CURVATURA (fr. courbure; sp. curvatura; ted. Krümmung; ingl. curvature)
Un arco (o tratto) PP1 di una curva piana C, che sia convesso tutto da uno stesso lato, può essere più o meno curvo: costruite le tangenti t, t1 a C nei punti P, P1 (fig. 1), se si incurva di più o di meno l'arco PP1 mantenendone inalterata la lunghezza, l'angolo ϕ formato da t con t1 riesce tanto più grande quanto più l'arco PP1 è stato incurvato; si assume perciò il rapporto ϕ: arco PP1 (preso in valore assoluto) come misura della curvatura dell'arco PP1, e lo si chiama curvatura media di detto arco. Quando P1, percorrendo C, si avvicina indefinitamente a P (o tende a P) diventano infinitesimi sia l'arco PP1 sia l'angolo ϕ (il quale si chiama allora angolo di contingenza della linea C in P); e il rapporto anzidetto tende ad un limite che si chiama la curvatura della linea nel punto P, e che misura la rapidità maggiore o minore con la quale la C, nella posizione P, devia dall'andamento rettilineo, ivi rappresentato dalla tangente t. Queste nozioni compaiono la prima volta in Wallis, Huygens, Newton, Leibniz intorno al 1670-1680.
Per un cerchio la curvatura è la stessa in tutti gli archi e in tutti i punti, e vale 1 : r, ove r è il raggio, perché allora ϕ è uguale all'angolo dei due raggi che vanno ai punti P, P1 (fig. 2), ed è perciò dato da: arco PP1/r. Di qui consegue che nel caso di una curva C qualsiasi si può condurre per un suo generico punto P un cerchio ben determinato, tangente in P alla C e curvo in codesto punto come la C stessa: è questo il circolo osculatore di C in P.
Il suo raggio r, che sarà inverso della curvatura di C in P, si chiama il raggio di curvatura di C in P; il suo centro Γ, che si chiama il centro, sta sulla retta n normale a C in P, ed è la posizione limite a cui tende (fig. 1) il punto Γ1 ove n è incontrata dalla normale n1 a C in P1, quando P1, percorrendo C, si avvicina indefinitamente a P. In generale, il circolo osculatore a C in P attraversa ivi la linea C; esso è anche la posizione limite del cerchio che passa per tre punti di C, vicini a P, quando essi, movendosi su C, tendono a P, tutti insieme o anche isolatamente. Se l'equazione cartesiana di C in assi ortogonali è y=f (x), il raggio di curvatura r vale: (1+y′2)3/2 : ∣y″∣ esso varia, in generale, da un punto all'altro di C; conoscendone l'espressione r = r (s) in funzione dell'arco s di C, contato a partire da un'origine arbitraria, la linea C riesce nota di forma e di grandezza, ossia è individuata a meno di movimenti; r = r (s) è l'equazione intrinseca di C.
Se C è una curva sghemba, e P un suo punto, si può misurarne analogamente la rapidità dello scostamento dall'andamento rettilineo (nella posizione P) considerando l'angolo della tangente a C in P con la tangente in un punto vicino P1, dividendolo per l'arco PP1, e passando al limite per P1 tendente a P. Si definisce così una prima curvatura 1/r, o flessione, di C in P; r ne è il raggio di prima curvatura o di flessione; r è pure il raggio del circolo osculatore, il quale sta nel piano osculatore (v. curve) e si definisce mediante tre punti di C che tendono a P; la retta perpendicolare al piano osculatore nel centro di detto circolo è l'asse di curvatura, ed è la posizione limite della retta comune ai piani normali a C in P e P1 quando P1 tende a P su C. La stessa costruzione, applicata ai piani osculatori di C anziché alle tangenti, cioè, che fa lo stesso, alle binormali di C, che sono le perpendicolari ai piani osculatori nei rispettivi punti di C, conduce a definire una seconda curvatura, o torsione 1/ρ, di C in P, che sarebbe nulla per una curva piana (perché allora il piano osculatore è fisso, e coincide col piano della curva), e che misura la rapidità con cui C si scosta in P dall'andamento piano; ρ è il raggio di seconda curvatura, o di torsione, di C in P. Ripetendo ancora la stessa costruzione per le normali principali di C si trova una curvatura totale 1 : R, che non dà nulla di nuovo, perché 1 : R2 = 1 : r2 + 1 : ρ2. La linea C è nota di forma e di grandezza quando ne siano date le equazioni intrinseche r = r (s), ρ = ρ (s), che esprimono r, ρ in funzione dell'arco s.
Si può giudicare della curvatura d'una superficie S in un suo punto P conoscendo quella delle linee tracciate su S e uscenti da P nelle varie direzioni; basta anzi considerare le sezioni normali, cioè le linee piane che si hanno tagliando S coi piani che passano per la normale n ad S in P; occorre però scegliere su n un senso positivo, e quindi attribuire un segno + o − al raggio di curvatura R di una sezione normale secondoché essa è concava, in P, dalla parte della normale positiva oppure dalla parte opposta. Studiando allora come varia R al variare della sezione normale corrispondente, si trova che R ammette un valor massimo ed un valor minimo (da intendersi in senso relativo), R1 e R2; e questi due valori spettano a due sezioni normali fra loro perpendicolari, le sezioni normali principali; la curvatura 1/R della sezione normale che fa l'angolo ϑ con la prima delle due sezioni normali principali è espressa mediante le due curvature principali 1/R1 e 1/R2 dalla formula (di Eulero):
Il prodotto K = 1/(R1R2) si chiama la curvatura totale di S in P (K. F. Gauss, 1827). La forma di S in un piccolo intorno di P dipende dal segno di K; secondoché K ≷ 0, cioè secondoché i segni di R1 e R2 sono eguali o opposti, detta forma è quella di un ellissoide o di un iperboloide ad una falda. Come caso intermedio, se K= 0, cioè se è nulla in P una delle curvature principali, S ha in P la forma di un cilindro. Nei tre casi P si dice rispettivamente punto ellittico, iperbolico, parabolico. Il valore di K non muta se S si flette, come se fosse un tessuto flessibile e inestensibile, senza strappi né stiramenti né contrazioni. Si può dare di K il seguente significato intrinseco: considerato su S un triangolo geodetico, ossia un triangolo i cui lati siano linee geodetiche, la differenza tra la somma degli angoli del triangolo e π (eccesso geodetico del triangolo) vale ʃKdσ esteso all'area del triangolo (teor. di Gauss). In particolare, sulle superficie a curvatura totale costante, come il piano, la sfera e la pseudosfera, K è il rapporto tra l'eccesso e l'area di un triangolo geodetico.
In varie questioni occorre la curvatura media di una superficie:
Essa è nulla per le superficie ad area minima (v. superficie: Superficie notevoli).
Si può estendere (Riemann, 1854) la nozione della curvatura a una varietà V con più di tre dimensioni, sulla quale si suppone dato un sistema di coordinate curvilinee u1, u2,..., un e assegnato inoltre l'elemento lineare, ossia l'espressione del quadrato ds2 della distanza infinitesima ds di due punti di V infinitamente vicini e di coordinate u1, u2, ..., un e u1 + du1, u2 + du2, ..., un + dun:
In tali ipotesi sono definite su V le linee geodetiche; sicché se si prendono due geodetiche uscenti da un punto P(u1, u2, ..., un) di V secondo due direzioni distinte, che vadano da P ai punti infinitamente vicini u1 + du1, ..., un + dun e u1 + δu1, ..., un + δun, riesce definita una superficie geodetica S uscente da P, ossia la superficie ricoperta dalle geodetiche uscenti da P nelle direzioni che vanno da P a tutti i punti u1 + λdu + μδu1, ..., un + λdun + μδun; la curvatura totale K di S in P dipende in generale da P e da S, e si chiama la curvatura di V nel punto P e secondo la giacitura della superficie S. Se, per ogni singola posizione di P su V, essa non dipende dalla superficie geodetica F che si è fatta passare per P, cioè se essa è localmente costante, allora essa riesce indipendente anche da P e ovunque costante su V, la quale si chiama allora una varietà a curvatura costante (teor. di F. Schur).
Bibl.: Oltre i trattati di geometria differenziale, ad es. di L. Bianchi, di G. Darboux, di W. Blaschke, ecc., si veda anche: T. Levi-Civita, Lezioni di calcolo differenziale assoluto, redatte ad E. Persico, Roma 1925, cap. VII.