CUPOLA
Tipo di volta a pianta curvilinea (circolare, ellittica, ovoidale) costituita geometricamente dalla superficie generata dalla rotazione di una curva intorno a un asse verticale. La volta a curvatura continua su base circolare prende il nome di calotta. Il termine italiano c., derivato dal lat. cupula, diminutivo di cupa ('botte') - etimologia parallela a quella delle voci greche trúllos, trúlla, diffuse nell'area di influenza bizantina -, è attestato dal sec. 14° e passò nel 16° ad altre lingue europee (franc. coupole; ted. Kuppel; ingl. cupola, che però definisce una c. di piccole dimensioni a coronamento di un tetto o di una torretta, mentre il termine corrente è dome, corrispondente al franc. dôme, che invece indica in particolare la calotta esterna di una c. o una c. estradossata). Nei testi e documenti medievali questo tipo di copertura è spesso definito con il vocabolo tholus (Du Cange, VIII, 1938, p. 101), o con termini che alludono alla sua forma svettante quali cacumen o, per il duomo di Siena, meta (Pietramellara, 1980, p. 54), o ancora con termini specifici di impiego locale: la c. è detta cugul nella cattedrale di Seu d'Urgell (1175; Mortet, Deschamps, 1929, p. 130); le coperture piramidali della navata sono definite dubae nel Saint-Ours di Loches (dip. Indre-et-Loire, 1168 ca.; Mortet, Deschamps, 1929, p. 118); si menzionano infine "revoluciones rotunde que turli dicentur" nella basilica del Santo a Padova (ante 1337; L'edificio del Santo, 1981, p. 222).La fortuna della c. nell'architettura medievale, dell'Occidente come dell'Oriente, è legata anche al valore simbolico e glorificante di questa copertura, il cui impiego fin dall'Antichità risulta connesso con la tradizione funeraria; la concezione cristiana della redenzione come morte e rinascita giustifica il trapasso di questa forma dai mausolei e dai martyria ai battisteri. La c. inoltre, anticamente in relazione con il culto solare e cosmico collegato al concetto ellenistico di regalità, venne assunta naturalmente a simbolo del Sol Iustitiae Cristo-Sole e del Cristo re e giudice (Hautecoeur, 1954); per i primi cristiani il centro della c. rappresentava l'omphalós, il centro della terra, coincidente con il Calvario, e la volta l'elmo celeste che proteggeva la chiesa, parafrasi del regno dei cieli. L'identificazione cosmica è sottolineata dai temi iconografici della decorazione - calotta come cielo stellato; Cristo Pantocratore al centro, circondato dagli apostoli, dai profeti o dagli angeli; figure angeliche e figure o simboli degli evangelisti nelle trombe o nei pennacchi - sviluppati dal sec. 11° nelle chiese bizantine secondo un preciso ordinamento teologico che, incentrato sulla c., si estendeva all'intero edificio. La simbologia della c. è connessa anche al culto della Madre di Dio: infatti molte chiese medievali dedicate alla Vergine presentano questo elemento architettonico, poiché alla sua simbologia è sotteso il richiamo alla grotta della natività o l'evocazione della nascita del Redentore, implicita nel concetto battesimo-rigenerazione.La superficie interna della c., come quella di ogni tipo di volta, prende il nome di intradosso e quella esterna di estradosso; la sezione della c. può essere a tutto sesto, a sesto acuto, a sesto ribassato, ovoidale o anche a forma di bulbo (c. a cipolla) e può presentarsi con spessore costante o meno, cioè con estradosso e intradosso dal profilo diverso. La c. è anche interpretabile come una volta a padiglione avente per base un poligono con un numero infinito di lati; in tal senso è possibile definire come c. a padiglione o poligonali anche le volte a padiglione con otto o più facce.Problema importante nella costruzione delle c. è quello del contenimento delle spinte, cioè delle azioni laterali agenti nel piano orizzontale, che vengono controllate con diversi artifici: alleggerendo il peso della calotta o con catene annegate nello spessore della muratura o mediante impiego di contrafforti e di altre strutture voltate in funzione di controspinta. Sotto l'aspetto costruttivo è opportuno distinguere, in base al tipo dell'apparecchio strutturale, le c. dalle pseudo-cupole. L'apparecchio strutturale di queste ultime è costituito da ricorsi orizzontali successivamente sporgenti che appoggiati l'uno sull'altro - anziché convergenti a un centro, cioè normali alla curva generatrice - annullano l'azione di spinta e consentono di realizzare la costruzione anche senza armature provvisorie di sostegno, tanto più facilmente quanto più il profilo è prossimo alla verticale (sesto acuto od ovoide). Un esempio di pseudo-c. si trova nel mausoleo di Teodorico a Ravenna (526 ca.), dove la copertura del vano circolare è ricavata da un unico blocco di pietra. Sono invece c. vere e proprie quelle in materiale a getto, che pure vengono realizzate in genere secondo strati orizzontali e che dopo la 'presa' costituiscono un'unica calotta monolitica, dando luogo a tensioni interne di spinta.Se la pianta del vano da coprire non è circolare (o poligonale nel caso delle c. a padiglione), si presenta la necessità di elementi di raccordo tra il vano stesso e l'imposta della c. - in particolare nel caso di un ambiente quadrato -, quasi sempre ricorrente quando la c. non è isolata ma inserita nel contesto di un edificio. Le soluzioni sono sostanzialmente due: la prima è rappresentata dalle cuffie, nicchie angolari raccordate alle pareti con una mezza volta a padiglione (Napoli, battistero) o con una mezza crociera (Cagliari, S. Saturno), o dalle trombe, sistema di archi di raggio crescente posti diagonalmente in corrispondenza degli spigoli e aggettanti l'uno sull'altro o formanti una superficie continua semiconica, che consentono di trasformare il quadrato di base in un ottagono o in poligoni con numero sempre maggiore di lati, fino a ottenere il trapasso a una imposta circolare. La seconda soluzione, geometricamente rigorosa, consiste nei c.d. pennacchi, triangoli sferici, porzioni di una c. sferica che ha il diametro pari alla diagonale del quadrato di base, ovvero di una volta a vela secata con un piano orizzontale all'altezza dell'imposta della c. da realizzare. Anche la volta a vela stessa, in quanto realizzata con apparecchio costruttivo ad anelli concentrici come quello delle c., viene considerata talvolta come un particolare tipo di c. su pianta quadrata (c. a vela). Sia le c. su pennacchi sia quelle su cuffie o trombe possono essere realizzate direttamente a partire dalla linea di imposta ottenuta con questi mezzi, oppure possono essere elevate al di sopra di un corpo detto tamburo, cilindrico o poligonale, che consente anche l'apertura di finestre, più difficilmente realizzabili sulla superficie della cupola. Fonte di luce è talora un oculo alla sommità della calotta, in genere protetto da una torretta finestrata, detta lanterna.La costruzione delle c. ebbe larga applicazione nell'architettura romana, come pure in quella dell'Oriente mediterraneo e iranico, per coperture di ambienti di particolare prestigio (edifici di culto, sale di palazzo, sale di edifici termali, mausolei). Da queste tradizioni la c. passò all'architettura bizantina, armena, islamica e a quella del Medioevo occidentale, secondo processi di trasmissione culturale che hanno dato luogo a interpretazioni diverse e talvolta contrapposte. I procedimenti costruttivi delle c. antiche riprendono quelli degli edifici a volta per quanto riguarda i materiali impiegati: pietra da taglio, laterizi, pietrame, conglomerati a getto talora con uso di inerti di diverso peso specifico a diverse quote, per diminuire i carichi verso il vertice, e anche materiali leggeri come anfore o tubi fittili. I dispositivi sono vari e comprendono l'impiego di nervature interne allo spessore murario - disposte secondo i meridiani o anche i paralleli e talvolta con andamento spiraliforme (spinapesce) - oppure l'uso di costoloni o cassettoni sporgenti, che costituiscono sistemi a scheletro resistenti, consentendo di alleggerire il resto della calotta e facilitandone l'esecuzione. Quando i costoloni meridiani sono collegati da superfici, che in pianta presentano curvatura di raggio minore a quella della circonferenza di imposta, cioè quando l'intradosso si presenta formato da spicchi concavi, si ha una c. a ombrello (o a melone); in alcuni casi gli spicchi possono essere alternatamente concavi e piani. Nel corso del processo di realizzazione delle c., come per le volte e per gli archi, è in genere necessario impiegare le centine, armature provvisorie di sostegno che riproducono la forma della calotta, che possono essere del tipo a sbalzo, cioè appese alle murature verticali o comunque appoggiate solo in corrispondenza del perimetro di imposta, o del tipo fisso, con sostegni distribuiti su tutta l'area coperta. Le c. di rotazione di dimensioni ridotte possono essere costruite anche senza centine, disponendo i ricorsi per mezzo di un'asta rigida ruotante che consente alle maestranze di mantenere identica la distanza dal centro.Dopo il sec. 4° l'uso di coperture a c. costruite con conglomerato a getto scomparve quasi completamente, mentre soprattutto nell'area orientale si continuarono a realizzare c. in mattoni per battisteri, martyria e chiese. In molti casi gli ambienti a pianta centrale furono coperti con strutture a forma di c., o anche coniche o piramidali, ma realizzate in legno (Gerusalemme, basilica del Santo Sepolcro, c. dell'Anastasi). In Siria si continuò a costruire in pietra squadrata, come nel caso della c. con trombe sui vani ai lati dell'abside nella basilica della Santa Croce a Ruṣāfa (559 ca.). A Ravenna per la c. del battistero degli Ortodossi (458-477) e per quella con nicchie angolari del S. Vitale (526-547) venne adottato un sistema costruttivo basato sull'impiego di un duplice anello di tubi fittili incastrati l'uno nell'altro, che forse aveva avuto un precedente nella copertura del vano centrale della basilica di S. Lorenzo a Milano. Negli esempi ravennati il tamburo poligonale prosegue sopra la linea di imposta della c. a sostenere un tetto che, oltre a proteggere la calotta, contribuisce con il suo peso a migliorare la stabilità delle pareti verticali (c. con tiburio). Gli architetti di Giustiniano a Costantinopoli invece adottarono nelle c. (Ss. Sergio e Bacco, 527-536; Santa Sofia, 532-537) la forma estradossata, cioè con calotta visibile dall'esterno, che divenne usuale per le costruzioni bizantine. Santa Sofia presenta inoltre tra il quadrato di base e la calotta, realizzata in mattoni, il tipo di raccordo mediante pennacchi sferici, già impiegato in forma embrionale nelle c. romane e in esempi orientali. Sebbene questa soluzione sia riferibile solo a un rifacimento della prima chiesa giustinianea del 537, originariamente il vano centrale era forse coperto con una volta a vela, crollata nel 558 e sostituita nel 563 con una c. più alta - articolata da quaranta costoloni radiali, tra i quali si aprono altrettante finestre - probabilmente riutilizzando come pennacchi i resti della primitiva costruzione. L'attuale calotta, con un diametro di ca. 100 piedi bizantini (m. 32,68) e un'altezza al vertice di m. 57,50, venne restaurata di nuovo nel sec. 9° e ancora, a seguito di crolli parziali, nel 989, a opera dell'architetto armeno Trdat, nonché nel 1346.Nella prima architettura bizantina la c. su pianta quadrata, o su un vano cruciforme generato dall'ampliamento del nucleo centrale secondo assi ortogonali, si impose come unità planimetrica di base: sia isolata sia raddoppiata o triplicata e variamente combinata a formare un impianto a croce (Costantinopoli, Ss. Apostoli; Efeso, S. Giovanni), sia innestata su una embrionale pianta basilicale secondo schemi diversi, senza transetto - come a Meriamlik (od. Ayatekla) in Cilicia, a Santa Irene di Costantinopoli e a Qaṣr ibn Wardān in Siria, che rappresenta il tipo della basilica cupolata c.d. contratta - o con transetto, per es. nella basilica B di Filippi in Grecia o a S. Tito a Gortyna a Creta. Nella cattedrale di Sofia, forse del sec. 6°, la c. inclusa entro un tiburio quadrato occupa l'incrocio di una basilica articolata in corpo longitudinale a tre navate, transetto e presbiterio.Nei successivi sviluppi la c. divenne, in connessione alla codificazione del complesso rito orientale, il centro dello spazio liturgico nel tipo di chiesa con pianta a croce greca, già completamente realizzato alla fine del sec. 6° nella Dormizione di Nicea e nella Santa Sofia di Salonicco, dei primi decenni del 7° secolo. Gli schemi con impianto centrale cupolato si articolarono in periodo mediobizantino in una serie di varianti tipologiche, basate fondamentalmente sul rapporto tra la c., i suoi sostegni e le adiacenti strutture di contraffortamento. Si ebbero così tre tipi: il tipo c.d. ottagono, a pianta quadrata trasformata in un ottagono a lati disuguali mediante pilastri sporgenti collegati da archi e nicchie (trombe) angolari, sui quali s'imposta la c. (Chio, Nea Moni); la chiesa con ottagono a croce greca, dove le trombe d'angolo sono sorrette da pilastri a L, tra i quali si aprono quattro bracci di profondità pari a metà del vano centrale (Hosios Lukas, katholikón; Dafni, monastero); e il tipo più largamente diffuso, la chiesa a quinconce, o a croce inscritta, con c. in genere su pennacchi sferici, sorretta da quattro sostegni centrali (colonne, pilastri) e circondata sugli assi diagonali da quattro campate d'angolo coperte con altre c. o con volte a crociera. Le c. del periodo tardobizantino che ripetono questi schemi (per es. Arta, chiesa della Parigoritissa) sono caratterizzate da un notevole sviluppo verticale ottenuto sia con le proporzioni strette e slanciate del vano - per es. nella chiesa dei Ss. Apostoli a Salonicco, degli inizi del sec. 14°, il rapporto tra altezza e larghezza del vano centrale cupolato è addirittura pari a 1:5 - sia con la frequente interposizione di un alto tamburo finestrato.Nelle regioni di frontiera dell'impero le c. trovarono applicazione, sotto l'aspetto tipologico e costruttivo, secondo modelli direttamente derivati dalle esperienze bizantine (per. es. a Kiev la Santa Sofia, del 1037-1046, e la chiesa della Desjatina, oggi distrutta, che probabilmente presentava un impianto a croce greca con c.; in Serbia a Studenica la chiesa della Vergine e a Staro Nagoričino la chiesa di S. Giorgio), ma riconducibili in alcuni casi anche alla tradizione romana (in Dalmazia a Spalato la chiesa della Santa Trinità, del sec. 9°, e a Cattaro quella di S. Luca, della fine del 12°), in altri a radici autoctone (in Bulgaria a Preslav la chiesa rotonda, probabilmente del sec. 10°), sviluppatesi a contatto con l'architettura sasanide e armena. In Armenia le c., in genere su pianta quadrata od ottagonale raccordata mediante nicchie angolari, sono sempre costruite in pietra, esternamente racchiuse in un tamburo a terminazione conica o piramidale, e innestate su schemi planimetrici diversi, che talora sembrano anticipare fin dal sec. 7° tipi mediobizantini; a Eǰmiacin presenta analogie con lo schema a croce inscritta la chiesa di S. Gayanē, e con lo schema ottagono a croce quella di S. Hṙip῾simé.Nelle chiese dell'Occidente l'impiego della c. è in genere riferibile a modelli orientali. Alla fine del sec. 8° per la copertura della Cappella Palatina ad Aquisgrana fu impiegata una calotta poligonale (assai restaurata in seguito) impostata sul secondo livello dell'ambulacro, la cui copertura è costituita da volte a botte rampanti disposte radialmente per contenere la spinta. Da questo prestigioso prototipo discendono numerose repliche, ma con notevoli varianti riguardo alla funzione (cappelle funerarie, cappelle battesimali) e agli aspetti tipologici e costruttivi. Sono caratterizzati dall'impiego di coperture a c. anche i battisteri, derivati più o meno direttamente dalle costruzioni ambrosiane del sec. 4° a Milano: il battistero di S. Tecla, il sacello di S. Aquilino presso S. Lorenzo e il mausoleo imperiale presso S. Vittore al Corpo. Il modello milanese a pianta ottagonale, con perimetro murario articolato da nicchie a fondo piano o concavo, coperto con c. a calotta emisferica o poligonale inviluppata in un tiburio cuspidato, venne ripreso con diversi arricchimenti durante l'Alto Medioevo in tutta l'area padana, ma anche in Provenza e fin nella Francia centrale (Nevers, battistero della cattedrale). Gli esempi lombardi dei secc. 10° e 11° (Novara, Lomello, Arsago Seprio, Lenno) culminano nei battisteri di Cremona (1167; diametro interno m. 20 ca.) e di Parma (1196; c. di m. 25 ca. a sesto acuto costolonata); alla stessa famiglia va riportato il battistero di Firenze, dove la c. poligonale (m. 26 ca.) risulta contraffortata con speroni perpendicolari agli spicchi e collegati da volte rampanti, a sorreggere la copertura esterna cuspidata, soluzione che costruttivamente propone un possibile rapporto con Aquisgrana. Una variante planimetrica del battistero ottagonale è data dallo schema quadrilobato (San Vincenzo a Galliano; Biella), con c. su pianta quadrata e raccordi a tromba.La basilica di S. Marco a Venezia (sec. 11°) riprende lo schema di base della chiesa giustinianea dei Ss. Apostoli di Costantinopoli, con cinque c. a calotta emisferica su pennacchi disposte a croce, in seguito rivestite esternamente da false c. lignee a cipolla. Lo stesso impianto planimetrico ritorna nella chiesa, molto ricostruita, di Saint-Front a Périgueux (dip. Dordogne), le cui c. possono essere forse considerate il modello di quelle dell'Aquitania, benché non siano state del tutto chiarite per questo gruppo di edifici né la cronologia - le più antiche sembrano essere le c. della cattedrale di Saint-Etienne a Périgueux e della cattedrale di Cahors (dip. Lot) - né la derivazione, se non per l'evidente ascendenza bizantina. Gli edifici aquitanici, a navata unica con o senza transetto, sono coperti da una serie di c. su pennacchi realizzati, anziché con mattoni, con apparecchio di conci in pietra a ricorsi orizzontali; le facce dei quattro archi acuti, ugualmente in conci, che li sostengono, si incurvano per raccordarsi ai pennacchi stessi, con una soluzione costruttiva originale e diversa dai prototipi orientali (Viollet-le-Duc, 1859). Le calotte a profilo acuto sono in muratura di pietrame, come quella delle contemporanee volte romaniche, e quando sono estradossate presentano un maggiore spessore al vertice per favorire il deflusso delle acque. Altre chiese con c. in serie sulla navata si incontrano in Sicilia, con c. di piccole dimensioni del tutto affini a quelle nordafricane, e in Puglia, dove però gli esempi più significativi (Trani, S. Francesco; Molfetta, cattedrale), sia nell'aspetto esteriore e nell'assetto interno sia nella tecnica costruttiva e nel sistema di contraffortamento (navate laterali con volte a semibotte rampante), si rifanno a modelli romanico-occidentali.In numerosissime chiese romaniche a pianta longitudinale - che replicano lo schema applicato nella cattedrale di Sofia fin dal sec. 6° - il vano d'incrocio tra navata e transetto è coperto con una c. di pianta poligonale, circolare, o più spesso semplicemente a spigoli arrotondati, risolta in molteplici varianti nella configurazione esteriore (con tiburio poligonale cuspidato, a uno o più piani di finestre o di loggette; sormontata da torre quadrata od ottagonale; con calotta esterna estradossata sferoidale o conica, con o senza lanterna). In alcuni casi la forma allungata dell'incrocio dà luogo a una c. di pianta pressappoco ellittica od ovoidale (Pisa, duomo) usata anche in edifici centrici isolati (c. a spicchi a Colonia, St. Gereon); talora la trasformazione dalla pianta oblunga al quadrato è stata ottenuta mediante archi che aggettano gli uni sugli altri (Avignone, Notre-Dame des Doms). Il passaggio tra l'incrocio e l'imposta della c. è stato in genere attuato con trombe di vario tipo e forma, talora anche con mensole sporgenti in corrispondenza degli angoli, più raramente con raccordi assimilabili a pennacchi (Salamanca, cattedrale vecchia, della fine del sec. 12°; Ancona, S. Ciriaco, del sec. 13°); le calotte sono emisferiche o più spesso a profilo rialzato e a padiglione. In alcuni casi, soprattutto nelle aree di confine con il mondo islamico, l'intradosso è articolato con nervature meridiane o anche incrociate (Torres del Rio in Navarra, chiesa del Santo Sepolcro, del sec. 12°), o conformato a ombrello. Una soluzione particolare si presenta a Loches, dove le due campate centrali della chiesa di Saint-Ours, a navata unica, furono coperte nel 1168 ca. con pseudo-c. a piramide, analoghe alla singolare copertura della cucina della vicina abbazia di Fontevrault (od. Fontevraud-l'Abbaye; dip. Maine-et-Loire), o, in altro contesto territoriale, a Pisa con la volta piramidale della chiesa del Santo Sepolcro.Con l'affermazione del sistema strutturale gotico e lo sviluppo delle volte a costoloni, l'impiego delle c. divenne più raro, ma nelle regioni che avevano conosciuto un'applicazione diffusa di questo tipo di costruzione (Poitou, Francia occidentale, medio e alto Reno) ne rimasero vivi il ricordo e l'influenza nell'uso di crociere cupoliformi con apparecchio a ricorsi concentrici, assimilabile a quello delle c. vere e proprie.C. importanti vennero costruite nei secc. 13° e 14° in Italia: a Pisa l'originaria volta troncoconica del battistero, ispirata alla c. dell'Anastasi nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, fu cinta da una seconda calotta estradossata; a Padova nella basilica del Santo venne replicata la soluzione del S. Marco di Venezia; a Siena nella cattedrale venne realizzata al termine della navata e in parte dell'area del transetto una grande c. su pianta a esagono irregolare. L'idea di una c. di ampiezza pari a quella dell'intero corpo longitudinale, incluse le navate laterali, prese corpo tra Roma e la Toscana già alla fine del Duecento (Romanini, 1983a; 1983b); l'identico tema, ma su luce libera molto più ridotta, fu risolto, entro la metà del sec. 14°, nella cattedrale di Ely (Cambridgeshire) con un ottagono ligneo a sbalzo. La c. della fiorentina S. Maria del Fiore, che sotto certi aspetti conclude l'esperienza costruttiva medievale, venne portata a compimento tra il 1418 e il 1436 da Filippo Brunelleschi, con una struttura a doppia calotta muraria, superando la difficoltà di realizzare le centine necessarie a una c. a padiglione, su una luce di oltre m. 42, con l'impiego di nervature a spinapesce (Sanpaolesi, 1941) e probabilmente disponendo oltre una certa quota i ricorsi laterizi secondo letti conici continui, per consentire in corso d'opera la chiusura di anelli concentrici autoportanti (Di Pasquale, 1976; Mainstone, 1977).
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Nell'architettura dei paesi islamici la c. non ebbe quel valore caratterizzante che le attribuì l'Occidente: il suo impiego, infatti, è limitato a determinati periodi, a precisi tipi edilizi ed elementi dell'organismo architettonico. Se quasi costante è l'uso della c. come copertura di mausolei o edifici funerari (qubba, marābūt, imāmzāda, turba), più misurato ne è l'impiego in edifici religiosi, generalmente coperti in piano, al fine di enfatizzare l'area antistante il miḥrāb, paragonabile all'incrocio tra navata e transetto nelle chiese cristiane. Ancora più raro appare l'uso della c. nelle costruzioni palaziali, coperte prevalentemente con volte a botte.Una tra le più antiche c. islamiche sopravvissute è la C. della Roccia (Qubbat al-Ṣakhra) a Gerusalemme, forse frutto di un ripristino del sec. 11° di quella originaria della fine del 7° secolo. Costruita in legno a doppia calotta, essa può essere attribuita a maestranze non musulmane ed è quindi riconducibile alle c. cristiane della Siria e della Palestina. A tale modello dovevano fare riferimento anche l'originaria c. lignea, anch'essa a doppio involucro, della moschea di Damasco (714-715) - distrutta nel 1069 e sostituita con una in pietra dal selgiuqide Malikshāh nel sec. 12° - e la perduta c. della moschea al-Aqṣā a Gerusalemme (715-716), ricostruita in legno da al-Mahdī nel 775.Nulla si conosce delle prime c. islamiche in Persia, certo di diretta derivazione sasanide, almeno sino alla fine del sec. 10°, mentre per l'Asia centrale resta a Bukhara la cupola del mausoleo di Ismā῾īl il Samanide, del 907.Le strutture di copertura che si trovavano nell'Andalus e nel Maghreb alla fine del sec. 10° non possono definirsi vere c., anche se delle c. conservano i valori spaziali. Sono da menzionare in proposito le volte a nervature incrociate della Grande moschea di Córdova, nell'ampliamento di al-Ḥakam II (980 ca.), quelle soltanto decorative del Bāb-i mardum a Toledo (990 ca.) e la volta mirabilmente leggera della moschea di Tlemcen in Algeria (1136 ca.).Tra l'inizio del sec. 11° e la fine del 13° le volte nervate si diffusero per opera dei costruttori selgiuqidi dall'Anatolia alla Persia e vennero realizzate rispettivamente in pietra e in mattoni. Significative sono quelle nella moschea di Iṣfahān (1080-1115 ca.) in Iran, nel mausoleo di Sulṭān Sanjar a Merv (1157) nel Turkestan, nella Ulu Cami a Malatya (1124) in Turchia. Pressappoco nello stesso periodo dall'Iraq si diffuse l'uso di alte coperture piramidali, a muqarnas rovescio, assimilabili anch'esse a c. vere e proprie, come quelle a Baghdad nel mausoleo di Sitta Zubayda, su pianta ottagonale (1200 ca.), a Samarra nell'Imām Dūr (1086), a Damasco nella madrasa al-Nūriyya al-Kubrā (1171). Con gli Ilkhanidi la c. acquistò maggiore valore semantico, legandosi al processo di colonizzazione delle aree dall'Asia centrale alla Persia, venendo utilizzata in contesti diversi, da modeste torri funerarie a complesse strutture, come a Sulṭāniyya nel mausoleo di Öljaytü Khudābanda (1307-1313). Il progressivo innalzarsi del tamburo circolare che sostiene la c. e lo sdoppiarsi della copertura in due calotte, differenti per forma e funzione, sarebbero divenuti norma con i Timuridi (seconda metà del sec. 14°-inizi del 16°), come si rileva nei mausolei lungo lo Shāh Zinda, la via sacra della necropoli di Samarcanda.
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