Estetiche, cure
Nel linguaggio comune, l'aggettivo estetico è spesso attribuito a tutte quelle pratiche che tendono ad accrescere e a preservare la bellezza del corpo e soprattutto del volto. Da sempre l'uomo ha dedicato cure assidue al miglioramento del proprio aspetto fisico, ma questa esigenza sembra rivestire un'importanza particolare nella società moderna, nella quale l''apparire' ha assunto un ruolo di massima rilevanza. Alcune delle pratiche mirate a fini estetici hanno carattere specificamente medico e sono, quindi, di pertinenza di un apposito settore della medicina, la medicina estetica. Essa comprende nel suo ambito numerose specializzazioni, sia mediche sia chirurgiche, e si propone l'eliminazione degli inestetismi e dei segni di invecchiamento, soprattutto quando questi producono un grave disagio psicofisico in chi ne è affetto. Alla cura della bellezza mira, inoltre, l'utilizzo dei prodotti cosmetici, che, oltre ad assolvere finalità estetiche e igieniche, tendono ad avere anche una funzione eutrofica, cioè a mantenere le migliori condizioni anatomiche e funzionali delle zone su cui vengono applicati.
1.
Definire la medicina estetica non è agevole. Infatti l'aggettivo estetica (dal greco αἰσθάνομαι, "percepire, sentire per mezzo dei sensi") introduce un elemento di soggettività ed è quindi fonte di alcune difficoltà. Se è vero che la necessità di soddisfare il sentimento del bello, e quindi di piacere a sé stessi e agli altri, è insita nell'uomo - ed è infatti possibile cogliere in ogni epoca e in tutte le civiltà, da quelle primitive alle più evolute, tracce importanti di questa esigenza che si intrecciano, e a volte caratterizzano, fenomeni artistici, di costume e numerosi altri aspetti della vita sociale -, è altrettanto vero che il concetto di bellezza è andato modificandosi nel corso dei secoli, soggetto all'influenza di mode e tendenze. La nozione di bello, inoltre, varia in maniera sostanziale non soltanto nel tempo, ma anche in relazione alle popolazioni prese in esame, come mostra, per es., l'usanza di perforare naso, orecchie e labbra per potervi inserire vari oggetti (conchiglie, ornamenti di legno e pietre), ancora in auge presso alcune etnie africane, asiatiche o dell'area del Pacifico. Inscindibile dall'idea del bello è, infine, l'elemento individuale, poiché, a parità di condizioni, l'atteggiamento dei singoli non è mai univoco e costituisce uno specifico problema della medicina estetica. Infatti le problematiche che sono connesse a un qualsivoglia inestetismo vengono vissute in modo differente, a seconda del grado di disagio che esso determina nel soggetto che ne è portatore. Quello della medicina estetica è, dunque, un ampio settore che si rivolge a individui di tutte le età e, sia pur in modi differenti, ad ambedue i sessi; i suoi obiettivi fondamentali sono correggere gli inestetismi e, nel contempo, cercare di attenuare o camuffare i segni dell'invecchiamento, soprattutto nei casi in cui il paziente ne avverte il disagio.
Nel corso dei secoli, si possono cogliere esempi significativi di questa attività, sia sul versante medico sia su quello chirurgico. Gli egizi, per es., avevano elaborato una serie di prodotti per la terapia delle alopecie; inoltre praticavano interventi chirurgici sui cadaveri dei faraoni e dei dignitari di corte per far sì che mantenessero un aspetto dignitoso anche dopo la morte. I romani e gli indiani, con strumenti rudimentali (uncini, coltelli, spatole ecc.), praticavano la chirurgia delle parti più superficiali del corpo. Il pioniere della chirurgia plastica ed estetica è stato, però, nel 16° secolo, G. Tagliacozzo (o Tagliacozzi, autore del primo trattato sistematico sulla materia), che sia pure con notevoli difficoltà, dovute in parte alle scarse conoscenze di immunologia e di farmacologia e in parte ai pregiudizi di un'epoca che stigmatizzava ricerche e sperimentazioni volte a modificare la natura, riuscì comunque a realizzare alcuni interventi chirurgici al naso, interessandosi anche di trapianti d'osso e di cute. Nello stesso periodo, L. Fioravanti produceva e metteva a punto creme per conferire alla cute un aspetto migliore e collutori che rendevano più chiari i denti. A questa breve fase segue un lungo periodo di decadenza della chirurgia estetica, durante il quale i pregiudizi della società e la mancanza di informazioni sulla fisiologia e sui farmaci idonei arrestano la ricerca scientifica.
Si deve giungere al 19° secolo per registrare un nuovo impulso della chirurgia plastica, soprattutto in Germania e negli Stati Uniti, dove viene perfezionato l'intervento di rinoplastica e vengono realizzati i primi interventi di mastoplastica riduttiva. Nel 1918 J. Lexter ideò il lifting, che venne successivamente realizzato dal chirurgo francese S. Noel ; il francese V. Mitz poi, avendo descritto il sistema muscoloaponeurotico superficiale del volto, perfezionò la tecnica associando allo stiramento cutaneo anche quello muscolare e rendendo così più duraturo il lifting del viso. Sempre a un francese, Y.G. Illouz, si deve la prima applicazione (1982) della lipoaspirazione. Nel quadro attuale, appare evidente che la cosiddetta medicina estetica non può essere considerata alla stregua di una delle varie specializzazioni universitarie, nazionali o internazionali, perché l'ambito in cui si muove è talmente ampio che in realtà poche discipline possono esserne escluse. Per es., la correzione dello strabismo o quella del prognatismo, che richiedono l'intervento rispettivamente dell'oculista e dell'odontoiatra e, a seconda della difficoltà, anche del chirurgo maxillofacciale, sono operazioni che hanno sicuramente anche una valenza estetica. Inoltre, la dermatologia e la chirurgia plastica sono due specialità che raccolgono da sole molte delle competenze della medicina estetica, avendo come obiettivo primario la cute, organo di relazione per eccellenza del nostro organismo, in quanto sempre ben visibile. Pertanto, ogni patologia cutanea avrà sempre e comunque anche una valenza estetica. Si deve inoltre considerare che, soprattutto nelle civiltà industrializzate ed economicamente più ricche, l''apparire' è andato sempre più rivestendo un ruolo fondamentale, sia per quanto riguarda i rapporti interpersonali sia rispetto a sé stessi: l'individuo cerca sempre più frequentemente di emulare i modelli proposti dalla pubblicità e dai mass media, e le richieste di interventi medici o chirurgici, a carattere estetico, sono dunque in costante aumento.
Di fronte a questa realtà non completamente nuova, si può tentare una sintesi della situazione attuale. La componente chirurgica della medicina estetica è ormai ben codificata, ne sono noti i limiti ed essa trova una sua naturale collocazione nell'ambito della specializzazione in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica (v. chirurgia estetica). Per quanto riguarda la branca medica, pur in assenza di una specializzazione a carattere universitario che vada oltre la dermatologia, esistono diverse società di medicina estetica che cercano di raccogliere le valenze estetiche, appunto, delle varie specializzazioni esistenti. Pertanto, si può dire che la medicina estetica, avvalendosi delle conoscenze più progredite di quella generale e delle scienze fondamentali (biochimica, biofisica, fisiologia, patologia) completa il proprio ambito d'interesse in chiave multidisciplinare, rivolgendosi a settori specialistici (endocrinologia, dietologia, dermatologia, angiologia, gerontologia, ortopedia, fisiatria, chirurgia plastica) e a tante altre discipline umane (antropologia, pedagogia, psicologia, sociologia, filosofia). Si tratta dunque di una medicina orientata al miglioramento della qualità della vita, che, attraverso programmi di medicina educativa, sociali e di prevenzione, cura e riabilitazione, promuove condizioni di armonia e di equilibrio fisico e mentale.
2.
La branca specialistica che si occupa più selettivamente dell'estetica è volta al trattamento e alla correzione di inestetismi cutanei, per lo più superficiali e di facile accesso per l'operatore. Perciò la patologia di cui si interessa è di superficie e comprende: malformazioni vascolari congenite e acquisite, in particolare telangiectasie e angiomi piani; malformazioni neviche congenite e acquisite; pigmentazioni endogene o esogene (tatuaggi); fenomeni di invecchiamento cutaneo (pigmentazioni, rughe, cheratosi); esiti cicatriziali di origine traumatica oppure secondari a patologie varie (acne, varicella); adiposità circoscritte e diffuse.
Le tecniche oggi più frequentemente in uso e di più facile applicazione sono: il peeling, la dermoabrasione, la liposuzione, la scleroterapia.
a) Peeling chimici (dall'inglese to peel, "spellare"). La tecnica consiste nell'applicazione di un agente chimico che causa la distruzione controllata degli strati più superficiali della cute con intensa esfoliazione a carico prevalentemente dell'epidermide, in modo tale da ottenere una rigenerazione a partire dal derma papillare e dalle strutture annessiali. Si possono effettuare tre tipi di peeling, classificati in base alle sostanze usate, nonché alla profondità del danno causato: peeling profondi, per i quali si utilizza il fenolo in forma cristallina o in soluzione, che penetra nel derma medio e reticolare provocando una necrosi coagulativa; peeling medi, per i quali si utilizza acido tricloroacetico (TCA, Thrychloroacetic acid), che penetra nelle aree più profonde del derma papillare; peeling superficiali, per i quali vengono utilizzati alcuni alfaidrossiacidi (AHA, Alfa-hydroxy acid), come l'acido glicolico, che penetrano attraverso l'epidermide senza coinvolgimento dermico (essendo il danno superficiale, il trattamento può essere ripetuto anche dopo 10-15 giorni). Il tipo di peeling è scelto dall'operatore in base alle caratteristiche proprie del paziente e alla patologia da trattare. I peeling superficiali sono quelli di uso più frequente per la loro semplicità e vengono utilizzati in numerose patologie: melasma, esiti cicatriziali acneici, cheratosi seborroiche, verruche piane, iperpigmentazioni postinfiammatorie, cicatrici ipertrofiche, e in varie manifestazioni parafisiologiche legate all'invecchiamento cutaneo, quali rughe, lentigo senilis e cheratosi attiniche. Per i peeling medi e profondi occorrono maggiore cautela ed esperienza per la frequenza delle possibili complicanze, che variano da superinfezioni batteriche e virali, molto spesso erpetiche, a esiti pigmentari nella guarigione che si verificano generalmente nei pazienti con pelle scura od olivastra, condizione, questa, che costituisce una controindicazione. È opportuno, inoltre, ricordare che per la sua cardiotossicità, il fenolo deve essere impiegato esclusivamente sotto monitoraggio cardiaco e assistenza rianimatoria.
b) Dermoabrasione. Adottata per la prima volta nel 1948 come tecnica per la correzione di esiti cicatriziali acneici, solo nel 1953, grazie ad A. Kurtin, dermatologo newyorkese, venne sviluppata in una vera procedura, o planing plastico di trattamento, poi denominata dermoabrasione da S. Blau e N. Robbins nel 1954. Gli strumenti rotanti utilizzati sono costituiti da frese diamantate o spazzole, generalmente montate su micromotori elettrici o su turbine a gas-nitrogeno-compresso. Le attrezzature sono in grado di sviluppare velocità di rotazione che vanno da 400 a 33.000 rivoluzioni per minuto. Attualmente si preferiscono apparecchi azionati da micromotore elettrico, perché maggiormente modulabili sia nella velocità sia nello spunto. La scelta dell'attrezzatura per la dermoabrasione dipende dalla tecnica chirurgica usata ed è legata principalmente alla capacità dello strumento di abradere la cute; tale capacità è in funzione della velocità di rotazione, del tipo e della sollecitazione di torsione generata. Le principali applicazioni riguardano i fenomeni di invecchiamento cutaneo e gli esiti cicatriziali secondari a trauma o a patologie (acne, varicella e altre infezioni). Possono inoltre essere trattate lesioni discheratosiche pre-epiteliomatose, cheratosi attiniche, adenomi sebacei, angiomi piani e teleangiectasie, nevi verrucosi, mollusco contagioso, porocheratosi di Mibelli, tricoepiteliomi multipli, cheratosi seborroiche multiple, rinofima, pseudofollicolite della barba, siringomi, xantelasmi, striae cutis distensae. Questa tecnica può essere impiegata anche in presenza di lesioni pigmentarie secondarie, quali lentigo senilis, cloasmi e pigmentazioni postinfiammatorie o tatuaggi. La dermoabrasione avviene su un piano uniforme di trattamento e coinvolge la cute sino al derma reticolare o medio. Un approfondimento aumenta il rischio di esiti cicatriziali o pigmentari. Al termine dell'operazione viene effettuata un'emostasi accompagnata da una terapia sistemica antibiotica, per prevenire eventuali superinfezioni batteriche, e antivirale, mirata in particolare per i virus erpetici.
c) Liposuzione. Già nel 1970 H. e G. Fischer avevano presentato uno strumento smusso collegato a una pompa aspirante per rimuovere le cellule adipose; successivamente, P.F. Fournier e Y.G. Illouz rifinirono tale tecnica, che fu introdotta ufficialmente negli Stati Uniti solo nel 1982 (v. sopra), quando venne riconosciuta dalla American academy of cosmetic surgery e dalla American society of plastic and reconstructive surgery. Nel 1983 venne costituita l'American society of liposuction surgery. La tecnica lipoaspirativa (v. chirurgia estetica) può essere applicata a varie sedi anatomiche, quali il volto, il collo, le mammelle (in caso di pseudogigantomastia), le braccia, il tronco, l'addome, la superficie anteriore e posteriore delle cosce e i glutei. Il paziente ideale per tale operazione è quello con adiposità localizzata e in buone condizioni psicofisiche. Migliore è l'elasticità cutanea, migliore sarà il risultato estetico. L'intervento è sconsigliato in pazienti diabetici, epatopatici o affetti da malattie cardiache. La liposuzione, che deve essere effettuata in ambiente del tutto sterile data la relativa facilità di contaminazione del tessuto sottocutaneo, si basa su una pressione negativa generata da un'unità di aspirazione elettrica collegata a una cannula aspirante, oppure più semplicemente a una siringa sterile. Allorché il trattamento è terminato, si attua una dissezione o uno scollamento per 1 cm intorno all'area trattata, in modo tale da ridurre il 'clivaggio' tra questa e la superficie circostante. Completate le manovre di asetticità e la copertura antibiotica, è importante valutare ed eventualmente reintegrare i liquidi perduti e in parte aspirati durante l'intervento; il paziente è, poi, sottoposto a bendaggio elastocompressivo, che viene solitamente rimosso dopo una settimana.
d) Scleroterapia. Questa tecnica, utilizzata per il trattamento delle varicosità e delle telangiectasie superficiali (che affliggono circa il 20% della popolazione adulta, con percentuale in aumento con il progredire dell'età dei pazienti esaminati) non può essere considerata un trattamento elettivo, ma essenzialmente un supporto all'approccio chirurgico, in fase pre- e postoperatoria. L'obiettivo della scleroterapia consiste nel provocare un danno nella parete endoteliale del vaso trattato, con conseguente fibrosi della parete vascolare e perdita permanente della canalizzazione vascolare. Tale effetto si produce con l'introduzione di sostanze sclerosanti all'interno del vaso; la soluzione ideale è quella in grado di provocare la distruzione locale dell'endotelio, estesa alla parete, con minima formazione di trombi. Questo effetto dipende sia dal tipo di sostanza impiegata, sia dalla sua concentrazione. In rapporto al danno endoteliale, le soluzioni utilizzate sono classificate in tre tipi: ipertoniche o iperosmotiche, che includono soluzioni saline ipertoniche o associazioni di soluzioni ipertoniche e glucososaline; detergenti, che includono il polidecanolo e il sodio-tetradecyl-solfato; soluzioni che includono irritanti chimici (tossine), come la poliiodina iodide e la glicerina cromata. Generalmente sono impiegate le sostanze detergenti, le uniche approvate anche dalla U.S. Drug administration, e in particolare il polidecanolo. Si tratta di soluzioni molecolari con una porzione idrofila e una porzione idrofoba; presumibilmente, quando la parte idrofoba si allinea con la componente lipidica della membrana delle cellule endoteliali, la tensione superficiale si riduce, provocando una immediata rottura. Procedendo all'installazione del liquido nel vaso, rispettando la direzione del flusso ematico, si assiste in pochi secondi alla macerazione endoteliale e al conseguente danno intimale con occlusione luminale. Secondo alcuni, è opportuno eseguire una successiva compressione manuale o con tampone di garza. È comunque raccomandabile l'uso di una microscleroterapia, rimandando problemi flebologici maggiori alle tecniche chirurgiche di stripping e di legatura.
1.
La definizione di prodotti cosmetici è stabilita dalla legge (l. 11 ottobre 1986, nr. 713, con cui l'Italia ha adottato la direttiva della CEE nr. 768 del 1976): si tratta di sostanze o preparazioni, diverse dai medicamenti, destinate a essere applicate sull'epidermide, sul sistema pilifero, sui capelli, sulle unghie, sulle labbra, sugli organi genitali esterni, oppure sui denti e sulle mucose della bocca, allo scopo, esclusivo o prevalente, di pulirli, profumarli, proteggerli per mantenerli in buono stato, modificarne l'aspetto esteriore o correggere gli odori corporei. La legge specifica che i cosmetici, non avendo finalità terapeutica, non possono vantare, né nella presentazione né nel messaggio pubblicitario, alcuna azione curativa. Un cosmetico, dunque, non può avere effetti restitutivi, altrimenti sarebbe un farmaco, e come tale dovrebbe essere registrato presso il Ministero della Sanità. Tale definizione ha un evidente scopo informativo, quello di elencare in modo completo e corretto le funzioni che può avere un cosmetico. In seguito, una nuova legge, applicata in Italia e negli altri paesi europei dal 1° gennaio 1997, in ottemperanza alla direttiva CE nr. 35 del 1993, tenendo conto di una valutazione scientifica più moderna, ha accolto il concetto di 'funzionalità cosmetica'. Attualmente è infatti dimostrato che un cosmetico svolge un'azione che, seppure nettamente distinta da quella terapeutica, incide in modo diretto o indiretto sugli assetti biochimici, microbiologici e funzionali della cute, e può superare anche lo strato più superficiale dell'epidermide. La nuova legge, inoltre, obbliga i produttori a indicare in etichetta gli ingredienti, ovvero i componenti dei cosmetici, e se sono stati effettuati esperimenti sugli animali per quel prodotto.
2.
Secondo gli storici, le prime pratiche cosmetiche furono di carattere essenzialmente religioso. Da questo primo impiego dei prodotti di bellezza esclusivamente in ambito cultuale è derivato poi, quasi ovunque, il costume sociale del loro impiego in risposta a un'esigenza estetica della persona.
Gli scavi archeologici hanno portato al rinvenimento di semplici contenitori e mortai in pietra, usati per paste oleose e coloranti per il corpo e il viso, risalenti all'epoca neolitica, e di recipienti più elaborati, nonché di oggetti da toletta in bronzo e in rame, dell'Età del Bronzo e del Ferro. Tutti i popoli antichi, dai sumeri ai babilonesi e agli egizi, dai greci agli etruschi e ai romani, hanno lasciato tracce documentate sull'importanza dei cosmetici nella vita sociale e individuale. La cosmesi ebbe un grandissimo sviluppo soprattutto fra gli egizi, per i quali i profumi erano 'messaggi' e i cosmetici 'strumenti' per avvicinare l'aspetto umano alla bellezza divina. Tipica era la pratica dell'allungamento degli occhi con il pigmento nero a base di stibio (solfuro d'antimonio), utilizzato anche attualmente con il nome di kohl; altri prodotti per il trucco erano a base di colori naturali, mentre creme e unguenti erano ricavati da grasso di cammello e olio di cocco.
Per altri paesi, come la Cina e l'India, è documentato fin dalle epoche più antiche l'impiego di cosmetici ancora oggi in uso, come il kajal, ottenuto dalla mescolanza di fuliggine di legno di sandalo con olio di sesamo o di ricino, e la cipria di riso adoperata per imbiancare il volto. Per allungare il contorno degli occhi era usato l'inchiostro di china, mentre con polveri verdi e nere si truccavano le sopracciglia. Fra i giapponesi, invece, le materie prime più adoperate erano la polvere di cartamo, la biacca, i coloranti minerali e vegetali, i grassi animali, l'olio di semi di ricino e di tè.
Per il mondo antico occidentale la diffusione e l'importanza delle pratiche cosmetiche è ben documentata dalle testimonianze letterarie e archeologiche. I greci e i romani solevano spalmarsi di olio d'oliva dopo il bagno, nella convinzione che tale unzione giovasse alla salute e preservasse dalle infreddature. Dall'uso di correggere con essenze profumate l'odore dell'olio derivarono molte specie di unguenti, di cui i più preziosi erano a base di nardo, pregiato profumo arabico. Per mascherare la canizie erano impiegate tinture, mentre paste depilatorie a base di olio, pece, resina e sostanze caustiche servivano a liberare dai peli e rendere liscia la pelle. In età imperiale erano di moda nei artificiali, ottenuti dalla splenia, una pasta rosea, che veniva anche applicata sulla pelle per nascondere bruciature e abrasioni. Fra i belletti femminili quello più usato, al fine di donare freschezza e candore giovanile alle guance, era la cerussa, che consisteva in una crema a base di biacca (carbonato di piombo); per ottenerla si scioglieva nell'aceto la raschiatura di piombo, in modo da ricavare una poltiglia che veniva poi fatta seccare, pestata e raffinata e infine trasformata in unguento tramite l'aggiunta di miele. La velenosità del carbonato di piombo era nota, ma non si riteneva che potesse nuocere penetrando attraverso la pelle.
Dopo la pausa di relativa caduta in disuso dei cosmetici nel Medioevo, dovuta anche alla condanna di tali pratiche da parte degli scrittori cristiani, l'impiego di ritrovati per 'consolidare la fragile bellezza', viene esaltato e rinnovato nel Rinascimento, età in cui si 'ricapitolano' tutte le conoscenze derivate dall'Oriente e dall'Occidente per elaborare nuovi profumi e prodotti di bellezza. Centro dell'evoluzione della cosmesi è, inizialmente l'Italia, e di qui partono mode e ricette, come testimonia anche la prima trattazione organica dell'argomento, gli Experimenti di Caterina Sforza. Dal Seicento, centro dell'arte cosmetica divenne invece la Francia, dove profumieri e cosmetologi si erano trasferiti al seguito di Caterina e Maria de' Medici. Alla corte di Parigi, in particolare a quella del Re Sole, imbellettarsi era una necessità di etichetta, alla quale si dedicava abbondanza di tempo e di denaro; le cortigiane, oltre a usare a profusione ciprie per le parrucche e il viso, coloranti per i nei e le labbra, inventavano esse stesse creme e ricette, allo scopo, per es., di imbiancare il colorito del volto.
Fino alla fine del 19° secolo l'arte cosmetica ha continuato a basarsi sull'impiego di sostanze naturali, elaborate in contesti privati, domestici, da 'estetiste' esperte la cui opera era rivolta soprattutto all'élite. Soltanto nel 20° secolo il livellamento dei costumi, da una parte, e lo sviluppo dell'industria chimica, dall'altra, hanno esteso l'utilizzazione dei prodotti cosmetici a tutte le classi sociali.
3.
L'era della produzione industriale su vasta scala e della diffusione dei cosmetici in strati sempre più ampi della popolazione ha avuto inizio, in Italia, dopo la Seconda guerra mondiale in relazione allo sviluppo raggiunto dal settore chimico-farmaceutico. Sono state soprattutto le ricerche condotte nei laboratori delle industrie farmaceutiche multinazionali ad aver aperto nuovi orizzonti; non a caso, le aziende produttrici di cosmetici sono attualmente affiliate ai grandi gruppi della chimica mondiale.
Oggi sono utilizzate nel settore circa 6000 sostanze chimiche e ciò spiega come lo studio della tollerabilità e dell'efficacia degli ingredienti e dei prodotti finiti sull'uomo rappresenti il tema principale dell'evoluzione cosmetica. L'impiego sempre più vasto, a volte incontrollato, di sostanze di vario tipo (naturali e sintetiche) e l'inattendibilità di certa pubblicistica hanno indotto la Comunità Europea a stilare un inventario ufficiale, fissando in norme le liste di ingredienti impiegabili (materie prime, conservanti, antiossidanti) e stabilendone anche le concentrazioni. Inoltre, si è costituita in Italia una banca dati per conoscere le reazioni cutanee dei cosmetici e per adeguarsi al continuo sviluppo del sapere scientifico nel campo.
L'espansione che ha avuto il consumo di prodotti cosmetici a partire dagli anni Settanta del 20° secolo non ha riscontro in altri settori. Ciò trae origine da una serie di mutamenti socioculturali che attengono tutti all'acquisizione della 'cultura del corpo'. La 'cura di sé' elevata a valore sociale ha dato avvio al sorgere di nuove categorie merceologiche per l'igiene e la bellezza, la forma e l'efficienza fisica, il ringiovanimento e la seduzione. Secondo le ultime indagini statistiche dell'UNIPRO (l'associazione di categoria che raggruppa tutte le maggiori aziende nel campo), il mercato è caratterizzato, per sesso, età e condizione sociale, nel modo seguente: 1) non esistono forti scarti di mercato tra uomini e donne nell'acquisto e nel consumo di prodotti per l'igiene e la toilette, e la componente femminile appare solo più incostante e influenzabile dalle mode; 2) le donne si curano fino a tarda età, ma la grande novità degli ultimi anni è stata l'esplosione dei consumi giovanili (età tra i 15 e i 29 anni), che ha provocato l'uscita di una quantità di linee specifiche; 3) ogni gruppo sociale, rappresentato da una serie di professioni e ruoli diversi, esprime una propria visione e un proprio orientamento circa 'l'apparire'. Se fino agli anni Sessanta il consumo, non tanto di prodotti di igiene quanto di trattamenti cosmetici, era appannaggio delle classi sociali più abbienti, oggi si assiste a una loro diffusione in tutti i livelli della popolazione. La gamma oltremodo variegata e differenziata, per prezzi e qualità, dei cosmetici ha creato quello che è stato definito il più grande fenomeno di 'democratizzazione' dei prodotti di consumo.
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