DAFNI
(gr. Δαϕνί; μονῖϚ τοῦ Δαϕνήου, τοῦ Δαϕνίου μονῆϚ, Delphino, Dalphini nei docc. medievali)
Monastero bizantino posto a km. 10 ca. da Atene, nei pressi dell'antica via che conduceva al santuario di Eleusi, sul luogo dove sorgeva probabilmente un tempio dedicato ad Apollo Daphnaie, al quale sarebbe riferibile l'origine del toponimo; sono attribuiti all'edificio classico colonne e capitelli ionici, alcuni dei quali sono ancora conservati sul sito, altri riutilizzati nell'esonartece della chiesa, altri ancora trasferiti nel sec. 19° a Londra (British Mus.; Stikas, 1962-1963).Un insediamento di età paleocristiana è stato individuato già a partire dal secolo scorso (Millet, 1899) e ulteriormente documentato da scavi più recenti (Orlandos, 1955-1956). Si tratta di un grande recinto murario pressoché quadrato (m. 97,50 × 96,75) ritmato da torri, con due ingressi monumentali a E e a O. Nel settore nord-est, meglio conservato, sono state individuate alcune celle addossate al muro di cinta e aperte verso S con un portico a due piani, mentre nel settore nord-ovest si è ipotizzata la presenza di più ampi ambienti di servizio. All'interno del recinto sono stati inoltre messi in luce resti del muro di facciata di una chiesa, di una cisterna e di un grande ambiente con ipocausti (Orlandos, 1955-1956; Lazarides, 1960). Per la cronologia di questo notevolissimo complesso fortificato qualche indizio è offerto dal ritrovamento di capitelli e imposte di varie tipologie databili tra l'inizio del sec. 5° e il 6° (Millet, 1899, p. 8, figg. 1, 2; Sodini, 1977; Vemi, 1989). La tipologia della cinta fortificata rinvia peraltro ad analoghi impianti di epoca giustinianea, e pertanto è stato ipotizzato che una prima fondazione del sec. 5° sia stata rinnovata e ampliata nel secolo successivo, nell'ambito del programma difensivo imperiale in territorio ellenico.Le più antiche citazioni dell'antico monastero risalgono solo alla fine del sec. 11° e agli inizi del 12° (Millet, 1899, p. 18; Nesbitt, Wiita, 1975, p. 366), mentre al sec. 12° risale il sigillo dell'egumeno Paolo, conservato ad Atene (Athens Numismatic Mus.; Laurent, 1965).La chiesa sorge quasi al centro dell'antico peribolo murario, con l'asse leggermente ruotato verso N rispetto a quello delle strutture precedenti. Si tratta di un edificio del tipo a croce inscritta con cupola su trombe angolari, privo di gallerie e quindi caratterizzato da un sensibile verticalismo; tutti i vani creati intorno al naós dai sostegni della cupola sono coperti da volte a crociera, come pure il nartece tripartito. La zona orientale si articola in tre absidi semicircolari all'interno e poligonali all'esterno; il bema comunica con protesi e diaconico tramite due aperture nelle pareti laterali leggermente ricurve. L'esterno dell'edificio, restaurato a più riprese a partire dalla fine del secolo scorso, presenta la caratteristica muratura a cloisonné, resa con sobrietà e misurata eleganza: gli inserti decorativi in laterizio sono assai rari e il fregio a denti di sega è limitato all'incorniciatura delle finestre. Il corpo della chiesa fu completato, probabilmente dopo qualche decennio, da un ampio esonartece, caratterizzato da analoga struttura muraria e aperto sui lati sud e ovest da arcate alte e strette poggianti su pilastri in muratura e su colonne di reimpiego (Stikas, 1962-1963, figg. 11, 15); sul lato nord una torre scalaria conduceva al piano superiore, esteso sopra i due narteci, che fungeva probabilmente da biblioteca o da abitazione dell'egumeno.L'interno del naós era in origine riccamente decorato. Il pavimento era in opus sectile marmoreo (Millet, 1899, p. 69) e anche le pareti erano rivestite di marmi colorati, almeno fino al sec. 17°, quando furono sostituiti da mediocri pitture (Chatzidakis, 1956, p. 27). Tale rivestimento, particolarmente elaborato nella zona absidale (Millet, 1899, p. 62, fig. 39), poggiava su un basamento marmoreo modanato (Orlandos, 1955-1956) ed era coronato in alto da una raffinata cornice con ornati pseudocufici e girali vegetali impreziositi da incrostazioni, ai quali si sovrappongono figure di volatili a rilievo (Grabar, 1976, pp. 63-64); analoga cornice corre alla base della cupola. Davanti al bema, alla protesi e al diaconico era in origine un témplon marmoreo, come attestano le tracce dello stilobate rinvenute durante il rifacimento del pavimento e alcuni frammenti di decorazione plastica (Orlandos, 1955-1956, figg. 13-16). Sui due pilastri orientali sono anche state messe in luce le icone musive frammentarie della Vergine e del Cristo, stilisticamente collegabili con gli altri mosaici della chiesa, che erano incorniciate da un'arcata marmorea decorata da motivi fitomorfi, come nel caso dei témpla delle chiese di Samari in Messenia (Grabar, 1976, pp. 90-91, tav. LXXI) e di Porta Panagia presso Trikala (Orlandos, 1955-1956, p. 85).L'aspetto più significativo della decorazione della chiesa di D., anche ai fini di una collocazione cronologica del monumento, è senz'altro il suo ciclo musivo, uno dei più celebri della Grecia bizantina. I restauri degli ultimi anni dell'Ottocento hanno inciso pesantemente sulla superficie musiva originaria, soprattutto quella della cupola e del tamburo, che è stata asportata totalmente e ricollocata nella struttura di nuova costruzione (Diez, Demus, 1931, p. 94; Chatzidakis, 1956, p. 27; Stikas, 1962-1963, pp. 10-17). In tale occasione vennero eseguite notevoli integrazioni della stesura musiva: in particolare gli occhi 'severi' del Cristo Pantocratore sembrano da attribuire quasi interamente all'intervento ottocentesco e non vanno quindi considerati come elemento caratterizzante.Il programma iconografico è comunque pienamente ricostruibile e riflette lo schema divenuto quasi canonico in età posticonoclasta. Nella cupola è raffigurato il Pantocratore, nel tamburo i sedici profeti e nell'abside la Vergine in trono con il Bambino (mutila), affiancata, nelle pareti curve del bema, dagli arcangeli Michele e Gabriele. La protesi e il diaconico ospitano rispettivamente le figure di S. Giovanni Battista, Aronne e Zaccaria e di S. Nicola, S. Gregorio di Agrigento e S. Gregorio Taumaturgo. Nel naós trovano posto tredici scene delle Vite di Maria e di Cristo, la cui lettura 'cronologica' è condotta in senso orario alternando le scene poste in due ordini nei bracci nord e sud della croce (Natività della Vergine, Adorazione dei Magi, Presentazione al Tempio, Risurrezione di Lazzaro, Entrata in Gerusalemme, Crocifissione, Discesa al limbo, Incredulità di Tommaso) a quelle poste nelle trombe angolari (Annunciazione, Natività di Cristo, Battesimo e Trasfigurazione); sopra la porta d'ingresso si trova la Dormizione della Vergine, alla quale sembra fosse dedicata la chiesa; numerose figure di santi sono infine disposte nei sottarchi e sulle pareti all'interno dell'edificio. Nel nartece si trovano a S tre scene della Vita della Vergine e a N tre scene della Vita di Cristo che integrano il ciclo evangelico.Tutte le scene sono caratterizzate da un sapiente equilibrio compositivo: le figure, pur disposte spesso ai lati di un asse centrale, si collocano liberamente nello spazio e sembrano dialogare tra loro con misurata gestualità. Anche negli episodi più drammatici il páthos è contenuto e l'espressione dei sentimenti è affidata più agli sguardi che all'atteggiamento dei corpi. Le composizioni sono pervase da un forte senso di classicità, che si manifesta soprattutto nell'eleganza e nella scioltezza con cui sono rese le singole figure, modulate consapevolmente sulla statuaria antica e avvolte da ampi panneggi resi con linee morbide e armoniose (Demus, 1947; Grabar, Chatzidakis, 1959; Muriki, 1980-1981). La raffinatissima gamma cromatica comprende delicati colori pastello come i rosa, i verdi e i grigi accostati in variatissime combinazioni con mezzi toni e cangiantismi.Il ciclo musivo di D. appare, nella sua eccezionalità, piuttosto lontano dagli altri cicli tardomacedoni - per es. quelli di Hosios Lukas nella Focide, della Nea Moni di Chio e della Santa Sofia di Kiev - e si collega semmai agli analoghi esiti classicheggianti della miniatura costantinopolitana del tardo sec. 10°, espressi per es. dal Menologio di Basilio II (Roma, BAV, Vat. gr. 1613) e dai codici a esso correlati. Tuttavia, tranne rare eccezioni (Frolow, 1962), gli studiosi hanno collocato i mosaici per lo più nel tardo sec. 11°, anche per la maturazione di alcune cifre stilistiche dei panneggi e per l'accentuata schematizzazione dei partiti architettonici. Sembra fuori di dubbio l'attribuzione del ciclo a maestranze metropolitane, pur se non esistono prove a favore di un'eventuale committenza imperiale (Gerke, 1964).All'inizio del sec. 13° il monastero di D. seguì la sorte dei territori occupati dai Latini e nel 1205 divenne proprietà di Ottone de la Roche, duca di Atene, il quale nel 1207 lo donò all'abbazia cistercense di Bellevaux (Kitsiki Panagopulos, 1979). Nei decenni seguenti la storia di D. è in parte ricostruibile attraverso gli statuti capitolari di Cîteaux, che ne attestano l'importanza anche nel periodo successivo: infatti nel 1276 D. restò l'unica abbazia occidentale attiva nella regione (Canivet, 1960) e l'ultimo abbas Dalphini è testimoniato nel 1412; nel 1458, dopo l'arrivo degli Ottomani, il monastero tornò ai monaci greci.La traccia più consistente lasciata dalla comunità franca nel complesso è individuabile nella parziale ristrutturazione della facciata dell'esonartece in forme gotiche: cinque arcate archiacute, di cui quella centrale maggiore in altezza e ampiezza, decorate da semplici profilature sostituirono il precedente prospetto del 12° secolo. Il piano superiore non sopravvisse e fu sostituito da merlature che accentuarono il carattere fortificato del complesso. La chiesa fu inoltre utilizzata come luogo di sepoltura per i duchi franchi di Atene della famiglia dei de la Roche e di Gualtieri V di Brienne (1287-1311).
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