Da Olimpia ai giochi moderni
La parola inglese sport è sinonimo di divertimento, svago, passatempo. Deriva dal francese desport e significava inizialmente "svago, divertimento". Indipendentemente dalle divagazioni lessicali, sappiamo che i movimenti a corpo libero oggi ricorrenti in vari sport hanno origini remote quanto quelle dell'uomo stesso, soprattutto come forma di difesa o di offesa. Nell'uno o nell'altro caso, tipi di attività fisica assimilabili al nostro concetto di sport ricorrevano presso la maggior parte dei popoli primitivi, per lo più nell'ambito di feste religiose. Tanti sport oggi praticati hanno pertanto radici assai lontane. Si sa per esempio che un gioco con caratteristiche molto simili a quelle del nostro calcio veniva praticato in Cina diverse migliaia di anni fa con il nome di Tsu-Chu ("calcio al pallone").
La maggior parte degli storici è concorde nel ritenere che le forme di sport più vicine ai concetti attuali siano quelle dell'antichità greca, soprattutto le Olimpiadi, così riccamente documentate nell'arte e nella letteratura da avere affascinato l'uomo moderno, tanto da stimolarlo a rinnovare la tradizione nel 1896 ad Atene, con quella che doveva divenire in seguito la più grande manifestazione sportiva di tutti i tempi. Dei Giochi Olimpici dell'antichità e delle altre competizioni di carattere ludico-sacrale che si tenevano in età greco-romana si è ampiamente parlato in altra parte di questo volume (v. Olimpiadi antiche). Basti ricordare che a tutte queste manifestazioni pose termine l'editto di Teodosio nel 393 d.C. e che un editto successivo decretò l'abbattimento dei templi e degli edifici che per secoli avevano ospitato i Giochi Olimpici. Anche se all'editto si ottemperò solo parzialmente, due terremoti nel corso del 6° secolo completarono la distruzione di Olimpia.
Una competizione dai tratti vagamente simili a quelli dei giochi panellenici si tenne in Irlanda a partire dal 632 a.C. In origine si chiamava Aonach Tailteann ("la fiera di Tailteann") e aveva luogo presso quella che oggi si chiama Teltown, nella contea di Meath a nord-ovest di Dublino. La gran parte delle notizie che se ne hanno deriva da un testo del 12° secolo, The ancient book of Leinster, ma il racconto è da considerare, secondo gli storici, a mezza strada fra mito e realtà: Aonach Tailteann nacque per onorare la memoria di una regina molto popolare in Irlanda, la spagnola Tailte, sposa di un re irlandese, Maghmor, ultimo sovrano della dinastia Firbolg; fu un figlio adottivo di costei, Lugh, a dare origine alla celebrazione, che sembra si svolgesse d'estate e durasse sei giorni, uno dei quali riservato agli sport all'aria aperta (outdoor sports): atletica, lotta, pugilato, nuoto e tuffi. Il programma dell'atletica, apparentemente più esteso di quello dei greci, con gare di corsa, salti e lanci, ha indotto gli storici di epoche successive a parlare di Tailteann Games. Occorre tuttavia aggiungere che la parte sportiva costituiva solo una piccola quota dell'intera manifestazione: questa si apriva con l'annuncio di nuove leggi di recente promulgazione, proseguiva con esibizioni di guerrieri, competizioni musicali, un mercato delle nozze (marriage barter), racconti di prosa e poesia, e si concludeva con la consegna dei premi e un lauto banchetto. I partecipanti, oltre che da tutta l'Irlanda, provenivano dall'Inghilterra, dalla Scozia, dal Galles e perfino dalla Francia settentrionale. La tradizione terminò nel 1169 d.C., in concomitanza con l'invasione dell'Irlanda da parte dei normanni. è stata avanzatata l'ipotesi che vi fosse una qualche connessione fra i Giochi Olimpici greci e i Tailteann Games irlandesi, ma l'opinione oggi più accreditata è che le due competizioni siano nate e si siano sviluppate indipendentemente l'una dall'altra. Al pari dei Giochi Olimpici, anche quelli irlandesi sono stati ripristinati in epoca moderna: avvenne nell'agosto 1924 a Dublino con una buona partecipazione, limitata però agli atleti di lingua inglese reduci dai Giochi Olimpici di Parigi. In seguito questo 'ritorno' perse di significato e importanza, fino a esaurirsi.
Nel lunghissimo periodo tra la fine degli antichi Giochi Olimpici e la loro rinascita in versione moderna, circa 1600 anni, le attività sportive subirono prima una profonda trasformazione e poi una graduale evoluzione fino alle realtà moderne. Non c'è dubbio però che nella sostanza e nello spirito lo sport del Medioevo rappresentò un passo indietro rispetto ai modelli ellenici. Durante l'Impero romano le manifestazioni sportive consistettero per lo più in esibizioni di gladiatori. Al 'ginnasio' dei greci si sostituì il 'campo di Marte', che rispondeva essenzialmente a finalità militari, sia nella celebrazione dei guerrieri sia nella preparazione delle giovani leve, per cui prevalevano i combattimenti a mano armata. I romani sostanzialmente disprezzavano il tipo di atletica caro ai greci, giudizio negativo che il cristianesimo contribuì a confermare.
Nel Medioevo ebbe grande rilievo la 'cavalleria'. Sebbene questa fosse ‒ secondo la definizione di Pierre de Coubertin ‒ "una polizia a cavallo concepita per la protezione dei deboli nel mezzo di una società rude e violenta", l'addestramento del cavaliere lasciava comunque un certo spazio a quella che oggi chiameremmo la passione sportiva. I tornei e le giostre, dove si realizzava una combinazione di scherma ed equitazione, costituivano il passatempo più amato dai popoli europei in quei secoli, nei quali si manifestarono nel campo delle attività più o meno assimilabili allo sport due tendenze ben distinte, una rivolta alla moderazione, all'interesse collettivo e al benessere fisico; l'altra improntata allo sforzo estremo, alla cultura individuale e al culto della prestazione straordinaria.
Forme di attività sportiva vicine a quelle dell'antica Grecia sono presenti in Inghilterra fin dal 12° secolo. A Londra, sotto il regno di Enrico II (1154-1189), erano riservati larghi spazi all'aria aperta a tutti quei cittadini che amavano "saltare, lottare e lanciar pietre". Di pari passo procedevano gli scozzesi nei loro Highland Games, feste popolari che esistono ancor oggi e nelle quali veniva e viene privilegiato il gesto di forza, come nel tossing the caber, il lancio di un tronco d'albero.
A metà strada fra la storia e l'agiografia, il celebre Enrico VIII, re d'Inghilterra e Irlanda (1491-1547), venne descritto come un campione molto versatile, capace di eccellere nella corsa, nel salto e nei lanci. Si conserva di lui un disegno che lo ritrae nell'atto di lanciare uno sledge hammer (martello con mazza). Nel 16° secolo la corsa a piedi su lunghe distanze era uno sport assai praticato in Gran Bretagna, anche se esistevano diverse scuole di pensiero sulla maggiore o minore 'nobiltà' di tali passatempi. Nelle feste rurali che si tenevano in ambito di fiere e cerimonie varie, il popolo cosiddetto 'minuto' partecipava con entusiasmo alle gare atletiche.
Esaminiamo dunque in dettaglio la storia dei vari sport che costituirono il programma dell'edizione inaugurale del 1896 dei Giochi Olimpici dell'era moderna: atletica, sollevamento pesi, lotta, scherma, tiro a segno, ciclismo, ginnastica, nuoto e tennis.
L'atletica, pur esistendo praticamente da sempre, ebbe i suoi 'natali moderni' in Gran Bretagna dove i puritani tentarono di combatterne la diffusione, come del resto quella della ricreazione fisica in generale, senza peraltro riuscirvi. Già nel 17° secolo avevano luogo sfide nelle corse di lunga lena, capaci di suscitare grande interesse fra gente di ogni ceto. Erano gli albori di quello che in seguito avrebbe preso il nome di pedestrianism, gare di corsa per professionisti che avranno grande successo fino agli inizi del 20° secolo. Di solito ne erano protagonisti i cosiddetti footmen, uomini che abitualmente servivano i signori e portavano correndo i loro messaggi da una località all'altra, spesso per lunghe distanze. Intorno a queste gare, che si disputavano per lo più fra due corridori, fioriva un vasto giro di scommesse. Le cronache sono però assai vaghe e chiaramente imprecise nella segnalazione dei tempi ottenuti. Resoconti più credibili si cominciano ad avere verso la fine del 18° secolo, per esempio raccontando di un tempo di 4′30″ fatto registrare sul miglio (1609,35 m) da un certo Walpole nel 1787 e di un 9′45″ conseguito da Joseph Headley sulle 2 miglia nel 1777, entrambi su strada.
Per riunioni comprendenti più gare si dovette attendere il 19° secolo. Si pensa che la prima abbia avuto luogo al Royal military college di Sandhurst nel 1812. Cinque anni dopo sorse a Norfolk il primo Athletic Club, detto Necton Guild. Un contributo determinante venne dalle public schools, che erano in realtà scuole esclusive frequentate da giovani delle classi più abbienti. Fu in questi istituti che si svilupparono l'atletica e altri sport, grazie a educatori che avevano riconosciuto l'utilità di abbinare allo studio un programma di educazione fisica dove l'atletica aveva un ruolo primario, una realizzazione pratica del classico detto "Mens sana in corpore sano". Fu a uno di questi educatori, Thomas Arnold (1795-1842), rettore della scuola di Rugby nel Warwickshire, che si ispirò Pierre de Coubertin nel coltivare il suo sogno di restaurare l'olimpismo. La pedagogia di Arnold attribuiva all'attività sportiva un ruolo di fondamentale importanza nella formazione dell'uomo: "È attraverso di essa che il giovane impara a conoscere sé stesso e a meglio capire le necessità della vita pratica, dove è essenziale una giusta combinazione fra muscoli e lealtà".
La prima riunione organizzata da una di queste scuole inglesi ebbe luogo nel celebre college di Eton nel 1837. Nel frattempo il messaggio era stato recepito anche in altre nazioni di lingua inglese. Oltreatlantico però il ruolo di rompighiaccio toccò agli Athletic Club, più che alle scuole. Negli Stati Uniti, nella città di Hoboken, New Jersey, si svolse nel 1838 la prima riunione alla quale fu riservato un 'resoconto giornalistico'. Un anno più tardi fu la volta del Canada, con i Toronto athletic games. Le celebri università inglesi di Oxford e Cambridge ebbero il primo loro incontro diretto nel 1864, al Christchurch ground di Oxford, con otto gare in programma. Negli anni Ottanta del 19° secolo sorsero federazioni nazionali di atletica in Inghilterra e negli Stati Uniti, che poterono quindi avere le loro gare di campionato.
Prima della fine del secolo l'attività atletica si era ormai estesa a un buon numero di paesi del continente europeo, ognuno dei quali aveva anche una propria federazione nazionale dedicata a questo sport. In Italia, dove sorse nel 1899 a Torino l'Unione pedestre italiana, i primi atleti a far parlare di sé furono alcuni specialisti del gran fondo su strada, il più celebre dei quali fu il forlivese Achille Bargossi, che nel 19° secolo ebbe una fama paragonabile a quella raggiunta dal velocista Pietro Mennea nel 20°. La sua fama iniziò nel 1873, quando aveva 26 anni e una buona esperienza come trasportatore di 'mercanzie' per conto di suo padre che era commerciante. Un giorno di quell'anno si trovò coinvolto in una scommessa, andare a piedi da Milano a Monza (circa 15 km) in meno di un'ora. In una giornata di piena estate coprì il tratto in 58 minuti e vinse 120 lire. Da quel giorno cominciò la sua lunga e gloriosa carriera da professionista che lo portò a correre e a vincere in diverse parti d'Europa, ma anche in Africa e nel Sudamerica. Si esibì contro altri fondisti, contro biciclette e contro cavalli, guadagnandosi l'appellativo di 'Uomo cavallo'. Morì in Sudamerica di febbre tifoidea, all'età di 38 anni. Possiamo concludere dicendo che in Italia la corsa a piedi come fenomeno sportivo nacque in versione professionistica. Negli ultimi anni del secolo emerse il primo velocista italiano di buon valore, il lombardo Umberto Colombo.
Nel 1895, pochi mesi prima dell'edizione inaugurale dei Giochi Olimpici, si svolse a New York un match internazionale tra il New York A.C. e il London A.C. Per brillantezza di risultati fu quanto di meglio si poté vedere nel 19° secolo. I Giochi del 1896 ad Atene, svoltisi su mediocri installazioni, offrirono sotto questo aspetto risultati assai peggiori. C'è da osservare che ad Atene le gare atletiche si svolsero, almeno in gran parte, secondo le regole in uso nei paesi di lingua inglese anche se il sistema usato nelle misurazioni era quello metrico.
Il sollevamento pesi, altresì detto atletica pesante, ha origini radicate nella storia più remota, in quanto riflette la tendenza dell'uomo a esibire la propria forza. Da Sansone ai Ciclopi, a tale riguardo l'antichità ci ha trasmesso grande abbondanza di simboli famosi. In Cina esisteva un programma di esercizi fisici classificabili come atletica pesante già 3000 anni prima di Cristo e più tardi nel vasto impero il sollevamento pesi divenne materia di studio. Anche gli antichi greci lo conoscevano, ma non lo inclusero nel programma dei loro giochi.
Nel 16° secolo ne parlò, fra gli altri, l'umanista francese François Rabelais, che era anche medico e professore di anatomia. In tempi più recenti si ritiene che l'esercizio abbia cominciato ad assumere forme di attività sportiva nell'Europa centrale, particolarmente in Germania e in Austria. La prima associazione dilettantistica di sollevamento pesi fu fondata nel 1885 a San Pietroburgo, soprattutto per iniziativa del russo Krayevski, e un ente analogo sorse in Germania nel 1891. Il più famoso specialista di fine secolo fu Georg Hackenschmidt, un russo di padre tedesco e madre estone-svedese, che ebbe come maestro Krayevski. In quanto a regole e categorie di peso, questo sport assunse però i suoi contorni attuali solo nel 20° secolo. In alcuni paesi, come la Svezia, le gare di sollevamento pesi rimasero inizialmente sotto la giurisdizione della Federazione di atletica.
Anche la lotta ha ovviamente lontanissime origini. Praticata a mani nude, nei tempi più remoti precedette la lotta armata durante i conflitti. Nelle forme più varie ricorre nella storia di quasi tutti i popoli primitivi, collegata molto spesso con riti religiosi. Sulle rive del Mediterraneo si affermò la lotta, detta greco-romana, che consisteva nel cercare di atterrare l'avversario senza usare le gambe, utilizzando solo le braccia e le mani aperte, con prese effettuate solo dalla cintura alla testa (mentre la lotta libera permetteva per alcune prese anche l'uso delle gambe). Per gli antichi greci la lotta aveva grande importanza, tanto da venire inclusa come ultima prova nel pentathlon dei loro Giochi Olimpici.
Nell'edizione inaugurale dei Giochi Olimpici moderni fu incluso un torneo di lotta greco-romana che riuniva i concorrenti in una sola categoria. Vinse il tedesco Carl Schuhmann, che negli stessi Giochi raccolse successi anche nella ginnastica. Dall'inizio del 20° secolo i regolamenti cominciarono a essere concepiti in favore della rapidità di esecuzione e della tecnica. Così gli incontri, che inizialmente erano di durata pressoché illimitata, si articolarono in un certo numero di riprese di tre minuti l'una, con un minuto di riposo fra l'una e l'altra, come avviene nel pugilato. Parallelamente si arrivò anche a una suddivisione in categorie di peso.
La scherma non è forse fra gli sport più antichi, tuttavia esistono bassorilievi egizi risalenti a più di 1000 anni prima di Cristo dove sono raffigurati esercizi all'arma bianca che la ricordano assai da vicino. I progressi nella lavorazione del ferro influenzarono l'evoluzione dei combattimenti, ma una svolta decisiva venne solo nel tardo Medioevo con l'invenzione della polvere da sparo: soppiantata in gran parte, se non del tutto, da altri mezzi di offesa, la lotta con sciabola, spada e fioretto assunse un carattere prevalentemente cavalleresco. Fiorì allora l'epoca dei duelli per 'cause d'onore'.
La scherma è forse lo sport in cui l'Italia può vantare le più nobili tradizioni. Vennero dal nostro paese i primi maestri di fama europea, a cominciare da Achille Marozzo dell'Università di Bologna, autore del testo fondamentale Opera Nova (Modena 1536), nel quale enunciava tutte le arti e i trucchi del mestiere. Nella seconda metà del 16° secolo altri maestri, la cui fama varcò ampiamente i confini dell'Italia, furono Camillo Agrippa e Giacomo Di Grassi, entrambi milanesi, e Angelo Viggiani, veneziano. Di Grassi in particolare fu autore di un testo che, attraverso varie traduzioni, si diffuse in tutta Europa. Nel secolo seguente arricchirono il patrimonio di conoscenze sulla tecnica della scherma Nicoletto Giganti e Rinaldo Capoferro, senese, autore di Gran simulacro dell'arte e dell'uso della scherma. Un altro maestro italiano che assurse a larga fama in Europa fu il bolognese Salvatore Fabris, che dopo aver viaggiato a lungo si stabilì a Copenaghen, dove fu maestro di scherma alla corte del re Cristiano IV.
Un ruolo importante svolse anche la scuola spagnola, che nel 16° secolo ebbe il suo massimo esponente in Jerónimo de Carranza, il quale sosteneva, tra l'altro, che una perfetta conoscenza di quest'arte avrebbe potuto rendere vittoriosi anche soggetti chiaramente inferiori nel fisico. La scuola spagnola rimase però isolata ed ebbe scarso seguito nel resto d'Europa.
La triade dei paesi latini che tracciarono il solco nello studio della scherma fu completata dalla Francia. Nel 17° secolo Jean-Baptiste Le Perche du Coudray approfondì lo studio del fioretto e nel 1845 un altro francese, Gomard (A.J.J. Possellier), scrisse La théorie de l'escrime, opera fondamentale per lo sviluppo della scherma moderna.
Nell'Ottocento la spada fu codificata in Francia e lo stesso avvenne in Italia per la sciabola. Più tardi l'Ungheria subentrò come principale culla della sciabola. Questo sport continuò a raccogliere seguaci dall'esercito e in particolare dall'aristocrazia. Non può quindi sorprendere che nel programma dei Giochi Olimpici del 1896 figurassero sia il fioretto sia la sciabola. Lo stesso de Coubertin era un appassionato cultore di tale arte.
Il tiro a segno, detto anche al bersaglio, ha anch'esso lontanissime origini. Già nel 15° secolo esistevano in Francia compagnie civili di archibugieri, ai quali era consentito usare la loro arma anche come mezzo di divertimento, ovviamente in spazi riservati allo scopo. È interessante osservare che nel 1871 la sconfitta subita nella guerra contro i prussiani sortì l'effetto di far moltiplicare in Francia le scuole di tiro.
Il ciclismo come mezzo di locomozione a due ruote risale al 19° secolo. Nel 1818 il barone Karl-Friedrich Drais de Sauerbronn, che dirigeva l'ufficio Acque e Foreste di Baden, depositò un brevetto di 'velocifero' a due ruote e con uno sterzo mobile, che in Francia andò sotto il nome di draisienne, l'antenato della bicicletta. Passato attraverso modifiche e innovazioni (pedale, catena ecc.), il nuovo mezzo giunse presto a un livello di grande popolarità non solo in Francia. La prima gara ciclistica fu probabilmente quella tenuta nel 1868 lungo i viali di Saint-Cloud, in Francia, su un tratto di 1200 m e vinta da un inglese, James Moore, che montava appunto una draisienne. Già l'anno successivo fu organizzata una corsa su strada lungo il percorso Parigi-Rouen. Risalgono al 1891 le edizioni inaugurali della Bordeaux-Parigi e della Liegi-Bastogne-Liegi. L'UCI (Union cycliste internationale) nacque nel 1900 a Parigi. Nell'ultima parte del 19° secolo la moda del velocipede (vélo) diede origine a un'industria e si diffuse rapidamente. L'Italia fu fra i pionieri, tanto che l'UVI (Unione velocipedistica italiana) fu fondata nel 1881. Si correva su strada ma anche su pista (anelli di legno o cemento).
La ginnastica come mezzo per educare il corpo dovette avere un posto essenziale presso le più lontane civiltà. Diversi secoli prima dell'era cristiana esisteva in Cina il kung-fu, un'arte ginnica alquanto sofisticata che mirava a preservare la salute del corpo nonché quella dell'anima (in Europa si ebbe sentore di queste usanze cinesi solo nel 18° secolo, grazie a un gesuita francese, Jean Amiot).
Nel mondo occidentale, comunque, la parola si collega alla Grecia antica. Il gymnàsion era il posto in cui i giovani praticavano l'educazione fisica e si preparavano alle gare olimpiche, per lo più a corpo nudo (gymnòs significa appunto "nudo"), seguiti dagli allenatori, i quali assunsero un ruolo sempre più importante. Nella fase iniziale si chiamavano paidotrìbes e avevano la funzione di preparatori fisici, poi venivano i gymnastès che curavano la preparazione dei professionisti. La categoria più sofisticata era quella degli alèiptes che avevano il compito di ungere con oli e 'massaggiare scientificamente' i muscoli degli atleti. I massaggi passavano da intensi nella fase iniziale a leggeri e defatiganti in quella conclusiva: era un'operazione alla quale si attribuiva grande importanza per la preservazione di un perfetto stato di salute, tanto che gli appartenenti a questa categoria di preparatori venivano chiamati anche iatralèiptes (guaritori, untori). Gli allenatori in generale erano reclutati fra i cittadini di grande esperienza. Pindaro, per esempio, ne parla come di persone di vasta cultura generale. Alcuni erano addirittura dei sofisti, cioè maestri di retorica e di saggezza. In definitiva la passione per gli esercizi ginnici assurse a una specie di culto, specialmente nell'epoca del tardo olimpismo. Invece a Roma si coltivavano altre forme di educazione fisica, più inclini a fini militari.
L'interesse per questo aspetto della cultura antica fu risvegliato dall'Umanesimo. Francesco Petrarca (1304-1374) suggeriva di tenere in alta considerazione i modelli di ginnastica dei greci antichi. Vittorino da Feltre (1378-1446) introdusse prove di educazione fisica nel programma della sua Accademia a Mantova. Toccò poi a un altro italiano, Girolamo Mercuriale (Hieronymus Mercurialis, 1530-1606), medico e scrittore, nel suo De arte gymnastica approfondire la problematica sotto l'aspetto della medicina. Successivamente s'interessarono all'argomento anche filosofi, come l'inglese John Locke e il francese Jean-Jacques Rousseau. Di maggior rilevanza sul piano pratico furono gli insegnamenti del tedesco Johann Bernhard Basedow (1723-1790), che in Praktische Philosophie für alle Stände (1752) enunciò il programma in seguito applicato in una scuola di Dessau, nella quale ai giovani fra i 6 e i 18 anni venivano impartite lezioni di ginnastica per tre ore la settimana, avendo come modello il pentathlon dei greci antichi.
Il primo grande nome nella storia della ginnastica moderna è tuttavia quello di un altro tedesco, Johann Christoph Friedrich Guts Muths (1759-1839), il cui libro Gymnastik für die Jugend (1793) fu presto tradotto in diverse lingue. Scopo fondamentale dei suoi studi era aiutare la formazione di una gioventù sana e il suo programma era rivolto anche alle donne, sia pure con prescrizioni più sobrie. Egli sosteneva che i suoi consigli non erano destinati ad atleti professionisti, come avveniva nell'antica Grecia, ma a giovani desiderosi di migliorare il loro stato di salute, anziché recare danno a quella degli altri, per esempio con un combattimento. Oltre a molti sport tradizionali il programma di Guts Muths comprendeva nel concetto di 'ginnastica' anche la lettura e la declamazione. Il campo puramente sportivo da lui proposto era così vasto da giustificare il giudizio di chi sostiene che con Guts Muths la ginnastica aprì la strada a molte discipline oggi praticate. In non pochi paesi del continente europeo, fra i quali l'Italia, la stessa atletica nacque, per così dire, da una 'costola' della ginnastica.
A una migliore conoscenza della ginnastica e dello sport in genere contribuì ancora un altro tedesco, Gerhard Ulrich Anton Vieth, con la sua Encyklopädie der Leibesübungen, uscita in tre volumi tra il 1794 e il 1818. Un contributo allo studio della materia venne anche dal pedagogo svizzero Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827), che si occupò soprattutto di ginnastica elementare, concepita a vantaggio dei giovanissimi. Diverso il caso di Francisco Amoros, un ufficiale spagnolo residente in Francia che nella prima metà del 19° secolo tentò di impiantare a Parigi un centro di educazione fisica, appoggiandosi per lo più ai precetti di Guts Muths. Il suo progetto naufragò quando gli venne a mancare una parte degli aiuti finanziari che gli erano stati promessi da fonti ufficiali.
Friedrich Ludwig Jahn (1778-1852) fu l'iniziatore di un movimento che doveva avere importanti sviluppi, quello dei Turner o ginnasti tedeschi. Il suo Deutsche Turnkunst, scritto nel 1816 in collaborazione con Ernst Eiselen, era quanto di più completo fosse apparso fino ad allora sugli esercizi con attrezzi. Con l'intento di formare una gioventù sana e forte, il lavoro usciva dalla pedagogia pura per approdare a precisi suggerimenti pratici.
Il nome più celebre nella storia della ginnastica è probabilmente quello dello svedese Per Henrik Ling (1776-1839), i cui insegnamenti dovevano rivelarsi utili per lo sviluppo di diverse attività sportive, dall'atletica al nuoto, dallo sci alla scherma. Ling, personalità multiforme, teologo e poeta ma anche maestro di scherma, al di là dei benefici fisici che potevano derivare da un'attività sportiva era convinto che questa avesse un valore formativo sul carattere delle persone. Vide la ginnastica sotto quattro aspetti fondamentali: pedagogico, medico, militare, estetico. Condusse una vita movimentata in rapporto alla sua epoca ma ebbe i suoi impegni più importanti a Stoccolma, soprattutto come promotore del neonato Gymnastiska Centralinstitutet. Il figlio Hjalmar fu un degno successore e divulgatore dei suoi studi. A cento anni dalla sua morte, nel 1939, la Svezia organizzò a Stoccolma la Lingiade, grande festa internazionale della ginnastica, alla quale parteciparono 7300 atleti di 37 nazioni.
Da parte sua l'Italia vanta uno strano primato: veniva dalla nostra penisola il primo insegnante di ginnastica impiegato come tale dallo Stato finlandese. Era Gioacchino Otta (1775-1848), napoletano, che dopo aver combattuto a lungo come ufficiale dell'esercito napoleonico riparò in Scandinavia e fu prima maestro di scherma, poi insegnante di ginnastica all'Accademia di Abo (l'attuale Turku in Finlandia) e infine supervisore delle attività ginniche all'Università di Helsinki.
Anche la storia del nuoto si perde comprensibilmente nella notte dei tempi. Nell'antico Egitto, come pure in Grecia e a Roma, vi erano gare natatorie, soprattutto nei fiumi, anche se non vennero mai incluse nel novero delle competizioni olimpiche. I legionari romani si allenavano attraversando i fiumi con il loro pesante equipaggiamento. Marziale parla di ragazze che nel 1° secolo d.C. si esibivano in spettacoli di nuoto artistico nella piscina di un anfiteatro.
Si ritiene che il primo libro sulla materia risalga al 1538, opera dello svizzero Winnmann, il quale era convinto che le donne fossero in grado di far bene quanto gli uomini. Nel 17° secolo il Giappone promosse la pratica del nuoto in tutte le scuole. Il tedesco Guts Muths, già ricordato a proposito della ginnastica, lasciò a sua volta un piccolo trattato sull'arte natatoria.
Come sport vero e proprio il nuoto fu codificato nel 1837 in Inghilterra con la nascita della National swimming society, mentre l'Australia ebbe una federazione analoga pochi anni dopo. La prima traversata della Manica fu opera dell'inglese Matthew Webb nel 1875, all'età di 27 anni già capitano della marina mercantile: impiegò 21 ore e 45 minuti per coprire il tratto Dover-Calais, in linea retta un percorso di 33 km, ma all'epoca si calcolò che in realtà Webb avesse nuotato per 61 km. Webb morì nel 1883, all'età di 34 anni non ancora compiuti, nel tentativo di sfidare le rapide delle cascate del Niagara.
Verso la fine del 19° secolo già si conoscevano diversi stili di nuoto (libero, dorso, rana, farfalla), ma nella prima edizione dei Giochi Olimpici moderni figurarono nel programma solo gare di stile libero.
Un gioco più o meno simile al tennis dei nostri giorni era conosciuto e praticato in Egitto e in Persia già 500 anni prima dell'era cristiana. Durante il Medioevo ebbe molta fortuna, specialmente in Francia e in Inghilterra ma anche in Italia, uno sport alquanto simile, la pallacorda. Si pensa però che nella versione moderna il tennis abbia avuto origine nel 1874, quando un inglese, il maggiore Walter Wingfield, disegnò il primo campo di lawn tennis ("tennis su prato"). I primi campi erbosi sorsero poco dopo a Wimbledon, un sobborgo di Londra e fu lì che si svolse, nel 1877, il primo torneo di una serie ancora oggi famosa nel mondo. Nel 1886 fu fondata, sempre in Inghilterra, una Lawn tennis association. Per tutta la parte finale del 19° secolo il gioco fu praticato soprattutto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti e fu probabilmente in omaggio ai suoi amici britannici e americani che Pierre de Coubertin decise di includere due gare di tennis, il singolo e il doppio, nel programma dei primi Giochi Olimpici moderni.
Ai nove sport che figuravano nel programma dell'edizione inaugurale dei Giochi nel 1896 se ne aggiunsero altri nelle edizioni successive. Già nella seconda edizione (Parigi 1900) ne furono inseriti altri sei, tra i quali il calcio. Anche questo gioco ha origini antichissime, dalle più remote relative alla Cina, a cui abbiamo già accennato, fino ai giovani 'calcianti' della Firenze del Rinascimento. Fatto curioso, il calcio fu escluso dal programma olimpico dei Giochi del 1932 a Los Angeles, un'avversione che gli americani hanno superato solo in tempi recenti. Un caso analogo riguarda il pugilato, apparso per la prima volta nel 1904 a St. Louis e poi accantonato fino al 1920. In particolare ai Giochi di Stoccolma del 1912 lo si dovette escludere in quanto le leggi svedesi dell'epoca ne proibivano la pratica.
Vi sono stati sport che prima di essere accolti nella 'famiglia ufficiale' dei Giochi hanno figurato solo come test dimostrativi. Fra questi due popolari giochi di squadra, come la pallacanestro e il baseball, che fanno parte del programma ufficiale rispettivamente dal 1936 e dal 1992. Anche nell'ambito dei nove sport accettati fin dall'inizio si sono avute aggiunte notevoli con l'inclusione di nuove specialità. Basti pensare che in atletica il decathlon nella sua versione attuale è apparso per la prima volta nel 1912.
D'altronde non si deve dimenticare che alla rinascita dei Giochi Olimpici moderni era ben raro che un qualsiasi sport avesse una federazione mondiale che ne regolasse l'attività internazionale. La ginnastica era una brillante eccezione, visto che la FIG (Fédération internationale de gymnastique) era stata fondata nel 1881. Sport basilari come il nuoto e l'atletica, per esempio, ebbero assai più tardi un ente internazionale a cui far capo e dal quale ricevere regole precise: la FINA (Fédération internationale de natation amateur) nacque nel 1908 e la IAAF (International amateur athletic federation) nel 1912. Da questo è facile capire che la prima Olimpiade ad Atene vide in lizza, nella maggior parte dei casi, solo squadre nazionali 'ufficiose', composte da atleti reclutati per lo più da società e scuole su base privata.
La storia della partecipazione delle donne alle attività sportive costituisce un capitolo a sé. I primi cenni al riguardo risalgono all'antico Egitto, dove più di 2000 anni prima di Cristo si ha testimonianza di giovani donne impegnate in esercizi acrobatici e giochi di palla, come pure nella caccia. Sappiamo che nell'antica Grecia le donne ebbero la loro 'parte' di Giochi Olimpici, sia pure su scala ridotta rispetto agli uomini. Erano giochi che si tenevano in onore della dea Era, moglie di Giove. Sembra che consistessero in una sola gara di corsa sulla distanza di 500 piedi (160,22 m). Le concorrenti, che gareggiavano in abiti succinti, erano suddivise in tre gruppi di età. A Sparta la partecipazione delle donne a gare sportive era più diffusa e importante, come del resto avveniva nei Tailteann Games irlandesi.
Nell'antica Roma, incline a vedere gli esercizi fisici soprattutto in funzione dell'arte militare, non accadeva quasi mai che le donne fossero coinvolte e anche nella prima parte del Medioevo le cose non cambiarono molto. I primi segni importanti di un'inversione di rotta risalgono al 15° secolo, quando gare di corsa per donne ebbero luogo in varie località tedesche. Per un tipo di ginnastica rivolto alle donne si dovette attendere fino all'inizio del 19° secolo. Più o meno alla stessa epoca risalgono i primi accenni a un loro coinvolgimento in altri sport o giochi, per esempio il croquet, che a detta di J.A. Krout fu il primo sport a prendere piede tra le donne negli Stati Uniti.
Nei paesi di lingua inglese in generale il tennis su prato coinvolse fin dal principio le donne e anche il pattinaggio artistico fu fin dal principio un'attività rivolta a loro. Atletica e nuoto ebbero il loro battesimo al femminile verso la fine dello stesso 19° secolo. Gli storici riconoscono il ruolo di 'prima volta' dell'atletica femminile a un Field Day tenuto al Vassar College di Poughkeepsie, nello Stato di New York nel 1895. Il programma comprendeva corse piane e a ostacoli, salti e lanci (più una gara di basket). Fu quanto di più 'esclusivo' si potesse immaginare. Rivelò al riguardo un giornale americano dell'epoca: "Erano state prese tutte le precauzioni affinché la festa potesse svolgersi al di fuori di ogni pubblicità. L'ovale del campo era fatto 'ad hoc' per proteggere le ragazze dagli sguardi di indesiderati spettatori, essendo circondato da una fitta siepe sempreverde, alta 12 piedi (3,65 m). Erano stati impartiti ordini affinché fossero tenuti lontani eventuali visitatori di sesso maschile". (A proposito dell'altezza di quella siepe è curioso osservare che all'epoca il primato maschile di salto con l'asta era soltanto di 3,58 m). Il fatto che sul campo vi fossero solo donne tra giuria e atlete a eccezione di un anziano professore del college dimostra come fosse ancora grande la paura di sfidare alla luce del sole i pregiudizi maschili.
Ai Giochi Olimpici dell'era moderna le donne apparvero per la prima volta nella seconda edizione, nel 1900 a Parigi, con un ristretto numero di tenniste. Charlotte Cooper, un'inglese di 30 anni, fu la prima donna a laurearsi campionessa olimpica con le sue vittorie nel singolo e nel doppio. Altri sport entrarono nel novero della famiglia olimpica, da parte femminile, con lenta gradualità. Nel 1904 a St. Louis fu il turno del tiro con l'arco e solo nel 1912 a Stoccolma esordì il nuoto, con quattro specialità. La scherma (fioretto) entrò in gioco nel 1924 a Parigi e l'atletica solo nel 1928 ad Amsterdam con non più di cinque specialità. Anche la ginnastica ebbe la sua 'prima' olimpica nel 1928. Questo 'ritardo' fu in gran parte dovuto allo scetticismo di alcuni dirigenti del CIO, compreso Pierre de Coubertin, nei confronti dello sport femminile. Tipico a tale riguardo il caso dell'atletica, che ebbe un suo ente internazionale, la FSFI (Fédération sportive féminine internationale), fin dal 1921 e organizzò i suoi Campionati Mondiali nel 1922 a Parigi e nel 1926 a Göteborg prima di ottenere dal CIO e dalla IAAF un riconoscimento che le permettesse di confluire in questi organismi e quindi anche nella famiglia olimpica. Questo avvenne appunto nel 1928 ad Amsterdam, con un programma ben più ristretto di quello dei Campionati Mondiali della FSFI, tanto che quest'ultima continuò a organizzarli per suo conto nel 1930 a Praga e nel 1934 a Londra, per abbandonarli solo dopo che la IAAF si decise ad allargare adeguatamente il suo programma olimpico nella parte femminile.
Anche se la storiografia sportiva è unanime nel riconoscere a Pierre de Coubertin il principale merito per la rinascita dei Giochi Olimpici, non sono mancati i tentativi di trovargli dei precursori. Per esempio, alcuni testi inglesi asseriscono che l'idea gli venne da un chirurgo inglese assai appassionato di sport in genere e di quello dell'antica Grecia in particolare, William Penny Brookes, che già nel 1850 promosse Annual Games d'ispirazione olimpica a Much Wenlock nello Shropshire.
Nella stessa Grecia l'idea di un 'revival' era passata per la mente di alcuni uomini influenti fin dal 1830, dopo che quel paese era tornato a essere indipendente. Il sogno divenne almeno in parte realtà nel 1859 grazie a un munifico mecenate, Evanghelios Zappas, che organizzò ad Atene una manifestazione nazionale d'ispirazione olimpica, poi ripetutasi nel 1870 e nel 1875. A partire dal 1880 seguirono incontri sportivi dalle impronte più moderne, soprattutto nel settore dell'atletica e grazie a questa attività la Grecia non giunse impreparata ai Giochi Olimpici del 1896.
De Coubertin, che pure ebbe frequenti contatti con i dirigenti greci, soprattutto con Demetrios Vikelas, attribuì peraltro al già citato pedagogo inglese Thomas Arnold il maggior merito come suo 'ispiratore'. Non mancò inoltre di sottolineare l'impatto che ebbero su di lui le notizie relative agli scavi archeologici condotti a Olimpia dall'équipe del professor Ernst Curtius (1814-1896), notizie che godettero di gran rilievo sulla stampa europea, assai più di quanto ne avrebbero avuto più tardi i primi Giochi Olimpici dell'era moderna. Curtius morì nell'estate del 1896, pochi mesi dopo la celebrazione dei Giochi di Atene.
In definitiva bisogna riconoscere che è di de Coubertin il grande merito di aver concepito e realizzato una rinascita dei Giochi su scala universale come un mezzo per riunire i giovani del mondo al di là delle frontiere e delle differenze di lingua e di razza.