una serie di perfezionamenti tecnici intesi a slanciare verso l'alto il tamburo aprendo su questo le finestre e a definire le forme dei raccordi tra la sfera e i poligoni base, a regolarizzare le azioni della massa di concrezione, mediante costoloni e nervature laterizie, ad alleggerire i rinfianchi con l'adozione di materiale leggiero, pomici, tufi spugnosi, anfore, tubi di terracotta, secondo un artifizio che sarà sfruttato dai costruttori ravennati nella basilica ursiana, e continuato nelle applicazioni battisteriali, a Roma, in S. Giovanni Laterano, a Milano nella Basilica Fausta.
Dall'esuberanza di mezzi usati con grandezza e sapienza nel Pantheon si giunge, dopo un secolo e mezzo, a una mirabile soluzione tecnica nella cupola del cosiddetto Tempio di Minerva Medica (fig. 4), rotonda della villa dei Licinî (dal 253 al 268), nella quale ogni elemento è ridotto al limite necessario alla resistenza, come è risultato dalle verifiche di stabilità. La cupola del diametro di m. 23,90, spessa cm. 60, esattamente corrispondente alla resistenza, è innestata su pianta decagona; contiene, nel suo spessore, dieci nervature meridiane. Tra le nervature si ha una massa di riempimento che, verso l'alto, si alleggerisce mediante l'adozione di materiali sempre meno pesanti. Gli spicchi che risultano sono poggiati come piccole vòlte su queste fondamentali armature; il loro carico è raccolto dalle nervature che lo riportano sui vertici del tamburo, il quale a sua volta, per resistere all'azione laterale, è rinforzato da contrafforti esterni di m. 2,90 di larghezza e di m. 1,30 di spessore, disposti radialmente. Struttura di cupola analoga a questa è stata recentemente osservata nella sala ora del Planetario nelle Terme di Diocleziano, nella quale la perfetta esecuzione dei concetti accennati dice come ancora nell'epoca dioclezianea fosse esperta l'arte costruttiva.
Struttura eccezionale di cupola quella del mausoleo di Diocleziano a Spalato, costituita da un sistema di archi che si sviluppano impostandosi l'uno sull'altro da vertice a vertice formando decorativavamente un disegno a guisa di squame: metodo che sarà ripreso dai costruttori bizantini per tessere le loro vòlte a vela e i pennacchi.
Fra le tante opere romane significativa è la cupola del mausoleo di Sant'Elena (detto Tor Pignattara) dei primi del sec. IV, per l'uso, esteso a tutta la vòlta, di dogli concentricamente disposti nel giro della cupola, e quella di S. Costanza (326-29) su alto tamburo gravante su una serie di colonne binate: ventiquattro costole laterizie meridiane sono immerse nel getto di calcestruzzo, reso leggiero da materiale tufaceo spugnoso. La stessa tendenza ad alleggerire le masse, sfruttando abilmente azioni di spinta e controspinta, si manifesta in alcuni tardi esempî di cupole, quali quella del Battistero di S. Maria a Nocera, di 24 m. di ampiezza, e quella, distrutta, del Battistero lateranense.
A questo ampio e grandioso ciclo romano, nel quale ogni esperienza si è attuata preparando gli sviluppi di cupole che si attueranno nell'arte bizantina e poi nel Rinascimento, un altro se ne aggiunge nel sec. V-VI, quando il centro politico si sposta nell'Italia settentrionale tra Ravenna e Milano, e a Bisanzio.
A Ravenna il sepolcro di Galla Placidia (circa 440) presenta la soluzione della cupola su pianta quadrata nella quale pennacchio e calotta appartengono alla stessa sfera, a intradosso, cioè, continuo. Nella cupola del battistero di S. Giovanni in Fonte (449-477), sferica, su ottagono, di m. 11,30 di diam., con raccordi dati da pennacchi sferici, è applicata integralmente la costruzione a tubi vuoti inseriti l'uno nell'altro, disposti in doppia fila avvolgentesi a spirale nello spessore della calotta e verticalmente nel rinfianco. In forma più complessa, la disposizione adottata nella rotonda liciniana si ripete, quanto ad organismo, in S. Vitale, poiché le azioni della vasta cupola di m. 19,60 si annullano nell'interno giro di nicchie, e per un'altra parte, mediante otto speroni angolari, sul perimetro. Il raccordo della sfera con l'ottagono è ottenuto qui con nicchie angolari (pennacchi a tromba) che ritroveremo nei monumenti bizantini e romanici: la leggerezza della cupola è raggiunta con l'identico sistema del Battistero citato. La caratteristica di queste cupole ravennati è data dal proseguire del tamburo poligonale oltre la calotta sferica, che è poi racchiusa in una linea di tetto, sì da trasmettere il peso di quest'ultimo al piedritto, la cui stabilità è migliorata mediante una componente verticale.
Gli sviluppi degli edifici a cupola nel sec. VI, appartengono alla regione e all'influenza bizantina. Vi concorrono però, oltre agli apporti diretti di Roma, una fase preparatoria che si svolge nell'Asia Minore, influenzata anche questa dall'arte romana, ed elementi specifici dell'Oriente più antico, persiani specialmente. L'organismo a cupola bizantino deriva dallo sviluppo della pianta crociforme inserita in un quadrato: la cupola semisferica sorge, mediante il raccordo di pennacchi sferici, sul nucleo centrale cubico che si rivela, anch'esso, esteriormente, come intermediario al coronamento della cupola e contraffortato dalle espansioni della planimetria crociforme. La costruzione è in laterizio o con nervature di mattone e riempimento di materiale leggiero, non gettato, ma assestato a strati orizzontali o lievemente inclinati, consentendo con ciò la riduzione e l'eliminazione di grandi armature. La linea della cupola appare abbassata a causa del rinfianco che la cinge fino alle reni e del contrasto opposto da una serie di finestrelle che dalla base della cupola piovono dall'alto la luce. L'intradosso formato a spicchi ondulati, già adottati nelle cupole romane, appare come sistema nelle cupole bizantine e talvolta, all'esterno, essi mostrano la corrispondente convessità, modellandone l'estradosso.
Questi caratteri troviamo nelle cupole di S. Sofia (495), e dei S.S. Sergio e Bacco a Salonicco (del 527) che si svolge da una pianta analoga alla rotonda liciniana e a quella di S. Vitale al quale segue di un anno; in quella di S. Irene a Costantinopoli (ricostruzione del 532-48); e nel modo più grandioso nelle combinazioni di equilibrio compiuto nella cupola di S. Sofia di Costantinopoli (532-37) che segna l'apice di questa fase bizantina (fig. 5). Il suo diam. è di m. 32,68 (altezza del vertice m. 57,50); 40 costole rastremate convergono verso la sommità, unendosi in un anello di m. 11,70 di diam. e di 0,60 di spessore e tra esse si volgono le voltine costituite di laterizî leggieri di Rodi; esternamente esse si rivelano nella serie di speroni formanti una cintura fino alle reni: altrettante finestrelle si aprono tra costola e costola, contribuendo a dare all'interno, per l'interporsi della zona luminosa che esse creano all'imposta, un senso di aereo che è fascino di questa grande costruzione. Nella rinascita bizantina, tra il sec. IX e il XII, mentre restano fermi gli schemi planimetrici, le cupole tendono a uno slancio verso l'alto ottenuto mediante l'interposizione di un alto tamburo traforato da finestre e variamente decorato. Questo tipo passa nella Serbia bizantina e, nel sec. XVI, nella Serbia propria, in Bulgaria, in Romania, nelle architetture armene dei secoli X-XII basate su schemi centrali a cupola (v. armenia: Architettura). Dall'influenza bizantina in Occidente e forse da reminiscenze di cupole di Palestina, a doppia struttura lignea (cupole del S. Sepolcro, della Rotonda della Roccia), derivano le cupole di S. Marco di Venezia, caratteristiche per la linea rialzata dell'imposta e per il sistema dell'involucro ligneo avvolgente la sottoposta cupola in muratura. A questa forma l'architettura veneziana resterà fedele anche negli edifici religiosi dei secoli XV-XVI. Le cupole di S. Antonio di Padova, ripetono simili effetti aerei e fantasiosi. In Francia la cattedrale di S. Front a Périgueux presenta un insieme di cupole su pianta a croce, che ripete in pietra lo schema di S. Marco; esse saranno imitate in alcune chiese d'Aquitania.
Dalle cupole trae gran parte del suo effetto monumentale l'architettura musulmana (figg. 6, 7, 8). In Persia, nell'India, in Egitto, dal secolo XIV, la cupola fu di regola. Questo tipo musulmano fonde elementi persiani, e combinazioni di vòlte bizantine e armene. Le cupole si raggruppano in profili ovoidi, rialzati, sopra pianta quadrata, con raccordi conici (Persia); si modificano in forme raccordanti un cilindro con una forma conica (esempio nella moschea di Hasan al Cairo del sec. XIV); in forme piramidali su base poligonale (periodo dei Selgiuchidi, sec. XII-XIII), di derivazione armena; e infine in forme bulbose.
Nella fase di decadimento delle costruzioni, durante i secoli VIII-X in Italia, la serie delle costruzioni a cupola non s'interrompe: sono i battisteri, che, per forme planimetriche derivate da sale romane, si coprono di cupole. Nell'Italia meridionale le cube siciliane del sec. IX si continuano nelle cupole del periodo romanico di S. Cataldo, di S. Giovanni degli Eremiti (figg. 9,10).
Significativa per una compiuta unità costruttiva, importante per il riferimento che ad essa occorre fare per spiegare le origini della concezione delle cupole doppie del Rinascimento, è la cupola del battistero di Firenze (fig. 11), che rappresenta un'ardita realizzazione e la continuità del genio costruttivo latino nell'oscurità del Medioevo. La cupola è ottagona, di m. 25,50 di apertura: si svolge come un padiglione ad arco rialzato, da un piedritto discontinuo costituito della parete esterna e di un ordine interno di colonne formanti in pianta una serie di otto nicchie rettangolari e da una sovrapposta galleria: la cupola ha la sua imposta su questo ordine interno e s'innalza con spessore continuo e costante, costruita di piccoli conci di pietra della stessa altezza. Il problema del rinfianco è risolto con novità di procedimento che tende ad alleggerire il piedritto; e cioè sull'estradosso della volta si appoggiano trentadue diaframmi murarî dello spessore di m. 0,60 perpendicolarmente ai lati della cupola, quattro per ciascuno spicchio del padiglione ed esclusi gli angoli; questi muri trasversali sono poi collegati da vòlte a botte formanti la linea estradossale del tetto.
Più ampie e tecnicamente più compiute strutture di cupole si attuano nei progressi che l'architettura compie durante la fase dell'arte dei secoli XI-XII che si denomina Romanica e Lombarda particolarmente; il tema è ancora in connessione con gli edifici battisteriali a pianta centrale.
Sono in relazione col battistero fiorentino le cupole dei battisteri di Cremona e di Parma, racchiuse entrambe per ragioni statiche dentro l'alto piedritto che le recinge per coprirle quindi con la linea del tetto sovrapposto. La cupola del battistero di Pisa (fig. 12) applica in modo diverso il criterio di una doppia copertura, in dipendenza della sua forma anulare, costituita da un ordine di colonne e pilastri interni a doppio loggiato sovrapposto e da un muro esterno continuo.
Appartiene all'architettura romanico-lombarda la prima applicazione di cupole all'incrocio delle navi, nelle chiese basilicali a vòlta. Nelle chiese lombarde dei secoli X-XII esse hanno applicazione sistematica: all'incrocio delle navi si eleva la cupola sferica su raccordi di varia forma, a cono, a nicchia, ad archi diagonali, o a padiglione. Esternamente essa è racchiusa dal tamburo ottagono (tiburio) che la rinfianca e stabilisce la linea del tetto che la corona: tamburi talvolta bassi, talvolta arditamente slanciantisi in alto come torri. Sorge da un organismo simmetrico ricollegandosi al San Lorenzo milanese, in S. Fedele di Como (fig. 14), il cui impianto a tre grandi absidi fiancheggianti la cupola su pennacchio conico che si delinea esternamente fa già intravedere gli sviluppi della chiesa a cupola del Rinascimento.
Appartiene all'arte italiana del Trecento la più grande ideazione di un edificio in cui la cupola si lega con unità organica ed estetica all'edificio sottostante: S. Maria del Fiore, che può dirsi conchiuda il ciclo medievale e apra il periodo delle cupole del Rinascimento.
Nel 1420 il Brunelleschi detta il programma della costruzione della cupola, programma fedelmente seguito. La cupola è a sesto acuto perché sia facilitata la costruzione senza centine: "perciocché questo è un sesto che, girato, pinge all'in su: e caricatolo con la lanterna, l'uno con l'altro la farà durabile". Per diminuire la spinta e per non gravare le strutture sottostanti e le fondazioni, fu cercata la leggerezza e perciò essa fu costruita a doppia calotta, una interna e l'altra esterna, collegate da un sistema di nervature meridiane disposte otto negli angoli e sedici nelle facce, e riunite tra loro da una serie di archi disposti secondo i paralleli (fig. 15). La cupola ha un diametro di m. 41,97, cerchio inscritto, di m. 42,60, cerchio circoscritto; altezza all'anello di chiusura m. 89,90; spessore delle nervature angolari m. 1,75, delle intermedie m. 1,16; spessore della cupola interna m. 2,42 a 2,10; spessore della cupola esterna m. 0,58.
Nella cappella dei Pazzi e nella Sacrestia Vecchia di S. Lorenzo, il Brunelleschi rinnova il concetto di voltare la cupola su pianta quadrata e su pennacchi sferici secondo un tipo che fu seguito universalmente più tardi, e di cui ci offrono esempî la sacrestia di S. Spirito di Giuliano da Sangallo e la Madonna dell'Umiltà a Pistoia del Vittoni, ottagona; la Madonna delle Carceri a Prato di Giuliano da Sangallo, S. Giovanni e S. Maria delle Grazie a Pistoia. Seguono, in echi minori del duomo fiorentino, le cupole ottagone della Madonna del Calcinaio a Cortona, dell'Annunziata ad Arezzo di Antonio da Sangallo. Giuliano da Sangallo tra il 1498 e il 1500 corona della cupola la chiesa della Madonna di Loreto, imitata nella Madonna delle vergini di Macerata.
Romana è l'interpretazione che l'Alberti dà alla cupola: la tribuna dell'Annunziata a Firenze è ispirata da quelle romane. Il S. Sebastiano di Mantova, organismo quadrato, doveva essere coperto da cupola come appare nel suo disegno riprodotto da Labacco; così il tempio Malatestiano, rimasto incompiuto nella parte terminale, ma che medaglie del tempo ci mostrano coronato da cupola, e il S. Andrea di Mantova.
Mentre il Rinascimento toscano crea il suo tipo di cupola, quello lombardo, contemporaneamente, sviluppa e modifica nelle nuove forme il tema, riannodandosi ai motivi medievali: il Bramante rinnova la tradizione lombarda.
La cupola di S. Bernardino a Urbino, anche se debba attribuirsi a Francesco di Giorgio, mentre è ritenuta giovanile creazione del Bramante, appare subito agl'inizî dell'opera di questo, destinata a portare ai massimi sviluppi il risorgente tema architettonico. Il quale è ripreso nelle cupole di S. Satiro (1482-87), a Milano e immediatamente, in forme grandiose, nei disegni che in quel tempo (tra il 1488 e il 1492) il Bramante è chiamato a dare per il duomo di Pavia, da lui ideato per una vasta cupola ottagona. Nel 1492 alle navate della chiesa di S. Maria delle Grazie aggiunge l'ampio coro triabsidato con coronamento di cupola emisferica del diametro di m. 18 racchiusa nel tradizionale, tiburio recinto da loggia ad arcate. Queste creazioni determinano un tipo che sarà ovunque ripetuto nel Rinascimento lombardo, adottando ora il tipo della pianta ottagona, ora lo schema a croce o quello poliabsidale.
Nel Quattrocento Venezia e il Veneto restano fedeli al tipo medievale di cupola rialzata dalla sagoma rigonfia di tipo bizantino, direttamente sovrapposta al tamburo cubico che delinea esternamente l'interna planimetria, tipo che si sovrapporrà a coronamento del classicismo palladiano, nel Redentore, trionfando, nel Seicento, nella chiesa del fastoso Longhena, S. Maria della Salute.
La storia delle cupole nel '400 a Roma, s'identifica con l'opera che il Bramante svolge negli studî e nelle attuazioni relative alla fabbrica di S. Pietro. Egli porta l'esperienza dell'opera svolta in Lombardia, ma a Roma muta la fisionomia di questi elementi architettonici e nella cupola del tempietto rotondo di S. Pietro in Montorio, in cui si riscontra una struttura embrionale di doppia cupola, mostra sin dall'inizio i caratteri del suo nuovo stile romano.
Quale fosse la cupola ideata dal Bramante per S. Pietro ci è noto dal disegno del Serlio (fig. 16), dai bozzetti di Giuliano da Sangallo, del Peruzzi, di Antonio da Sangallo il Giovane e dalle medaglie del tempo. Essa risulta da "un innesto del tempio classico periptero rotondo e del tiburio lombardo: Pantheon, Mole Adriana, tempio di Vesta, cupola di S. Maria delle Grazie, cupola di Pavia". È però Michelangelo quegli che tra il 1547 e poi nel 1568 ne predispone il modello (figg. 17,18), risolvendo con le sue indicazioni un periodo di lunghi dibattiti. Le caratteristiche di questa cupola sono le seguenti: adozione della doppia calotta di diam. di m. 42,52 poggiante su un tamhuro di m. 3,85 fornito di contrafforti costituiti da colonne binate: per un quarto della sua altezza la cupola è massiccia, di spessore di m. 2,85; quindi, in corrispondenza di ciascun contrafforte si elevano 16 costoloni longitudinali, sui quali si appoggiano gli spicchi delle due calotte formanti uno spazio di 1 m. alla base e 3 al vertice e forati per dare passaggio nello spazio compreso tra le due cupole; altezza dell'occhio su cui posa la lanterna m. 101; della vòlta della lanterna m. 117,80. La cupola, cominciata a voltare nel 1588, si chiuse nel 1590.
L'influenza del Bramante e poi di Michelangelo su discepoli quali Cola da Caprarola, Peruzzi, Antonio da Sangallo, su contemporanei come Giuliano da Sangallo, fu potente: le chiese a croce, minori figliazioni, si ripetono in studî e attuazioni che comportano tutte il fastigio della cupola.
Lo studio delle cupole deve a questo punto legarsi a tutta la fioritura cinquecentesca delle chiese simmetriche: nel duomo e nel S. Nicolò di Carpi; nella Madonna di S. Biagio a Montepulciano, nelle cupole di S. Eligio e della cappella Chigi di Raffaello. Michelangelo negli studî per S. Giovanni de' Fiorentini in Roma segnava per la cupola soluzioni complesse, che furono imitate e realizzate solo nei secoli XVII-XVIII.
Minori chiese sullo schema di S. Pietro si ripetono alla fine del Cinquecento e ad esse si lega il motivo della cupola, che si ripete nelle forme esteriori con fedeltà di motivi che solo la fantasia borrominiana riuscirà a interrompere. Architetti veneti della fine del '500 adottano linee contenute nei profili classici. Così il Sammicheli nella rotonda di S. M. di Campagna presso Verona e nel S. Bernardino, il Palladio nel tempio di Maser, ove foggia la cupola sul tipo di quella del Pantheon, iniziando una serie di ritorni che il neo-classicismo ripeterà dalle forme romane pure.
A Roma, dopo Michelangelo, sorge il maggior numero di cupole con varietà di modellazione e di curvature, varietà ottenuta nei contrafforti, nelle finestre del tamburo, nelle bizzarrie dei lanternini terminali. Sobria, severa, la cupola del Gesù (1568) su ottagono liscio, senza contrafforti, col particolare di finestre a timpano sormontanti la curvatura della cupola. Più ligia al modello vaticano, che segue per grandezza, quella di S. Andrea della valle del Maderno; in forme slanciate, ma secche, quella di S. Giovanni de' Fiorentini. Le due cupole che coronano le cappelle Sistina e Paolina (Fontana e Flaminio Ponzio) poste con simmetria presso le due estremità delle ali di S. Maria Maggiore dànno alla facciata posteriore, una tipica fisionomia. Una seguace michelangiolesco, Giacomo del Duca, alla già costruita cupola di S. M. di Loreto sovrappone una seconda cupola più rialzata (1577-85) e terminata da un bizzarro lanternino.
Un tentativo d'interpretare la curva ribassata delle cupole classiche con forme barocche è nelle due cupole di piazza del Popolo, quelle delle chiese dei Miracoli e di Montesanto, del Rainaldi, che nel 1664 le foggiò simmetricamente con la loro curvatura, tendente a un profilo ellittico che si ritrova nella cupola della sacrestia di S. Pietro del Marchionni.
Il Borromini, innovatore ribelle di forme, nella chiesa di S. Agnese al Circo Agonale lega la cupola alla facciata concava, fiancheggiata dai campanili. La cupola di s. Ivo della Sapienza derivante da un sistema complicato d'intersezioni di cerchi e di triangoli, quindi di cilindri e di piani, si svolge su un tamburo di curvatura discontinua ascendendo poi a spirale verso il sommo. L'alto tamburo a contrasto di curve sporgenti e rientranti maschera con un alto tiburio la sottoposta cupola di S. Andrea delle Fratte. La cupola ellittica di S. Carlino, come quella dell'oratorio di Propaganda Fide, s'intreccia mediante un sistema di fasce svolgentisi da pilone a pilone, intersecandosi nella vòlta e stabilendo il metodo che sarà sviluppato da Guarino Guarini nelle sue architetture piemontesi. La fantasia berniniana, così impetuosa, si domina nell'applicazione delle cupole in una linea di sobrietà nella cupola dell'Assunta all'Ariccia e in quella di Castelgandolfo, si accentua di movimento e di espressione in quella di S. Andrea al Quirinale, ellittica, sostenuta dai contrafforti a voluta che ne fiancheggiano la spinta e che la legano al piedritto. A Milano, nel periodo barocco, nel S. Giuseppe del Richini, come già in S. Maria della Passione (fig. 19) dovuta a Cristoforo Solari e nel tiburio ottagono di s. Lorenzo di M. Bassi, si ha la trasformazione nelle nuove forme secentesche del motivo dei tiburî lombardi. A Firenze il Cappellone dei Principi aggiunge alla tradizione toscana una nuova nota barocca con l'ampia cupola del Nigetti.
Spetta a Guarino Guarini una serie di cupole che si distaccano da ogni altro tipo precedente, derivate da tutto un sistema costruttivo basato sulla compenetrazione di superficie di varia cubatura, e un metodo di intrecciate nervature formanti lo scheletro sul quale, con ascensione degradante di curve contrapponentisi, si svolge una serie di archi, di nicchie, di cuspidi. Da ciò risultano le fantasiose cupole torinesi del Guarini della Santa Sindone, di S. Lorenzo (fig. 20), della Consolata con la corona di minori cupole addossate alla maggiore, del Sudario; e dal circoscrivere successivamente poligoni a circonferenze, risultano le calotte che sorgono nel santuario della Vergine d'Oropa.
Il tema delle cupole ellittiche, tentato già nel Rinascimento, si concreta però solo col Vignola nella chiesa di S. Andrea sulla via Flaminia e in S. Anna dei Palafrenieri (1573); Antonio Dosio imposta la cupola ellittica nella cappella Niccolini in S. Croce e il Fornovo quella grandiosa dell'Annunziata a Parma (1566).
Questo schema, per il movimento e per le risorse che poteva offrire, ha fortuna nel Seicento: oltre a quelle già citate di S. Carlino del Borromini, e di S. Andrea al Quirinale del Bernini, Francesco da Volterra costruisce ovale San Giacomo degl'Incurabili, a cupola; Rainaldi la chiesa di S. Maria in Montesanto, fino al S. Celso in Banchi del Dominici (1730), all'oratorio di S. Maria dell'Orazione e Morte del Fuga. Forma monumentale di cupola ellittica è quella del Santuario di Nostra signora di Vicoforte presso Mondovì iniziata nel 1596 sui disegni del Vitozzi, terminata dal Gallo (diamm. 36,25, m. 24,10, altezza m. 49,60).
Alle cupole italiane s'ispirano anche nei recenti tempi i più arditi costruttori: il Wren nella cupola di S. Paolo a Londra, la maggiore tra le moderne, di diam. m. 31, alta 111 m., si conforma alla tradizione del S. Pietro michelangiolesco e bramantesco per il giro delle colonne esterne nel tamburo. Contemporanea e simile di concetti e di carattere architettonico (insiste nel tamburo il motivo dell'ordine a colonne distaccate come quelle di un tempio periptero) la cupola del Pantheon di Parigi (1780) e quella degl'Invalidi del Mansard (1646-1708), di 32 m. di diametro.
I nuovi metodi costruttivi rivolti a raggiungere economia di mezzi e di materiali applicano per le cupole l'introduzione nel corpo della vòlta di materiali elastici adatti a resistere alle azioni di flessione e di tensione; la mole Antonelliana di Torino, del 1888, cupola a padiglione di 25 m. di apertura, e il S. Gaudenzio di Novara (figg. 22 e 25), sono fra le più vaste applicazioni di sistemi misti nei quali gli elementi elastici, telai, collegati da elementi trasversali, catene, tiranti, in modo da eliminare ogni azione di spinta, fanno sì che il piedritto riceva solo azioni di peso consentendo forti riduzioni di sezioni.
Al ferro i costruttori del sec. XIX affidarono il compito di ardite coperture (v. ferro: Architettura); oggi le strutture di cemento armato consentono ancor maggiori realizzazioni nelle quali più potentemente potrà esprimersi il sentimento creativo dell'architettura.
V. tavv. XLI-XLVI.
Bibl.: C. Isabelle, Les édifices circulaires et les dômes, Parigi 1855; E. Viollet-le-Duc, Dictionnaire raisonné de l'arch., IV, s.v. Coupole, Parigi 1875; L. Beltrami e C. Armanini, Il Pantheon, 1896; J. Durm, Due grandi costruzioni della Rinascenza italiana, in Zeitschr. für Bauwesen, 1897, p. 353-481; G. Giovannoni, La sala termale nella villa Liciniana e le cupole romane, in Annali della Soc. ing. e arch. ital., 1904; J. Durm, Baukunst der Griechen e Baukunst der Römer, in Handbuch der Arch. II, i; II, 2; G. T. Rivoira, Roma, L'Italia nella creazione delle antiche architetture a volta, in Annuario dell'Accademia di S. Luca; C. Bricarelli, Per l'estetica degli edifizi a cupola, Roma 1920; G. T. Rivoira, Architettura romana, Milano 1921; G. Giovannoni, La tecnica della costruzione presso i Romani, Roma 1925; C. Colini e C. Gismondi, Contributi allo studio del Pantheon, in Boll. della Comm. arch. comunale, 1926; G. Cozzo, Ingegneria romana, Roma 1928, cap. 5°: La costruzione del Pantheon; G. Giovannoni, La tecnica delle costruzioni romane a volta, in Atti al Congresso delle scienze, Firenze 1929; L. Beltrami, Il Pantheon rivendicato ad Adriano, 1929; id., La cupola vaticana, Roma 1929; I. Gismondi, La sala del Planetario nelle Terme Diocleziane, in Rivista di architettura e arti decorative, VIII, 9, p. 385 (v. anche bramante; brunelleschi; pantheon).
Calcolo della cupola.
Per il calcolo delle cupole, conviene distinguerle in: cupole sottili equilibrate e cupole con nervature. Le prime sono considerate, in generale, come superficie di equilibrio, le altre come insieme solidale di archi meridiani e anelli paralleli.
Nelle cupole sottili equilibrate ammettiamo che le sezioni risultino sollecitate a compressione o trazione centrate sia lungo i meridiani sia lungo i paralleli, prescindendo dagli sforzi di taglio e dalle eventuali flessioni secondarie, alle quali, del resto, dato il piccolo spessore, le cupole non hanno attitudine a resistere. Sforzi secondarî di flessioue però nascono sempre, sia per la deformazione elastica della superficie, sia per l'indeterminazione dei vincoli d'imposta. Il calcolo molto complesso e laborioso per la determinazione delle tensioni indotte da questi sforzi, per la maggior parte dei casi della pratica non risulta necessario. Sono sufficienti per tale determinazione le ipotesi semplificative di calcolo comunemente ammesse.
Progetto. - Il profilo della cupola è assegnato quasi sempre in relazione a esigenze architettoniche, spesso è una funicolare dei carichi, p. es. di quelli permanenti. In sede di progetto, alla forma più conveniente, caso per caso, della curva meridiana si giunge con qualche tentativo. Partendo da un profilo p. es. parabolico (funicolare dei carichi uniformemente ripartiti secondo la corda) oppure meglio da una catenaria rovescia (funicolare dei carichi ripartiti secondo l'asse), o anche da un profilo circolare (funicolare delle pressioni uniformi e normali alla superficie), si fissa lo spessore dell'involucro con criterî pratici, interpolando fra casi analoghi.
Considerando un elemento meridiano (fig. 27) limitato fra due piani A1V′ e A2V′, dividiamolo in tronchi elementari secondo paralleli. Definiti i pesi di ciascun tronco (peso proprio e sovraccarico uniformemente ripartiti, simmetrici rispetto all'asse), colleghiamo questi pesi con un poligono funicolare di base arbitraria H0, partendo dal punto A, base dell'asse meridiano. Nella figura abbiamo indicato in pianta il diagramma di carico, riportando per ciascun tronco un'ordinata corrispondente al peso gravante su esso. Con una semplice nota costruzione di statica grafica si può ricondurre la linea funicolare a passare per il vertice V della cupola, determinando la base del nuovo poligono. Assumeremo come asse meridiano questa seconda linea funicolare per quella data condizione di carico. Con un ulteriore tentativo, variando i pesi per ogni singola zona, in relazione alla variata sagoma del meridiano, si potrà definire la linea meridiana e quindi la superficie di equilibrio più adatta agli effetti dei carichi esterni.
Una prima sommaria verifica di stabilità si può eseguire in base agli elementi definiti, in quanto dal grafico si hanno i valori delle forze sollecitanti le sezioni dell'arco elementare considerato, p. es. la sezione di chiave e quella d'imposta. In relazione alle tensioni unitarie di massima così definite si può apportare agli spessori della calotta la necessaria correzione. La verifica di stabilità della cupola si può eseguire per via analitica o grafica. Ci occuperemo prima del metodo analitico e tratteremo poi quello grafico.
Calcolo analitico delle cupole di rotazione. - Sia AV il profilo della semicalotta soprastante a un parallelo generico AB di raggio x e di ordinata y sulla base A0B0 (fig. 28). Nell'ipotesi di carichi comunque inclinati sulla superficie, ma simmetrici e distribuiti uniformemente rispetto all'asse della cupola, per unità di lunghezza del parallelo, l'azione delle forze soprastanti avrà una componente verticale pv e una orizzontale p0. La somma delle componenti verticali pv sul perimetro del parallelo deve uguagliare la componente verticale Pv del carico totale della calotta:
A questo sistema di carichi la parte di cupola sottostante reagisce con tensioni C uniformemente distribuite sul parallelo per unità di lunghezza e dirette secondo le tangenti ai meridiani. Considerando l'equilibrio alla traslazione verticale, si ha: C sen a = pr, se con a s'indica l'angolo che la tangente alla linea meridiana, in corrispondenza del parallelo considerato, forma con l'orizzontale. Si ricava:
Questa forza è sempre di compressione e sollecita il meridiano per unità di sviluppo di parallelo. Per determinare le sollecitazioni lungo i paralleli, nello spicchio elementare di cupola limitato da due piani meridiani formanti l'angolo δω (fig. 29), isoliamo un prismoide elementare mediante due piani paralleli alle quote y e y′ e limitanti una lunghezza di meridiano ds. Questo prismoide si troverà in equilibrio sotto le seguenti forze: Tds sulle superficie laterali nei piani meridiani; Cdl e (C + dC)dl1 nei piani paralleli, essendo: dl = xdω e dl1 = (x + dx) dω le lunghezze dei due archetti meridiani del prismoide; e inoltre la forza (dP dω) : 2π in cui dP è l'incremento delle forze esterne (tra i due paralleli di quota y e y′), la cui componente orizzontale indicheremo con (dP0 dω) : 2π.
Per l'equilibrio alla traslazione orizzontale, tenendo presente che la risultante delle due forze Tds è 2 Tds sen dω/2, dovrà aversi:
Essendo dω molto piccolo, si può al seno sostituire l'angolo, e trascurando i differenziali di ordine superiore e ponendo cos (a + da) = cos a − sen ada, la precedente diventa:
ossia:
e per la (1):
Nel caso più comune di carico verticale simmetrico rispetto all'asse, è P0 = 0 e la 2′ diventa:
Nella pratica interessa spesso l'ipotesi di carico normale alla superficie della calotta e simmetrico rispetto all'asse. In questo caso conviene considerare l'equilibrio alla traslazione secondo la normale alla superficie nel punto medio dell'elemento. Se pn è il carico unitario distribuito sopra l'elemento superficiale, il carico totale sulla superficie dell'elemento risulta approssimativamente pn dsdl. Le componenti secondo il raggio di curvatura medio delle sollecitazioni C e T, trascurando i differenziali d'ordine superiore al primo, risultano approssimativamente Cdlda e Tds sen adω. Per l'equilibrio si avrà quindi:
Indicando con ρy e ρy′ (fig. 29) i raggi di curvatura agli estremi dell'elemento di meridiano ds, approssimativamente si avrà che:
Sostituendo alla precedente e semplificando si ha:
oppure:
Per la cupola sferica in cui ρy = ρy′ = ρ, la (4) diventa:
Per la cupola sferica caricata per unità di superficie da una pressione pn normale, si ricava dalla (1) la C per il meridiano e dalla precedente (4′) la T per il parallelo.
Cupole sferiche sottili chiuse al vertice. - Per calotte ribassate, con rapporto fra la freccia f e la corda l compreso tra 1/4 e 1/5, si può, con sufficiente approssimazione, ritenere che la superficie sferica si avvicini a quella di equilibrio di carichi verticali uniformemente ripartiti sia sulla superficie della calotta sia in pianta. Sia f la freccia e l la corda della superficie sferica (fig. 30). Prendiamo in esame un generico elemento alla quota y la cui normale forma con la verticale un angolo a. Se g è il carico per unità di superficie della cupola, il peso totale della calotta sovrastante alla quota y è: Pa = 2πr (r − y) g = 2πr2 (i − cos a) g.
Lo sforzo meridiano unitario risulta quindi dalla (1):
Lo sforzo anulare unitario T si ricava dalla (2) Tds = d(Cx cos α) la quale, essendo ds = rda, x = r sen a e per la (5), diventa:
Per la calotta semisferica, per y = r, cioè α = 0°, si ha:
Per y = 0, (α = 90°), si ottiene
Per a = 51°, 50′ dalla (6) risulta T = 0. Aumentando ulteriormente il valore di T, cambia il segno della T e si rendono necessarie opportune armature metalliche di trazione. La corrispondente ordinata del giunto d'inversione sarà: y = r cos 51°, 50′ = 0,618r.
La spinta orizzontale H in corrispondenza di questo giunto è la massima e ha il valore complessivo per tutto il parallelo:
Nel caso di carico uniformemente ripartito in pianta, si ha:
e quindi:
cioè la compressione lungo i meridiani è costante; inoltre:
Il giunto d'inversione in questo caso si ha per a = 45° e quindi più alto che nell'ipotesi di carico permanente e accidentale uniforme lungo la superficie, nel qual caso abbiamo trovato a = 51°, 50′.
La spinta orizzontale massima su tutto il contorno è, in corrispondenza di questo giunto:
Cupole sottili aperte con lucernario. - Una cupola aperta in sommità può considerarsi come una calotta chiusa, nella quale la parte corrispondente al lucernario sia sostituita dall'anello d'imposta del lucernario stesso e il peso della zona asportata sia sostituito da quello del lucernario concentrato lungo l'anello di sommità alla quota y0 e in cui la normale al meridiano forma con la verticale l'angolo a0 (fig. 31). Consideriamo il caso di una cupola sferica; è facile l'estensione a una cupola di meridiano qualsiasi. Indichiamo con Pa0 il peso della calotta asportata, Pa il peso che competerebbe alla calotta chiusa in corrispondenza di un generico parallelo a quota y in cui la normale al meridiano forma con la verticale l'angolo a, com L il peso del lucernario distribuito lungo l'anello di sommità. Il peso totale della cupola in corrispondenza del parallelo a quota y di ampiezza α sarà: Pa − Pao + L = Pa + P, indicando con P = L − Pao la differenza di peso fra il lucernario e la parte di cupola asportata. con questi valori dei carichi si determinano con le formule precedentemente esposte le azioni interne. Così dalla (1) risulterà:
e analogamente per i valori di T. Questi valori possono quindi essere considerati come somma di quelli dovuti al peso Pa e al peso P.
Calcolo grafico secondo il metodo di Schwedler. - Il procedimento grafico, indicato dallo Schwedler, per il calcolo delle cupole è praticamente più conveniente quando la cupola è sottoposta a condizioni di carico qualsiasi, p. es. le cupole interrate per serbatoi con forti sovraccarichi permanenti, cupole a spessore variabile, ecc. Disegnato il profilo meridiano della cupola in base alle considerazioni esposte precedentemente, e assegnati opportuni spessori in chiave e all'imposta, si completa la sezione meridiana dell'involucro e si prende in esame un generico spicchio o settore elementare (fig. 32), compreso fra due piani meridiani formanti un angolo ω = 2π : m, sufficientemente piccolo, che divide cioè in m parti la cupola in pianta. Sia h, h1, h2, ..., h6, la linea di carico insistente sulla cupola, ottenuta trasformando il sovraccarico permanente e accidentale in carico equipesante a quello del materiale di cui è costituita la cupola. Si divide lo spicchio in n tronchi di lunghezza Δs possibilmente uguali e piccoli e s'individuano in pianta gli anelli concentrici che corrispondono a ogni singolo tronco. Nella figura, per maggiore chiarezza, abbiamo diviso lo spicchio in pochi tronchi, n = 6; in pratica è invece necessaria una maggiore suddivisione. Definito il diagramma di carico, per ogni tronco s'individua il carico risultante P del peso proprio e del materiale sovrastante. I pesi P agiscono secondo le verticali baricentriche dei corrispondenti solidi (tronchi e sovrapposti strati di peso equivalente). Se A3 è l'area del diagramma di carico che compete, p. es., al tronco 3, il peso P3, relativo, applicato al baricentro dell'area tratteggiata in figura, sarà espresso con sufficiente approssimazione da:
essendo ρ3 la distanza del baricentro di A3 dall'asse della cupola e assumendo per γ il peso specifico della muratura (p. es.: per il cemento armato γ = 2400). Oltre alla forza P3, sul tronco considerato agiscono le due successive risultanti C3 e C4 della curva delle pressioni, che con sufficiente approssimazione potremo ritenere tangenti al meridiano nei punti medî dei giunti che limitano il tronco. Il tronco è inoltre sollecitato orizzontalmente da due forze anulari uguali T3, agenti normalmente ai piani meridiani laterali; la loro risultante H3 è contenuta, per carichi simmetrici, nel piano del meridiano mediano del settore. In complesso si hanno per ogni tronco quattro forze, e cioè: Pn, Hn (risultante dalle Tn), Cn e Cn + 1. Fa eccezione il tronco di chiave (in pianta il campo triangolare superiore) che è in equilibrio sotto l'influenza di sole tre forze: C6, H6, P6. Se quindi nel poligono delle forze si conducono dagli estremi del segmento equivalente a P6 l'orizzontale e la parallela alla tangente alla linea meridiana, in corrispondenza al giunto fra i tronchi 5 e 6, si viene a definire il valore di C6 e quello di H6, che a sua volta definisce le due forze anulari T6 normali ai lati BV′ e B′V′ dello spicchio in pianta. Analogamente dall'estremo della forza P5 si tracci la parallela alla tangente all'asse in corrispondenza del giunto fra i tronchi 4 e 5. Si hanno la forza C5 e la H5, la quale viene successivamente scomposta nelle due forze anulari T5. Procedendo in questo modo si ottengono gli altri quadrangoli di equilibrio in tutti i successivi campi del settore della cupola, e quindi le compressioni C nel meridiano, le spinte H e le compressioni T nei paralleli. La forza Z di trazione nell'anello inferiore d'imposta della cupola si ottiene scomponendo la spinta complessiva ΣH, come è indicato in figura, normalmente ai lati in pianta dello spicchio BV′B′. Se la cupola è piuttosto ripida (apertura superiore ai 500) gli ultimi quadrangoli risultano incrociati e le H cambiano segno, volgendosi verso l'interno; il che significa che nei paralleli più bassi si sviluppano sforzi di trazione. Per cupole in muratura di mattoni ciò è inammissibile, come pure è prudente per le cupole in calcestruzzo non armate prescindere dalla resistenza alla trazione, per cui a partire dal tronco d'inversione si proseguirà la curva delle pressioni astraendo dalle H proiettando cioè le successive forze P da un unico polo. Nella fig. 33 è eseguita la stessa costruzione per una cupola più ripida, nella quale si ha inversione delle H. La scomposizione delle H negative nelle -T (sforzi di trazione nei due anelli inferiori) è segnata con punteggiata nella figura (avendo considerato come positivi gli sforzi di compressione, abbiamo segnato negativi quelli di trazione). Le forze anulari alla base della cupola sono pure di trazione Z e si ottengono sempre scomponendo la ΣH normalmente ai lati in pianta dello spicchio.
Se la cupola è aperta in sommità la costruzione grafica è analoga ed è indicata nella fig. 34. In corrispondenza dell'anello di sommità si applica il peso Q corrispondente al primo tronco del settore. Si hanno poi le forze: D (compressione) nell'anello superiore scomponendo la H relativa, e z (trazione) nell'anello inferiore scomponendo la ΣΗ. La trazione negli anelli viene assorbita da un'opportuna armatura metallica. Se − Ti è la forza di trazione in un anello generico, sarà Ff = Ti/σf la sezione di ferro occorrente in quell'anello. Così nell'anello di base occorrerà un'armatura metallica Ff = Z/σf. Gli altri anelli sono compressi dalla forza anulare T e i meridiani pure compressi dalla forza assiale C. Nelle cupole di cemento armato non sarebbe richiesta un'armatura metallica. Tuttavia, poiché per la determinazione approssimata fatta degli sforzi non abbiamo tenuto conto di tutte le cause perturbatrici alle quali abbiamo accennato prima, è necessario anche nelle zone compresse disporre una armatura metallica. Questa in generale è costituita da una rete di doppia serie di tondini disposti secondo la superficie mediana della cupola, lungo i paralleli e lungo i meridiani, oppure, nei casi più importanti, da una doppia rete di tondini disposti in corrispondenza dell'intradosso e dell'estradosso della cupola, ciascuna costituita da una serie di tondini lungo i paralleli e lungo i meridiani.
Molto opportuna la disposizione a losanga dell'armatura, come per le cupole Zeiss, particolarmente efficace contro l'azione del vento e dei carichi dissimmetrici.
Cupole a nervatura. - Le nervature possono essere solamente meridiane oppure meridiane e parallele. È la disposizione più comunemente adottata nelle cupole in ferro e anche in cemento armato. Le nervature meridiane costituiscono archi quasi sempre vincolati a incastro al piede e collegati da un anello d'imposta. In sommità, se la cupola è aperta, i meridiani sono anche incastrati in un anello superiore di sostegno del lucernario. Tuttavia, quando la cupola ha forte luce ed è molto ribassata, la deformabilità dell'anello di base consiglia a considerare per i meridiani l'ipotesi limite di un parziale snodo al piede. L'arco meridiano in generale viene progettato secondo la funicolare dei carichi permanenti e calcolato coi metodi noti. Per quanto riguarda i paralleli, si determinano in essi le forze di compressione o trazione con i procedimenti già esposti, grafici o analitici, considerando l'anello limitato fra due piani paralleli corrispondenti all'interasse.
Pressione del vento. - Il calcolo rigoroso degli effetti dell'azione del vento è molto complesso per la dissimetria del carico, ed è indeterminato, perché non è nota la legge di distribuzione del vento sull'involucro. Alcuni autori hanno affrontato la risoluzione di questo studio importante; il Reissner ha determinato le tensioni nei varî punti, mediante la risoluzione di equazioni differenziali. Nella pratica, quando si vuole considerare il vento dissimetrico, si ricorre a soluzioni sufficientemente approssimate. Per es., distribuendo l'armatura oltre che secondo meridiani e paralleli anche secondo le diagonali dei riquadri che così vengono a formarsi, si può considerare l'azione del vento data da forze concentrate nei nodi del traliccio spaziale costituito dall'armatura e determinare gli sforzi nelle aste. Per un calcolo sommario di prima approssimazione, si può verificare la resistenza globale della cupola all'azione del vento e poi considerarla idealmente come costituita da un intreccio di archi meridiani e paralleli. La cupola si può considerare come una grande mensola a profilo di uniforme resistenza e sollecitata dalla pressione del vento, ripartita sulla sezione meridiana S, considerata piena, e ridotta per effetto della curvatura a P = 0,7 Sp, applicata nel baricentro G della sezione (fig. 35). Per la pressione unitaria p si può assumere un valore variabile di 100 ÷ 150 kg./mq., corrispondendo quest'ultimo valore ai più violenti uragani. Un generico meridiano si può considerare come un arco incastrato (fig. 36) sollecitato da una forza orizzontale Pm, equivalente alla pressione sulla superficie esposta del meridiano considerato. Un generico parallelo si comporta come un anello premuto all'estremo di un diametro da due forze Pa equivalenti alla spinta del vento sulla superficie esposta del parallelo considerato (fig. 37). Mentre nelle cupole ribassate può ritenersi sufficiente una valutazione approssimata dell'azione del vento nelle cupole più rialzate è necessaria una determinazione più rigorosa. Si esegue la verifica nell'ipotesi più gravosa del vento normale alla superficie della cupola. Si può anche considerare che la pressione del vento, pur essendo normale alla superficie, risulti diversamente distribuita nelle varie zone, secondo che si voglia ottenere le massime tensioni meridiane, oppure la massima forza anulare per un tronco sito a una data quota. Per questa verifica conviene seguire il metodo grafico approssimato dello Schwedler. Nella fig. 38 sono state determinate per ogni tronco le massime forze meridiane C nell'ipotesi del carico completo e inoltre le massime forze anulari di compressione T e quelle massime anulari di trazione T′, osservando che la massima compressione T in una data zona si verifica quando essa è carica e tutte le altre invece sono scariche, mentre la massima trazione T′ nella stessa zona si verifica quando questa è scarica e le altre cariche. Il poligono della forza del vento V4, V3, V2, V1, a pieno carico, fornisce le massime sollecitazioni nel senso meridiano, cioè rispettivamente i massimi valori delle compressioni C4, C3 C2, C1, con le costruzioni già esposte nel caso delle figure precedenti. Se si suppone scarico uno dei tronchi, ad esempio il 2, la sollecitazione meridiana C2 diventa C2′. Si ottiene la massima trazione T2′ max nel parallelo scomponendo la H2′ nel solito modo, secondo le normali alle facce laterali del settore (in alto punteggiate nel disegno). Questa operazione è stata ripetuta nella figura 38 per tutti i tronchi nei quali è stato diviso il settore.
La massima compressione orizzontale T si ottiene quando la zona in questione è essa stessa caricata, mentre tutto il rimanente va immaginato senza carico. Il tronco 2 si trova quindi in equilibrio sotto l'azione di sole 3 forze: V2, H2, C2 (triangolo tratteggiato). Se ne ricava la H2 orizzontale che viene ulteriormente scomposta nelle due massime compressioni T2 max, nm (in basso punteggiata nel disegno) secondo le normali alle facce laterali del settore.
I rispettivi triangoli di equilibrio di ogni tronco si possono inserire nel poligono generale delle forze.
Bibl.: C. Guidi, Lezioni di scienza delle costruzioni, III, Roma 1929; F. Emperger, Handbuch f. Eisenbetonbau, XII, 4ª ed., Berlino 1927; Reissner, Spannungen in Kugelschalen, Lipsia 1912; Schwerin, Spannungen in Kugelschalen, Berlino 1912; E. Orabona, Calcolo delle piastre a doppia curvatura, Bari, 1929; Belluzzi, Linee d'influenza nelle cupole, in Annali dei LL. PP., 1930-1931; L. Santarella, Il cemento armato, II, Milano 1931.
La cupola nelle fortificazioni.
La cupola è un organo di protezione a corazzatura: essa può essere girevole e ad eclisse (o scomparsa). Si collocano sotto cupola bocche da fuoco oppure osservatorî o anche proiettori: sotto tale aspetto la caratteristica attiva della cupola girevole è quella di permettere come settore di tiro, di osservazione o d'illuminazione l'intero giro d'orizzonte. Vi è naturalmente interesse a che la cupola come bersaglio offra minime dimensioni: essa perciò deve essere tenuta bassa per quanto possibile: il che si ottiene infossando in un pozzo la sistemazione che la cupola deve proteggere (bocca da fuoco, osservatorio, proiettore).
La calotta in metallo è girevole, o mediante appoggio periferico alle pareti del pozzo, o mediante un perno centrale: l'appoggio periferico è preferibile per le cupole pesanti delle bocche da fuoco di medio o grosso calibro; l'appoggio su perno centrale è preferibile per le installazioni leggiere delle bocche da fuoco di piccolo calibro o dei proiettori.
Una zona debole dell'installazione a cupola è la zona circolare dove l'orlo periferico della calotta si presenta all'orlo superiore della parete del pozzo. Ivi, in corrispondenza all'orlo superiore del pozzo, si ha un minimo di grossezza della massa coprente fissa. Questa zona viene perciò costituita in modo particolare con un grosso anello di corazza metallica: il dispositivo si chiama avancorazza. L'installazione in cupola è stata specialmente provata nelle fortezze belghe e francesi. Le cupole delle fortezze belghe avevano grossezze di 12 a 20 cm. a Verdun si giungeva fino a 30 cm. Il comportamento è stato naturalmente diverso, nel senso che le cupole belghe non hanno resistito ai colpi dei maggiori calibri (420 e 305) mentre quelle di Verdun hanno resistito. Le cupole sono soggette a inconvenienti dipendenti dalla delicatezza del dispositivo di rotazione. Sotto l'effetto di colpi dei maggiori calibri è facile che la cupola, pur senza essere perforata, rimanga paralizzata, o per schegge che penetrino nel gioco fra corazza e avancorazza o per guasti all'appoggio (periferico o centrale). Tale inconveniente si verificò tanto nelle fortezze belghe quanto a Verdun: nelle fortezze belghe, non essendovi predisposizioni nei forti per le riparazioni alle cupole, ne derivò l'inutilizzazione della cupola: a Verdun le cupole poterono invece essere rimesśe in efficienza dopo qualche giorno.
Cupole laviche. - Le lave molto viscose, come le liparitiche o le andesitiche, sogliono accumularsi vicino alla bocca di efflusso e formano delle alture a forma di cupola; che sono sfornite di cratere.
Famose sono le cupole laviche che sorsero dal fondo marino della baia di Santorino nel 1866.
Un tipo singolare di cupola è il domo e la guglia che si formarono sulle Montagne Pelée (Martinica) nel 1902. Al Vesuvio nel 1903 si formò una cupola per rigonfiamento della lava che si accumulò nell'Atrio del Cavallo.
I piccoli rigonfiamenti che talora si riacontrano sulle colate si chiamano intumescenze.