curdi
s. m. pl. – Popolazione di lingua indoeuropea presente in Medio Oriente sin dal secondo millennio a. C. La regione montuosa da loro abitata, il Kurdistan, si estende dall'alto bacino dei fiumi Tigri ed Eufrate fino alla penisola dell'Anatolia e al Mar Caspio e non ha mai formato uno Stato indipendente. Attualmente è divisa tra Turchia, Iran, Iraq, Siria, Armenia e Azerbaigian. I c., che si calcola siano quasi 30 milioni, aspirano a vivere in uno Stato autonomo e indipendente come stabilito dal trattato di Sèvres del 1920, cui si oppose allora la Turchia, dove si trova la parte territorialmente più estesa del Kurdistan. Il loro sentimento di patria negata è da decenni causa di forti tensioni e la questione curda continua a essere un problema che ancora oggi interessa la stabilità dell’area mediorentale. Negli ultimi decenni del secolo scorso il più imponente massacro ai danni della popolazione curda si è verificato in Iraq durante il regime di Saddam Hussein: tra il febbraio e il settembre del 1988 interi villaggi del nord del Paese furono distrutti e la popolazione sterminata con i gas tossici. Dopo la caduta di Saddam, il nuovo regime parlamentare federale ha istituito nelle regioni del nord il Governo regionale del Kurdistan iracheno (2005), con capitale Erbil, primo riconoscimento territoriale – seppure parziale – nella storia contemporanea della comunità curda. A conferma delle nuove posizioni di forza dei c. nella società irachena, i partiti politici che li rappresentano hanno ottenuto importanti risultati nelle competizioni elettorali. Non mancano però le tensioni tra l’autorità centrale e il governo curdo, soprattutto a causa della questione della spartizione delle rendite petrolifere. Particolarmente delicata è la situazione di Kirkuk, città considerata sacra dai c., che inoltre rivendicano lo sfruttamento dei diritti sui suoi giacimenti petroliferi, ma che geograficamente è rimasta fuori dalla giurisdizione del Governo regionale curdo. Oltre a ciò, la ripresa dell’attività terroristica del Partito curdo dei lavoratori (PKK), che ha trovato nel nord dell’Iraq un retroterra logistico relativamente sicuro dal quale poter lanciare attacchi rispettivamente contro la Turchia o l’Iran, e le azioni di guerriglia di altri movimenti come il Partito per la libertà del Kurdistan (PJAK), radicato in Iran e strettamente legato al PKK, hanno innescato una preoccupante escalation militare che rischia di aggravare ulteriormente il quadro di stabilità dell’intera area. In questo clima il Governo regionale curdo in Iraq è diventato un modello al quale aspirano anche le altre comunità curde, che vedono nell’accentuata autonomia goduta da Erbil un interessante obiettivo di medio periodo. Nel primo decennio del nuovo secolo, lo Stato turco, tradizionalmente votato a una politica accentratrice e antiautonomistica, ha continuato a mostrare un atteggiamento fortemente repressivo verso il popolo curdo. Nel 2001 il PKK (il cui leader Abdullah Öcalan era stato imprigionato nel 1998) aveva ritirato la maggior parte dei suoi combattenti dalla Turchia annunciando la fine dei combattimenti nel sud-est del Paese, ma Ankara rifiutò il cessate il fuoco manifestando la volontà di continuare a combattere fino alla resa totale dei gruppi ribelli. La situazione è peggiorata ulteriormente a partire dall’autunno del 2007, quando il governo turco, con il largo consenso del Parlamento, ha dato il via libera alle proprie forze armate per colpire obiettivi del PKK in territorio iracheno. Tra il 2007 e il 2008 l’aviazione turca ha attaccato in diverse occasioni postazioni del PKK e Ankara ha poi lanciato una pesante campagna militare culminata con l’incursione in Iraq da parte dell’esercito turco nel febbraio 2008. L’operazione ha visto per la prima volta il massiccio coinvolgimento delle forze di terra, e ha causato forti tensioni diplomatiche tra Baghdad e Ankara. Nell’ottobre 2009 il governo di Recep Tayyip Erdogan ha istituito un programma di pacificazione definito di transizione democratica, che stabiliva per i c. alcune concessioni di tipo autonomistico nella zona sud-orientale del Paese, ma il progetto non ha avuto esito positivo. Anche i combattenti curdi-iraniani lottano per la nascita di una regione autonoma curda all’interno dei confini dell'Iran: a partire dal 2004 la militanza curda in Iran, segnatamente il PJAK, ha acquisito maggiore forza, rappresentando una minaccia alla sicurezza della teocrazia sciita. Anche in Siria la componente curda, la minoranza non araba più numerosa del Paese (circa il 10%), è stata sempre perseguitata dal regime che ha represso nel sangue la rivolta del marzo 2004, nata nel nord-est della Siria e poi estesasi rapidamente fino a lambire la capitale Damasco. Nel Paese i c. sono discriminati, l'uso della loro lingua è bandito nei documenti ufficiali, nelle scuole, nella toponomastica e anche nelle cerimonie private, e a molti di loro è negato il diritto di voto, il possesso di beni e l'impiego negli uffici statali. Nel 2012 l'opposizione curda siriana, tradizionalmente divisa al suo interno, ha riunito le sue forze per lottare contro il regime nella guerra civile che sconvolgeva il Paese, mentre destava crescenti preoccupazioni ad Ankara la possibilità che la battaglia per l'autonomia dei c. siriani tornasse a infiammare la comunità curda in Turchia.