DA PORTO
Lo studio delle antiche fonti documentarie modenesi compiuto da Adolfo Venturi e da Antonio Dondi ha permesso la ricostruzione, seppur parziale e lacunosa, dell'attività di alcuni componenti della famiglia D. che, nello spazio temporale di tre generazioni, esercitarono in Modena l'arte orafa e, a differenza di altre botteghe artigiane del tempo, hanno lasciato alcuni lavori a concreta testimonianza della loro operosità.
Le prime notizie della famiglia risalgono al XIV secolo. Probabilmente l'origine è lagunare ed è stata ipotizzata la provenienza da Comacchio. La si trova registrata nel 1306 nella Magna massa populi civitatis Mutinae (Modena, Arch. stor. comun.) e nelle varie cinquantine o quartieri della città, ma nessuno dei membri risultava essere orafo. Questa attività si riscontra a cominciare dal sec. XV e tra i numerosi orefici che erano in Modena, i D. si differenziano per una continuata operosità con le due principali committenze pubbliche: il Comune e la chiesa cattedrale di S. Geminiano, tradizione di lavoro che si manterrà invariata fino alla metà del sec. XVI, quando le notizie su questa famiglia non sono più rintracciabili.
Nelle cronache di Tomasino de' Bianchi e nel Tiraboschi (1786) è menzionato un Filippo operoso nel sec. XVI, ma allo stato attuale delle conoscenze non è possibile stabilire il grado di parentela con gli altri componenti la famiglia e non si hanno notizie di suoi lavori.
Giovanni. È menzionato negli anni 1420 e 1423 come abitante nelle cinquantine di Modena ed iscritto nella Confraternita di S. Maria dei battuti dove è chiamato "Zoano dal porto inzisore de oro" (Modena, Arch. storico comun., Registri delle cinquantine 1420-23, passim; Arch. di Stato di Modena, Fondo Ente comunale di assistenza, Libro de li modi vecchij ali homini scripti in la Compagnia di S. Maria de Batuti, c. 1v).
Per la Reverenda Fabbrica della cattedrale di S. Geminiano risultano sue prestazioni saltuarie di lavori non meglio specificati dal 1460, mentre nel 1472 affitta dalla stessa fabbriceria una bottega per l'esercizio della sua professione, situata presso il duomo verso la torre Ghirlandina, che sarà sempre utilizzata dai suoi figli e nipoti. Risulta già morto nel 1479, in quanto l'affitto della bottega viene pagato dai figli ed eredi.
Lo storico seicentesco Ludovico Vedriani (Raccolta de' pittori... modenesi…, Modena 1662, p. 45) riconosce in Giovanni l'incisore che siglava i fogli con le iniziali "I. B." accompagnate da un uccellino, ma A. Venturi (1887, pp. 7, 11, 13 ss.), in sede di revisione critica, contraddice questa ipotesi, considerando il cosidetto "maître à l'oiseau" un artista non modenese e ormai appartenente alla cultura cinquecentesca.
Opere di Giovanni non sono rimaste. Recentemente (Faranda, 1980) èstata a lui attribuita la croce astile d'argento e rame dorato della chiesa parrocchiale di Coriano di Villaminozzo nell'Appennino reggiano, in base al confronto con la croce di Fiumalbo, opera molto più tarda, firmata dai figli Giacomo e Antonio. L'oggetto ha tipologia strutturale quattrocentesca dai contorni frastagliati in ornati a traforo, mentre la decorazione incisa nei fusti della croce presenta deboli disegni rinascimentali.
I figli Giacomo e Antonio continuarono l'attività del padre e risultano associati nella produzione di prodotti d'oreficeria.
Giacomo. Figlio di Giovanni, la sua attività è documentata tra il 1486 e il 1515 per lavori realizzati esclusivamente per la Fabbrica di S. Geminiano. Nel 1486 ricevette un anticipo in denaro e argento grezzo per eseguire "le tavolete da altare in arzento" e una "pace", pure d'argento, opere collaudate lo stesso anno in Bologna e terminate nel 1488 (Dondi 1896, pp. 101 s.). La "pace" è tuttora conservata nel Tesoro del duomo modenese, ma la parte antica si limita alla sola zona centrale con la scena della Resurrezione di Cristo, mentre la cornice è stata rifatta nell'Ottocento in stile rinascimentale.
Nel 1489 rinnovò il contratto per la bottega e nel 1491 eseguì per i canonici un anello grande e un razionale gemmato. L'ultima sua notizia è del 1515, quando fu pagato per aver realizzato un fermaglio da piviale (tutti i docc. in Dondi, 1896, pp. 101 s.).
Di Giacomo sono rimaste però significative opere, precisamente tre croci astili. Due erano note già nel secolo scorso, ampiamente trattate nella pubblicistica artistica modenese: sono la croce astile di Fiumalbo, conservata presso quella chiesa parrocchiale dell'alto Appennino modenese, datata 1494 e firmata insieme al fratello Antonio, e la croce astile di Brandola, così detta perché proveniente dalla chiesa di questa località dell'Appennino e ora conservata nel Museo civico di Modena, firmata dal solo Giacomo e datata 1499. A queste si aggiunge la croce astile di San Dalmazio, frazione di Serramazzoni, sempre nell'Appennino, datata 1509 e firmata da Giacomo (cfr. Garuti, 1981).
Le croci di Fiumalbo e di Brandola, vicine come anni di esecuzione, presentano strutture simili, arcaizzanti secondo schemi decorativi tardogotici con abbondanza di ornati traforati sui bordi e sferette terminali, pur con qualche elemento aggiornato allo stile rinascimentale come la fascia decorativa a putti che decora il pomo di sostegno. La croce di San Dalmazio, più tarda, è invece di disegno più lineare, che si adegua a schemi più aggiornati ai modi rinascimentali. Tutte le opere presentano, però, elementi ripetitivi, resi a stampo dalle medesime matrici di fusione, che costituiscono quasi una firma sui lavori di questi orefici modenesi. Tali sono da considerarsi le placchette laterali inserite nei terminali trilobati dei bracci delle croci raffiguranti i simboli umanizzati, ma con la testa dei tradizionali animali, degli evangelisti, ammantati da paludamenti goticizzanti, tenenti in mano il libro aperto, resi con caricaturale bizzarria, e i crocifissi a tutto tondo, asciutti e spigolosi.
Antonio. Figlio di Giovanni, come suo erede, e forse insieme con il fratello Giacomo, nel 1482 si impegnò ad eseguire il reliquiario di s. Sebastiano per la sacrestia del duomo di Modena (Dondi, 1896, p. 100); terminato nel 1484, questo reliquiario fu sostituito all'inizio del Settecento e non è più reperibile. Sempre insieme con il fratello firmò la già ricordata croce astile di Fiumalbo, datata 1494. Nel 1495 risulta impegnato in opere d'argento non meglio specificate per il duomo di Modena (Dondi, 1896, p. 102), mentre la sua ultima attività è documentata nel 1517 quando il Comune modenese provvide a fargli eseguire i conî della zecca per le monete recanti l'effige di papa Leone X. Nel 1522 risulta deceduto.
Gaspare. Figlio di Giacomo, nel 1523 fu coinvolto in un fatto di sangue in cui trovò la morte il pittore modenese Pellegrino Aretusi e fu rinchiuso in carcere (Venturi, 1887, pp. 9 s.). Nel 1531 provvide alla doratura di due tabernacoli per il duomo. Non si ha notizia di lavori di oreficeria che possano essergli attribuiti.
Battista. Figlio di Antonio, professava l'arte dell'orefice; secondo testimonianze di cronache locali contemporanee, la sua famiglia figura tra le più ricche di Modena, ed egli anzi si fregia di uno stemma nobiliare.
Dal 1529 al 1537 fu assaggiatore della zecca e forse eseguì i conî per le monete. Nel 1532 realizzò un prezioso calice per la cappella Estense nel duomo di Modena e, per la medesima chiesa, nello stesso anno, lavorò ad una grande croce astile d'argento, compiuta nel 1533. Un'altra croce, più semplice, gli fu pagata nel 1540 (Venturi, 1887 pp. 9, 11; Dondi, 1896, pp. 102 s.). Nessuna opera è rimasta a documentare la sua attività.
L'attività dei D. come orefici può considerarsi espressione di una cultura artistica ritardataria, ancorata a modelli ornamentali di tradizione goticizzante, configurata nella scelta provinciale di tematiche arcaizzanti confacenti anche ai gusti della committenza locale, ma con aperture a stilemi di nuova concezione rmascimentale che anche a Modena non erano ignoti nelle realizzazioni architettoniche e per apporti di artisti forestieri.
La bottega doveva essere assai operosa se, oltre alle poche, ma significative opere superstiti, si possono identificare, sparse nel territorio, altre realizzazioni che, pur non firmate, rispecchiano nell'esecuzione gli elementi decorativi caratterizzanti la loro personalissima produzione; sono state rintracciate per l'opera di schedatura del materiale artistico conservato nelle chiese della provincia. Tali sono da considerarsi le croci astili d'argento o di rame argentato delle chiese di Guiglia, Castellino delle Formiche, Magrignana, San Cesario, Formigine e di Mandriolo nel Reggiano.
Fonti e Bibl.: T. de Bianchi, Cronaca modenese di Iacopino de' Bianchi detto de' Lancellotti…, II, Parma 1862, pp. 391, 488; V, ibid. 1867, a cura di C. Borghi, p. 85; G. Tiraboschi, Bibl. modenese, VI,Modena 1786, p. 517; L. Cicognara, Mem. spettanti alla storia della calcografia, Prato 1831, p. 25; C. Borghi, Il duomo di Modena..., Modena 1845, p. 83; C. Crespellani, La zecca di Modena nei periodi comunale ed estense, Modena 1884, p. 15; F. Lipmann, Der italien. Holzschnitt im XV. Jahrhundert, V,Berlin 1884, p. 324; A. Venturi, Gli orafi D.,in Il Panaro, 23 genn. 1887; Id., Gli orafi D.,in Archivio stor. ital., s. 4, XX (1887), pp. 3-15; A. Crespellani, Archeologia frignanese, in Il Cimone [Modena], II (1891), 3, pp. 10 s.; A. Venturi, Gli orafi D., in Modena artistica, Modena 1896, pp. 47-58; G. B. Toschi, Arti belle, in L'Appennino modenese, descritto e illustrato, Rocca San Casciano 1896, pp. 478 ss.; A. Dondi, Notizie stor. ed artistiche del duomo di Modena, Modena 1896, pp. 100-03; R. Erculei, Oreficerie, esposiz. d'arte sacra in Orvieto, Roma 1898, pp. 17, 24, 26; Modena, Bibl. Estense, ms. a. E. 6. 30 Ital. 1937: V. Maestri, Arredi e miniature sacre delle diocesi di Modena e Nonantola [1898], pp. 31 ss.; S. Govi, L'Appennino modenese, Roma 1936, p. 101; A. Chellini-L. Pancaldi, Guida stor-artistica di Modena e dintorni, Modena 1926, p. 69; Modena, Museo civico. Schede manoscritte inventariali dei dipinti e degli oggetti, scheda n. 113 [1939], C. L. Ragghianti, Croce astile in lamina d'argento; A. Pedrazzi, Vagabondaggi in provincia, II, Carpi 1950, p. 245; A. Garuti, Opere d'arte nelle chiese di Val di Tiepido, in La valle del Tiepido, Modena 1974, pp. 80-83; A. Leonelli, Guida di Modena, Modena 1975, p. 50; A. Garuti, in Restauri fra Modena e Reggio (catal.), Modena 1978, pp. 34-37; L. Righi, Motivi d'arte nell'Alto Frignano, in Pievepelago e l'Alto Frignano, II, Modena 1979, p. 53; F. Faranda, in Mostra di opere restaurate. Secoli XIV-XIX. Dipinti e oggetti del palazzo comunale, del Museo civico, della Galleria Campori, delle Raccolte statali e del territorio (catal.), Modena 1980, pp. 101 ss.; A.Garuti, Testimonianze d'arte tra Guiglia e Montese, in L'alta Valle del Panaro, Modena 1981, pp. 163 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, p. 291 (s. v. Porto, da).