MANARA, Curzio
Nacque a Cremona nei primi anni del Seicento. Non si hanno notizie sugli anni iniziali di questo sacerdote, architetto, scenografo e macchinista teatrale, figura chiave delle prime compagnie itineranti, che intorno alla metà del secolo diffusero nelle città italiane ed europee l'opera in musica impresariale di modello veneziano. La più antica notizia risale alla pubblicazione di un opuscolo in cui il M. descrive le solenni funzioni tenutesi nella cattedrale di Cremona durante la quaresima del 1636, alle quali dichiara di avere in prima persona cooperato (La Pietà di Cremona overo Relatione del funerale famoso celebrato in sussidio delle sante anime del purgatorio, s.l. né d. [ma Cremona 1636], pp. n.n.).
Con ogni probabilità già in quella occasione il suo contributo fu di natura architettonico-scenografica, consistente in un grande catafalco con colonnati a due ordini sovrapposti innalzato al centro della cattedrale che, in luogo delle colonne, aveva "certe morti di rara grandezza, che sostenevano i capitelli"; sulla sommità, una piramide con anime espianti che tendevano le braccia agli angeli, e al centro "un bellissimo tumulo, ò deposito in sembianza d'urna sepulcrale coperta di velluto à pelo, fregiata d'oro".
Se si esclude il possesso da parte del M. di mappe di Cremona, attestato alcuni decenni dopo, che potrebbe suggerire un suo impegno come architetto nella città, questa è l'unica testimonianza che lo colleghi al luogo di nascita. Le successive notizie sono tutte esterne a Cremona e tutte legate al mondo del teatro. Nel 1645 il M. si era già affermato come scenografo macchinista. È possibile che si riferisca a lui la richiesta inviata dalla reggente di Francia Anna d'Austria al duca di Parma e Piacenza Odoardo Farnese, il 12 marzo 1645, di un "décorateur de théâtre" per la compagnia italiana di Tiberio Fiorillo a Parigi (Prunières). È comunque certo che in quell'occasione il M. non si recò in Francia. Insieme con il ballerino coreografo Giovan Battista Balbi e i comici richiesti, partì un altro dei grandi scenografi dell'epoca, Giacomo Torelli, reduce da una serie di clamorosi successi veneziani. Il M. nel 1645 fu impegnato prima a Genova e quindi, tra settembre e ottobre, a Lucca, dove con la sua compagnia, registrata allora come "accademici Discordati detti Febi Armonici", ebbe licenza dal Consiglio degli anziani di recitare opere in musica sino a tutto il mese di ottobre. Durante le rappresentazioni giunse al M. e ai suoi compagni una nuova chiamata da Parigi, questa volta da parte del cardinal G.L. Mazzarino. Nonostante le discordie, nel frattempo insorte, che lo contrapponevano ai musici, e l'invito ricevuto da Francesco Mercati (direttore di un'altra compagnia) di lasciare i compagni e unirsi a lui, il M. partì per la Francia con la sua "accademia". Giunse a Parigi verso la fine dell'anno e per il carnevale 1646 curò l'allestimento dell'Egisto di G. Faustini, musica di P.F. Caletti detto Cavalli, rappresentato il 16 febbraio alla presenza della corte e dei cardinali Mazzarino e Antonio Barberini. I permanenti contrasti con la compagnia - di cui facevano parte due stelle di prima grandezza come le cantanti Francesca Costa e Margherita Confaloniera - nel corso della trasferta parigina anziché placarsi si acuirono.
Il M. fu denunciato da alcuni compagni all'ambasciatore mediceo a Parigi, con l'accusa di aver venduto le piante delle città e dei territori di Pisa e Cremona ai Francesi, e di essersi offerto di collaborare con loro in un'eventuale campagna bellica. A metà marzo, mentre il M. stava facendo ritorno in Italia, l'ambasciatore comunicò, mediante una lettera cifrata, quanto gli era stato riferito al primo segretario granducale a Firenze. La voce fu poi successivamente ripetuta in un avviso lucchese dell'agosto. L'accusa, per quanto grave, non dovette però essere presa in seria considerazione dalla corte medicea, se è vero che alla fine di maggio il M. era proprio a Firenze, dove curò un nuovo allestimento dell'Egisto.
Da questo momento la sua figura prese un rilievo sempre maggiore nell'ambito delle compagini operistiche con cui collaborò, e fu costantemente lui a sottoscrivere pressoché la totalità dei libretti dei lavori messi in scena. La dedicatoria di quello fiorentino era indirizzata al nobile ferrarese Ippolito Bentivoglio. Nel dicembre del 1647 il M. partì da Firenze per Bologna, accompagnato da una raccomandazione del nunzio papale in Toscana, l'abate Annibale Bentivoglio (zio di Ippolito).
Con i Discordati - che comprendevano in quel momento Giovan Battista Abattoni, Giacomo Alcaini, il basso Carlo Righenzi e la cantante Isabella Lombardini - mise in scena due opere, tra il carnevale e i primi di marzo, nel teatro Guastavillani: la Finta pazza di G. Strozzi e F. Sacrati e, ancora una volta, l'Egisto. Durante il carnevale 1648 fu sempre con gli accademici Discordati a Ferrara, patria dei Bentivoglio, e forse a Rimini, per le rappresentazioni dell'Egisto. Dalla presenza nella città estense e dalla firma in calce alla dedicatoria del libretto (indirizzata a Luigi Pio di Savoia, cognato di Ippolito Bentivoglio) discende verosimilmente l'errata notizia della nascita ferrarese del M., più volte ripresa dagli eruditi locali. Nell'estate del 1649 mise in scena a Milano nel palazzo ducale due opere in occasione della presenza in città di Maria Anna d'Asburgo-Austria, che andava sposa a Filippo IV re di Spagna: il Teseo (composizione dei padri gesuiti, recitata il 20 giugno da studenti della loro Università di Brera) e il Giasone di Giacinto Andrea Cicognini (rappresentata da una compagnia di Febi Armonici).
Negli anni 1650-51 si trasferì a Napoli, dove si ha notizia sicura di alcuni suoi allestimenti: La Didone (ottobre 1650, prima opera rappresentata pubblicamente nella città) di Giovanni Francesco Busenello, ancora l'Egisto, e Il Nerone, ovvero L'incoronazione di Poppea, di Busenello con musica di C. Monteverdi.
Successivamente non si hanno più notizie riguardo al Manara. Tale circostanza, unita al fatto che egli nel 1652 non figura insieme con i Febi Armonici attivi ancora a Napoli (il libretto della Veremonda, l'amazzone d'Aragona è firmato da Balbi, "artefice delle scene, macchine e balli"), potrebbe far ipotizzare che la morte del M. sia avvenuta in questo arco di tempo.
Fonti e Bibl.: Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Antonelli, 362: G. Faustini, Biblioteca de' scrittori ferraresi, II, c. 116r; F. Arisio, Cremona literata, III, Cremona 1741, p. 48; H. Prunières, L'opéra italien en France avant Lulli, Paris 1913, p. 67; L. Bianconi - T. Walker, Dalla "Finta pazza" alla "Veremonda": storie di Febiarmonici, in Riv. italiana di musicologia, X (1975), pp. 379-383, 397-401; P. Fabbri - S. Monaldini, Periferie operistiche del Seicento. Il teatro per musica nella Legazione di Romagna, Ravenna 1989, pp. 59-62; D. Daolmi, Le origini dell'opera a Milano (1598-1649), Turnhout 1998, pp. 231 s., 527; S. Monaldini, L'orto dell'Esperidi. Musici, attori e artisti nel patrocinio della famiglia Bentivoglio (1646-1685), Lucca 2000, pp. 12, 15-17; Id., Opera vs. Commedia dell'arte. Torelli e la compagnia italiana a Parigi, in L'invenzione scenica nell'Europa barocca, a cura di F. Milesi, Fano 2000, pp. 176-183; Id., I teatri della commedia dell'arte, in I teatri di Ferrara. Commedia, opera e ballo nel Sei e Settecento, a cura di P. Fabbri, I, Lucca 2002, p. 73; N. Michelassi, Musici di fortuna tra Venezia e l'Europa. I viaggi teatrali di G.B. Balbi (1637-1657), dissertazione, Università di Firenze, 2003, pp. 155-166; Id., La doppia "Finta pazza". Il viaggio di un'opera veneziana nell'Europa del Seicento (in corso di stampa); C. Sartori, I libretti a stampa dalle origini al 1800, Indici, I, p. 478.