offerta, curva di
Le scelte di produzione di un’impresa
Si consideri il caso di un’impresa che osserva i prezzi come una variabile data, su cui essa non ha alcuna influenza. Ciò corrisponde a una situazione di concorrenza perfetta, in cui le imprese sono piccole, o atomistiche, e molto numerose, cosicché nessuna è in grado di determinare il prezzo. Altrimenti, se l’azienda gode di un potere di mercato, per es. in condizione di monopolio o di oligopolio, il problema di massimizzazione del profitto si complica: essa sceglie congiuntamente, in modo ottimale, sia il prezzo sia la quantità prodotta, tenendo conto della reazione della domanda di mercato e delle eventuali imprese concorrenti.
Infine, la scelta dell’impresa dipende dalla tecnologia di cui essa dispone, descritta dall’insieme di produzione, o dalla funzione di produzione nel caso di un singolo bene. L’ipotesi base affinché il problema dell’azienda sia ben definito è la monotonicità della tecnologia: all’aumentare degli input, l’output non diminuisce. Per garantire che la soluzione del problema sia unica, è anche utile assumere che l’insieme di produzione sia (strettamente) convesso (ossia che la funzione di produzione sia strettamente concava); ciò implica che i rendimenti di scala siano decrescenti ovvero che, al salire degli input in misura percentualmente identica, l’output cresca in termini meno che proporzionali.
Intuitivamente, all’impresa conviene incrementare la quantità utilizzata di un input se la sua produttività marginale, ossia l’incremento della produzione derivante dall’impiego di un’unità addizionale, è maggiore del prezzo dell’input stesso (rispetto a quello dell’output), e viceversa. Essa allora massimizza i profitti quando la produttività marginale di ogni input è uguale al suo prezzo; di conseguenza, il saggio marginale di sostituzione tecnica tra due input (tale da mantenere costante il livello dell’output), definito dal rapporto tra le rispettive produttività marginali, deve essere pari al rapporto tra i corrispondenti prezzi. Si dimostra che la scelta ottima dell’impresa soddisfa la cosiddetta legge dell’offerta: la quantità di un output aumenta al crescere del suo prezzo; la quantità impiegata di un input, invece, diminuisce con l’incremento del suo prezzo; l’opposto si verifica nel caso di un calo dei prezzi. Inoltre, l’offerta dell’impresa non varia se tutti i prezzi cambiano nella stessa proporzione, perché i prezzi relativi rimangono immutati; di conseguenza, nelle applicazioni l’offerta può essere determinata osservando come variano i profitti al modificarsi dei prezzi.
Una condizione necessaria per la massimizzazione del profitto è data dal problema opposto, o duale, di minimizzazione del costo degli input per un dato livello di output. Ciò vale anche nei casi in cui la massimizzazione del profitto non sia un problema ben definito, per es. in presenza di tecnologie di scala non decrescenti o in condizioni, diverse dalla concorrenza perfetta, in cui l’impresa eserciti un controllo sul prezzo dell’output. Nel caso di un singolo output, inoltre, la minimizzazione dei costi offre una caratterizzazione molto conveniente della scelta ottimale dell’impresa: la quantità offerta deve infatti essere tale che il costo marginale, sostenuto per produrre un’unità aggiuntiva di prodotto, sia uguale al prezzo del prodotto stesso. Il profitto (per unità di produzione) può essere calcolato come la differenza tra il prezzo e il costo medio di produzione (definito dal rapporto tra costo totale e quantità prodotta): è positivo se il prezzo è maggiore del costo medio, e viceversa. La curva di offerta è allora determinata dalla curva del costo marginale, nel tratto in cui essa non è inferiore a quella del costo medio e identifica il livello ottimale di produzione corrispondente a ogni dato livello del prezzo, per il quale l’impresa ottiene profitti non negativi. Se l’insieme di produzione è strettamente convesso, ossia in presenza di rendimenti di scala decrescenti, la curva del costo marginale è crescente nella quantità di output e sempre superiore a quella del costo medio, coincidendo con la curva di offerta. Nel caso limite, molto utilizzato nei modelli economici, di rendimenti di scala costanti, invece, il costo marginale è anch’esso costante al variare della quantità ed è sempre uguale al costo medio. Di conseguenza, se il prezzo del bene è inferiore a tale livello, l’impresa preferisce non produrre; se è superiore, ha incentivo ad aumentare la produzione senza limiti; solo se il prezzo è uguale al costo marginale l’azienda sceglie una quantità finita di prodotto, o meglio è indifferente riguardo a quanto produrre, perché in ogni caso ottiene profitti nulli. Tale condizione è coerente con un equilibrio di concorrenza perfetta, perché, in presenza di profitti positivi, altre imprese sarebbero incentivate a entrare nel mercato.
Un’altra situazione diffusamente analizzata è quella in cui esista un costo fisso iniziale, ovvero una qualche forma di inefficienza per bassi livelli di produzione, e costi variabili strettamente convessi (per livelli di produzione sufficientemente alti), cosicché la curva del costo marginale è crescente. In questo caso, la curva del costo medio assume una forma a campana e dunque scende per bassi valori del prodotto e sale per valori più elevati, attraversata dalla curva del costo marginale nel suo punto di minimo: quest’ultimo identifica i livelli del prezzo e della quantità di prodotto ottimali per l’impresa, che offrono all’impresa un profitto nullo.
Infine, l’analisi delle scelte di produzione si estende facilmente al caso di numerose imprese: date le stesse ipotesi sulla tecnologia, la curva di offerta aggregata, pari alla somma delle quantità prodotte da tutte le aziende, è equivalente a quella che si ottiene da un unico problema di massimizzazione del profitto per il totale delle imprese.