D'ARIA (De Ayra, De Aera, de Ayria, D'Auria, de Oria)
Famiglia di scultori lombardi attiva a Genova e a Savona tra il 1466 e il 1520 circa, alla quale appartennero Bonino, Giovanni e Michele, figli di Beltrame.
I magistri antelami D. fanno parte del folto gruppo di maestri lombardi che, giunti a Genova a partire dal sec. XII, per lo più dalla diocesi di Como, lavorarono intensamente come scultori, lapicidi, architetti, contribuendo all'edificazione della città, al rinnovamento edilizio durante il sec. XV-XVI e collaborando poi durante la seconda fase di ristrutturazione edilizia tra il XVI e il XVII secolo (cfr. per l'attività degli antelami a Genova tra il XV e il XVI sec.: E. Poleggi, Il rinnovamento edilizio genovese e i magistri antelami nel sec. XVI, in Arte lombarda, XI [1966],2,pp. 53-68;Id., La condizione sociale dell'architetto e i grandi committenti dell'epoca alessiana, in G. Alessi e l'architettura del Cinquecento, Atti del convegno, Genova 1975, pp. 359-68; Id. - L. Grossi Bianchi, Una città portuale del Medioevo. Genova nei secc. X-XVI, Genova 1980, pp. 151-57;per quanto riguarda l'attività dei D. in genere, inseriti nel contesto dei lapicidi, scultori e architetti attivi in Genova, cfr. Alizeri, 1875, p. XLVIII; Id., 1876, pp. 181 s., 218; Merzario, 1893, pp. 210- 518; Cervetto, 1903, pp. 12-17;Suida, 1906, pp. 58-62; Venturi, 1908, pp. 838-46. Algeri, 1977, p. 74 nn. 1 s., offre un quadro completo della storiografia relativa ai D. e alla situazione degli studi sugli artisti lombardi e toscani a Genova).
Michele, Giovanni e Bonino, provenienti da Pelsotto presso Porlezzo in Val d'Intelvi, lavorarono in stretta collaborazione. Michele appare impegnato soprattutto in attività di scultore (Cervetto, 1903, p. 21, è invece più orientato a considerare Michele come un maestro dall'attività multiforme). Giovanni svolse prevalentemente un ruolo di architetto e Bonino appare come collaboratore nella società che i fratelli D. contrassero, con partecipazione paritaria, regolarmente il 3 marzo 1490 per qualsiasi attività li riguardasse in Genova, in Savona, in Carrara o altrove (cfr. Alizeri, 1876, pp. 84, 182, 194 s., 383; Varaldo, 1974, pp. 151, 153). Bonino era già morto prima del 1502, come appare da un atto del figlio Pietro (Alizeri, 1876, p. 279; Suida, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, II, p. 95, s. v. Aria, Bonino d').
La prima opera a noi nota di Michele è la statua di Francesco Vivaldi, che si trova nel salone di palazzo di S. Giorgio dove, dall'inizio del Quattrocento, aveva sede il banco omonimo, massimo organo economico e finanziario della Repubblica di Genova.
Michele ricevette la commissione per la statua il 19 ag. 1466;l'opera era terminata nel 1468 (idocumenti relativi alla commissione e al pagamento della statua sono pubblicati dall'Alizeri, 1876, pp. 185, 380).
L'impostazione della figura, elegantemente drappeggiata nelle pieghe dell'abito che, nascendo dalla curva lineare delle spalle, scendono fino ai piedi raccolte in un movimento somigliante ad una sigla grafica, conserva un ricordo della statua di Martino V eseguita da Iacopino da Tradate per il duomo di Milano (Venturi, 1908, p. 553); tuttavia la suggestione della matrice tardogotica lombarda è qui superata e fusa nella conoscenza della cultura toscana che informa di sobria saldezza costruttiva il monumento e imprime un carattere di ritratto scavato e personalizzato alla raffigurazione di un personaggio morto da tempo (intorno alla scultura toscana a Genova nella seconda metà del Quattrocento e all'inizio del Cinquecento e ai suoi riflessi sulla cultura d'origine lombarda cfr. Alizeri, 1876, pp. 124 s., 143-51, 166 ss., 250-76, 279-83, 291-94; A. Venturi, St. d. arte ital., X, 1, Milano 1935, pp. 448-78; F. Negri Arnoldi, Revisione di Domenico Gagitti, in Boll. d'arte, [1974], 1-2, pp. 18 ss.; I. M. Botto, Di un'opera di Stagio Stagi e della probabile collaborazione di Bartolomeo Ammannati, in Boll. d. Musei civici genovesi, II [1980], 4-6, pp. 55-60). La cattedra sulla quale siede il Vivaldi venne decorata dal pittore Francesco da Pavia; il monumento fu messo in opera da Enrico da Carona nel marzo 1468 (Alizeri, 1876, p. 185).
Quest'opera segnò l'inizio della statuaria celebrativa a Genova e, in particolare, nel Banco di S. Giorgio dove, negli anni successivi, venne realizzata tutta una serie di statue dedicate ai cittadini benemeriti dell'istituzione (Alizeri, 1876, p. 182; Marengo-Manfroni-Pessagno, 1911, p. 306). A Michele ne vennero affidate altre tre: la statua di Luciano Spinola, nel 1473, quella di Domenico Pastine da Rapallo che seguì due anni dopo e venne posta in opera nel 1483; ultima, la statua di Ambrogio Di Negro, commissario del Banco in Corsica, eseguita nel 1490 (Alizeri, 1876, pp. 186-89). Tutte le statue si trovano, come quella del Vivaldi, nel salone del Banco di S. Giorgio.
La statua di Luciano Spinola, ritratto in piedi con un cartiglio tra le mani, è realizzata con minore scioltezza e minor sicurezza di quella del Vivaldi, come se il gesto "ufficiale" delle mani che mostrano il cartiglio condizionasse il personaggio in una fissità impacciata e quasi legnosa; il volto e le mani sono modellati invece con il vigore e l'interesse di un ritratto non convenzionale. La statua di Domenico Pastine, commessa a Michele nel 1475, appare molto simile a quella dello Spinola, anzi, forse, come suggerisce l'Alizeri, sono state progettate entrambe per essere collocate ai lati di una porta. Nel ritratto del Pastine, Michele ricerca un gioco chiaroscurale più vario che in quello dello Spinola, accennando persino ad una sorta di movimento che tenta di rompere il blocco chiuso della figura, mentre le mani e il volto conservano la sensibilità e l'aderenza al "vero" della caratterizzazione personale.
La qualità di Michele come ritrattista raggiunge però il suo punto più alto nella statua di Ambrogio Di Negro che fu la prima in Genova ad essere dedicata ad un cittadino ancora vivente. Lo scultore ebbe quindi la possibilità di entrare in contatto diretto col personaggio, poté averlo sotto gli occhi nella sua autentica individualità; così lo ha colto, la mano alla cintola in atteggiamento abituale, lontano da schemi convenzionali; il tono ufficiale è tuttavia sapientemente recuperato con l'impostazione della figura, trattando cioè le pieghe della veste con astrazione formale geometrizzante, a intervalli tutti uguali, rinunciando al panneggio mosso e profondo del Vivaldi, in modo da raggiungere quasi l'effetto di una colonna scanalata.
Contemporaneamente alle statue marmoree per i protettori del Banco, Michele era impegnato, in società con Giovanni da Campione, in alcuni importanti lavori nella chiesa di S. Domenico (demolita intorno al 1820-25). Si trattava di eseguire, su commissione di Francesco Spinola, un'acquasantiera di marmo bianco che doveva essere conforme al disegno di Michele depositato presso il committente.
Nell'atto, stipulato il 15 dic. 1475 (Alizeri, 1876, pp. 196 ss.), gli artisti si impegnarono anche a costruire una "galariam sive apodiacionem" tutto intorno alla cappella, che lo Spinola aveva fatto costruire di recente nella chiesa di S. Domenico, dedicata a S. Vincenzo. La decorazione, consistente in una cancellata marmorea simile, forse, a quella che si trova all'interno della cappella Adorno nell'abbazia di San Giuliano d'Albaro, doveva avere due angeli all'ingresso e una pilastrata di marmo a lesene intagliate con lo stesso disegno a fogliami che decorava la cappella fatta erigere da Napoleone Lomellino nella chiesa di S. Francesco di Castelletto (anch'essa demolita nel primo ventennio dell'Ottocento) con il titolo di S. Bernardino.
La possibilità di identificare Giovanni da Campione con Giovanni Gagini o Giovanni da Bissone pone il problema della collaborazione di Michele con Giovanni da Campione e del rapporto di Michele con Giovanni Gagini per quanto riguarda alcune somiglianze stilistiche e per quanto riguarda la sua formazione. Se fosse dimostrata, la collaborazione di Michele con Giovanni Gagini potrebbe spiegare alcune componenti dell'opera del D. (cfr. Cervetto, 1903, pp. 252 s.; Venturi, 1908, p. 836; Algeri, 1977, p. 77 n. 27).
L'inizio degli anni Ottanta è caratterizzato per i D. da una commissione molto importante: l'esecuzione della cappella e del monumento che doveva racchiudere le spoglie dei genitori di papa Sisto IV Della Rovere, Leonardo e Luchina Monleone, da erigersi in Savona, a fianco della chiesa di S. Francesco. Il Monumento Della Rovere si trova ancora nella cappella Sistina, adiacente al duomo (Alizeri, 1876, pp. 201 s.; Merzario, 1893, p. 244).
Nell'ambiente culturalmente vivace della Savona quattrocentesca, stimolato anche dalla frequenza dei rapporti con l'ambiente romano, la cappella funeraria dei genitori del pontefice assume il significato di un'affermazione culturale che verrà ripresa ed accentuata dal card. Giuliano Della Rovere, poi Giulio II (Varaldo, 1974, pp. 143-47).
La Tomba Della Rovere venne commissionata da Paolo Forte e Raffaele Ferrero a Michele e Giovanni "abitanti in Savona" il 29 dic. 1481 (Malandra, 1974, p. 136); il disegno, fornito ai costruttori dai committenti, sarebbe di Andrea Bregno (Venturi, 1908, p. 959; Varaldo, 1974, p. 147). Come è stato fatto notare (ibid., p. 150), il monumento savonese rappresenta un momento particolarmente felice dell'opera del Bregno, ma non altrettanto felice ne è l'esecuzione; e non si può non essere d'accordo con l'Alizeri (1876, p. 207) per il quale "quel che è di figure non eguagli né il gusto né la virtù di Michele".
Nel monumento è evidente la presenza di due mani: l'una è improntata ad una certa eleganza e con qualche guizzo di vivacità, nella quale affiorano ricordi toscani; l'altra, che ha modellato le figure dei committenti e dei santi, è rigida, schematica, blocca le forme nei panneggi che si svolgono confusi e senza coerenza. Non è facile riconoscere in tanta debolezza stilistica l'autore delle statue dei protettori del Banco di S. Giorgio.
Circa otto anni dopo la commissione del Monumento Della Rovere, l'11 genn. 1490,Giovanni si impegnò a costruire un monumento sepolcrale per conto di Pier Francesco Sansone, fratello del card. Raffaele.
La Tomba Sansone destinata ad Antonio, padre dei committenti, doveva sorgere nella cappella maggiore della chiesa di S. Domenico di Savona (oggi S. Giovanni Battista) e doveva essere delle stesse dimensioni, forma, qualità del marmo, del monumento dei Della Rovere (Alizeri, 1876, pp. 199, 206). Nella realizzazione, invece, il monumento Sansone presenta molte varianti a cominciare dall'impostazione; inoltre, una fitta e minuta decorazione a candelabre percorre le lesene, le nicchie laterali sono più dilatate e di dimensioni tali da accogliere le statue dei SS. Pietro e Paolo. La Tomba Sansone ci è giunta smembrata, divisa tra il palazzo degli Anziani (sarcofago), S. Giovanni Battista (frammenti di lesene) e palazzo Pavese (bassorilievi con i SS. Pietro e Paolo); ma ne è stata proposta la ricostruzione (Varaldo, 1974, pp. 151-54) sulla base di altri due monumenti esistenti; uno si trova a Ferrania nell'abbazia dei SS. Pietro e Paolo (tomba di Bartolomeo Scarampi, protonotario apostolico); l'altro (attribuito dalla tradizione a Giovanni), costruito per il card. Agostino Spinola tra il 1517 e il 1522 e destinato alla chiesa di S. Domenico di Savona, ci è giunto frammentario: la parte architettonica è stata reimpiegata nel primo altare a sinistra del santuario e il paliotto di fondo è conservato a palazzo Pavese. In quest'opera, che presenta notevoli varianti rispetto a quelle precedenti, si è voluto vedere un aggiornamento linguistico di Giovanni. In realtà, la qualità non si eleva al di sopra dello schematismo di maniera, le innovazioni sono limitate a varianti negli elementi decorativi che non intaccano la struttura del monumento e non suggeriscono soluzioni nuove né per l'impostazione né per il modellato delle figure.
Il 15 ott. 1489Acellino Salvago e Tomaso Giustiniani affidarono a Michele (ricordato nell'atto di commissione sia come "magister antelami" sia come "magister marmorum"), Antonio Carlone e Pietro da Scaria un complesso progetto di lavoro da eseguire all'interno del duomo di Genova, nella navata destra. Di questo lavoro, che doveva essere terminato, se mai fu cominciato, nel 1490,non è rimasta nessuna traccia; si sono fatte diverse ipotesi ma nessuna di esse è fondata su elementi concreti (Alizeri, 1876, pp. 190 s., 193; Cervetto, 1903, p. 13; Salvi, 1931, pp. 916-19).
Altri interventi nel duomo di Genova, specialmente ad opera di Giovanni, vennero eseguiti ancora su commissione di Acellino Salvago, priore della Devozione di S. Giovanni Battista.
Il lavoro doveva riguardare la ristrutturazione dell'interno della cappella del Battista (all'esterno era stata terminata la decorazione di Domenico Gagini). Giovanni in questo momento (maggio 1492) si trovava ad essere il principale responsabile di un lavoro di notevole entità per il quale era prevista la fornitura di dieci carri di marmo con la prospettiva che altri potessero aggiungervisi (Alizeri, 1876, pp. 237 s.; Cervetto, 1903, pp. 45-50; Salvi, 1931, p. 900).
La parte superiore della cappella, dopo l'intervento di Giovanni, fu ancora rimaneggiata, mentre la parte inferiore fu probabilmente soltanto riadattata per accogliere le sculture di Matteo Civitali.
Poco tempo dopo gli interventi nel duomo, per i quali furono probabilmente responsabili in egual misura, anche se in tempi diversi, Michele e Giovanni, Michele tornò ad occuparsi di monumenti sepolcrali. Il 5 giugno 1495 stipulò con il giurista Francesco Pamoleo il contratto per la tomba del fratello di questo, Bartolomeo, già vescovo d'Accia. La tomba doveva recare l'immagine "de relevato" del prelato rivestito delle insegne episcopali "cum sua inscriptione et foliaminibus et lineis..." (Alizeri, 1876, p. 207). Dal 14 apr. 1497 fino all'inizio del secolo successivo (1501 c.) Michele collaborò con Gerolamo Viscardo alla realizzazione di un Sepolcro della famiglia Adorno nella chiesa di S. Gerolamo di Quarto, presso Genova.
Michele aveva redatto il progetto, che si trovava a mano degli Adorno: nel contratto, però, non si fa cenno delle caratteristiche del monumento né si stabilisce alcuna data di consegna. Alcuni anni più tardi invece, nel 1499, si riconfermano i patti precedenti e i due maestri promettono di terminare il lavoro entro quindici mesi, per l'aprile dell'anno 1500. Il 20 marzo 1501, però, il monumento doveva essere ben lontano dall'esser finito e la famiglia Adorno obbligò gli scultori a impegnarsi a consegnare finito il monumento entro il Natale successivo pena la perdita di ogni compenso (ibid., pp. 210-17).
Oggi, nella chiesa di S. Gerolamo non esiste alcun monumento che possa essere identificato con quello degli Adorno; tuttavia, nel paliotto in marmo bianco dell'altar maggiore è stata riconosciuta, con ogni verosimiglianza, la fronte del sarcofago (ibid., pp. 217 s.; Labò, 1926, p. 1261).
Nell'opera è ripreso e intelligentemente interpretato, anzi rivissuto, lo schema del monumento che Giovanni Gagini aveva eseguito per il card. Giorgio Fieschi nel duomo di Genova: le nicchie si dispongono con ampio respiro cadenzato, creando con lo spazio un rapporto nuovo. È scomparsa anche la rigida impaginazione delle figure all'interno delle esedre.
Nella valutazione dell'opera è da tener conto dei rapporti di collaborazione tra i fratelli D. che si erano stabiliti in via permanente con il contratto datato 1490 sopra citato; inoltre, per quanto riguarda il monumento di Quarto, è specificamente indicata la collaborazione con Gerolamo Viscardo che sarà collaboratore di Michele anche in seguito. Il Monumento Adorno si colloca, inoltre, a quasi un trentennio di distanza dalle statue dei protettori del Banco di S. Giorgio: un lasso di tempo abbastanza lungo e ricco di esperienze da giustificare una maturazione stilistica, un mutamento anche sostanziale di gusto che si riflette nella scelta dei mezzi tecnici ed espressivi (cfr. Labò, 1926, p. 1262, dove però il cambiamento è inteso in senso di indebolimento del linguaggio espressivo di Michele).
Nel 1502 Genova ricevette la visita di Luigi XII re di Francia; il 29 agosto dello stesso anno il tesoriere reale Jean Hernoet stipulò solennemente, a nome del re, con Michele, Donato Benti, Benedetto da Rovezzano (Benedetto Grazzini) il contratto per la costruzione di un grandioso monumento ai duchi di Orléans da erigersi in una chiesa di Parigi. Il Monumento Orléans, costituito dalle statue giacenti del Duca Luigi, della moglie Valentina Visconti e dei loro due figli, Filippo e Carlo, padre appunto di Luigi XII, venne portato a Parigi e collocato nella chiesa dei celestini, accompagnato, a termini di contratto, da due degli artisti che l'avevano eseguito. Dopo essere stato asportato durante la Rivoluzione francese, fu ricostruito in Saint-Denis da Viollet-Le-Duc (von Tschudi, 1885).
Il sepolcro consiste in un largo basamento ornato sui quattro lati da figure di Santi e Profeti entro nicchie, sul quale si eleva un'arca funebre con le statue giacenti dei duchi mentre sul piano del basamento sono collocate le statue giacenti dei figli (Alizeri, 1876, pp. 283, 286-89, 295 s.). Il rapporto di collaborazione tra gli artisti è stato preso in esame anche recentemente per quanto riguarda la presenza di Gerolamo Viscardo (Kruft, 1971, p. 279, attribuisce al Viscardo le sei figure entro nicchie sul lato destro del basamento); difficile è anche dire in che cosa si realizzò l'apporto di Benedetto da Rovezzano e di Donato Benti, abilissimi intagliatori ma goffi, vacui, arcaistici "figurinai" secondo il giudizio di A. Venturi (St. dell'arte ital..., X, 1,Milano 1935, p. 460). Forse la loro attività va proprio individuata nella collaborazione per le statue del basamento una delle quali, quella del Re Davide, sembra un lontano ricordo della statua di Ambrogio De Negro. Ben diversa è la qualità delle figure giacenti, nelle quali sembra venir recuperata, anche a più alto livello di esecuzione, l'impostazione della figura e il suo rapporto con lo spazio che Michele aveva già colto all'epoca della statua di Francesco Vivaldi. L'intenzione ritrattistica è viva e concreta nella sicurezza di modellato dei volti e delle mani; ma qui la padronanza e la qualità dei mezzi tecnici ed espressivi è eccezionale. La tomba di Saint-Denis è stata interpretata (Barbero, 1974, p. 15) come un tentativo di Michele di risolvere con mezzi aggiornati anche tecnicamente le problematiche del rapporto figura-spazio (che altrove era già stato ampiamente superato), pur senza rinunciare alla fonte della propria formazione lombarda.
Accanto alle opere, molte delle quali scomparse, ma di cui rimane testimonianza nei documenti, esiste un gruppo di sculture che sono state attribuite a Michele per ragioni stilistiche. La più celebre è la statua equestre in marmo di Francesco Spinola, ildifensore di Gaeta contro l'armata di Alfonso V d'Aragona, che si trova nell'atrio del palazzo Spinola di piazza Pellicceria a Genova.
L'opera venne riferita dall'Alizeri (1876, p. 148) alla scuola dei Riccomanni o a Giovanni Gagini; il Suida (1906, p. 61) la riferisce a Michele, mentre il Toesca (1908, pp. 172 s.) la ritiene vicina al Maestro di Castiglione Olona e il Venturi (1908, p. 835) propende, se pure con riserve, per l'attribuzione a Michele.
Il riferimento a Michele sembra offrire ancora delle possibilità di riflessione, specialmente se si considera che l'opera possa essere stata eseguita all'epoca delle statue dei protettori del Banco di S. Giorgio che sono contemporanee (quella del Pastine e quella dello Spinola) ai lavori eseguiti da Michele nella chiesa di S. Domenico, proprio per incarico di un Francesco Spinola.
Allo stesso periodo appartiene la Lastra tombale di Paolo Doria (1474) che si trova nella chiesa di S. Nicolò del Boschetto; quest'opera potrebbe essere avvicinata allo stile di Michele per la composizione mossa e per la rilevanza carnosa delle foglie simili, a loro volta, a quelle che ornano gli stipiti di palazzo Spinola in Pellicceria.
Strettamente legato, invece, alla sua cultura è il bassorilievo in pietra con S. Giorgio e il drago che orna l'architrave dell'Ufficio di Corsica nel palazzo del Banco di S. Giorgio.
Il bassorilievo è trattato con una finezza e una concretezza tattile di forme che lo differenziano dalle eleganti sigle grafiche di Giovanni Gagini e lo collegano piuttosto alle statue per i protettori del Banco; l'autore, pur rimanendo fedele allo schema della rappresentazione araldica di s. Giorgio e il drago, suggerisce nuovi elementi di ricerca spaziale, chiaroscurali, tagli d'ambiente, come lo scorcio d'angolo del palazzo nello sfondo (Alizeri, 1875, p. 39; Marengo-Manfroni-Pessagno, 1911, p. 307).
Non lontani da questa sensibilità, ma più prossimi per l'esecuzione al Monumento Adorno sono i due raffinatissimi Portali del Victoria and Albert Museum, l'uno sovrastato da lunetta con la raffigurazione della Natività, l'altro con lunetta raffigurante il Cristo uscente dal sepolcro.
Essi ornavano rispettivamente la cappella Doria e la cappella Spinola nella chiesa della certosa di Rivarolo (Lightbown, 1961; J. Pope-Hennessy, Catalogue of Ital. Sculpture in the Victoria and Albert Museum, I,London 1964, p. 387, li attribuisce a Giovanni Gagini; il problema dell'attribuzione è di nuovo riproposto da H. W. Kruft, Portali genovesi…, 1971, p. 15). Alla stessa chiesa appartiene la Lastra tombale di Lazzaro Doria che è stata attribuita a Michele (Alizeri, 1876, pp. 196 ss.; Cervetto, 1903, p. 14; Suida, 1906, p. 61).
Le ultime notizie dei fratelli D. risalgono all'epoca della tomba dei duchi di Orléans: Michele non si trova citato in nessun altro documento, mentre Giovanni sembra essere rientrato in patria intorno al 1508 (Alizeri, 1876, pp. 278 s.).
Bibl.: C. G. Ratti, Instruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova, II, Descriz. delle pitture, sculture e architetture... delle due Riviere, Genova 1780, p. 37; T. Torteroli, Monumenti di pittura, scultura e archit. della città di Savona, Savona 1847, p. 184; F. Alizeri, Guida... per la città di Genova, Genova 1875, pp. XLVIII, 7, 17, 22, 38 s. (per Giovanni e Michele); Id., Notizie dei professori del disegno in Liguria…,II,Genova 1873, p. 31; IV, Genova 1876, pp. 84, 181 s., 184-91, 193, 195-99, 201-08, 210-20, 229, 236 ss., 276, 278 s., 283, 286-91; VIII, Genova 1877, p. 16; H. von Tschudi, Le tombeau des ducs d'Orléans...,in Gazette archéologique, X (1885), pp. 93-98; G. Merzario, I maestri comacini, II,Milano 1893, pp. 210 ss., 237, 244, 517, 518 (solo per Michele); L. A. Cervetto, I Gagini da Bissone, Milano 1903, pp. 12-17, 45-50, 100, 252 s.; W. Suida, Genua, Leipzig 1906, pp. 26, 48, 58-62, 66 s.; A. Venturi, Storia d. arte ital., VI, Milano 1908, pp. 835 s., 939 (per Michele); P. Toesca, Lo scultore del monumento di Francesco Spinola, in Scritti di st., di filol. e d'arte, Napoli 1908, pp. 172 s. (solo per Michele); E. Marengo-C. Manfroni-G. Pessagno, Il Banco di S. Giorgio, Genova 1911, pp. 103, 127, 306 s., 330 ss., 525 s. (solo per Michele); M. Labò, Il patrimonio artistico degli ospedali civili di Genova, I. Il monastero di S. Gerolamo di Quarto, in Genova, VI (1926), 11, pp. 1261 s.; G. Salvi, La cattedrale di Genova, Genova 1931, pp. 900, 916-19 (per Giovanni e Michele); A. Capellini, L'abbazia di S. Gerolamo di Quarto, in Genova, XIV (1934), 3, pp. 199 s.; V. Straneo, L'arte in Liguria nelle sue vicende stor.,Genova 1939, pp. III ss.; R. W. Lightbown, Three Genoese Doorways, in The Burlington Magazine, CIII (1961), pp. 413 s. (solo per Michele); H. W. Kruft, Gerolamo Viscardi ein genuesischer Bildhauer der Renaissance, in Mitteil. des Kunsthistor. Institutes in Florenz, XV (1971), pp. 274 s., 277 ss., 287 s.; Id., Portali genovesi del Rinascimento, Firenze 1971, p. 23; G. Malandra, Documenti sulla cappella Sistina e sul palazzo Della Rovere a Savona, in Atti e mem. d. Società savonese di storia patria, n. s., VIII (1974), pp. 135-39; C. Varaldo, I D. e i mausolei rovereschi nella Savona rinascim., ibid. pp. 143-147, 151-154 (per Giovanni e Michele); B. Barbero, Antonio della Porta a Savona…, in Boll. ligustico, XXVI (1974), pp. 14 ss.; G. Algeri, La scultura a Genova tra il 1450 e il 1460: L. Riccomanno, G. Gaggini, Michele D., in Studi di storia delle arti, 1977, luglio, pp. 72, 77 s.; Cassiano da Langasco, Chiesa di S. Gerolamo di Quarto, Genova 1978, pp. 8 s., 11; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, II, pp.95 s. (sub voces Aria d').