CURATO
. Questa voce (dal latino eccl. curatus "fornito di cura d'anime") indica generalmente colui che esercita la cura d'anime. Si dice anche "pievano, prevosto, parroco". Tuttavia, nel preciso linguaggio canonico, curato non è sinonimo di parroco, come curazia non è sinonimo di parrocchia. La parola curato ha tre significati. Talvolta indica il sacerdote che aiuta il parroco nell'esercizio della cura d'anime, cioè nell'amministrazione dei sacramenti, predicazione, assistenza degl'infermi, ecc., ed equivale a vicario coadiutore o cappellano. Più spesso indica il sacerdote che, dentro i confini della parrocchia, ha la propria chiesa e un territorio determinato, dove esercita la cura d'anime con poteri quasi parrocchiali; ordinariamente ne sono esclusi i funerali e l'assistenza ai matrimonî. Non di rado indica il sacerdote che ha la propria chiesa e il proprio territorio determinato, non però costituito canonicamente in vera parrocchia, dove egli esercita tutti i diritti e tutte le funzioni parrocchiali. In Italia, massime in alcune diocesi del Veneto, della Lombardia e dell'Emilia, la voce curato si usa nel secondo o nel terzo dei sensi predetti. I diritti del curato si desumono dalla bolla vescovile di nomina, dal sinodo diocesano, dalla legittima consuetudine, da speciali accordi intervenuti fra il curato e il parroco; lo stesso si dica delle obbligazioni. Il codice di diritto canonico non fa alcun cenno esplicito del curato. Sono applicabili le disposizioni riguardanti i vicarî coadiutori e cooperatori (canoni 175-477); e se si tratta di curato che abbia pieni poteri parrocchiali, è applicabile la disposizione del can. 451, § 2, cioè in tal caso il curato viene dal diritto equiparato al parroco cum omnibus iuribus et obligationibus paroecialibus (v. Parroco).