CUSTOZA (A. T., 24-25-26)
Piccola frazione del comune di Sommacampagna (prov. di Verona), con 323 ab.; è posta al limite meridionale dell'anfiteatro morenico del Garda, 146 m. sul mare, e presenta un aspetto pittoresco con colline ben coltivate a gelsi e viti.
Le battaglie di Custoza.
Il nome di Custoza è tristemente celebre nella storia del Risorgimento italiano per le due infauste battaglie combattute dall'esercito piemontese nel 1848 e dall'esercito italiano nel 1866 contro l'esercito austriaco sulle colline moreniche del Garda ad oriente del Mincio. Presso il villaggio, il 24 giugno 1879, fu inaugurato un monumento-ossario che ricorda il doppio avvenimento.
Battaglia del 23-25 luglio 1848. - Durante il mese di luglio 1848, l'esercito piemontese operante fra Mincio ed Adige aveva aggravato il disseminamento, con un'ulteriore sottrazione di forze dalle posizioni centrali a vantaggio dell'ala destra impegnata nell'investimento di Mantova. Il 22 luglio, vigilia dell'attacco austriaco, il II corpo piemontese (E. De Sonnaz) era sparso sulle colline moreniche a est e a sud-est del Garda con l'ala settentrionale a Rivoli e l'ala meridionale nclla pianura a sud di Villafranca. Attorno a Mantova, lungo un perimetro d'investimento di una sessantina di chilometri, erano 30.000 Italiani, e, cioè: il I corpo (E. Bava), la divisione di riserva piemontese e la divisione lombarda del Perrone. Fra queste due masse principali - quella delle alture e quella di Mantova - un vuoto di una diecina di chilometri, tenuto soltanto da un reggimento di fanteria (17°). Lo stesso giorno 22 luglio le forze a disposizione del Radetzky erano anch'esse frazionate. A parte gli 8000 uomini investiti in Mantova dalle truppe di Carlo Alberto e i 6000 costituenti il presidio di Legnago, vi erano il III corpo (Thurn) nel Trentino fra Ala e Rovereto (8000 uomini) e il II corpo di riserva (Welden) nel Veneto orientale (16.000) uomini). Ma il nucleo centrale (corpi d'armata I, II e I di riserva, complessivamente 40.000 uomini) costituiva una massa considerevole raccolta nella piazza di Verona, agli ordini diretti del maresciallo.
Riassoggettato in gran parte il Veneto, e libero di gettarsi contro i Piemontesi, il Radetzky - cui non era sfuggito lo spostamento del nostro centro di gravità verso sud - decise di attaccare, puntando contro le alture nella direzione di Peschiera, dove avrebbe trovato la più debole occupazione piemontese. Per accrescere le probabilità del successo doveva precedere (ed ebbe luogo infatti il 22 luglio) un atto dimostrativo del Thurn contro l'ala settentrionale. A Rivoli i Piemontesi resistettero, ma subito dopo il De Sonnaz, intuendo che si sarebbe impegnata più a sud una battaglia grossa, ordinò che l'ala settentrionale si ritirasse nella regione di Sona. Il 23 luglio l'attacco del grosso austriaco si pronunciava, infatti, con due corpi d'armata in 1ª linea (uno diretto contro Sona e l'altro diretto contro Sommacampagna) e un corpo d'armata in riserva. Il margine esterno delle alture era occupato da 9000 Piemontesi con 24 cannoni. Per tre ore il villaggio di Sona fu accanitamente conteso, ma infine gli Austriaci riuscirono ad occuparlo. A Sommacampagna i difensori erano soltanto 1500, eppure gli Austriaci dovettero, anche qui, lottare lunghe ore prima d'impossessarsi della posizione. Le truppe del De Sonnaz si ritirarono a Pacengo, Cavalcaselle, S. Giorgio in Salici. Al quartiere generale di Marmirolo (dove era Carlo Alberto), si ebbero alle 9 del 23 luglio le prime notizie dell'iniziata battaglia; ma non si vollero spostare forze finché l'importanza dello scontro non fosse meglio chiarita, sicché non prima di mezzogiorno Il disegno piemontese per il giorno successivo (24 luglio) era di contrastare al Radetzky il passaggio del Mincio con le truppe del De Sonnaz (ritiratesi, come si è detto, dal margine orientale della zona morenica ed ora schierate sulle alture immediatamente ad est del fiume), mentre le truppe della divisione Visconti, schierate ad occidente, avrebbero tenuto fortemente i ponti. Contenuti cosl frontalmente, gli Austriaci sarebbero stati attaccati sul fianco meridionale e a tergo dalle truppe concentrate a Villafranca. Manovra audace di accerchiamento, che avrebbe però richiesto una decisa superiorità di forze e di destrezza manovriera, in effetto non realizzate, né l'una né l'altra, dai Piemontesi. Dal suo canto il Radetzky ordinava per il 24 luglio che un corpo d'armata passasse il Mincio a Salionze, uno proteggesse il movimento dalle possibili minacce da Peschiera, e l'altro lo proteggesse dalle probabili aggressioni dalla parte di Villafranca. Inoltre chiamava a sé il corpo d'armata del Thurn dal Roveretano e la brigata Simbschen da Legnago, ov'era di presidio.
All'alba del 24 luglio una brigata del I corpo austriaco occupò Salionze, debolmente presidiata da truppe del Visconti; il quale - accorso alle prime cannonate - cercò di raccogliere forze nel punto minacciato e chiese al De Sonnaz rinforzo di artiglierie. Lo stesso De Sonnaz, in marcia da Peschiera verso Volta, prima che la richiesta gli giungesse, aveva ordinato a reparti della sua colonna, giunti in quel momento a Ponti, di accorrere al cannone in direzione di Salionze; ma, in definitiva, la debole difesa fu sopraffatta prima che soccorsa. Le forze lombarde e piemontesi che erano ad occidente del Mincio si raccolsero per la maggior parte intorno a Volta e quattro brigate austriache passarono il Mincio. Mentre ciò accadeva al limite occidentale del campo di battaglia, le truppe piemontesi raccolte attorno a Villafranca e incaricate della controffesa si disponevano ad attaccare il margine orientale delle alture, dove la brigata Simbschen, richiamata (come si è detto) da Legnago, era giunta sul mezzogiorno. Gli Austriaci (inferiori di forze, ma col vantaggio della posizione) resistettero lungamente a costo di gravi sacrifici, finché dovettero, a sera, sgombrare il conteso terreno fra Custoza e Sommacampagna. Il successo tattico dei Piemontesi non si era, però, avverato nella direzione strategicamente più utile. Infatti era interesse supremo per Carlo Alberto, in quel frangente, raccogliere le forze; e invece i progressi piemontesi da Villafranca in direzione di nord rendevano più accentuato il distacco fra le diverse frazioni, tanto più che gli Austriaci avevano intanto occupato Valeggio.
Per il giorno 25 il Radetzky impressionato del forte attacco piemontese del 24 sulle alture di Villafranca, e attribuendo ai Piemontesi il proposito di staccarlo da Verona ordinò che le truppe dirette a passare il Mincio, facessero fronte indietro ed attaccassero i Piemontesi sulle alture di Custoza, prima che ricevessero rinforzi. Nel quartiere generale di Carlo Alberto predomina invece il concetto di far massa ad occidente del Mincio, e per il 25 luglio si vuole anzitutto liberare il passo di Valeggio, attaccandolo dalle due parti del fiume, e proteggendo l'operazione dalle minacce da nord, con un attacco in direzione di Monzambano. Da questi ordini degli avversarî conseguiranno necessariamente due scontri importanti e distinti: sulle alture di Custoza e attorno a Valeggio. Sulle alture le due divisioni comandate dai figli del re (duca di Savoia, poi Vittorio Emanuele II, e duca di Genova) resistono lunghe ore ad attacchi soverchianti, e più volte contrattaccano; ma a sera i Piemontesi debbono abbandonare le colline e ridursi di nuovo attorno a Villafranca.
Contro Valeggio, dei due attacchi convergenti previsti, si pronuncia soltanto quello che muove da Villafranca e che è personalmente diretto da Carlo Alberto, al cui fianco è il Bava. Gli Austriaci sono fortemente trincerati attorno al villaggio, che hanno ordine di difendere strenuamente. Verso il tramonto, quando sarebbe nel proposito del re di tentare un atto decisivo con rinforzo di altre truppe, arriva la notizia del combattimento sfortunato sulle colline, e l'annuncio che il De Sonnaz non è in grado di giungere per quella sera sul campo della lotta. La battaglia è perduta; i Piemontesi si trovano in situazione difficile, separati da un fiume inguadabile, i cui passi sono in possesso del nemico, fatta eccezione di quello di Goito molto più a sud. Quivi i Piemontesi si avviano con sufficiente ordine la notte sul 26 luglio, timidamente inseguiti dagli Austriaci, anch'essi spossati da tre giorni di lotta. La ritirata dei Piemontesi proseguirà nei giorni successivi fin sotto Milano (v. risorgimento).
Battaglia del 24 giugno 1866. - Scesa in campo quale alleata della Prussia, l'Italia aveva mobilitato alla fine della primavera del 1866 un esercito numericamente più che doppio di quello di cui disponeva l'austriaca Armata del sud, per la maggior parte raccolta attorno a Verona, sotto il comando dell'arciduca Alberto d'Asburgo. Era comandante supremo effettivo dell'esercito italiano il generale Alfonso La Marmora. Il piano di guerra - offensivo - prescelto dopo non poche discussioni, aveva portato alla separazione delle forze italiane in due masse: l'una, costituita di dodici divisioni, doveva invadere il Veneto dal Mincio, sotto gli ordini diretti del La Marmora; l'altra, forte di otto divisioni, doveva invadere dal basso Po, agli ordini del Cialdini. Queste operazioni, non vincolate da chiari accordi preventivi, riuscirono slegate; e la massa del Cialdini non aveva ancora iniziato il passaggio del Po, quando il 24 giugno avvenne inopinatamente la battaglia di Custoza. Nel momento in cui, passato il confine del Mincio, il La Marmora portava l'esercito tra le fortezze del quadrilatero veneto (Verona, Peschiera, Mantova, Legnago), credeva di poter escludere (supposizione in realtà arbitraria) che gl'imperiali, notoriamente e logicamente orientati verso un piano di difensiva strategica, volessero cercare una battaglia offensiva. Basandosi su quel preconcetto trascurò il servizio di ricognizione e mantenne le dodici divisioni del Mincio sparpagliate su troppo ampia fronte, preoccupandosi eccessivamente delle minacce austriache delle due fortezze di Peschiera e di Mantova. L'arciduca Alberto aveva invece deciso di spostare la massa austriaca da Verona, in direzione generale di Valeggio, sperando di cogliere gl'Italiani in piena crisi di passaggio del Mincio.
In conseguenza di queste predisposizioni nei due campi, il mattino del 24 giugno, nel terreno compreso fra Verona, Peschiera, Valeggio e Villafranca, verranno a trovarsi: a) lungo la strada Valeggio-Oliosi-Castelnuovo, la 1ª divisione italiana e la divisione di riserva austriaca; b) lungo la strada Fornelli-San Rocco-San Giorgio in Salici, la 5ª divisione italiana e il V corpo d'armata austriaco; c) lungo le strade adducenti dal medio Mincio (Valeggio e Pozzolo) a Sommacampagna, le divisioni italiane 3ª ed 8ª e il IX corpo d'armata austriaco; d) nella pianura attorno a Villafranca, le divisioni italiane, 7ª, 9ª e 16ª e la cavalleria austriaca.
Avvenimenti alla sinistra italiana. - Nel campo italiano, secondo gli ordini del generale G. Durando, comandante del I corpo d'armata, la 5ª divisione avrebbe dovuto muovere alle ore 3,30 da Valeggio, dove subito dopo doveva transitare il grosso della 1ª divisione proveniente da Monzambano. Un ritardo d'un'ora e mezza nel movimento della 5ª divisione, arrecò alquanta confusione in Valeggio; ma alfine le truppe delle due divisioni poterono essere incolonnate sullo stradale da Valeggio a San Zeno. Al bivio di quest'ultima località la 5ª divisione, che precedeva, doveva prendere a destra per S. Rocco, la 1ª divisione che seguiva, doveva prendere a sinistra per Oliosi. Ma l'avanguardia della 5ª divisione, tratta in inganno da indicazioni imprecise degli abitanti, prese la strada per Oliosi, e giunta a un chilometro da questa località ricevette le prime fucilate da parte di 2 brigate austriache del V corpo. Il generale Villahermosa che comanda la piccola colonna italiana, convinto che il grosso della propria divisione lo segue a breve intervallo, impegna, senz'altro, combattimento d'avanguardia; ma il grosso ha, invece, seguita la via prescrittagli di S. Rocco, senza avvedersi a tutta prima dell'errore commesso dall'avanguardia. Quando il Sirtori comandante della divisione, se ne accorge manda all'avanguardia ordine di portarsi sulla giusta strada di San Rocco. Ma il Villahermosa è già seriamente impegnato; e, d'altra parte, egli si ripromette di fiaccare la resistenza nemica e di portarsi a S. Rocco passando per Oliosi.
Frattanto il grosso della 5ª divisione col suo comandante alla testa, è in marcia, senza copertura d'avanguardia, lungo il tratto di strada Fornelli-S. Rocco. Quando la testa giunge presso il torrente Tione la colonna è fatta segno a fuoco di fucileria che parte dalla Pernisa. È tale lo stupore del Sirtori, che - da principio - suppone (senza considerare che il tempo non sarebbe stato sufficiente al lungo percorso) si tratti delle truppe del Villahermosa che, rimessesi sulla via buona, abbian fatto fuoco per errore sul grosso della divisione. Ben presto, però, è fatto certo che si tratta di Austriaci; e allora ordina alla brigata Brescia, che è in testa, di passare il Tione e di spiegarsi per il combattimento.
Alle 7 del mattino la situazione alla sinistra italiana è questa: a) sulla stiada Valeggio-Castelnuovo, l'avanguardia del Villahermosa (5ª divisione) è spiegata presso Oliosi fronte a levante, l'avanguardia della 1ª divisione (generale Villarey) è tuttora ferma sulla strada nei pressi di M. Vento, in attesa del grosso della propria divisione (la cui testa è arrivata in quel momento al bivio fra la strada di Salionze e quella di Castelnuovo) mentre a Valeggio sta per giungere, proveniente da Volta, la riserva del I corpo d'armata. Nel raggio tattico di queste forze italiane - e in parte già a contatto con esse - sono le due brigate Piret e Bauer del V corpo austriaco, spiegate fra Corte e Forni, la brigata Möring dello stesso V corpo in marcia sulle colline a sud di S. Giorgio in Salici, la brigata Benko della divisione di riserva austriaca in marcia (precedendo la brigata Weimar della stessa divisione di riserva) da Castelnuovo verso Oliosi, formata su tre colonne. I corpi sopra elencati, rappresentano da parte italiana una forza complessiva di 18.000 uomini con 48 cannoni, e da parte austriaca di 32.000 uomini con 68 cannoni. In questo settore del campo di battaglia gl'Italiani non possono sperare soccorsi immediati, tutti gli elementi avanzanti ad oriente del Mincio essendo, a quell'ora, in marcia in altre direzioni e con obiettivi divergenti.
Appressandosi ad Oliosi, la brigata Benko prende posizione a M. Cricol, di dove minaccia di aggiramento la sinistra del Villahermosa; ma arriva provvido il Villarey, il quale, intuito il pericolo, si slancia coi fanti della Pisa e coi bersaglieri all'attacco di M. Cricol. Il generale paga con la vita l'audacia, ma gli Austriaci della brigata Benko devono abbandonare la posizione e torneranno all'attacco soltanto quando sarà giunta anche la brigata Weimar e quando ad oriente sarà aumentata la pressione del V corpo austriaco.
Da parte italiana avanza bensì il grosso della 1ª divisione, ma il suo comandante, generale Cerale, quantunque edotto dei combattimenti a Oliosi e M. Cricol, crede di doversi rigidamente tener attaccato all'ordine ricevuto di "raggiungere Castelnuovo" e mantiene le sue truppe (brigata Forlì) incolonnate sulla strada, ossia in condizioni d'inefficienza tattica. Questa disgraziata situazione è aggravata dal fatto che il Villahermosa decide, in obbedienza agli ordini del generale Sirtori sopra ricordati, di ricondurre sul giusto itinerario la sviata avanguardia che aveva fino allora combattuto presso Oliosi; sicché la brigata Forlì, rimane - oltre che incolonnata sulla strada - anche scoperta. La critica situazione non sfugge ad un ardito capitano della cavalleria imperiale, che si getta a testa bassa con un centinaio di ulani sui primi uomini della nostra colonna, i quali vengono, così, sorpresi in una formazione non adatta al combattimento. Il panico si propaga immediato verso il centro e la coda, e la brigata si sbanda senza rendersi conto di quel che sia accaduto. Frattanto la brigata Pisa, sempre sul M. Cricol, si appresta a sostenere l'attacco dell'intera divisione di riserva austriaca; un prima urto è respinto, poi la brigata Pisa riceve ordine di ritirarsi. Gli Austriaci occupano M. Cricol ed anche l'altura di Oliosi, prima occupata dal Villahermosa; ma l'ulteriore loro avanzata è contrastata da nuclei di ardimentosi, che nella disgregazione organica di alcuni nostri reparti, si sono ricomposti in unità improvvisate e con leonino furore contrastano palmo a palmo il terreno. Verso le ore 9, il generale Durando (comandante del 1°corpo) che procede da Valeggio, apprende per caso che due delle sue divisioni sono impegnate in combattimento. Ordina che avanzi celermente la divisione di riserva e che si costituisca su M. Vento una batteria di 25 cannoni. A cavallo del Tione, dove sono sempre alle prese la divisione del Sirtori (5ª) e il V corpo austriaco, il combattimento si svolge con alternative di attacchi e contrattacchi, fino a che le due brigate italiane - Brescia e Valtellina - ripiegano in fermo atteggiamento, sopra una posizione fra La Cava e S. Lucia, che l'avversario non osa attaccare. Il combattimento sosta per breve tempo in questo settore, finché la brigata Valtellina eseguirà un ardito contrattacco, come sarà detto in seguito.
Nel settore di M. Vento, gl'Italiani sono costretti a cedere terreno dopo una fiera resistenza che la stessa relazione austriaca mette in rilievo. In questo momento entrano in azione i reparti che il generale Pianell, pur avendo ordine di rimanere ad occidente del Mincio, invia di propria iniziativa alla voce del cannone. Gli Austriaci della divisione di riserva sono sorpresi sul loro fianco destro e un loro battaglione è, da un attacco dei nostri bersaglieri, letteralmente distrutto (cadono 9 ufficiali e 726 uomini). Secondo la relazione austriaca, per questa inattesa irruzione attraverso il Mincio, l'azione della divisione di riserva fu paralizzata, poi languì e si spense. Intanto, lungo il Tione la brigata Valtellina riprende, come si è detto, con impeto garibaldino l'offensiva sotto gli occhi del Sirtori, che vivamente incita ed elogia, e conquista la posizione del V corpo austriaco. Ma gli Austriaci combattono serrati, hanno ordini profondi e rincalzi alla mano, ciò che non si avvera nel campo italiano; e quando una brigata fresca del V corpo (Möring) avanza, a sua volta, al contrattacco, lo stesso Sirtori ordina alla Valtellina di ripiegare. Il movimento retrogrado si compie in direzione generale di Valeggio.
L'azione alla destra italiana. - Duri combattimenti, del tutto separati da quelli narrati, avvenivano nel frattempo nella regione di Villafranca. Nel settore orientale della battaglia (destra italiana - sinistra austriaca) marciavano il mattino del 24 giugno le quattro divisioni del III corpo d'armata al comando del generale E. Morozzo della Rocca, dirette a Villafranca e alle alture che sovrastano a nord-ovest questa località. Giunge prima a Villafranca la 16ª divisione agli ordini del principe ereditario Umberto e poco dopo la 17ª al comando del Bixio (v.). Squadroni austriaci caricano brillantemente, ma si frantumano contro i quadrati delle nostre fanterie. (Entro il quadrato del 4° battaglione del 49° fanteria, in prima schiera, aveva preso posto il principe Umberto). La cavalleria del Pulz, controcaricata da squadroni di Alessandria, si ritira malconcia dalla lotta fino a Casette. Gli effetti materiali ch'essa ha ottenuto sono insignificanti, ma notevoli quelli morali, ché per tutta la giornata una metà del III corpo italiano rimarrà paralizzata per l'impressione di eventuali minacce dalla pianura veronese, in realtà sgombra di nemici. Dell'altra metà del III corpo, l'8ª divisione al comando del generale E. Cugia è in marcia il mattino del 24 giugno lungo la strada Quaderni-Rosegaferro, diretta per Pozzo Moretto a sommacampagna; la 9ª divisione al comando del generale G. Govone la segue muovendo da Massimbona. Nel contempo marcia lungo la rotabile Valeggio-Villafranca la divisione granatieri del gen. F. Brignone facente parte del I corpo, la quale, udendo cannonate sulle alture, occupa M. Croce, M. Torre e la bassura a sinistra. Due brigate austriache del IX corpo attaccano le nostre posizioni (ore 9) con lo sforzo principale contro M. Croce, dove è la brigata granatieri di Sardegna; gli Austriaci mettono piede sull'altura, sono ricacciati, ritornano, sono respinti di nuovo; perdono un migliaio di uomini e 80 ufficiali. Ma i granatieri di Lombardia, che sono più in basso, al Gorgo, attaccati di fianco, risentono della difficile situazione e cedono terreno; il principe Amedeo di Savoia, loro comandante, è ferito. Allora dall'alto, il generale Brignone che vede in pericolo i granatieri di Lombardia, scende le pendici coi granatieri di Sardegna, contrattacca gli Austriaci sul fianco e li obbliga a retrocedere. Ma gli Austriaci hanno anche qui rinforzi prossimi: una dopo l'altra sopraggiungono tre brigate fresche. Alle 10 gli Austriaci mettono piede sull'altura di Custoza e la divisione Brignone ripiega in direzione di Valeggio. Numerosi nuclei di valorosi - granatieri e bersaglieri - e con essi il Brignone, rimangono fieramente sul posto nella speranza di poter costituire i capisaldi di una nuova azione.
I primi reparti dell'8ª divisione italiana, in marcia come si è detto, giungono frattanto ai piedi di M. Torre, ormai occupato dagli Austriaci; e animosamente, senza attendere ordini si lanciano a un contrattacco e riconquistano M. Torre, che occupa la brigata Cagliari, mentre la Piemonte si distende in collegamento a destra fra M. Torre e la divisione Bixio nel piano di Villafranca. Sopraggiunge ora anche la 9ª divisione italiana, la quale durante la marcia aveva mandato di prima mattina a Villafranca una delle sue brigate (la Pistoia) per ordine del Della Rocca, comandante il corpo d'armata. Alle 10,30 la divisione ebbe ordine di recarsi con le rimanenti forze (brigata Alpi, un battaglione bersaglieri e due batterie) sulle alture di Custoza. In quel momento le alture a oriente della valletta del Gorgo erano occupate, come si è visto, da truppe italiane (brigata Calabria), quelle ad occidente da truppe austriache, a contatto, nel piccolo abitato di Custoza, con granatieri italiani colà rimasti aggrappati sotto l'animosa guida del tenente colonnello Boni. Il Govone, preparata l'azione col fuoco dell'artiglieria, lancia all'assalto i bersaglieri, cui si uniscono i pochi granatieri del Boni, e gli Austriaci sono costretti a ripiegare passo passo da Custoza fino a M. Molimenti. Il Della Rocca rimanda bensì al Govone la brigata Pistoia sottrattagli il mattino; ma ben altri rinforzi occorrerebbero per resistere al contrattacco che il comandante supremo degl'imperiali, arciduca Alberto, prepara con le brigate fresche del VII corpo austriaco. Il Cugia, e specialmente il Govone, insistono perché il Della Rocca invii sulle alture parte delle numerosissime truppe (36 battaglioni e 30 squadroni) che sono inoperose a tiro di cannone, intorno a Villafranca. Invano: il Della Rocca, privo di ordini del Comando supremo, che già da parecchie ore non fa più sentire la propria azione, non si crede autorizzato a spostare di propria iniziativa le forze che gli si era ordinato di tenere a Villafranca, quando ancora la battaglia non si era delineata.
Poco dopo il Govone, impegnatissimo contro forze superiori, fa anche sapere al Della Rocca che sta per ultimare le munizioni, e il comandante del corpo d'armata gli prescrive di prelevarne alla divisione Cugia, anch'essa impegnata sulle alture! La risposta equivaleva a un diniego. Alle ore 15,30 vi fu un momento di calma, e il Govone sperò che la scucita battaglia potesse aver termine con esito incerto. Invece l'arciduca meditava il colpo decisivo, "sforzo supremo" come fu chiaramente definito dalla relazione austriaca.
Il nuovo poderoso attacco fu sferrato alle ore 17, preceduto da fuoco d'artiglieria. Il principe Umberto e il generale Bixio, anelanti di accorrere al cannone, rinnovarono insistenti richieste al Della Rocca per convincerlo che, ormai, nessun pericolo poteva più minacciare Villafranca dal piano mentre urgeva soccorrere i combattenti delle prossime alture. Anche questo tentativo fu vano.
Il poderoso sforzo austriaco è diretto al Belvedere contro l'eroica divisione Govone che combatte da sette ore e i granatieri del Boni che combattono da nove ore. Le prime schiere assalitrici sono ancora vivacemente contrattaccate; il valoroso Govone col suo stato maggiore è in prima linea per incitare al supremo sforzo; ma tutto è ormai inutile. I combattenti delle alture sono sopraffatti, e lo stesso Della Rocca ordina la ritirata generale così delle due divisioni impegnate, come delle due tenute ostinatamente inoperose. In questo momento, dopo otto ore di assenza, il comando supremo si fa sentire di nuovo; un messo del La Marmora arriva al Della Rocca per significare che il III corpo deve ritirarsi in direzione di Goito. Alle 21,30 le ultime nostre truppe (divisione Bixio) lasciano la piana di Villafranca.
Da questi cenni sulle vicende della battaglia del 24 giugno 1866, emerge chiaramente che essa risultò da un complesso di combattimenti slegati, così nello spazio come nella successione dei tempi. L'inatteso incontro col nemico colse le colonne italiane in marcia di trasferimento senza preciso scopo, e in conformità di ordini che implicitamente escludevano un incontro col nemico. La rigida interpretazione di tali ordini da parte di alcuni capi, là dove sarebbe occorso coraggio di iniziative, valse ad aggravare gli effetti della sorpresa; ma soprattutto fece difetto nel campo italiano l'azione direttiva del comando in capo.
Il generale La Marmora, che si trovò casualmente il mattino sulle alture presso Custoza allorché si udirono i primi colpi, in luogo di recarsi prontamente al posto di comando per ricevere notizie, dare ordini e organizzare la battaglia, volle personalmente interessarsi di minute disposizioni di spettanza degli ufficiali dei reparti; e poi vagò dietro la linea di fuoco preoccupandosi di assicurare la ritirata quando ancora, per la quantità delle forze in misura di accorrere alla lotta, sarebbe stato possibile conseguire una vittoria. Così il La Marmora finì per essere assente dalla battaglia che avrebbe dovuto guidare.
Neppure nel campo austriaco si prevedeva di dover incrociare quel giorno le armi; tuttavia le truppe dell'arciduca Alberto marciarono raccolte e in modo da essere in grado di far fronte ad ogni evenienza, e il comandante in capo dell'armata del Veneto seguì la battaglia personalmente, intervenendo nei momenti più importanti con ordini chiaramente formulati e inspirati a un sano concetto organico.
In conclusione, possiamo affermare che la battaglia di Custoza non fu una sconfitta per le truppe italiane che vi combatterono valorosamente; ma fu dolorosa e ammonitrice constatazione di deficienze funzionali dei più alti comandi.
Strategicamente, Custoza non si può considerare battaglia decisiva, tanto è vero che l'esercito italiano fu in grado, pochi giorni dopo, di riprendere una vigorosa azione offensiva. Ma l'indugio di 20 giorni nell'invasione del Veneto fu sicuramente la ragione del ritardo col quale gl'Italiani arrivarono nel Friuli orientale, del conseguente malcontento manifestato dalla Prussia alleata e dell'assurdo confine che ha gravato sull'anima e sulla politica italiana dal 1866 al 1918.
Bibl.: Alf. La Marmora, Rapporto su le operazioni militari del 23 e 24 giugno 1866, Firenze 1868; G. Ulloa, L'esercito italiano e la battaglia di Custoza, Firenze 1866; Alf. La Marmora, Schiarimenti e rettifiche, Bologna 1868; La Marmora e la campagna del 1866 (in risposta all'opuscolo di Bologna e alla lettera del generle Sirtori), Firenze 1868; J. Vial, Étude sur la campagne de 1866 en Italie, et sur la bataille de Custoza, Parigi 1870; L. Chiala, Cenni storici su la campagna del 1866 e su la battaglia di Custoza, Parigi 1872; J. V. Lemoyne, Campagne de 1866 en Italie et bataille de Custoza, Parigi 1872; Alf. La Marmora, Un po' più di luce su gli eventi politici e militari del 23 e 24 giugno 1866, Firenze 1873; C. Mathes von Bilabruck, Taktische Studie über die Schlacht von Custozza im Jahre 1866, Vienna 1891; Ad. Strobl, Custozza, kurze Darstellung der Ereignisse vor und in der Schlacht bei Custozza 1866, Vienna 1897; G. Pollio, Custoza 1866, Torino 1903; A. De Mayo, Leggendo "Custoza", Roma 1911; A. Baldini, Il monito di Custoza, in Esercito e Nazione, 1926.