DAI LIBRI
Famiglia di miniatori e pittori veronesi operosi nei secoli XVXVI.
Stefano è il primo di cui ci sia giunta notizia; appare negli estimi, a partire dal 1433, con il soprannome "a libris" (per questo e per gli altri estimi citati, vedi Mazzi, 1912; Di Canossa, 1912; Brenzoni, 1962). È presumibile che sia nato all'inizio del secondo decennio del secolo. Nei successivi estimi del 1447 e 1456 è qualificato come "scriptor", mentre nel 1465 è individuato con l'appellativo di "aminiator".
Poiché nei documenti più antichi il termine "scriptor" sembra designare indifferentemente sia l'attività di amanuense sia quella di miniatore, e solamente dopo la metà del secolo le due professioni cominciano ad essere rilevate separatamente con termini appropriati, si può ritenere che la prevalente attività di Stefano fosse la miniatura. Nel 1459 compare come teste in un atto di locazione dell'abbazia di S. Zeno maggiore, il che fa supporre una sua attività connessa con il rinnovo dei libri liturgici del monastero benedettino avvenuta appunto dopo la metà del secolo (Castiglioni, 1985).
Un'altra notizia che probabilmente si riferisce a Stefano proviene dal Trentino: il 2 apr. 1460 il parroco di Volano, don Giulio Biscantino, ricorda nel testamento il debito di 18 ducati che aveva con lui il veronese maestro Stefano miniatore (Weber, 1944). Avendo il Biscantino dedicato tutta la vita a copiare cedici, è immaginabile che il debito di Stefano fesse riferibile alla loro comune attività libraria. Non è certo, però, che lo Stefano in questione sia il nostro, dato che un altro miniatore veronese a nome Stefano Marino di Pietro da Francoforte è attivo in quegli anni.
Purtroppo, oltre alle poche notizie biografiche, null'altro si sa di Stefano. Nel 1473 era ancora allibrato a S. Paolo, ma nel 1482 era già morto (Mazzi, 1912).
Con ogni probabilità egli fu il primo maestro del figlio Francesco, che lo seguì nella professione.
Francesco, nato a metà del secolo, presumibilmente in Verona, è artista quasi sconosciuto. A lui sono state attribuite opere diverse per le quali non era stata trovata una convincente alterntaiva: si vedano, per esempio, le liste del Berenson che, nel 1932, comprendevano le opere riunite dal Gerola (1913) attorno al suo "Maestro del Cespo di Garofano" più alcune miniature dategli sulla base di confronti con il "messale della Rovere" (ms. 306 della Pierpont Morgan Library di New York: Dorez, 1909; Brenzoni, 1950). Questo "messale" fu ancora il riferimento probante per l'assegnazione a Francesco (Riva, 1953) della pagina iniziale del ms. 739. 1 della Biblioteca civica veronese. Una volta restituito il "messale" della Pierpont Morgan al grandissimo miniatore F. Bettini (Harrsen-Boyce, 1953; Brenzoni, 1962), l'opera di Francesco venne a coincidere, nelle liste berensoniane del 1968, in modo arbitrario, con quella del "Maestro dei Garofani". E l'equivoco perdura se ancora recentemente è stata "restituita" a Francesco una tavoletta del è Maestro del Cespo di Garofano" (Sgarbi, 1983). È necessario, invece, rimettere in discussione tutte le attribuzioni fatte a Francesco sulla scorta di similitudini con miniature non sue, o, peggio, di ipotesi completamente azzardate, e ripartire daccapo.
È importante anzitutto rilevare come nei documenti noti Francesco sia sempre definito "miniator" e mai "depentor". Solo nel libro d'estimo di S. Nazaro del 1515 il figlio Girolamo è indicato "quondam Francisci pistoris", evidentemente per "pictoris". Il riferimento a Francesco, già morto a quella data, di un'attività in vita mai connessagli, può essere una imprecisione imputabile ai giurati rilevatori o una confusione con l'attività del figlio. Ciò non significa che sia necessario escludere a priori un'attività pittorica di Francesco; ma solamente che per giungere ad individuarne le opere è indispensabile partire dalle miniature. Anche la testimonianza del Vasari (1568, pp. 326 s.) ricorda Francesco come esclusivamente miniatore: "Venendogli, dunque da tutte le bande libri a miniare, non era per altro cognome nomina, o che da i Libri, nel miniar de' quali era eccellentissimo, e ne lavorò assai". Fra questi, numerosi libri da canto e da coro in S. Giorgio, S. Maria in Organo e S. Nazaro a Verona. Molte sono le scritture di pagamento a Francesco giunte sino a noi, ma di lui esiste una sola opera documentata, del 1503; ed è una miniatura, per l'appunto, del Liber perfectionis Vitae, codice 432 della Bibl. del Seminario a Padova (Mariani Canova, 1969).
È una piccola iniziale I con il Padreterno dinnanzi al committente, molto simile alle iniziali figurate conservate a Verona nel Museo di Castelvecchio e tradizionalmente attribuite al figlio di Francesco, Girolamo: circostanza questa che lascia intuire come probabilmente alcune di quelle miniature possano essere invece di Francesco.
All'unica opera certa si affiancano due altre, attribuitegli da Eberhardt (1977), e precisamente il piccolo delizioso Salterio 2161 della Biblioteca Trivulziana di Milano e l'Adorazine dei Magi nel foglio staccato conservato nella collezione Wildenstein al Museo Marmottan di Parigi.
A queste si può aggiungere la piccola iniziale P, non figurata, unica nelle poche carte superstiti dei codice di Pietro Donato Avogare, De sanctissimoruni praesulum Veronensium, ms. 56 alla Biblioteca civica di Verona, databile con sicurezza (per la dedica ai Provisiores Urbis) al 1494, e pressoché uguale ad altre del Salterio trivulziano. L'individuazione dell'iniziale consente tra l'altro di convalidare la tesi della provenienza veronese del prezioso Salterio. Attorno a questo ristretto nucleo iniziale sarà forse possibile costruire un meno esiguo catalogo di Francesco. L'opera, da come ci appare nella ancora necessariamente ristretta ricostruzione, può solamente collocarsi in quell'area di mantegnismo più formale che sostanziale, tipico del gusto figurativo veronese degli ultimi trent'anni del secolo; cospicuo sembra l'apporto di Girolamo da Cremona e certamente non mancano attenzioni per la cultura padovana.
Francesco morì dopo il 1503, data della miniatura del Liber perfectionis vitae di Padova, e prima del 1514 quando il figlio Girolamo è indicato nell'anagrafe "quondam de m. Francesco" (Di Canossa, 1913); morì forse senza presagire che l'ars miniandi, cuiaveva dedicato la vita, era sul punto di estinguersi come arte.
Girolamo, figlio secondogenito di Francesco, in base all'anagrafe del 1492 (Di Canossa, 1912) che lo registra diciottenne e che essendo la più vicina alla nascita è la più attendibile, nacque tra il 1474 e il 1475, presumibilmente a Verona.
Alternò indifferentemente durante tutta la vita le attività di pittore e di miniatore. Possiamo supporre che il padre fosse il suo primo maestro; e ciò sarebbe provato dai pagamenti ripetutamente compiuti nel convento di S. Maria in Organo "al fiolo de maestro Francesco miniador"; è molto probabile che alla sua formazione abbia concorso anche Domenico Morone, nella cui bottega avrebbe stabilito la duratura amicizia con il giovane Francesco Morone, assieme al quale compì numerose opere. La testimonianza del Vasari (1568, p. 327) lo vuole precocissimo: "d'anni sedici fece in S. Maria in Organo la tavola della cappella de' Lischi, la quale fu scoperta e messa al suo luogo con tanta maraviglia d'ognuno, che tutta la città corse ad abbracciare e a, rallegrarsi con Francesco suo padre".
Questa bellissima Deposizione fortunatamente è giunta sino a noi, ed ora è posta sul primo altare a destra, nella chiesa parrocchiale di Malcesine dove giunse nella prima metà del Settecento (Brenzoni, 1966-67). Gli evidenti caratteri mantegneschi sono in buona parte mediati attraverso le esperienze del seguito veronese di Andrea; né certamente Girolamo trascurò di guardare alla Vicenza del Montagna e in particolare al contenuto dolore della Pietà di Monte Berico dell'aprile 1500. A quindi più opportuno (anche con il conforto dei documenti pubblicati dal Brenzoni, 1966-67, che comprovano il rinnovamento della cappella Da Lisca tra il 1491 e il 1500) spostare la data di esecuzione della Deposizione verso l'inizio del secolo: non fu propriamente l'opera di un adolescente quindi, ma la viva testimonianza dell'attività giovanile di Girolamo ed un punto di riferimento fondamentale per lo studio delle miniature.
Prima della pala di Malcesine, Girolamo compì la miniatura della Natività nell'antifonario n. 2 del convento di S. Francesco a Brescia (ora alla Pinacoteca Tosio Martinengo) che va posta negli anni a ridosso del 1490.
La miniatura, attribuitagli dalla Calabi, (1938), è l'unica veronese nel complesso dei diciassette corali scritti e decorati a Ferrara nella bottega dell'Argenta; ed è importante perché consente di ipotizzare un soggiorno del giovanissimo Girolarno in quella città. A questo proposito giova osservare come talune miniature di Castelvecchio non siano immuni da accenti ferraresi, e che le due conservate al Metropolitan Museum di New York (Rogers Fund, 12.56. 314), sicuramente attribuibili a Girolarrio, passino colà per opere di scuola ferrarese.
Stilisticamente affini alla pala di Malcesine per certe asprezze del segno e la rigidità un poco legnosa delle figure sono i due quadretti con S. Pietro e S. Giovanni evangelista, dipinti per l'altare della Maestà di S. Maria in, Organo, già appartenuti alla collezione Mond, e creduti dal Vasari (1568, p. 311) di Francesco Morone. Sono databili nel 1501 come comprovano i pagamenti a fra' Giovanni da Verona per l'intaglio della cornice (Gerola, 1913, p. 21). All'incirca a quegli anni risalirebbe l'Arianna a Nasso (?) del Rijksmuseum di Amsterdam secondo una recente attribuzione (Eberhardt, 1974).
Nel primo decennio del secolo possono essere collocate due importanti pale d'altare. La prima è l'Adorazione del Bambino detta "Preseffio dei conigli" proveniente da S. Maria in Organo ed ora a Castelvecchio, il cui rigido impianto, la descrizione minuziosa delle concrezioni rocciose e della flora denunciano uno stile in formazione. Di qualche anno posteriore l'altra (sull'altare Centrego di S. Anastasia) con la Vergine tra i ss. Tommaso e Agostino.
La sacra conversazione e situata in un interno architettonico senza la minima apertura sul paese, fatto non frequente nella pittura veronese e unico in quella rimastaci di Girolamo. Sono ancora evidenti i ricordi del trittico mantegnesco di S. Zeno; in particolare nell'atteggiamento della Vergine: la disposizione delle mani diventerà una cifra ricorrente in Girolamo, come lo sarà l'albero solitario sotto il quale disporre le sacre conversazioni. Altrettanto evidenti gli influssi di Domenico Morone al cui figlio Francesco era stata attribuita la tavola da tutta la letteratura antica.
L'evoluzione verso una pittura caratterizzata da un fare più morbido e levigato, dovuto a una più viva attenzione per l'ambiente belliniano, cimesco e antonelliano e ad una riflessione, in patria, sull'attività di Giovanfrancesco Caroto che porta a Verona i modi di Lorenzo Costa (per accennare solamente a due tra le tante suggestioni possibili), dà come primo risultato la tela nella chiesa di S. Tommaso Cantuariense con i Ss. Rocco, Giobbe e Sebastiano. L'altare per cui fu dipinto è del 1505, ma la tela sembra posteriore; interessante è l'ipotesi di Mauro Lucco (1980) che la mette in relazione alla pestilenza del 1510.
Altro esempio dello stile più morbido di questo periodo è la Madonna Maffei del Museo di Castelvecchio, tra i santi Rocco e Sebastiano, sorpreso quest'ultimo nello stesso atteggiamento che aveva nella tela di S. Tommaso appena ricordata, e che è una precisa citazione dell'antonellesco S. Sebastiano del Montagna, ora alla Carrara di Bergamo. Alla stessa fase appartiene la Vergine tra i ss. Bartolomeo e Zeno, ora a Berlino Est, Gemäldegalerie, proveniente dalla cappella Bonalini in S. Maria in Organo. I ricordi mantegneschi sono sempre vivi, in particolare quelli della pala per l'altare maggiore di S. Maria in Organo del 1497 "Madonna Trivulzio", al Castello Sforzesco di Milano), la cui assorta dolcezza colpì profondamente Girolamo. La cappella fu eretta da Zeno Bonalini (Gerola, 1913, p. 32) nello stesso anno 1497 in cui giunse da Mantova la pala del Mantegna; ma la pittura di Girolamo, assai posteriere, fu probabilmente commissionata da Bartolemeo Bonalini, che volle accanto al suo santo patrono anche il vescovo Zeno in onore del padre. Il paesaggio, per l'ampiezza e l'unitarietà e per la sua condizionante presenza, comincia ora ad assuincre un ruolo quasi di protagonista alla pari con le figure dei santi.
Le prime opere di Girolamo delle quali si abbia documentazione diretta sono quelle che segnano l'inizio della sua fase più ricca e matura: le ante dell'organo della chiesa di S. Maria in Organo compiute tra il 1515 e il 1516 in collaborazione con il fraterno amico Francesco Morone, per le quali sussiste il contratto del 12 nov. 1515 con le accettazioni autografe dei pittori (Gerola, 1913, p. 32).
Si trattava di una commissione importante per gli olivetani se nel loro impegno di riedificazione della basilica dedicarono una cappella a contenere lo strumento che, equivocando sul termine, sembrava dare il nome all'abbazia stessa. Secondo Vasari (1568, p. 329) le tele con la Natività e le Ss. Caterina e Maddalena sono di Girolamo, le altre due del Morone. Parte della critica ha cercato di dirimere diversamente le mani con risultati discordi e poco credibili. Evidentemente l'influsso reciproco dei due maestri si avverte; e in special modo, quello del Morone su Girolamo. Tuttavia, al di là della paternità di talune invenzioni, che molto probabilmente furono dell'uno dei due, ma riprese per necessaria simmetria dall'altro (il tralcio di mele, ad esempio, sospeso nel cielo), per l'esecuzione è prudente restare all'indicazione dei Vasari, che è ancora la più verosimile. Le ante sono attualmente conservate nella chiesa parrocchiale di Marcellise (presso San Martino Buonalbergo). Un tempo su questo trasferimento si costruirono leggende (Di Canossa, 1912); in realtà esse furono donate dal conte Bartolomeo Dal Pozzo al parroco di quella Comunità nei primi anni dell'Ottocento (Di Canossa, 1913; Stegagno, 1934; Verona, Bibl. civica, ms. 3307: carteggio della lite tra la fabbriceria di Marcellise e i conti Dal Pozzo, copia). Non è noto come le tele fossero divenute proprietà dei Dal Pozzo; ma è lecito supporre che ciò avvenisse in occasione del rinnovamento barocco dell'organo verso la metà del Settecento e dello spostamento delle ante in S. Giacomo al Grigliano (Rognini, 1970-71).
Stilisticamente connesse con le ante di Marcellise sono quelle della Sacra Conversazione dipinta per il monastero di S. Leonardo in Monte, ora al Metropolitan Museum di New York. Non troppo lontana dagli anni delle ante dell'organo si dovrebbe collocare anche la tela, oggi a Monteforte d'Alpone, con Gesù e la Samaritana al pozzo in un vasto e sereno paese; la datazione è suggerita dall'influsso di Francesco Morone, mai più così forte come in quel periodo, evidente nella figura di Cristo e nell'araldica e carpaccesca cavalcata sullo sfondo; anche talune inaspettate asprezze presenti nel dipinto non consentono di andare troppo oltre negli anni. La S. Anna con la Vergine e il Banibino, ora alla National Gallery di Londra, costituiva in origine la parte centrale di un trittico nella chiesa di S. Maria della Scala tra un S. Rocco del Cavazzola del 1518 (anch'esso a Londra) e un S.Sebastiano del Torbido (purtroppo non più rintracciato). La data 1518, che con una facile estensione si può riferire anche alla tela firmata da Girolamo, calza benissimo anche dal punto di vista stilistico, considerate le notevoli affinità con le opere di Marcellise e di New York. Negli anni 1519 e 1520 sono registrati pagamenti degli olivetani per una cospicua serie di miniature per i libri da coro dell'abbazia (Di Canossa, 1912); ciò sta a ricordare che Girolamo non abbandonò mai l'arte dell'illuminare, e per questo nei documenti che lo riguardano è ricordato indifferentemente come "pictor" o come "miniator". Alla fine del secondo o all'inizio del terzo decennio è riferibile il dipinto della piena maturità con S. Anna e la Vergine fra s. Giuseppe e s. Giovacchino, in S. Paolo a Verona.
Di qualche anno più tarda, la Madonna tra i ss. Lorenzo Giustiniani e Zeno in S. Giorgio a Verona ("Madonna della cintura"), firmata e datata 1526, ripropone la consueta composizione nel sole di mezzodì, i gesti pacati, gli sguardi sereni e ancora le sete fruscianti, i policromi ricami delle stole. Alla fine dello stesso anno 1526 è documentato il pagamento per la predella dell'ancona di S. Biagio nella omonima cappella nell'abbazia benedettina di S. Nazaro, passata nella Congregazione di S. Giustina.
Non si può non notare un certo scadimento nella qualità della tavoletta per il gestire artificioso e manierato e lo squilibrio delle proporzioni, seppure il paese rimane gradevole nella sua funzione di riunire e separare le tre storie indipendenti.
Decisamente più "alta" la Madonna dell'ombrellino, firmata e datata 1530, ora a Castelvecchio, proveniente dalla chiesa soppressa di S. Maria della Vittoria Nuova. Ancora una volta Girolamo ricorre ad una citazione mantegnesca nell'atteggiamento della Vergine; e non casuale perché anche la Madonna mantegnesca da cui il gesto è preso era intitolata alla Vittoria. Posteriore alla Madonna dell'ombrellino è la Madonna col Bambino e i ss. Pietro e Andrea ("Madonna della Quercia") proveniente dalla chiesa di S. Andrea e ora al Museo di Castelvecchio. A una delle opere più belle di Girolamo per il grandioso impianto spaziale, il sicuro equilibrio dei volumi, la stupenda resa cromatica; per l'impostazione risente della pala dipinta dal Savoldo per la chiesa di S. Maria in Organo, nel 1533 (Marinelli, 1983). Dopo questa alta prova ci è nota solamente un'altra tela che segna una netta involuzione: il Battesimo di Cristo, cosiddetto "degli Ibis", a Castelvecchio, opera debole e tarda.
Girolamo continuò a operare fino alla soglia della morte; sue infatti sono molte delle miniature di tre corali scritti per il monastero di S. Benedetto in Polirone, ora nell'Archivio storico diocesano di Mantova, due dei quali sono datati 1554 e 1555.Secondo quanto tramanda il Vasari, Girolamo morì a Verona il 2 luglio 1555.
Del fratello minore Callisto sappiamo assai poco: nato all'inizio degli anni Ottanta, visse sempre con Girolamo. Nell'anagrafe del 1514è detto "depentor"; in quella del 1529, "maestro" (Di Canossa, 1912); il 12 maggio dello stesso anno è presente al testamento di Francesco Morone (Cipolla, 1882). L'unica sua attività documentata pare sia stata quella di dorare la cornice dell'ancona del Bonsignori nella cappella di S. Biagio in S. Nazaro a Verona. Secondo lo Zannandreis (1891, p. 89), in un antico libro della Compagnia di S. Biagio, ora perduto, Girolamo e "Calisto so fradello pictori de San Polo lavorarono a San Nazaro e dipingendo e indorando", e ciò fu nel 1524, ma i pagamenti superstiti sono tutti fatti al solo Girolamo (Biadego, 1906): per questo non si può escludere che Callisto fosse solo un aiutante del più famoso fratello. Tra le miniature conservate a Castelvecchio e tradizionalmente assegnate a Girolamo, se ne possono isolare alcune, di qualità minore, sicuramente riferibili alla bottega, ma non a Girolamo né al padre; non c'è alcun motivo per attribuirle a Callisto, ma senza alcun dubbio furono il lavoro di un aiuto di una certa capacità.
Probabilmente Callisto morì tra il 1529 e il 1541, anno in cui, per la prima volta, manca nella rilevazione anagrafica della famiglia di Girolamo.
Del figlio di Girolamo, Francesco, nato verso il 1510, oltre alle anagrafi del 1541 e del 1544 (Di Canossa, 1912) che lo definiscono "depentor", nessuna altra notizia ci resta ad eccezione del racconto vasariano, straordinariamente ricco di particolari. Stando al Vasari, Francesco fu dapprima miniatore. quindi si diede a fabbricare sfere terrestri con l'assistenza del Fracastoro; in seguito, "increscendoglila tanta diligenza che ricercano i minii" (p. 333) ma con ogni probabilità anche per la ormai contenuta richiesta di miniatura, si dedicò alla pittura ed infine all'architettura facendo "molte cose in Vinezia ed in Padoa". Morì ancora giovane, presumibilmente prima del 1558, giacché in quell'anagrafe più non compare.
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