Abstract
Viene analizzato il tema del cyberbullismo, per come delineato dalla l. 29.5.2017, n. 71, individuandone gli elementi caratterizzanti, accompagnati dalla disciplina giuridica concretamente predicabile, per poi scrutinare le questioni che più facilmente possono alimentare il dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Si è cercato, altresì, di dar conto dei primi orientamenti della dottrina.
La legge n. 71 del 29.5.2017 ha introdotto nel nostro sistema alcune disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo.
La nozione di cyberbullismo è fissata dal co. 2 dell’art. 1 di detta legge, secondo cui per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di «pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo».
Può sinteticamente essere definito come una forma di maltrattamento perpetrato in danno di soggetti minorenni utilizzando le tecnologie dell’informatica e della telematica (Bocchini, R., Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, in Nuove leggi civ., 2018, 340).
La definizione utilizzata dal legislatore lascia trasparire chiaramente la difficoltà di racchiudere in un unico contenitore un fenomeno affatto multiforme e di non sempre agevole distinzione, peraltro in un clima di urgenza determinato dal dilagare di un fenomeno che nel tempo ha raggiunto i contorni di un vero e proprio allarme sociale (Eremita, A.R., Tutela del minore e cyberbullismo: note a prima lettura della L. 71/2017, in Nuova proc. civ., 2017, fasc. 3, 14.5.2018). Non può peraltro dimenticarsi come la stessa legge sia legata a doppio filo ad una ben nota quanto triste vicenda di cyberbullismo: la senatrice Elena Ferrara, prima firmataria della proposta di legge (la n. 1261 del 27.1.2014), è infatti l’ex insegnante di musica di una ragazza di soli quattordici anni suicidatasi a Novara nel 2013 dopo la divulgazione, per mezzo di un popolarissimo social network, di alcuni video che la ritraevano con altri coetanei.
La condotta qualificabile come rilevante, ai fini della legge de qua, deve integrare un elemento oggettivo ed uno soggettivo.
L’elemento oggettivo è costruito in un modo particolare, in quanto prima si afferma la forma libera («qualunque forma»), ma poi si elencano diverse tipologie di condotte antigiuridiche («aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line»).
Se ne può desumere che trattasi di illecito tipizzato nella condotta, ma non nella forma, che resta libera; la modalità è fissata in modo rigoroso dalla via telematica («realizzata per via telematica»).
Indipendentemente dalla condotta concretamente perpetrata, poi, deve essere integrato un evento pericoloso o dannoso («un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo»): la fattispecie de qua è applicabile anche per la sola messa in pericolo, in concreto, del bene protetto.
Dall’art. 1, co. 2, si desume che le condotte sopra indicate sono certamente condizioni necessarie ai fini della predicabilità della legge, ma non da sole sufficienti: serve anche un quid pluris di pericolo o di danno, come desumibile dall’inciso «ponendo»; l’evento dannoso o pericoloso non è aggravante, ma elemento costitutivo della fattispecie.
È da ritenere che la nozione di cyberbullismo sia compatibile con interpretazioni per analogia e tramite principi generali; ciò in quanto i) è predicabile l’iter interpretativo dell’art. 12 disp. prel. per intero, non rinvenendosi la natura di legge penale o eccezionale ex art. 14 disp. prel.; ii) è scritto «qualunque forma» così legittimando l’interprete ad operazioni ermeneutiche di ampio respiro, oltre a postulare una voluntas legis ampliativa e non riduttiva.
La vittima deve essere il minore oppure uno o più componenti della sua famiglia; in quest’ultimo caso la condotta rilevante è solo quella di diffusione di contenuti on line.
L’elemento soggettivo è certamente il dolo, inteso come volontarietà della condotta e dell’evento dannoso o pericoloso; nel dettaglio, la volontarietà pretesa dalla legge è particolare; trattasi di dolo specifico: scopo intenzionale e predominante deve essere quello di isolare un minore o un gruppo di minori.
Non basta, pertanto, una volontà generica della condotta, ma deve ricadere sulla specifica finalità di isolare il minore, ovvero metterlo in disparte rispetto al resto della comunità.
La sola accettazione oggettiva del rischio rispetto all’evento non sembra possa bastare, in quanto priva di intenzionalità.
La ratio dell’istituto è principalmente quella di prevenire la commissione di illeciti, latamente intesi, perpetrati ai danni di minori, per la via telematica; si desume:
- dal co. 1 dell’art. 1, laddove viene espressamente detto che l’obiettivo della riforma è quello di «contrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere preventivo e con una strategia di attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti»;
- dalla rubrica dell’art. 4 (Linee guida di orientamento per la prevenzione e il contrasto in ambito scolastico).
In pratica, la ratio è principalmente orientata alla prevenzione più che alla repressione (Eremita, A.R., op. loc. ultt. citt.).
Si è voluto disciplinare solo il cyberbullismo e non anche il bullismo; non sono infatti situazioni uguali (Pisano, L.-Saturno, M.E., Le prepotenze che non terminano mai, in Psicologia contemporanea, 2008, 40), seppur trovino una matrice comune nella vessatorietà della condotta. Le principali differenze sono le seguenti:
- nel primo si sfrutta l’anonimato, diversamente dal secondo in cui l’agente è immediatamente riconoscibile; nel bullismo, infatti, il bisogno di dominare nelle relazioni interpersonali è correlato alla visibilità del bullo (Coie, J.-Dodge, K.-Terry, R.-Wright, V., The role of aggression in peer relations: an analysis of aggression episodes in boys’ play groups, in Child Development, 1991, 62, 812);
- il primo ha una diffusione potenzialmente illimitata, tramite la diffusione in rete, al punto che lo stesso agente ne perde la totale signoria (Grandi, C., Le conseguenze penalistiche delle condotte di cyberbullismo. Un’analisi de jure condito, in Annali online della didattica e della formazione docente, vol. 9, n. 13, 2017, 40), diversamente dal secondo che si espande in ambiti limitati (scuola, famiglia, palestra, ecc.) e la relativa diffusione è governata sempre dall’agente o dalla pluralità di agenti;
- nel cyberbullismo, il pregiudizio per la vittima non si esaurisce con l’abbandono del luogo virtuale, ma prosegue senza sosta anche successivamente; diversamente, nel bullismo l’abbandono del luogo della condotta impedisce la prosecuzione del pregiudizio.
Va, comunque, detto che la legge de qua non innova il sistema della responsabilità civile per condotte afferenti al bullismo; la giurisprudenza (Cass. civ., 21.2.2003, n. 2657) aveva già inquadrato tale condotta nella perimetrazione applicativa dell’art. 2048 c.c.
L’art. 1, co. 2, non menziona la necessità di una reiterazione della condotta, ovvero una certa continuità, diversamente da come solitamente avviene in ambiti vessatori lavorativi come il mobbing.
Ciò vuol dire che è sufficiente anche una sola condotta per rendere predicabile la l. n. 71/2017?
La risposta è positiva, in quanto i) la lettera della legge non lo prevede, e l’interpretazione letterale prevale sulle altre ex art. 12 disp. prel.; ii) la ratio sottesa è chiara: diversamente da altre condotte vessatorie (tra cui brilla per diffusione il mobbing, ma anche il cd. stalking ex art. 612 bis c.p.), il sistema della diffusione in rete rende pericolosa anche una sola condotta isolata in quanto il dato offensivo, una volta immesso nella rete, può diffondersi esponenzialmente, lasciando privo di signoria del fatto lo stesso autore.
Parte della dottrina (Eremita, A.R., op. loc. ultt. citt.; Alovisio, A., in Il cyberbullismo alla luce della legge 29 maggio 2017, n. 71, a cura di M. Alovisio, G. Battista Gallus, F.P. Micozzi, Roma, 2017, 9) ha criticato tale opzione legislativa: la legge sembra estendere inopportunamente il proprio raggio di azione anche su quelle manifestazioni isolate e quelle condotte accidentali, quali l’invio di un unico SMS ovvero di un unico post, secondo un’interpretazione suscettibile di aumentare il contenzioso in modo indiscriminato.
All’art. 2 è previsto che «ciascun minore ultraquattordicenne, nonché ciascun genitore o soggetto esercente la responsabilità del minore che abbia subito taluno degli atti di cui all’articolo 1, comma 2, della presente legge, può inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale del minore».
La nozione di gestore del sito internet è ricavabile dal co. 3 dell’art. 1: per «gestore del sito internet» si intende «il prestatore di servizi della società dell’informazione, diverso da quelli di cui agli articoli 14, 15 e 16 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 [oggi da coordinare con il cd. GDPR], che, sulla rete internet, cura la gestione dei contenuti di un sito in cui si possono riscontrare le condotte di cui al comma 2».
La rilevanza dell’identificazione del soggetto «gestore del sito» è di primaria importanza nell’applicazione concreta della normativa in quanto tale soggetto, insieme al titolare del trattamento o al social media, è colui al quale è assegnato l’obbligo di attivarsi dall’art. 2 (Bocchini, R., op. loc. ultt. citt.).
Per gestore del sito si ritiene vada inteso non il soggetto che produce il contenuto (in termini di testo, foto, immagini o registrazione audio) illecito, ma il cd. intermediario della rete e, quindi, il soggetto che rende quel contenuto accessibile tramite la pubblicazione nel web (Bocchini, R., op. loc. ultt. citt.); ciò è desumibile dai seguenti rilievi:
- è scritto «gestore», che è colui che ne ha la gestione, ovvero ne determina le regole dell’accesso;
- l’art. 2 afferma che ciascun minore ultraquattordicenne, nonché ciascun genitore o soggetto esercente la responsabilità del minore, che abbia subito taluno degli atti di cui all’art. 1, co. 2, può inoltrare «al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media un’istanza per l’oscuramento del sito»; qui l’accostamento nella fattispecie del «gestore del sito» a quella del «gestore del social» ben fa intendere come la prima locuzione, così come la seconda, siano da riferire ad un soggetto diverso dal content provider e, cioè, per l’appunto, all’intermediario della rete internet (Bocchini, R., op. loc. ultt. citt.);
- sotto il profilo sistematico è, poi, evidente che la semplice lettura del complesso delle disposizioni faccia emergere come la procedura dell’art. 2 sia stata prevista proprio per prevenire l’aggravamento della lesione che potrebbe essere generata dall’utilizzo della rete internet quale strumento per isolare il minore, rimanendo per converso circoscritta alla disciplina dettata agli artt. 5 e 7 la descrizione delle modalità di sanzione del cyberbullo; sicché la disciplina dell’ammonimento e quella dell’oscuramento avrebbero due destinatari diversi: la prima sarebbe destinata a limitare la condotta del cyberbullo (content provider) e l’altra ad arginare il concorso dell’ISP nell’illecito plurisoggettivo (Bocchini, R., op. loc. ultt. citt.).
L’art. 2 l. n. 71/2017 dispone che «ciascun minore ultraquattordicenne, nonché ciascun genitore o soggetto esercente la responsabilità del minore che abbia subito taluno degli atti di cui all’articolo 1, comma 2, può inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet, previa conservazione dei dati originali, anche qualora le condotte di cui all’articolo 1, comma 2, della presente legge, da identificare espressamente tramite relativo URL (Uniform resource locator), non integrino le fattispecie previste dall’articolo 167 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, ovvero da altre norme incriminatrici. Qualora, entro le ventiquattro ore successive al ricevimento dell’istanza di cui al comma 1, il soggetto responsabile non abbia comunicato di avere assunto l’incarico di provvedere all’oscuramento, alla rimozione o al blocco richiesto, ed entro quarantotto ore non vi abbia provveduto, o comunque nel caso in cui non sia possibile identificare il titolare del trattamento o il gestore del sito internet o del social media, l’interessato può rivolgere analoga richiesta, mediante segnalazione o reclamo, al Garante per la protezione dei dati personali, il quale, entro quarantotto ore dal ricevimento della richiesta, provvede ai sensi degli articoli 143 e 144 del citato decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196» (oggi da coordinare con il cd. GDPR, ovvero con il regolamento 2016/679/UE).
La legittimazione attiva, finalizzata ad ottenere l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale, spetta dunque alternativamente i) al minore di età superiore ai quattordici anni; ii) a ciascun genitore; iii) al soggetto esercente la responsabilità del minore.
Il fatto che sia scritto «ciascun genitore» legittima la presentazione dell’istanza anche da parte di un solo genitore, come se fosse atto di amministrazione ordinaria ex art. 320 c.c.
Sembrano esclusi dalla legittimazione attiva i minori, di età inferiore agli anni quattordici, laddove i genitori restino inerti.
La conferma che la principale ratio della legge de qua è preventiva e non riparatoria/risarcitoria arriva proprio dall’istituto dell’ammonimento, qui predicabile in quanto espressamente richiamato.
La procedura di ammonimento opera attraverso la convocazione del minore: il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale, ex art. 7; l’ammonimento prevede il seguente iter procedimentale:
- la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta;
- la richiesta è trasmessa senza ritardo al questore;
- il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale;
- copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito.
Questa forma di tutela, che è essenzialmente di natura amministrativa, non è incompatibile con azioni civili di tipo risarcitorio; anzi, ne potrebbe costituire un argomento di prova ex art. 116 c.p.c.
Laddove terzi, istituzionalmente coinvolti nella protezione del minore, come esemplificativamente la scuola, vengano informati della condotta di attività vessatorie tra alunni, e nulla pongano in essere per evitare la prosecuzione di detta attività, allora ben potranno risponderne civilmente; in questa direzione milita parte della giurisprudenza (Trib. Roma, 4.4.2018, in Nuova proc. civ., 2018, 3) che è stata chiamata ad occuparsi di fenomeni di bullismo, precisandone anche la responsabilità genitoriale in via solidale, ex artt. 147 e 2048 c.c.
Artt. 147, 320, 2048 c.c.; art. 116 c.p.c.; art. 612 bis c.p.; artt. 12, 14 disp. prel.; reg. 2016/679/UE; artt. 1, 2, 7 l. 29.5.2017, n. 71; d.lgs. 30.6.2003, n. 196.
Alovisio, A., in Il cyberbullismo alla luce della legge 29 maggio 2017, n. 71, a cura di M. Alovisio, G. Battista Gallus, F.P. Micozzi, Roma, 2017, 9; Bocchini, R., Le nuove disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, in Nuove leggi civ., 2018, 340; Coie, J.-Dodge, K.-Terry, R.-Wright, V., The role of aggression in peer relations: an analysis of aggression episodes in boys’ play groups, in Child Development, 1991, 62, 812; Eremita, A.R., Tutela del minore e cyberbullismo: note a prima lettura della L. 71/2017, in Nuova proc. civ., 2017, fasc. 3, 14.5.2018; Grandi, C., Le conseguenze penalistiche delle condotte di cyberbullismo. Un’analisi de jure condito, in Annali online della didattica e della formazione docente, vol. 9, n. 13, 2017, 40; Pisano, L.-Saturno, M.E., Le prepotenze che non terminano mai, in Psicologia contemporanea, 2008, 40.
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