PICCHENA, Curzio
– Nacque a San Gemignano l’11 gennaio 1554 da Lorenzo da Picchena, di famiglia originaria di Colle Val d’Elsa, mentre non è noto il nome della madre.
Ricevette una formazione letteraria e si laureò in diritto nello Studio di Pisa. Fu introdotto da Belisario Vinta nella Segreteria del granduca di Toscana Francesco de' Medici, che il 7 maggio 1576 lo nominò segretario d’ambasciata in Francia al seguito dell’ambasciatore Sinolfo Saracini. Tra il 1577 e il 1579 i due furono incaricati di perseguire i fuoriusciti fiorentini rifugiati in Francia che avevano tramato contro i granduchi. Sotto i colpi dei sicari medicei guidati, prima, da Saracini e, più tardi, direttamente da Picchena, furono uccisi Troilo Orsini, Francesco Alamanni e Bernardo Girolami, accusati di aver congiurato contro Cosimo I e il figlio Francesco. Dopo l’uccisione di Orsini cominciarono alla corte di Francia le proteste per le azioni degli emissari medicei. In seguito alla confessione di un sicario che ammise di essere stato assoldato dal granduca e di aver più volte incontrato in Francia sia Saracini sia Picchena, quest’ultimo fu arrestato e, dopo un mese, liberato e bandito dal regno (24 dicembre 1578).
La carriera nella diplomazia medicea di Picchena, rientrato dalla Francia, continuò a lungo. Fra il 1580 e il 1583 fu segretario d’ambasciata in Spagna con l’ambasciatore Bernando Canigiani. Durante questo soggiorno fu inviato anche in Portogallo nel 1580 come segretario di don Pietro de' Medici, ultimogenito di Cosimo I che partecipava alla spedizione di Filippo II per la conquista del Portogallo. In seguito a problemi con Luigi Dovara, maestro di campo che affiancava don Pietro nella spedizione portoghese, Picchena ritornò anzitempo a Madrid e riprese il suo ufficio di segretario d’ambasciata.
Dal 1584 al 1590 fu segretario di legazione alla corte imperiale. Quando nel febbraio del 1588 l’ambasciatore Orazio Urbani morì, Picchena assicurò la continuità dell’ambasciata fino all’arrivo nel giugno dello stesso anno del nuovo ambasciatore Francesco Lenzoni. Dal 1593 al 1594 fu inviato nei Cantoni svizzeri cattolici. Egli doveva trovare un nuovo informatore del granduca e mandare notizie sulle possibilità di arruolamento delle truppe. Il prolungarsi del suo soggiorno per quasi due anni suscitò sospetti negli spagnoli, che temevano che il vero fine della missione fosse l’arruolamento di truppe per sostenere Enrico di Navarra, erede legittimo al trono di Francia e in quella fase ancora eretico. Al termine della missione il granduca scelse Sebastian von Beroldingen quale agente informatore e Rudolf Reding come ufficiale colonnello che avrebbe dovuto reclutare le truppe in caso di guerra.
In seguito alla morte dell’ambasciatore in corte imperiale Lenzoni, Picchena nel 1594 si recò nuovamente a Praga, dove rimase fino all’arrivo del nuovo ambasciatore Cosimo Concini. Nel 1596 fu inviato al Castello d’If, un isolotto di fronte alle coste marsigliesi che il granduca Ferdinando I aveva occupato nel 1591. Picchena doveva togliere il comando al capitano Bousset, a cui il granduca aveva affidato l’isolotto, ma che ultimamente si era avvicinato troppo agli spagnoli. Con un colpo di mano Picchena espulse il capitano e riprese il controllo dell’isolotto; nello stesso anno si recò come agente del granduca presso il duca di Guisa. Nel 1598 fu inviato a Ferrara come agente per rendere i complimenti al cardinale legato Pietro Aldobrandini. Si trattenne a Ferrara fino all’arrivo di Clemente VIII.
Nel 1601 Picchena entrò nella segreteria di Ferdinando I e fu in seguito impegnato in molti uffici, percorrendo le tappe di un rilevante cursus honorum al servizio dei granduchi. Nel 1604 fu nominato segretario di Stato, con competenze per gli affari della Pratica segreta di Firenze e Pistoia. Nel 1611 ottenne la cittadinanza fiorentina. Aveva acquisito, nel corso del suo lungo servizio, una posizione di rilievo nella segreteria granducale al tempo di Francesco e poi di Ferdinando I, mantenuta anche con Cosimo II che lo teneva in grande considerazione, e con l’inizio della Reggenza. Nel 1607 fu di nuovo investito di un incarico diplomatico, quando fu mandato a Roma per trattare con il pontefice Paolo V dell’invio di flotte in Levante. Nel 1610 fu uno dei Dodici Buoni Uomini, nel 1611 fu membro degli Otto di guardia e Balia e nel 1612 dei Nove conservatori della giurisdizione e del dominio fiorentino. Nel 1621 fu nominato membro del Consiglio dei duecento; del Magistrato del luogotenente e consiglieri nel 1621 e di nuovo nel 1624. Nel 1621 fu eletto senatore.
Quando, nel 1613, Cosimo II riorganizzò le segreterie, nominò Picchena primo segretario (al posto di Belisario Vinta morto in quell'anno). Picchena fu destinato alla gestione degli affari interni dello Stato, alla firma dei mandati della Depositeria e alla supervisione degli affari di competenza degli altri segretari; inoltre condivideva alcune funzioni e responsabilità con il primo auditore Pietro Cavallo. Alla morte di quest’ultimo, ricevette anche l'incarico della segnatura dei memoriali di grazia e giustizia e l’11 maggio 1615 divenne titolare unico dell’ufficio di primo segretario.
Dopo la morte di Cosimo II nel 1621 il governo fu retto dalla Reggenza, in attesa del raggiungimento della maggiore età dell’erede Ferdinando. Cosimo II aveva stabilito che alla sua scomparsa la madre (Cristina di Lorena) e la moglie (Maria Maddalena d’Austria) sarebbero state dichiarate tutrici e reggenti. Esse dovevano essere affiancate da un Consiglio di reggenza. Alle riunioni del Consiglio dovevano partecipare anche i due segretari Curzio Picchena, agli affari esteri, e Andrea Cioli, a quelli interni. Fra i due si aprì ben presto un’aspra rivalità per guadagnarsi il favore delle due reggenti. Secondo Riguccio Galluzzi (1822) a causa del suo cattivo carattere Picchena ostentava «un orgoglioso disprezzo sopra le altrui piccolezze» e non badava a consolidare rapporti a corte perché confidava nell’apprezzamento del suo «lungo et fedele servitio» alla dinastia. A lui si contrappose Cioli, che invece fu abile nell’allacciare rapporti fiduciari con le granduchesse, e poco tempo dopo divenne «l’arbitro della reggenza», facendo allontanare definitivamente Picchena dalla corte (pp. 31 s.).
Nel periodo in cui era stato primo segretario di Stato Picchena fu in corrispondenza con Galileo Galilei e si occupò dei contatti, che non portarono ad alcuna conclusione, con le autorità spagnole a proposito del ritrovato galileiano per la determinazione delle longitudini in mare in base alla posizione dei satelliti di Giove. Galilei e Picchena allacciarono un rapporto di reciproca stima. Quando Picchena si trasferiva a Pisa al seguito della corte, Galilei ospitava più volte Caterina, la figlia di Picchena, nella sua residenza di Bellosguardo.
Picchena non abbandonò mai l’interesse per gli studi classici. Intrattenne uno scambio epistolare con Giusto Lipsio che aveva conosciuto nel 1583, in occasione di uno dei suoi viaggi a Vienna, e di cui restano alcune lettere edite. Curò un’edizione di Lipsio delle opere di Tacito, rivedendo i testi su due manoscritti conservati alla Biblioteca Laurenziana di Firenze. Scrisse probabilmente anche delle Note ai testi di Tito Livio attualmente disperse. Lipsio lesse e apprezzò i commentari di Picchena.
Picchena morì il 14 giugno 1626. Aveva sposato Alessandra Rossini di San Giovanni Valdarno che morì nel dare alla luce l’unica figlia, Caterina.
La sua vicenda individuale ha fatto da spunto per un personaggio del romanzo di Giovanni Rosini, La monaca di Monza. Storia del XVII secolo (1835), dove egli è «illustratore di Tacito» (p. 133). La figlia fu nota per i suoi comportamenti licenziosi, per i quali fu rinchiusa nel carcere di Volterra fino alla morte senza eredi legittimi. Anche la sua vicenda ispirò un romanzo, La figlia di Curzio Picchena: racconto, di Francesco Domenico Guerrazzi.
Opere. Ad Cornelii Taciti opera notae, iuxta veterrimorum exemplarium collationem, Francoforte s.M., apud heredes A.E. Wechel, C. Marne et J. Aubry, 1600 (esistono diverse edizioni successive fra cui quella di Francoforte sul Meno 1607 con dedica a Cosimo II); Advertimenti politici per chi vogli praticare la Corte dell’illustrissimo Curtio Picchena (Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 3286, cc. 15r-41r); la Vita di Ferdinando, terzo granduca di Toscana, scritta da un suo segretario C. P. (Archivio di Stato di Firenze, Carte strozziane, 53; copia in Biblioteca Riccardiana, Riccardiano 1940), già attribuita a Picchena, è stata in seguito restituita a Domizio Peroni.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, 48/2: Istruttione a voi Curtio da Picchena Nostro secretario di quello havete a far per noi in Svizzeri, cc. 1-4; Magistrato Supremo, 4336, c. 121r; Indici della Segreteria Vecchia, t. 3, c. 123r; Indici della Segreteria Vecchia, t. 7, cc. 8r-12v; Indici della Segreteria Vecchia, t. 20, cc. n.n.; Iusti Lipsi Epistolarum selectarum centuria quarta miscellanea postuma, Antuerpiae 1611, pp. 72 s.; Iusti Lipsi Epistolarum selectarum centuria quinta miscellanea postuma, Antuerpiae 1611, pp. 34 s.; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 139; Sylloges epistolarum a viris illustribus scriptarum tomi quinque, Tomus 2, quo Iusti Lipsi, et aliorum virorum eruditorum, multae etiam mutuae epistolae continentur, Leida s.d [ma 1727], pp. 138-140; R. Galluzzi, Storia del granducato di Toscana, VII, Firenze, 1822, pp. 31 s.; G. Rosini, La monaca di Monza. Storia del XVII secolo, Parigi 1835; Biographie universelle ancienne et moderne ou histoire par ordre alphabétique, de la vie privée et publique de tous les hommes qui se sont distingués par leurs écrits, leurs actions, leurs talents, Supplement, LXXVII, Paris 1845, pp. 75 s.; L. Pecori, Storia della terra di San Gimignano, Firenze 1853, pp. 461-467; Commercio epistolare di Galileo Galilei, a cura di E. Alberi, I, Firenze 1859, p. 38; A. Desjardins, L'ambassadeur du grand-duc de Toscane et les proscrits florentins, Paris 1869, pp. 4, 8-12; G. Canestrini - A. Desjardins, Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, IV, Paris 1872, pp. 209-222, 244; F.D. Guerrazzi, La figlia di C. P.: racconto, Milano1874; G.E. Saltini, Istoria del gran duca Ferdinando I scritta da Piero Usimbardi, in Archivio storico italiano, s. 4, VI (1880), p. 366; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del Principato (1537-1737), Roma 1953, pp. 16, 24, 66, 73, 81 s., 105, 109, 116 s.; E. Giddey, Agents et ambassadeurs toscans auprès des Suisses sous le règne du grand-duc Ferdinand Ier de Médicis (1587-1609), Zürich 1953, pp. 125-184; G. Mecatti, Storia genealogica della nobiltà e cittadinanza di Firenze, Bologna 1971, pp. 201 s.; G. Pansini, Le segreterie del Principato Mediceo, in Carteggio universale di Cosimo I de Medici, Inventario, I (1536-1541), a cura di A. Bellinazzi - C. Lamioni, Firenze 1982, p. XXXV; F. Diaz, Il Granducato di Toscana. I Medici, Torino 1987, pp. 238, 251; A. Contini, Dinastia, patriziato e politica estera: ambasciatori e segreterie nel Cinquecento, in Cheiron, XV (1998), pp. 97 s.; F. Angiolini, Il lungo Seicento (1609-1737): declino o stabilità?, in Storia della civiltà toscana, a cura di E. Fasano Guarini, III, Firenze 2003, p. 70; Istruzioni agli ambasciatori e inviati toscani in Spagna e nell’Italia spagnola (1536-1648), I, 1536-1586, a cura di A. Contini - P. Volpini, II, 1587-1648, a cura di F. Martelli - C. Galasso, Roma 2007, I, p. 415, II, p. 51; E. Valeri, La moda del tacitismo (XVI-XVII secolo), in Atlante della letteratura italiana, II, a cura di E. Irace, Torino 2011, p. 259.